di Bruno Di Marco
(Presidente di Sezione del Tribunale di Catania)
La completa trasformazione del modello burocratico del giudice funzionario in quello di magistrato indipendente e autonomo, voluto dalla Costituzione è stata ed è continuamente messa in discussione. quando non avversata, da quanti, magistrati e laici, i primi sedotti unicamente dal privilegio del potere e dimentichi che la loro funzione è soprattutto e anzitutto un servizio a tutela dei diritti dei cittadini; i secondi preoccupati dai frutti prodotti dal nesso inscindibile fra l’affermarsi sempre più diffuso dell’esercizio indipendente della finzione giurisdizionale e il principio di uguaglianza, premevano e premono per tornare all’assetto del passato, a riproporre, cioè, il modello del giudice funzionario, ferreamente gerarchizzato, ulteriormente mortificato dal vincolo più o meno intenso, più o meno occulto, di asservimento al potere esecutivo.
Giustizia, interpretazione libera (non arbitraria) della legge quale suo indispensabile strumento attuativo, modello di giudice idoneo a incarnare ed esprimere l’una e l’altra, nella configurazione contenutistica scolpita dalla Costituzione, rappresentano tre pilastri sui quali costruire un sistema giudiziario capace di tradursi in un servizio moderno ed efficiente, ad esclusiva tutela e garanzia dei diritti dei cittadini su un piano di uguaglianza.
Senonché, perché ciò avvenga non bastano i principi costituzionali ma occorrono interventi normativi, interventi strutturali e interventi organizzativi compatibili con il modello costituzionale e a questo strettamente funzionali per renderlo concretamente operante.
Fra gli interventi normativi la legge sull’ordinamento giudiziario è certamente lo strumento tecnico più incisivo per vitalizzare i principi costituzionali innervandoli nel sistema.
Ma è innegabile, altresì, che il sistema giudiziario come servizio e il modello di giudice ad esso inerente non dipendono soltanto dalle norme ordinamentali, dai fattori culturali che in vario modo possono influire sulla selezione e sulla formazione professionale del magistrato, ma risultano in notevole misura condizionati anche dalla disciplina che regola il processo e dalle risorse destinate o disponibili per il suo concreto funzionamento.
Così, ad esempio, la contrazione per il giudice dei poteri di governo del processo a vantaggio delle parti non solo indebolisce il suo ruolo, ma privilegia la parte economicamente più forte.
Orbene, la legge 30 luglio 2007 n. 111, recante “modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario” (cosiddetta riforma Mastella) aggira, nella sostanza, la massima parte dei problemi e delle esigenze sopra enunciati.
Occorre subito sgombrare il campo da una ingannevole suggestione: la valutazione comparativa con la cosiddetta “riforma Castelli (legge n. 150 del 2005).
Quest’ultima, invero, era e resta inqualificabile, in quanto sovversiva di tutti i parametri costituzionali.
Essa, pertanto, non può costituire polo raffrontabile di una dicotomia. Le modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario, introdotte con la legge n. 111/2007, vanno, perciò, valutate in sé e non in quanto eventualmente migliorative dell’assetto delineato dalla legge n. 150 del 2005.
In questa prospettiva occorre, in primo luogo, osservare che anche la nuova legge tende strumentalmente ad accreditare il luogo comune che nel sistema giustizia il solo fattore che soprattutto crea inefficienza è rappresentato dalla inadeguata professionalità del giudice (la gran parte della riforma è interamente incentrata sull’accesso in magistratura, introducendo un concorso di secondo grado che presenta tutte le caratteristiche di un concorso per censo, sulle valutazioni di professionalità e sulle progressioni in carriera) e rischia seriamente di restaurare un modello di giudice di tipo burocratico, in contrasto con il modello voluto dalla Costituzione.
La riforma non guarda al recupero dell’efficienza e, quindi, della effettività, ma mira a ristabilire i confini in termini di rapporti di forza tra poteri, con l’obiettivo di ridimensionare l’indipendenza e l’autonomia della giurisdizione a vantaggio del potere politico.
Sembra, invero, ispirarla una ideologia globale della giustizia alla quale é intrinseca la concezione della magistratura come corpo compatto che deve compiere scelte omogenee ai vari livelli e nei diversi luoghi, conformi alle indicazioni provenienti dal potere politico.
