giovedì 14 agosto 2008

La gente ai tempi del fascismo



In uno dei libri di Gino e Michele che raccolgono battute celebri ce n’è una che dice: “Ai tempi del fascismo la gente non sapeva di vivere ai tempi del fascismo”.

L’altro giorno, nel corso di un incontro in cui si presentava il libro di Carlo Vulpio Roba nostra, Roberto Mancini, un giornalista coraggioso, osservava come “non siamo mai contemporanei a noi stessi”. Come, purtroppo, ci rendiamo conto di quello che ci succede sempre dopo che è successo. Sempre quando ormai è troppo tardi.

Dunque, continuiamo a essere complici di ciò che accade e a dire dopo, piagnucolando come se a farlo accadere fossero stati altri, “ma come è potuto succedere?”.

Riportiamo, come segno dei tempi, un articolo di stampa che racconta uno dei tanti episodi di xenofobia di questo tempo. Si tratta, in particolare, in questo caso di “xenofobia di Stato”, quella maggiormente praticata. Quella che fa più impressione. Quella che è più vergognosa e ci disonora di più, perché non consente di usare l’alibi del “si tratta di singoli episodi che non sono significativi”. Quella che dimostra che la Costituzione è sempre più un bel documento storico del passato.

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da Repubblica.it del 14 agosto 2008


di Maria Elena Vincenzi
(Giornalista)



L’odissea di una peruviana: «In cella perché straniera».


La denuncia di due ragazze sudamericane maltrattate da un poliziotto a Roma. Una fermata e poi rilasciata: erano sedute sugli scalini di una chiesa.

Roma - Scambiata per prostituta, umiliata davanti ai passanti proprio nel centro della città, portata all’ufficio Immigrazione. E lasciata lì, tutta la notte, in una cella minuscola, sporca e maleodorante con prostitute vere, che le passano accanto e sbrigano le pratiche per il rilascio ben più velocemente di lei.

Succede a Roma, la città che, su disposizione del governo, avrà il maggior numero di militari a presidiare strade, stazioni, ambasciate.

La stessa dove i primi appuntamenti nell’agenda del sindaco sono le nuove ordinanze anti-rovistaggio, anti-accattonaggio.

Le vittime sono due ragazze normalissime. Vestite come qualsiasi altra giovane romana. Jeans, T-shirt a girocollo, ballerine, 28 anni, occhiali a goccia, capelli legati e un filo di trucco.

Solo che, nonostante l’inflessione romanesca, sono peruviane.

Almeno di nascita: a Roma ci vivono da cinque anni. Sono diplomate in Italia e frequentano regolarmente l’università “La Sapienza”.

Si mantengono con qualche lavoretto, una fa la cameriera e l’altra la baby sitter.

Vivono in zona Prati.

La domenica insegnano catechismo a Santa Maria degli Angeli, piazza della Repubblica, poco distante dalla centralissima stazione Termini.

Un racconto fatto di lacrime e paura, quello delle due protagoniste della storia, M. J. P. e Y. V.

«Erano le 17 quando sono arrivata in via XX Settembre per aspettare che la mia amica uscisse dal lavoro.

Dovevamo andare con amici a prendere l’aperitivo. Lei era in ritardo, così ho deciso di sedermi sui gradini di Santa Maria della Vittoria.

Cinque minuti e una volante della polizia mi si avvicina.

Gli agenti abbassano il finestrino e uno dei due mi chiede: “Ma che fai ti metti a lavorare proprio qui, davanti a una chiesa?”.

Io, incredula, rispondo: “Come?”. Lui ripete lo stesso concetto.

Rimango senza parole, non riesco a credere che si possano essere permessi di confondermi con una prostituta: sono una ragazza normale, vestita con gonna e camicia. Non riesco a reagire. L’unica cosa che faccio è chiamare la mia amica»
.

