di Emanuele Picci - Magistrato
Da lungo tempo ormai, in un tribunale di Romagna un tale
percorre in sella alla sua bicicletta le strade del Palazzo di Giustizia
gridando a squarcia gola: "vergogna!", "vergogna!".
Lo si può sentire mentre si è immersi a scrivere o durante
le udienze (a già… quelle fisiche, che ricordo!), oppure in un momento di stasi
o di colloquio con colleghi, avvocati, cancellieri.
Quella voce è in grado di fendere il pensiero ed
interrompere ogni utile o più leggera attività che si stia svolgendo.
In passato, a quelle grida potevano seguire un sorriso
gentile, un'ironia beffarda nel pensare a chissà quali trascorsi lo avessero
attraversato, alle volte anche un improperio nell'avere interrotto quel
ragionamento che si stava sviluppando con fatica.
La reazione a quella voce fuori campo era la più cangiante,
quasi che l'attività che si stesse facendo ne mutasse il sentimento.
In realtà, il Palazzo voleva restare dentro in sé, essere
impermeabile.
Mentre leggevo le note scritte dell'udienza (cartolare),
quella voce stamattina l'ho sentita nuovamente ma questa volta mi è entrata
dentro profondamente.
Spero non solo a me.
Ho scelto di essere magistrato perché era l'unica cosa che
potessi fare, a parte il musicista, sebbene mia madre desiderasse un figlio
dottore (mi risuona l'Avvelenata di Guccini nella mente e penso alla stragrande
maggioranza delle mamme meridionali...).
Se non avessi superato il concorso avrei continuato a fare
l'avvocato oppure continuato a studiare diritto, è la cosa che mi piace di più.
Ieri sera guardavo Palamara in tv.
Sentirgli dire quelle parole, che già avevo letto, di cui
ciascuno ha avuto presto consapevolezza una volta entrato in magistratura, che
un collega non iscritto a nessuna corrente è più vulnerabile, mi hanno fatto
rabbrividire.
Non solo essere di una o di quella corrente per
"carrierismo", per "progredire" di carriera in carriera,
per ottenere un trasferimento in sede preferita, per avere un ruolo più
"snello" oppure per ambire ad un incarico, ma anche iscriversi per
evitare "problemi", disciplinari ciechi, insomma per poter fare
questo mestiere serenamente.
Bello schifo.
Bello schifo.
Questa volta quel grido "vergogna" che risuoni
dentro ciascuno di noi.
In coloro che appartengono a questo o a quel fluido di
corrente, che si sono anche solo scottati di striscio. A loro dico, basterebbe
recedervi, scioglierla, che senza ha avere il senso di un'appartenenza,
peraltro di questa natura ? Non appartenete, per caso, puramente e
semplicemente a quella Costituzione su cui avete giurato ?
Forse troppo sbiadito il ricordo di quel giorno ?
Chi ha superato questo concorso sa cosa ha dovuto fare, le
sue rinunce, la passione che lo ha portato dove ora è, un piccolo fuoco ci
sarà, anche se flebile.
A coloro invece che, come il sottoscritto, vogliono
semplicemente lavorare, che spalano fascicoli ma che non vogliono subire
passivamente, a loro dico, è inutile stare a guardare dal buco della serratura.
Ci siamo anche noi dentro quella stanza, ci hanno tirato
dentro. Ora basta restare al buio.
Sciogliete i vincoli correntizi.
Prima i segreti inconfessati (promozioni, avanzamenti,
trasferimenti) li conosceva solo il collega a fianco e, per senso del suo
pudore o per rispetto dell'altro, nulla diceva.
Adesso non è così.
I cittadini ci leggono, ci guardano per strada e ora, più
numerosi che in passato, ci gridano dietro: "vergogna!".
Non aspettiamo oltre.
Potremmo pentircene amaramente, dalle parole ai fatti il
passo è breve.
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