Contemporaneamente la compattezza e l’omogeneità della magistratura vengono perseguite con l’altro strumento tipico della concezione autoritaria del potere, ossia l’organizzazione rigidamente gerarchica e accentrata della magistratura, nella quale i giudici si distinguono per autorità e collocazione burocratica, e il potere “scende” da un vertice che tutto domina ed è il vero e principale garante del controllo politico sulla giustizia: così si trasformano i magistrati della Cassazione in una casta privilegiata, gerarchicamente sovrastante; si ripristina l’assetto assolutamente gerarchico degli uffici di procura, di fatto sottratti a un reale controllo del C.S.M. e sottoposti alla tutela pervasiva dei procuratori generali. Il che rivela che una tale scelta non è né casuale né determinata da ragioni tecnico-giuridiche, bensì dalla chiara e lucida volontà di perseguire l’obiettivo di condizionare l’amministrazione della giustizia attraverso un controllo politico burocratico e accentrato.
La legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, in particolare, in ciò peraltro reiterando una indecente e imperdonabile omissione del legislatore che si protrae ormai dall’entrata in vigore della Costituzione ad oggi, non affronta anzitutto quello che rappresenta il nodo primario e più importante, se si vuole davvero agire e procedere in uno sforzo e in una direzione che si propongono seriamente e una volta per tutte di perseguire e curare l’obiettivo di una giurisdizione efficiente, ossia provvedere al(la-lo):
A) Individuazione degli effettivi flussi di lavoro, determinati per tipologia e quantità, gravanti sugli uffici giudiziari;
B) Ripartizione sul territorio degli uffici giudiziari in rapporto agli effettivi flussi di lavoro;
C) Istituzione dell’ufficio giudiziario tipo, vale a dire di un organismo giudiziario territoriale di base, la cui dotazione organica, quanto a personale di magistratura, secondo i più accreditati studi del C.S.M. (v. risoluzione del maggio 1994) e tenendo conto delle sentenze della Corte Costituzionale in tema di incompatibilità. non può essere inferiore alle 25, 30 unità;
D) Conseguente soppressione o/e accorpamento degli uffici giudiziari di piccole dimensioni, non rispondenti al tipo e incompatibili con la esigenza ineludibile del rispetto della proporzione fra popolazione, flussi processuali e offerte di giustizia sul territorio (in tal senso risoluzione del C.S.M. del 25 maggio 1994, sentenza n. 131 del 1996 della Corte Costituzionale);
E) Predeterminazione affidabile di indici minimi di lavoro, per qualità e quantità, che giustifichino la presenza in una determinata zona dell’ufficio giudiziario tipo e, contemporaneamente, siano compatibili con un suo efficiente funzionamento;
F) Dotazione per l’ufficio giudiziario tipo di risorse umane (personale di magistratura e personale amministrativo) e materiali (strutture e strumenti) indispensabili a soddisfare le esigenze di efficienza: adeguatezza del modello organizzativo alla effettività del risultato;
G) Creazione dell’ufficio del giudice, supporto indispensabile per valorizzarne la professionalità e per indirizzarne l’impegno in funzione dell’attrazione del valore costituzionale della ragionevole durata, ossia in funzione del perseguimento del risultato di efficienza e di effettività.
La mancata revisione della mappa degli uffici giudiziari e degli organici, in rapporto ai reali flussi di affari, rende drammatica una situazione già gravemente compromessa e precaria, e accentua sul sistema giudiziario due spinte egualmente distorsive e devastanti, una interna e l’altra esterna.
All’interno del sistema, a causa della irrazionale e ormai obsoleta ripartizione delle risorse, si formano ingiustificati squilibri nella distribuzione degli affari, anche per tipologia, fra i diversi uffici giudiziari, sicché alcuni risultano sottodimensionati e altri sovradimensionati.
Tali squilibri, a loro volta, sono fonte di laceranti sperequazioni fra i magistrati in ordine alle concrete condizioni di lavoro.
Negli uffici sottodimensionati, infatti, i magistrati in servizio restano schiacciati da insopportabili carichi di lavoro, sono costretti ad osservare estenuanti orari lavorativi frequentemente oltre le 12 ore giornaliere, non trovano il tempo di approfondire, non trovano il tempo di studiare adeguatamente, di aggiornarsi proficuamente, sono maggiormente esposti al rischio di errore e, quindi, al rischio di incorrere in responsabilità disciplinare, non sono in grado di precostituirsi titoli da spendere ai fini dello sviluppo della professione. sono persino impediti di dedicare spazi minimi alla propria vita privata.
