sabato 23 agosto 2008

Maria Falcone: «Non si facciano dire a Giovanni cose mai dette».




di Felice Cavallaro
(Giornalista)


da Corriere.it del 22 agosto 2008


La sorella del magistrato: bene pensare a lui ma attenti a minare la divisione dei poteri.
L’intervista. «Il cavaliere può rileggere i suoi scritti, glieli regalai anni fa».



Palermo – Soddisfatta, sorpresa o irritata dal richiamo di Berlusconi alle «idee» di suo fratello sulla riforma della giustizia, professoressa Maria Falcone?
«Mi fa piacere che si pensi a Giovanni anche come studioso attento e sensibile ai problemi giuridici e giudiziari di questo nostro Paese. Purché non gli si facciano dire cose mai dette».

Il Cavaliere avrebbe mal interpretato quelle idee?
«Beh, certo Giovanni non ha mai chiamato i magistrati avvocati dell’accusa. E poi occorre delicatezza quando si richiamano le idee di chi non c’è più e non può controbattere. Ma per questo il Cavaliere ha uno strumento che gli consentirà di evitare equivoci, la raccolta degli scritti di Giovanni pubblicata dalla nostra Fondazione. Gliela regalai io qualche anno fa».

Magari dirà che l’ha letta. A cominciare dal tema della «separazione delle carriere».
«Ma lui parla di separazione dell’ordine degli avvocati dell’accusa dall’ordine dei magistrati. Un termine nuovo. Meglio rileggere quei testi».

Fatto sta che suo fratello invocava la «separazione».
«Non vorrei però che qualcuno pensasse di separare le carriere anche per annullare la separazione dei Poteri. È la distinzione fra potere legislativo, amministrativo e giurisdizionale a garantire la democrazia. Viceversa c’è il rischio di ritrovarci con uno Stato autoritario».

Condivide l’allarme di Giuseppe Cascini, il segretario dell’Anm sul «rischio fascismo»?
«Non c’è bisogno che lo condivida. Basta che dica le cose a modo mio, con parole mie».

Vede la democrazia a rischio?
«Il rischio si manifesta se manca l’equilibrio e se c’è una ingerenza della politica nella magistratura. Così come l’eccessiva politicizzazione della magistratura crea un rischio contrario. Oddio, un rischio minore, ma ugualmente grave».

Suo fratello considerava una ipocrisia l’obbligatorietà dell’azione penale?
«Di obbligatorio c’è sempre stato molto poco. È evidente che una certa discrezionalità la magistratura l’ha sempre avuta».

Berlusconi suggerisce anche di introdurre «criteri meritocratici nella valutazione del lavoro dei magistrati».
«Sono d’accordo, ma chi valuta e controlla il merito? Il Csm. È quindi importante che l’organo di autogoverno non sia politicizzato».

Lo teme pure Cascini. Ma oggi il Csm appare immune?
«Oggi è politicizzato. Cascini suggerisce di non fare entrare la politica, ma siamo sicuri che non ce ne sia già troppa nel Csm?».

E la «terzietà» del giudice?
«Non c’è dubbio che per Giovanni nel processo accusatorio il pm dovesse essere considerato parte».

Come l’avvocato dell’altra parte, direbbe Berlusconi.
«E su questo ha ragione. Ma la figura del pm va modificata senza ledere il principio dell’indipendenza della magistratura. Qualsiasi riforma si possa fare, soprattutto se si vuole fare riferimento a Falcone, bisogna avere un grande rispetto per la democrazia, per la Carta costituzionale e soprattutto per la divisione dei Poteri».

Il Cavaliere ha detto che stavolta riformerà la giustizia, anche da solo. Ma Veltroni ha replicato che si deve fare solo con il placet dei magistrati ...
«E io sono d’accordo con Veltroni, in questo caso. Toccando un tema tanto delicato, non può esserci nessun uomo politico di destra o sinistra che dica “la riforma la faccio io”. Il pluralismo è il fondamento della democrazia. Occorre misura. Come misura era Giovanni».

Lo dice perché vede poca «misura» in Berlusconi?
«Guardi che anch’io cerco di essere moderata perché con gli eccessivi personalismi si finisce per nuocere alla causa della giustizia».



1 commenti:

Anonimo ha detto...

Falcone non pensava affatto a un controllo istituzionale sull'attività del Pubblico Ministero, bensì a un "maggiore coordinamento" (cito letteralmente dal suo scritto Cose di Cosa nostra) tra magistratura e polizia, da affidarsi anche a un organo centrale di coordinamento, ma non certo a un controllo dell'attività dei PM attraverso "Linee Guida" del Ministero della Giustizia sulle priorità da avere nell'esercizio dell'azione penale. Falcone stesso, nello scritto che ho appena citato, ribadisce per ben due volte il principio dell'indipendenza del PM, e il pericolo che comporterebbe un suo controllo da parte dell'esecutivo. Infatti dice: "Sono altresì convinto che per conseguire risultati significativi, bisogna elaborare strategie unitarie da affidare a centri decisionali coordinati a livello di polizia e di magistratura. Esiste indubbiamente, di fronte a un pubblico ministero più coordinato, il problema del suo assoggettamento al potere politico. Ma personalmente credo che attraverso questa via si accresca la professionalità del pubblico ministero, il che costituisce la migliore garanzia per il mantenimento dell’indipendenza della magistraturadell'esecutivo"... e ancora: "Un coordinamento fortemente centralizzato -specificava- non può essere però affidato a un pubblico ministero totalmente separato dagli altri poteri dello Stato. Bisognerà immaginare la FORMA DI RACCORDO più adeguata. Un grande giurista ed un grande uomo politico della nostra Costituente, Piero Calamandrei, si era dichiarato favorevole all’istituzione di un procuratore generale della Corte di Cassazione che partecipasse alle sedute del Consiglio dei ministri a titolo CONSULTIVO per gli affari riguardanti la giustizia. Altri hanno pensato a direttive impartite al pubblico ministero dal Parlamento. SIA BEN CHIARO, NON AUSPICO AFFATTO UN PUBBLICO MINISTERO SOTTO IL CONTROLLO DELL'ESECUTIVO. L’ufficio di procura deve conservare e RAFFORZARE la propria AUTONOMIA e INDIPENDENZA, ma deve agire in maniera efficiente ad essere realmente responsabile della sua attività, e a tal fine un intervento legislativo si impone. Una struttura a responsabilità collettiva limiterebbe fra l‘altro i rischi di sovraesposizione. L’iperattivismo, l’iperpersonalizzazione oggi molto diffusi tra i funzionari di polizia e i magistrati, rendono vulnerabili e creano dei bersagli ideali per la mafia e per lo Stato. Anche lo Stato, infatti, in certi casi cede alla tentazione di liberarsi del singolo inquirente scomodo rimuovendolo o destinandolo ad altra sede. (...)"

Questo il discorso di Falcone, come si può vedere, ben più articolato e complesso.

Cordiali saluti a tutti,

Paola