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di Marco Panicucci
(Giudice del Tribunale di Genova)
Scorrendo rapidamente i report su una articolata intervista, in cui un noto imputato parlava di “revisione”, per un attimo ho istintivamente pensato a quella prevista dagli artt. 629 e segg. cpp.
Poi, leggendo con maggiore attenzione, ho scoperto che l’intervistato non si riferiva al mezzo di impugnazione straordinario delle condanne definitive, ma a qualcosa di ancora più estremo: la revisione dei libri di storia, onde depurarli della “retorica della resistenza”, cui una parte politica intenderebbe mettere mano, a elezioni concluse (e vinte).
Tale intento di padroneggiare il passato – che richiama indimenticate suggestioni letterarie (1984 di G. Orwell) e che certo non stupisce da parte di chi, attraverso l’anomala signoria sui mezzi di comunicazione, già dispone ampiamente del presente – non può non suscitare sensazioni forti: grande meraviglia, sincera preoccupazione, ferma – ma fiduciosa – reazione.
Grande meraviglia, perchè i proponenti sembrano dimenticare la collocazione europea del nostro paese, in un ambito in cui la libertà di manifestazione e comunicazione del pensiero critico sono ben radicati, tanto da essere quasi costitutivi della materialità territoriale di alcuni autorevoli stati.
Sincera preoccupazione, perchè, comunque, una crisi di cultura e di valori è già presente nel nostro paese e, sarà un caso, si è affermata e consolidata con la “scesa in campo” di chi ha portato avanti nuove idealità, fondate sull’individualismo, sul denaro, sul potere fine a sé stesso, da perseguire a qualunque costo.
Ferma – ma fiduciosa – reazione, perchè la storia, in realtà, non si cambia.
Perchè il tempo sopravvive a sé stesso, portandosi dietro, indelebili, tutte le vicende umane che ha prodotto.
Perchè la “retorica della resistenza” – con i valori che ad essa si accompagnano – permea la realtà, morale e materiale, di tutti i giorni.
E’ nella nostra Costituzione, nelle sue fondamenta, laddove afferma principi di libertà, eguaglianza, solidarietà sociale, ripudio della guerra.
E’ in molte leggi del nostro ordinamento, nell’architettura stessa dello stato.
E non si possono cancellare, secondo il capriccio della maggioranza del momento.
Come non si possono cancellare le pietre, i nomi, i cuori.
Non si può cancellare la Sinagoga di Roma o la risiera di San Sabba a Trieste.
Non si può cancellare l’A.N.P.I., col suo carico di dolorosa e fiera memoria.
Non si possono cancellare Walter Fillak, Ernesto e Germano Jori, Dino Col e Attilio Firpo e tanti altri ...
A Genova sono delle strade, di quartieri del ponente cittadino.
Sono i nomi di alcuni giovani che, qualche tempo fa, pur non disdegnando di andare al mare, a teatro, a fare l’amore con le loro ragazze, hanno deciso, consapevolmente, di rischiare e dare la loro vita per tutti noi.
Non si può cancellare Genova, la mia città, che della Resistenza è medaglia d’oro.
Genova che, alle ore 19.30 del 25 aprile 1945, ha visto il Gen. Meinhold firmare l’atto di resa delle truppe tedesche nelle mani non di un pari grado americano, ma in quelle, ben più umili e più pulite, del presidente del C.N.L. della Liguria, Remo Scappini, italiano, partigiano, a soli 14 anni già operaio di una vetreria.
Non si può.
Ed è giusto, doveroso e bello ricordarlo, in tutte le occasioni.
Troviamo la forza per non smettere, mai, di indignarci.
_____________
Pubblichiamo intenzionalmente questo articolo con alcuni giorni di ritardo, per evitare che la sua pubblicazione possa essere ritenuta una forma di nostro coinvolgimento nella campagna elettorale.
di Marco Panicucci
(Giudice del Tribunale di Genova)
Scorrendo rapidamente i report su una articolata intervista, in cui un noto imputato parlava di “revisione”, per un attimo ho istintivamente pensato a quella prevista dagli artt. 629 e segg. cpp.