Per contro, i magistrati addetti agli uffici sovradimensionati, con organici perciò esorbitanti rispetto alle necessità, dispongono di tutte le possibilità precluse ai loro colleghi degli altri uffici, e di conseguenza, non soltanto sono in grado di svolgere più adeguatamente il loro ruolo, ma risultano altresì molto meno esposti al pericolo della responsabilità disciplinare.
Infine, i magistrati in servizio presso uffici giudiziari razionalmente strutturati, in verità assai pochi e rari, operano in condizioni ancora diverse rispetto a quelle degli uni e degli altri.
Tale contraddizione, all’interno del sistema tende a radicalizzare situazioni di ineguaglianza e di disparità fra i magistrati nell’assolvimento dei medesimi doveri funzionali all’esterno si ripercuote con pesantissime ricadute circa l’effettività del servizio giustizia, crea gravi disomogeneità nell’attuazione del valore costituzionale della ragionevole durata e nei risultati, mortifica e mina in modo grave la credibilità e la legittimazione complessiva del servizio.
E proprio la sedimentazione per aree geografiche di generalizzate situazioni di ineguaglianza e di disparità fra i magistrati nell’assolvimento dei medesimi doveri funzionali, a causa della irrazionale e obsoleta distribuzione degli uffici nel territorio e della mancata corrispondenza (per eccesso o per difetto) fra piante organiche e reali carichi (qualitativi e quantitativi) di lavoro, rende concretamente inapplicabile, per mancanza di indici equi omogenei e uniformi, l’intera disciplina, peraltro assai farraginosa e complessa, dettata in tema di valutazione di professionalità (ant. 11, 12, 13), la quale, diversamente, non meno di quanto accade già oggi, si trasformerebbe in un formidabile strumento di sperequazioni e di iniquità, giacché una moltitudine di magistrati sarebbe, suo malgrado, privilegiata, e un’altra moltitudine, assai più vasta, sarebbe invece danneggiata.
In estrema sintesi, senza alcuna pretesa di esaustività, ecco alcuni altri punti della riforma che risultano assolutamente inaccettabili.
Funzioni di legittimità
Un dato, oggi, è comune ad ogni analisi sulla Corte di Cassazione, quale Corte Suprema: la gravissima crisi in cui da decenni si dibatte.
La Cassazione, è stato giustamente detto, è pletorica (ha una pianta organica di circa 430 magistrati, superiore a quella di qualsiasi altra Corte Suprema del mondo occidentale), sovraccarica di lavoro, ferita dai sui stessi contrasti giurisprudenziali. Ciò, di fatto, determina la grave compromissione, se non il fallimento, della delicata funzione di nomofilachia [l’interpretazione uniforme della legge], con ricadute deleterie sul piano della garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, giacché “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, in un contesto sincronico, ne costituisce il presupposto essenziale. Ed è evidente che la funzionalità della Corte è destinata a peggiorare finché essa rimane prigioniera dell’aporia, come è stata incisivamente definita (La Torre), ravvisabile nella contraddizione fra “ipertrofia” e “nomofilachia”: ove la pletoricità e il peso della quantità corrompono la qualità della funzione.
La riforma, anziché muoversi nella direzione di promuovere il recupero del ruolo istituzionale dell’organo posto al vertice funzionale del sistema giudiziario italiano, non solo ne suggella la crisi, nulla prevedendo in tal senso, ma addirittura ne determina una sorta di mutazione genetica trasformando la Corte Suprema nel “supremo” organo gerarchico-burocratico al quale si può accedere solo per cooptazione.
Infatti, per il conferimento delle funzioni di legittimità la legge prevede una speciale commissione (composta da tre magistrati che esercitano o hanno esercitato le stesse funzioni, un professore universitario e un avvocato abilitato al patrocinio innanzi alle magistrature superiori) la quale deve valutare una non meglio definita e insondabile “capacità scientifica e di analisi delle norme”, quasi che l’interpretazione libera e l’applicazione della legge sia prerogativa e sia richiesta soltanto per i magistrati che svolgono funzioni di legittimità, e non rappresenti, invece, l’essenza stessa, la ragione intima ed esclusiva della giurisdizione.
Si crea, in tal modo, una vera e propria “casta” di magistrati “scienziati nell’analisi delle norme” e, al tempo stesso, di fatto si sottrae al C.S.M. il potere della nomina.
