di Andrea Mirenda - magistrato
Claudio Castelli, Presidente
della Corte d’Appello di Brescia e, prima ancora, leader storico di MD, con
l’articolo del 9.6.2020, “La nomina dei
dirigenti: problema dei magistrati o del servizio?, su Questione Giustizia,
affronta da par suo il tema degli incarichi direttivi.
Non è facile, almeno per chi
scrive, commentare senza un umano senso
di fastidio proposte di riforma (ammesso che se ne intraveda alcuna…) di coloro che, personalmente o per sodalità, sono stati i teorici nonché coprotagonisti
dello sfascio istituzionale che ci ha condotto al minimo storico di
credibilità.
Ciò premesso per doverosa
trasparenza, abbiamo letto con attenzione l'articolo del Presidente della Corte
d’Appello di Brescia che, ad ogni piè sospinto, rimarca : a) L’esigenza di " un ruolo di
direzione dell'Ufficio Giudiziario che è diventato sempre più complesso e che
richiede specifiche attitudini… "; b) " la mancanza di leadership in
troppe sedi..”; c) il carattere
fondamentale della “ presenza, autorevolezza e capacità dei dirigenti…”; d) il ruolo di “altro mestiere”
dell’amministrazione della giurisdizione accanto a quello di pura
amministrazione, salvo tuttavia riconoscere graziosamente che " il modello
disegnato dall'ordinamento giudiziario, che vede un uomo solo al comando, è del
tutto inadeguato e del resto si scontra sempre più con strutture formali e
informali di supporto al dirigente … Omissis"; e) la necessità della nomina di un organismo consultivo ( ne immaginiamo
subito i margini di autonomia…) in seno al CSM, composto di tecnici esterni
incaricati di valutare i candidati e di fornire le caratteristiche e le
capacità di ciascuno, verificando i risultati avuti; f) la durata dell'incarico di anni 4 + 4, con la solita litania
dell'effettività della verifica dei risultati al momento della riconferma
quadriennale; g) la (assai poco
sorprendente) critica sbrigativa della rotazione, a suo dire rispondente” … ancora una volta a
istinti corporativi che tendono a spartire tra tutti incarichi più o meno
ambiti” (l’autorevole dirigente dimentica, tuttavia, con allegra
disinvoltura, che la “spartizione” è
esattamente ciò che accade oggi, con l’aggravante dell’esclusione della quasi totalità dei
magistrati non proni alla correntocrazia – parola di Palamara - dall’esperienza
direttiva, anche quando dotati – seguendo le sue parole - di “capacità
organizzativa e di relazione, oltre che di punto di riferimento giuridico”).
E’, poi, ben vero, come chiosa Castelli per negare
dignità alla rotazione, che “Sostenere che tutti sono eguali ed idonei non
risponde pacificamente al vero”. Come non riconoscere, difatti, che in
magistratura c’è chi è più uguale degli altri per le ragioni
orwelliane che le chat transcorrentizie di Palamara, Fracassi & Co. ben
hanno disvelato?
Castelli non manca, infine, di
giungere in soccorso ai vincitori,
evidenziando che "pretendere di oggettivizzare nomine in cui una
discrezionalità di valutazione è inevitabile, viene ad essere del tutto
perdente”.
Insomma, facendola corta, secondo
il Presidente della Corte d’Appello bresciana,
non ci si può discostare dall'esigenza della ricerca del MIGLIORE…
nell'interesse superiore ed oggettivo dell'Ufficio.
Questo, in pillole, il milieu culturale del Castelli-pensiero. Un
contributo per molti versi prevedibile e dal quale, nonostante i tempi grami,
risulta ovviamente assente una seria autocritica per lo sfascio sin qui
compiuto.
Ma non basta. Ancor più grave è
notare come l’intervento in questione, privo di proposte legislative
riformiste, lasci immutato quel quadro legislativo che, di riffa o di raffa, ha
consentito agli Apostoli del correntismo
di perpetrare indisturbati le allegre
scorribande nelle lussureggianti
praterie del Lauto Governo.
