Chi indaga sulle indagini e chi vigila sui relativi tempi?
Ieri sera Luca Palamara intervistato da Giletti ha detto con molta chiarezza che i primi sentori dell’interessamento della procura di Perugia nei suoi confronti risalivano a circa un anno e mezzo prima dell’ufficializzazione della pendenza di indagini, sulla scorta di elementi noti da molto tempo.
Ufficializzazione appresa, per giunta, da un giornalista, Giovanni Bianconi (è stato mandato l’audio dell’intercettazione).
L’idea che la tempistica non fosse casuale si scorge tra le righe della narrazione.
Palamara nutre il dubbio che la sua “spada di Damocle” fosse guidata senza inconsapevolezze.
E questo implica variegate possibilità sul piano procedimentale che vanno scandagliate.
Cosa che per noi è possibile solo sul piano astratto, ma per un indagante sulle indagini potrebbe essere interessante materia concreta.
La notizia di reato.
E’ la conoscenza, comunque acquisita da una procura della Repubblica, di un fatto penalmente rilevante, sul quale indagare. Quando risulti anche l’identità della persona o delle persone alle quali esso sia attribuibile scatta l’obbligo di iscrizione di quei soggetti nel registro delle notizie di reato.
L’inquirente che consapevolmente ritardi, anche di un solo giorno, quell’adempimento incorre in responsabilità disciplinare (Luigi De Magistris venne punito per aver “nascosto” poche ore un’iscrizione temendo, fondatamente oppur no non sta a noi dirlo, la presenza di “talpe” nel suo ufficio).
Ciò in quanto la legge non vuole due cose.
Che i cittadini siano perennemente esposti alla “volontà”, più che al dovere, delle procure della Repubblica che non sono pertanto libere di fare ciò che vogliono.
Che le indagini abbiano un inizio certo ed una fine prevedibile.
Se ad assicurare questa seconda finalità esiste il presidio di un “giudice”, la prima può sfuggire ai controlli.
Il termine di durata delle indagini preliminari è infatti prorogabile dal giudice per le indagini preliminari, ricorrendo alcuni presupposti che non sempre vengono tenuti nella giusta considerazione e quindi si prorogano i termini di indagini in realtà mai fatte, dando campo libero ai PM svogliati o con poche idee, sulla pelle dei cittadini. Ma deve trattarsi di eccezioni, sicuri che ogni provvedimento di proroga risulterà ampiamente motivato con l’intensa attività inquirente già svolta e che ha aperto visuali ulteriori, ancora da esplorare.
Non sarebbe un buon vigilante, invece, il GIP che concedesse proroghe immotivate, avallando la pigrizia dell’inquirente che non ha fatto nulla. E’ l’ipotesi dell’inquirente svogliato o, al contrario, troppo indaffarato. Siamo nell’ambito della patologia, ma di una patologia da inedia o da stress.
Il problema serio, determinato dalla mancanza di un accurato controllo del rispetto dei termini delle indagini ad opera del GIP, sorge quando il PM sia lento non per sua natura o per il superlavoro, ma quando egli volutamente proceda coi tempi che si sceglie lui, confidando nel lassismo dell'"angelo custode” delle garanzie del cittadino (il GIP).
In questi casi il “tempo” delle indagini diviene esso stesso materia di polemica ed oggetto del contendere.
Fenomeno non nuovo sol che si ponga mente alle diatribe suscitate dagli avvisi di garanzia “ad orologeria”, tante volte emerse in passato a fronte di indagini su personaggi eccellenti.
Torniamo alle dichiarazioni di Luca Palamara di ieri sera.
Egli ha in sostanza denunciato che gli addebiti a suo carico siano stati fatti emergere con notevole ritardo e non senza una precisa finalità: impedire che la scelta del Procuratore di Roma ricadesse sul dott. Viola, quello che il TAR ha ritenuto all’apparenza più titolato di quello poi effettivamente indicato dal CSM.
Denuncia di fatti al limite dell’eversione, perché ne risulta condizionata anche l’azione del CSM, organo di rilevanza costituzionale.
Che quel condizionamento abbia funzionato lo ha spiegato il dott. Piercamillo Davigo: il dott. Viola era stato eliminato dalla competizione per la Procura di Roma proprio dalle trame captate dal trojan all’Hotel Champagne, senza che contassero più né il suo valore né la sua indiscussa onestà. E’ bastato il solo “sospetto” a farlo fuori: Cesare vuole in moglie solo procuratori della Repubblica di Roma che tutti possano reputare "illibati".
Se ieri sera Palamara fosse stato convincente, vi sarebbe dunque materia per un processo sul processo, per delle indagini sulle indagini.
2 commenti:
magari palamara, che ha famiglia anch'egli pur se qualcuno non ha avuto riguardi nel tentativo di distruggergliela, o la capra o quanto meno i cavoli cerca di recuperarli... il ritorno a casa a mani vuote sarebbe insopportabile per qualsiasi essere umano. chi maneggia bilance, e non è commerciante, deve sapere che c'è un bene supremo che riguarda ogni essere umano (e con il quale è da criminali barare): la dignità!
Ieri Giletti, in relazione al sabotaggio dell'audizione in Com. parlamentare antimafia, chiede a Palamara per quale motivo hanno così tanta paura di lui. Ovvio: Palamara parla, dice cose dimostrabili, può venire fuori la Verità. Verità mai ! Il pd sostiene che Palamara non va sentito in quanto si rischia di aumentarne la sua "visibilità". Ma, se temono la popolarità di Palamara significa che credono che sia migliore di loro, che non riescono a capire che Palamara è un teste. Che l'affaire Palamara deve ancora essere meglio chiarito non vi sono dubbi. Che pm e gip dovrebbero valutare meglio i dettati dell'ordinamento è poi ampiamente dimostrato. Maneggiano i tempi come se il tempo non sia mai esistito; non esiste esiste ! Al gip poi qualcuno dovrebbe spiegare che non è un giudice istruttore, ma un mero ufficio di controllo della correttezza dell'attività del pm. Non può e non deve fare prognosi.
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