Poi, leggendo con maggiore attenzione, ho scoperto che l’intervistato non si riferiva al mezzo di impugnazione straordinario delle condanne definitive, ma a qualcosa di ancora più estremo: la revisione dei libri di storia, onde depurarli della “retorica della resistenza”, cui una parte politica intenderebbe mettere mano, a elezioni concluse (e vinte).
Tale intento di padroneggiare il passato – che richiama indimenticate suggestioni letterarie (1984 di G. Orwell) e che certo non stupisce da parte di chi, attraverso l’anomala signoria sui mezzi di comunicazione, già dispone ampiamente del presente – non può non suscitare sensazioni forti: grande meraviglia, sincera preoccupazione, ferma – ma fiduciosa – reazione.
Grande meraviglia, perchè i proponenti sembrano dimenticare la collocazione europea del nostro paese, in un ambito in cui la libertà di manifestazione e comunicazione del pensiero critico sono ben radicati, tanto da essere quasi costitutivi della materialità territoriale di alcuni autorevoli stati.
Sincera preoccupazione, perchè, comunque, una crisi di cultura e di valori è già presente nel nostro paese e, sarà un caso, si è affermata e consolidata con la “scesa in campo” di chi ha portato avanti nuove idealità, fondate sull’individualismo, sul denaro, sul potere fine a sé stesso, da perseguire a qualunque costo.
Ferma – ma fiduciosa – reazione, perchè la storia, in realtà, non si cambia.
Perchè il tempo sopravvive a sé stesso, portandosi dietro, indelebili, tutte le vicende umane che ha prodotto.
Perchè la “retorica della resistenza” – con i valori che ad essa si accompagnano – permea la realtà, morale e materiale, di tutti i giorni.
E’ nella nostra Costituzione, nelle sue fondamenta, laddove afferma principi di libertà, eguaglianza, solidarietà sociale, ripudio della guerra.
E’ in molte leggi del nostro ordinamento, nell’architettura stessa dello stato.
E non si possono cancellare, secondo il capriccio della maggioranza del momento.
Come non si possono cancellare le pietre, i nomi, i cuori.
Non si può cancellare la Sinagoga di Roma o la risiera di San Sabba a Trieste.
Non si può cancellare l’A.N.P.I., col suo carico di dolorosa e fiera memoria.
Non si possono cancellare Walter Fillak, Ernesto e Germano Jori, Dino Col e Attilio Firpo e tanti altri ...
A Genova sono delle strade, di quartieri del ponente cittadino.
Sono i nomi di alcuni giovani che, qualche tempo fa, pur non disdegnando di andare al mare, a teatro, a fare l’amore con le loro ragazze, hanno deciso, consapevolmente, di rischiare e dare la loro vita per tutti noi.
Non si può cancellare Genova, la mia città, che della Resistenza è medaglia d’oro.
Genova che, alle ore 19.30 del 25 aprile 1945, ha visto il Gen. Meinhold firmare l’atto di resa delle truppe tedesche nelle mani non di un pari grado americano, ma in quelle, ben più umili e più pulite, del presidente del C.N.L. della Liguria, Remo Scappini, italiano, partigiano, a soli 14 anni già operaio di una vetreria.
Non si può.
Ed è giusto, doveroso e bello ricordarlo, in tutte le occasioni.
Troviamo la forza per non smettere, mai, di indignarci.
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Pubblichiamo intenzionalmente questo articolo con alcuni giorni di ritardo, per evitare che la sua pubblicazione possa essere ritenuta una forma di nostro coinvolgimento nella campagna elettorale.
2 commenti:
posto che la storiografia è un processo di revisione continua del passato e della sua interpretazione, ben venga una riscrittura dei libri di storia, è naturale e salutare, ed è sempre avvenuta, dalla notte dei tempi.
che se la auguri una certa parte è del tutto ininfluente, che se lo auguri una parte sola è invece significativo, in quanto in Italia, purtroppo, i conti con la storia recente non sono ancora stati fatti, e molti e molti avvenimenti sono ancora nebulosi e distorti proprio da una certa retorica, che distribuisce a gran voce colpe e meriti, forse per coprire e deformare meriti e colpe di chi più forte strilla e ha strillato.