Scuola della magistratura
La collocazione della Scuola al di fuori del C.S.M. e, sostanzialmente, alle dirette dipendenze del Ministro della Giustizia, che controlla il numero legale del Comitato Direttivo, è contraria al dettato costituzionale (art. 105) che riserva al C.S.M. la formazione e l’aggiornamento dei magistrati.
Ben venga. dunque, una Scuola per la magistratura, ma operante all’interno dell’organo di autogoverno, il solo costituzionalmente competente a delineare e fissare le linee programmatiche dell’attività didattica e a verificarne l’attuazione.
Piante organiche del personale di magistratura
E’ venuto il momento di sostenere con fermezza l’attribuzione anche al C.S.M. della competenza in ordine alla formazione delle piante organiche degli uffici giudiziari. Continua a essere ingiustificabile e irragionevole che l’organo di governo autonomo, mentre è il titolare esclusivo di un potere pieno di controllo e di intervento in tema di formazione delle tabelle di composizione degli uffici giudiziari; al contrario, per quanto concerne la composizione delle piante organiche è sfornito di qualsiasi potere, riservato esclusivamente all’esecutivo.
Si è già detto sulle valutazioni di professionalità e sulla gerarchizzazione degli uffici di procura, resta da aggiungere che la disciplina del passaggio di funzioni, che naturalmente non tocca la Corte di Cassazione, realizza, di fatto, la separazione delle carriere.
Infine, si è certi che la temporaneità anche delle funzioni semidirettive non si traduca in un rovinoso fattore di destrutturazione? Il mutamento automatico e continuo dei fulcri strutturali e organizzativi intermedi si è certi che non produca instabilità, insicurezze, appiattimenti, che non soffochi la passione, non renda indifferenti rispetto agli obiettivi, che, in definitiva, non esasperi e non esalti soltanto il profilo burocratico, degradando una funzione delicata a mero capriccio temporale? Non sarebbe stato più proficuo e più rispondente ad esigenze di stabilità e di razionalizzazione, senza azzerare e disperdere patrimoni di professionalità e di esperienze, estendere anche alle funzioni semidirettive la disciplina di cui all’art. 19 come modificato e contemporaneamente prevedere un cantrollo periodico serio e reale sui risultati dell’attività svolta?
E poi, ai fini del conferimento delle funzioni direttive e semidirettive cosa vuol dire la valutazione “di ogni altro elemento, acquisito anche al di fuori del servizio in magistratura”?
Insomma, la riforma elude quasi tutte le misure necessarie e funzionali a un sistema di giustizia efficiente ed effettivo, all’interno del quale vi sia una magistratura che responsabilmente e consapevolmente, ma in piena autonomia e indipendenza, operi ad esclusiva garanzia dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e di razionalità del sistema.
Si ricava, piuttosto, l’impressione che ciò che la riforma persegue è una magistratura docile, indebolita, atrofizzata dal timore e dalla speranza di carriera (“l’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio” - art. 11, comma 2, lettera a - diventa elemento di valutazione della capacità), quindi omogenea e conforme al sistema complessivo di potere.
Questo scritto è tratto, con il consenso dell'autore e dell'editore, dal libro "Non mettiamoci la pezza ...", che può essere letto e scaricato sul sito di Unità per la Costituzione.
(Presidente di Sezione del Tribunale di Catania)
La completa trasformazione del modello burocratico del giudice funzionario in quello di magistrato indipendente e autonomo, voluto dalla Costituzione è stata ed è continuamente messa in discussione. quando non avversata, da quanti, magistrati e laici, i primi sedotti unicamente dal privilegio del potere e dimentichi che la loro funzione è soprattutto e anzitutto un servizio a tutela dei diritti dei cittadini; i secondi preoccupati dai frutti prodotti dal nesso inscindibile fra l’affermarsi sempre più diffuso dell’esercizio indipendente della finzione giurisdizionale e il principio di uguaglianza, premevano e premono per tornare all’assetto del passato, a riproporre, cioè, il modello del giudice funzionario, ferreamente gerarchizzato, ulteriormente mortificato dal vincolo più o meno intenso, più o meno occulto, di asservimento al potere esecutivo.
Giustizia, interpretazione libera (non arbitraria) della legge quale suo indispensabile strumento attuativo, modello di giudice idoneo a incarnare ed esprimere l’una e l’altra, nella configurazione contenutistica scolpita dalla Costituzione, rappresentano tre pilastri sui quali costruire un sistema giudiziario capace di tradursi in un servizio moderno ed efficiente, ad esclusiva tutela e garanzia dei diritti dei cittadini su un piano di uguaglianza.