Che racconta: «Sono scesa, ho trovato M. in lacrime. Mi sono avvicinata e gli agenti hanno ripetuto a me la stessa cosa, con lo stesso tono sprezzante: “Bella, diglielo pure alla tua amica, questa è una chiesa, non potete mettervi a lavorare qui”. Vado su tutte le furie e loro, di tutta risposta, ci chiedono i documenti: io li avevo, la mia amica no perché aveva una borsetta da sera molto piccola. Intorno, la gente iniziava a innervosirsi per la reazione dei poliziotti. Tanto che, dopo qualche schermaglia, decidono di andare via».

Ma non finisce qui: alcune donne che hanno assistito alla scena convincono le studentesse ad andare a denunciare l’accaduto in questura. Hanno preso pure il numero di targa della volante. Le due ragazze decidono di seguire il consiglio e a piedi arrivano a via San Vitale, sede della questura di Roma.

«Entriamo in portineria e chiediamo di fare una denuncia: il poliziotto all’entrata è gentilissimo.

Dopo un minuto, dall’ingresso entra lo stesso agente con cui avevamo litigato. “Ancora qui state? Adesso vi faccio passare la voglia”.

E mi prende per un braccio
- racconta Y. V. - io mi divincolo e gli dico che lo denuncerò. L’agente per la prima volta abbandona il tono arrogante, si stizzisce e carica la mia amica in macchina. “Con te non posso ma con lei sì, è senza documenti”.

E se ne vanno senza nemmeno dirmi dove la portano. I colleghi della questura, che hanno visto la scena senza battere ciglio, dopo la mia insistenza mi dicono la destinazione, l’ufficio immigrati di via Patini.

Chiamo un amico, vado a casa di M. a prendere i documenti e li porto là. Arrivo alle 20 e consegno tutto. Chiedo quanto ci metteranno a rilasciarla: due ore circa. Decido di aspettare. Passano le ore e delle mia amica nemmeno l’ombra»
.

«Mi hanno tolto tutto quello che avevo - spiega l’amica - e mi hanno chiuso dentro una cella sporca di immondizia. Non riuscivo a smettere di piangere. Tutti gli altri stranieri che stavano lì uscivano prima di me, ladre, prostitute, pusher, abusivi. La notte è passata così, tra lacrime e preghiere. Sono uscita solo alle 10.30 del mattino».

Versione confermata anche da un amico italiano, C. B., che ha accompagnato Y. a prendere i documenti a casa della ragazza e poi a via Patini.

«Siamo stati lì davanti fino alle 3 del mattino, poi siamo tornati più tardi. E, infine, alle 10.30 sono stato io a prendere M. quando, sconvolta, è stata rilasciata e l’ho accompagnata a casa in motorino».

E ancora ieri, una volta fuori, le ragazze non riescono a dimenticare. «Roma è diventata invivibile per gli stranieri: siamo regolari, parliamo romano, abbiamo amici italiani eppure veniamo trattate così. Siamo qui da tanti anni, continuiamo ad amare questa città, ma facciamo fatica a viverci».

Forse tutto questo andrebbe denunciato. «Volevamo farlo ieri, ma poi è andata come è andata. Ora abbiamo paura, chi ci torna in questura?».

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Sempre con riferimento alla Costituzione dimenticata, va detto che la xenofobia di Stato è, ovviamente, selettiva. Afef, la moglie di Tronchetti Provera, è tunisina. Ma nessuna volante se la porterà via. Uno straniero ricco è “un signore”. Uno straniero povero è “uno straniero”. Se scorazzi in Mercedes per la città nessuno ti chiede i documenti. E’ se ti siedi sui gradini di una chiesa che sei fritto.



7 commenti:

Anonimo ha detto...

La peggiore mafia è quella di stato!!!
Se poi lo Stato è "stato" reso indegno da una legge elettorale che consente ai mafiosi di autonominarsi parlamentari e poi governanti stiamo vedendo cosa succede!

Anonimo ha detto...