Cosa resta, allora, del contributo di Claudio
Castelli? Presto detto: né più né meno che l'ennesimo “fioretto” labiale, mascherato
dietro l’obiettivo della ricerca del
Migliore, quasi che in passato si fosse mai teorizzata la ricerca del
peggiore…
Nulla di più, dunque, del solito refrain con il quale i correntocrati
ci hanno “scassato” i timpani ( ma Camilleri avrebbe detto diversamente…) da 15
anni a questa parte, in barba alle
centinaia e centinaia di pagine del TU sulla Dirigenza, in barba al bollettino
periodico delle Carte dei Valori, in barba alle promesse elettorali di santità
e purezza, in barba ai diari di Ciccio & Ale e, in fine, in spregio agli appelli alla trasparenza dei vari Capi
dello Stato avvicendatisi alla guida del CSM. E badiamo bene che quanto sin qui
accaduto e dimostrato è avvenuto costantemente senza che agli Apostoli del
Migliorismo gliene fregasse minimamente delle reali capacità organizzative del
lottizzato di turno, non di rado definito nelle chat del Luca nazionale in
termini che, sinteticamente, potrei cosi riassumere: “ va beh, è un inetto ma
che vuoi mai, è voluto da…”
E allora il commento all’articolo
di Castelli potrebbe anche finire qui, in omaggio a Charles Bukowski ( “In generale accetto senza problemi le chiacchiere di tutti e senza problemi le
lascio perdere”).
Ma qui l’unica a perdere è la
magistratura tutta.
Sicchè, superato il
fastidio profondo, l’occasione è
comunque utile per confrontarsi sul modello di dirigenza del nostro maitre a
penser, ancora una volta incentrato sul solito, stantio, nucleo pulsante:
il Sacro Graal dell' “Attitudine
Direttiva” (messa in maiuscolo per giusto ossequio alla sacralità del tema...)
Ora, per farla breve, chiunque
abbia un minimo di cultura aziendalistica non può ignorare che un manager è
tale solo se dotato di autonomia
finanziaria, autonoma leva di spesa e
potere di spoyl system, ciò è, a dire, di creazione ad hoc di uno staff
finalizzato alla realizzazione del progetto perseguito. In mancanza di questi
tre pilastri parliamo di acqua fresca… E allora, i fan dell’attitudine
direttiva ci spieghino se tali “dotazioni” - essenziali nel mondo
dell'organizzazione - siano punto a disposizione dei nostri dirigenti. Ci
dicano quanto spazio effettivo di manovra abbiano i capi degli uffici a fronte
degli autonomi poteri organizzativi assegnati ad uno staff burocratico di
nomina ministeriale. Ci dicano se quello
staff sottostia al Capo Carismatico o, piuttosto, come ben sappiamo, operi motu
proprio sulla scorta di linee guida centrali. E a Claudio Castelli verrebbe
fatto di chiedere, in particolare, se egli - nella sua alta veste - abbia avuto
mai, in modo corretto, ciò è a dire slegato dai perversi meccanismi delle
conoscenze personali, quelle risorse e, a seguire, quali risultati speciali
egli abbia conseguito rispetto al trend dei suoi predecessori.
In breve, ci troviamo innanzi
alle solite montagne di chiacchiere che partoriscono topolini: la roboante attitudine direttiva, scolpita a
lettere d’oro nel Libro degli Inganni della
correntocrazia, si rivela per quello che è. Nulla più di un topolino le cui
ambizioni gestionali si arrestano, otto volte su dieci, di fronte allo “stato
dell’arte”.
Agevole è la prova del 9. Basterà confrontare gli ampollosi
PROGETTI ORGANIZZATIVI presentati dagli aspiranti dirigenti in sede di nomina
(sovente in relazione a sedi in cui non sono mai stati…) con quelli poi
concretamente raggiunti, per merito proprio, nel quadriennio. E stendiamo un
velo pietoso sul fatto che nessuno di codesti miglioristi sia chiamato a
renderne conto in sede di riconferma...
Su una cosa dobbiamo concordare
con Claudio Castelli ed è lì dove assume che la dirigenza dell'ufficio è un “servizio”. Ma chi deve assolverlo? Pochi
eletti espressi per mera sodalità da un CSM preda dell’arbitrio di un manipolo
di “associazioni private”, i cui metodi meriterebbero l’attenzione del giudice
penale? oppure, all’opposto, tutti i magistrati, in ossequio ai principi
costituzionali di autogoverno, pari dignità delle funzioni e soggezione del
giudice soltanto alla legge? Principi seriamente messi in forse dall’attuale
casta dei direttivi “a vita” che - in modo surrettizio – subordina in via
permanente quasi il 90% dei magistrati.