forse (forse) si potrà sapere e analizzare quanto davvero è avvenuto in Italia e agli italiani tra il '18 e il '48 soltanto quando non saranno più vivi i protagonisti dell'epoca, e chi ancora la potrà ricordare, giacché soltanto un certo ricordo è ammesso, e certi fatti possono essere raccontati soltanto in un certo modo.
speriamo, è accaduto per molti fatti storici (anche non recenti), non per molti altri, che ancora vengono distorti e mortificati per motivi politici o ideologici (e di esempi son pieni libri e accademie).
purtroppo onestà e serenità di giudizio hanno perso campo da troppo tempo.
baron litron
Secondo Wikipedia, la Repubblica Sociale Italiana, nota impropriamente anche come Repubblica di Salò, è la denominazione assunta dal governo fascista instaurato nel territorio italiano occupato dai nazisti. Fu fondata da Mussolini il 23 settembre 1943 nei territori dell'Italia settentrionale, con l'esclusione delle province di Trento, Bolzano, Belluno, del Friuli e della Venezia Giulia, amministrate direttamente dai tedeschi, anche se non annesse formalmente al Terzo Reich. Servì ai nazisti per controllare, con parvenza di legalità, quella parte del territorio italiano non occupato dagli Alleati, sostituendosi in tal modo al Partito Fascista Repubblicano.
La Repubblica Sociale Italiana venne guidata dalla sua creazione fino alla dissoluzione il 25 aprile 1945 da Benito Mussolini. Come Stato fu riconosciuta dalla Germania nazista (che ne aveva caldeggiato la costituzione), dall'Impero giapponese il terzo alleato dell'Asse e dai suoi satelliti, dal Regno di Bulgaria da quello d'Ungheria, dalla Repubblica di San Marino e dalla Svizzera.
Il PNF fu l'unico partito ammesso in Italia dal 1928 al 1943, dopo l'emanazione delle leggi eccezionali e dotandosi di un proprio Statuto.
Risulta evidente che l'opposizione al PNF, in quel perido, poteva solo svolgersi clandestinamente e quindi appalesarsi come resistenza alla prevaricazione di ogni diritto.
Dopo l'otto settembre del '43 e a maggior ragione dopo il 23 settembre, la resistenza si trasformo in lotta di liberazione dall'occupazione nazifascista.
Questa a mio modesto avviso è storia, senza retorica.
I fatti luttuosi sono dolorosi per ogni comunità. Atti efferrati sono sempre e comunque condannabili.
Dispensare la morte attraverso una lunga e dolorosa agonia è sempre e comunque abominevole e imperdonabile.
A tal proposito ricordo un episodio accaduto (tra i tanti accaduti nella mia città) nella piazzetta che oggi porta il nome del giovane partigiano di circa 22 anni, fucilato da alcuni membri del battaglione del corpo nazifascista "Monterosa".
Dire fucilato è un eufemismo. Chi eseguì la fucilazione sparò deliberatamente all'altezza dello stomaco, con l'evidente intento di non provocare la morte immediata.
(questo lo rielaborai molti anni dopo)
Il giovane partigiano ,a terra, mentre urlava dal dolore per le ferite; piangendo invocava: mamma!
I militi presenti a presidiare il morente, imponevano ai passanti (con spintoni e minacce) di sputare sul corpo del "bandito" ferito a morte.
Mia zia mi prese in braccio e stringendomi forte tanto da farmi male, nascose il suo volto nell'incavo del mio collo. Quel militare vestito da alpino, che mi guardò negli occhi, restò immobile mentre zia Marghe svoltava lesta verso la ripida salita del colle.
Marghe piangeva e ansimava per la fatica, Aggrappato al suo collo, sentivo le sue lacrime tiepide, colare sulla mia pelle.
Il lamento straziante del morente, ci accompagnò fin quasi alla fine del percorso.
Ringrazio baron litron per aver stimalto la mia memoria verso ricordi lontani nel tempo ma ancora vivi.
Invecchiando mi rendo conto che i ricordi del tempo recente svaniscono in fretta, mentre quelli di un passato remoto sono ancora lì ben circostanziati.
Cordiali saluti Stefano
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