La dignità dello schiavo è nella ribellione.

[...] stiamo per entrare nell'era delle conseguenze (Winston Churchill).

Corsi e ricorsi storici (Giambattista Vico)

Vittorio Ferraro ha detto...

Questo brutto episodio mi ha riportato alla mente la cosiddetta "metafora del minatore"; elaborata da Gerald Torres e Lani Guinier.

"La razza, per noi, è come il canarino del minatore. I minatori si portavano spesso un canarino giù in miniera. Il canarino ha un sistema respiratorio più fragile di quello umano, e di conseguenza sarebbe morto, in caso di gas nocivi, molto prima che i miasmi potessero agire sui minatori, che sarebbero in tal modo stati avvertiti del pericolo. La sofferenza del canarino segnalava che era tempo di uscire dalla miniera, perchè l'aria era ormai troppo venefica per poter essere respirata".

Sostenevano che i problemi delle minoranze razziali "sono sintomi che avvertono di rischi comuni".

Anonimo ha detto...

All'anonimo delle 11.28:

I mafiosi, se vogliono farsi eleggere, si servono benissimo anche delle "preferenze".

Se uno è mafioso, resta mafioso, con qualsiasi legge elettorale, e si fa eleggere egualmente. Anzi, si fa eleggere meglio, basta che raccatti un certo numero di "clientes" (servi), la qual cosa non è affatto difficile, come è noto a tutti.

E basta con l'invocare sempre "lo Stato", che è assente, che non funziona ... tranne quando paga milioni di dipendenti !

Prima dello "Stato" ci sei TU !

Ma chi non è mai vissuto in un paese libero, chi è stato per oltre un millennio sempre servo di qualcuno, questo non lo può capire, almeno non in breve tempo.

Anonimo ha detto...

ma (pensando anche all'altro articolo apparso in homepage) per la Nazione (e quindi per tutti noi) è più deleterio il mafioso che amministra lo Stato regione, provincia, comune), o i dieci mafiosi-e-loro-amici che lo Stato (tribunale, prefettura, uffici comunali) lo fanno funzionare?
e per la mafia è più utile un politico, o una decina tra funzionari, cancellieri, ufficiali, capiufficio, notai?

so che la risposta è: sono velenose entrambe le categorie, ma attenzione a non guardare soltanto chi è più in vista, perché - soprattutto nel nostro scalcagnato stivale - il potere vero è sovente in mani non tanto visibili, benché legittimamente operative....

baron litron

Anonimo ha detto...

CREDO PROPRIO CHE ALL'ANONIMO DELLE 17.26, CHE DA OLTRE UN MILLENNIO VIVE IN DEMOCRAZIA A DIFFERENZA DEI POVERI MORTALI COSTRETTI, PER LO STESSO PERIODO, A VIVERE IN STATO DI SERVITU', SIA SFUGGITO IL SENSO DELLO SCRITTO DELLE 11.28.
"E' MAFIOSO CHIUNQUE APPROFITTANDO DEL PROPRIO POTERE RENDE SERVI I BISOGNOSI! CHE, GUARDA CASO, IL PIU' DELLE VOLTE, CORRISPONDONO A COLORO CHE HANNO SEMPRE PIU' FAME DI POTERE."

Anonimo ha detto...

Per quale motivo le maiuscole?

Non mi era sfuggito il senso di quello che aveva detto l'anonimo, avevo soltanto preso lo spunto dalle sue osservazioni per sviluppare un concetto. Non sono poi obbligato ad attenermi a quanto dici, purché non faccia intendere che tu abbia detto cose diverse.

Purché non faccia, pertanto, come hai fatto tu con me ora.

Per quanto riguarda la "democrazia", questa esiste veramente soltanto dove tutti si conoscono, tipo il "paesino" che era Atene al tempo di Pericle.

Diverso il discorso per la libertà. Mi dispiace per te, ma è solo un fatto, e come tale l'ho riportato.