Se, dunque, come dice bene Castelli, servizio
deve essere, servizio sia! Esso andrà assolto da tutti i magistrati, pari per
dignità e funzioni, nessuno escluso. Solo così si potrà superare in modo non
ingannevole la crisi morale che ha investito l’Ordine Giudiziario.
Occorre, in
altre parole, tornare al modello costituzionale di magistrato, togliendo alle
correnti il loro boccone preferito: il nominificio.
Per fare ciò, unica è la via
maestra: il “coordinamento” (perché parlare di dirigenza “inter pares” è un
non-senso) a rotazione dell’Ufficio (due/tre anni) tra i magistrati ivi
presenti da almeno cinque anni, con adeguata anzianità (10/15 anni di servizio)
e senza alcuna possibilità di rinnovo
dell'incarico, esaurito il quale si ritorna sulle sudate carte, le sole
nelle quali ogni giudice deve trovare il “proprium” della sua funzione.
Imbarazzante (quando non
addirittura amorale) è l'argomento per cui certi magistrati mai potrebbero coordinare un ufficio in
quanto “inetti”: premesso che il sistema attuale non ha certamente garantito il
fior fiore dei dirigenti (anzi…, le
cronache penali ce ne danno conto…), occorre osservare che il problema non deve
essere quello, a valle, del magistrato
inetto chiamato a dirigere un ufficio bensì,
a monte, dell’inetto che nell'esercizio della giurisdizione lede ogni
giorno i diritti dei cittadini.
È chiaro, peraltro, che il modello della
rotazione esige un'eccellenza professionale quotidiana di ciascun magistrato,
un salto di qualità straordinario in ciascuno di noi, che - laddove mancante – deve trovare la sua
risposta non nell'esclusione dall'esperienza di autogoverno bensì nella
sanzione disciplinare.
Aggiungiamo, ancora, che l'idea che un
magistrato possa essere bravo sulle carte ma inidoneo sul piano
organizzativo generale pecca di
astrattezza: il bravo magistrato (se effettivamente è tale) si caratterizza,
difatti, non solo per il bello scrivere o l'ottimo studio ma, ancor prima, per
la capacità di gestire il ruolo, l'agenda, i rapporti con la cancelleria e con
il foro, i propri programmi di
smaltimento, etc. Ora, tutto ciò
presuppone necessariamente una capacità di auto-organizzazione del singolo
collega che non può essere dispersa e, anzi, va messa turnariamente a
disposizione dell'intera comunità dell'Ufficio.
Si dice poi che alcuni di noi,
pur avendo tali ottime caratteristiche, mai hanno manifestato interesse reale
all'organizzatore complessiva dell'ufficio, badando essi solo alla buona
gestione del proprio ruolo.
Qui però si impone una domanda: non è forse che
questi bravi colleghi (e ce ne sono davvero tanti) si disinteressano per
frustrazione ? Perché sanno bene che non verranno mai chiamati, stando così le
cose, al coordinamento dell’Ufficio? Perché coscienti di far parte di quel 90%
di “autogovernati” a vita, esclusi sulla carta da ogni esperienza direttiva? Io
penso proprio questo…
Concludo ricordando che già
Napoleone Bonaparte aveva previsto la rotazione annuale dell'incarico di
presidente del tribunale della Repubblica cisalpina di Milano… per assicurare
l'effettiva parità dei signori giudici.
Il grande Corso aveva intuito,
già due secoli fa, che solo la partecipazione orizzontale di tutti i magistrati
alla gestione avrebbe evitato pericolose cattedrali di potere e incarnato il
modello costituzionale moderno di giudice sine spe ac metu.
Siamo in ritardo di due secoli… Rotazione
subito!
2 commenti:
Abbiamo sostituito gli insegnamenti di Piero Calamandrei con quelli di Palamara. Alla. "SEMPLICITA'" con cui i ventenni hanno dato la vita per la libertà e la Giustizia, unico, esclusivo riferimento per il costituente, e pertanto del legislatore e del giudice, abbiamo sostituito l'interesse e il disonore. L'invenzione di 20 o più piccoli collegi per eleggere i membri del C.S.M., micidiale, in grado di eliminare quei pochi che la pensano come Calamandrei , è geniale ? No !!! Meschina. In grado di ben rafforzare la bandiera che sventola sul punto più alto della collina del disonore.
Anche perché i "vigliacchi ", e a quanto pare in magistratura non è che manchino, così facendo sono costretti a trovare da soli il coraggio. A riceverlo dalle correnti, potrebbe costar caro (anche se, il conto più salato è a carico della stessa giustizia).
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