Circoli viziosi.
Prima ancora che entrasse in vigore la legge che aveva introdotto il ristoro del danno da processo lumaca avevamo pronosticato che si sarebbe verificata la clonazione delle cause, nel senso che anche i processi per riconoscere gli indennizzi ai cittadini sarebbero durati più dello sperato, dando luogo a loro volta ad ulteriori cause di risarcimento.
Quel che sembrava un paradosso si è trasformato in ordinaria realtà.
Va premesso che non è qui in discussione il diritto del cittadino di essere compensato per il disagio collegabile al processo troppo lungo nel quale egli sia rimasto coinvolto.
Si vuole invece dimostrare che uno Stato “tirchio”, quello delle riforme a costo zero, alla fine spende molto di più, a conferma del detto “chi più spende meno spende”.
E per farlo non servono calcoli difficili.
Supponiamo che una sezione di Corte d’Appello (gli uffici gravati dai maggiori ritardi) riesca ad emettere 100 sentenze al mese, ma tutte in ritardo rispetto al termine che la legge ha imposto a tale grado di giudizio (due anni).
Si badi che quella appena rappresentata è la condizione ordinaria di quasi tutte le corti d’appello e non un’ipotesi rara: moltissimi appelli civili non si definiscono prima di quattro o cinque anni, tanto che il definirli in soli quattro anni è spesso un obiettivo da raggiungere con grande impegno.
Torniamo alla matematica economica.
Si diceva 100 sentenze al mese, tutte a definizione di processi di secondo grado durati 4 anni.
Ammettiamo che ciascuna causa veda contrapporsi soltanto due parti (appellante ed appellato) anche se il più delle volte il numero di parti è notevolmente superiore.
A ciascuna parte spetta, come minimo, un indennizzo di 400 euro per ogni anno di ritardo, quindi nell’esempio appena fatto di 800 euro.
Le parti sono due, quindi 1.600,00 euro.
A queste somme vanno aggiunti i compensi degli avvocati ed i costi di altri processi da introdurre per ottenere "l’equa riparazione" provocati dalla lumaca (la Giustizia).
1.600 euro moltiplicato per 100 fa …160.000 euro!
Quindi quella sezione della corte d’appello, che è di per sé molto virtuosa in relazione a quanto riesce ad esitare in termini di sentenze mensili, provoca comunque un esborso mensile a carico dello Stato di ben 160.000 euro (da arrotondare almeno a 180.000,00 euro per i costi accessori).
Nella metà di quella somma - si ribadisce, un costo mensile - ci sarebbero risorse per raddoppiare il numero di magistrati e quindi anche il numero di sentenze e così dimezzare i tempi di durata dei processi d’appello, contenendoli finalmente nel biennio che il legislatore considera fisiologico e che non produce esborsi per lo Stato.
Ma la lumaca avara, e stavolta la lumaca è proprio lo Stato, oltre ad essere lenta di gamba denota di non essere volpe.
E così pensa di non poter assumere altri giudici che scrivano sentenze perché non ha denari, che tuttavia dilapida in indennizzi.
Come ognuno può notare, ad essere "irragionevole" non è tanto la durata del processo, ma la gestione della Giustizia, la prima essendone solo un'ovvia conseguenza.
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