Senonché, perché ciò avvenga non bastano i principi costituzionali ma occorrono interventi normativi, interventi strutturali e interventi organizzativi compatibili con il modello costituzionale e a questo strettamente funzionali per renderlo concretamente operante.
Fra gli interventi normativi la legge sull’ordinamento giudiziario è certamente lo strumento tecnico più incisivo per vitalizzare i principi costituzionali innervandoli nel sistema.
Ma è innegabile, altresì, che il sistema giudiziario come servizio e il modello di giudice ad esso inerente non dipendono soltanto dalle norme ordinamentali, dai fattori culturali che in vario modo possono influire sulla selezione e sulla formazione professionale del magistrato, ma risultano in notevole misura condizionati anche dalla disciplina che regola il processo e dalle risorse destinate o disponibili per il suo concreto funzionamento.
Così, ad esempio, la contrazione per il giudice dei poteri di governo del processo a vantaggio delle parti non solo indebolisce il suo ruolo, ma privilegia la parte economicamente più forte.
Orbene, la legge 30 luglio 2007 n. 111, recante “modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario” (cosiddetta riforma Mastella) aggira, nella sostanza, la massima parte dei problemi e delle esigenze sopra enunciati.
Occorre subito sgombrare il campo da una ingannevole suggestione: la valutazione comparativa con la cosiddetta “riforma Castelli (legge n. 150 del 2005).
Quest’ultima, invero, era e resta inqualificabile, in quanto sovversiva di tutti i parametri costituzionali.
Essa, pertanto, non può costituire polo raffrontabile di una dicotomia. Le modifiche alle norme sull’ordinamento giudiziario, introdotte con la legge n. 111/2007, vanno, perciò, valutate in sé e non in quanto eventualmente migliorative dell’assetto delineato dalla legge n. 150 del 2005.
In questa prospettiva occorre, in primo luogo, osservare che anche la nuova legge tende strumentalmente ad accreditare il luogo comune che nel sistema giustizia il solo fattore che soprattutto crea inefficienza è rappresentato dalla inadeguata professionalità del giudice (la gran parte della riforma è interamente incentrata sull’accesso in magistratura, introducendo un concorso di secondo grado che presenta tutte le caratteristiche di un concorso per censo, sulle valutazioni di professionalità e sulle progressioni in carriera) e rischia seriamente di restaurare un modello di giudice di tipo burocratico, in contrasto con il modello voluto dalla Costituzione.
La riforma non guarda al recupero dell’efficienza e, quindi, della effettività, ma mira a ristabilire i confini in termini di rapporti di forza tra poteri, con l’obiettivo di ridimensionare l’indipendenza e l’autonomia della giurisdizione a vantaggio del potere politico.
Sembra, invero, ispirarla una ideologia globale della giustizia alla quale é intrinseca la concezione della magistratura come corpo compatto che deve compiere scelte omogenee ai vari livelli e nei diversi luoghi, conformi alle indicazioni provenienti dal potere politico.
Contemporaneamente la compattezza e l’omogeneità della magistratura vengono perseguite con l’altro strumento tipico della concezione autoritaria del potere, ossia l’organizzazione rigidamente gerarchica e accentrata della magistratura, nella quale i giudici si distinguono per autorità e collocazione burocratica, e il potere “scende” da un vertice che tutto domina ed è il vero e principale garante del controllo politico sulla giustizia: così si trasformano i magistrati della Cassazione in una casta privilegiata, gerarchicamente sovrastante; si ripristina l’assetto assolutamente gerarchico degli uffici di procura, di fatto sottratti a un reale controllo del C.S.M. e sottoposti alla tutela pervasiva dei procuratori generali. Il che rivela che una tale scelta non è né casuale né determinata da ragioni tecnico-giuridiche, bensì dalla chiara e lucida volontà di perseguire l’obiettivo di condizionare l’amministrazione della giustizia attraverso un controllo politico burocratico e accentrato.
La legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, in particolare, in ciò peraltro reiterando una indecente e imperdonabile omissione del legislatore che si protrae ormai dall’entrata in vigore della Costituzione ad oggi, non affronta anzitutto quello che rappresenta il nodo primario e più importante, se si vuole davvero agire e procedere in uno sforzo e in una direzione che si propongono seriamente e una volta per tutte di perseguire e curare l’obiettivo di una giurisdizione efficiente, ossia provvedere al(la-lo):
A) Individuazione degli effettivi flussi di lavoro, determinati per tipologia e quantità, gravanti sugli uffici giudiziari;
B) Ripartizione sul territorio degli uffici giudiziari in rapporto agli effettivi flussi di lavoro;
C) Istituzione dell’ufficio giudiziario tipo, vale a dire di un organismo giudiziario territoriale di base, la cui dotazione organica, quanto a personale di magistratura, secondo i più accreditati studi del C.S.M. (v. risoluzione del maggio 1994) e tenendo conto delle sentenze della Corte Costituzionale in tema di incompatibilità. non può essere inferiore alle 25, 30 unità;
D) Conseguente soppressione o/e accorpamento degli uffici giudiziari di piccole dimensioni, non rispondenti al tipo e incompatibili con la esigenza ineludibile del rispetto della proporzione fra popolazione, flussi processuali e offerte di giustizia sul territorio (in tal senso risoluzione del C.S.M. del 25 maggio 1994, sentenza n. 131 del 1996 della Corte Costituzionale);
E) Predeterminazione affidabile di indici minimi di lavoro, per qualità e quantità, che giustifichino la presenza in una determinata zona dell’ufficio giudiziario tipo e, contemporaneamente, siano compatibili con un suo efficiente funzionamento;
F) Dotazione per l’ufficio giudiziario tipo di risorse umane (personale di magistratura e personale amministrativo) e materiali (strutture e strumenti) indispensabili a soddisfare le esigenze di efficienza: adeguatezza del modello organizzativo alla effettività del risultato;
G) Creazione dell’ufficio del giudice, supporto indispensabile per valorizzarne la professionalità e per indirizzarne l’impegno in funzione dell’attrazione del valore costituzionale della ragionevole durata, ossia in funzione del perseguimento del risultato di efficienza e di effettività.
La mancata revisione della mappa degli uffici giudiziari e degli organici, in rapporto ai reali flussi di affari, rende drammatica una situazione già gravemente compromessa e precaria, e accentua sul sistema giudiziario due spinte egualmente distorsive e devastanti, una interna e l’altra esterna.
All’interno del sistema, a causa della irrazionale e ormai obsoleta ripartizione delle risorse, si formano ingiustificati squilibri nella distribuzione degli affari, anche per tipologia, fra i diversi uffici giudiziari, sicché alcuni risultano sottodimensionati e altri sovradimensionati.
Tali squilibri, a loro volta, sono fonte di laceranti sperequazioni fra i magistrati in ordine alle concrete condizioni di lavoro.
Negli uffici sottodimensionati, infatti, i magistrati in servizio restano schiacciati da insopportabili carichi di lavoro, sono costretti ad osservare estenuanti orari lavorativi frequentemente oltre le 12 ore giornaliere, non trovano il tempo di approfondire, non trovano il tempo di studiare adeguatamente, di aggiornarsi proficuamente, sono maggiormente esposti al rischio di errore e, quindi, al rischio di incorrere in responsabilità disciplinare, non sono in grado di precostituirsi titoli da spendere ai fini dello sviluppo della professione. sono persino impediti di dedicare spazi minimi alla propria vita privata.
Per contro, i magistrati addetti agli uffici sovradimensionati, con organici perciò esorbitanti rispetto alle necessità, dispongono di tutte le possibilità precluse ai loro colleghi degli altri uffici, e di conseguenza, non soltanto sono in grado di svolgere più adeguatamente il loro ruolo, ma risultano altresì molto meno esposti al pericolo della responsabilità disciplinare.
Infine, i magistrati in servizio presso uffici giudiziari razionalmente strutturati, in verità assai pochi e rari, operano in condizioni ancora diverse rispetto a quelle degli uni e degli altri.
Tale contraddizione, all’interno del sistema tende a radicalizzare situazioni di ineguaglianza e di disparità fra i magistrati nell’assolvimento dei medesimi doveri funzionali all’esterno si ripercuote con pesantissime ricadute circa l’effettività del servizio giustizia, crea gravi disomogeneità nell’attuazione del valore costituzionale della ragionevole durata e nei risultati, mortifica e mina in modo grave la credibilità e la legittimazione complessiva del servizio.
E proprio la sedimentazione per aree geografiche di generalizzate situazioni di ineguaglianza e di disparità fra i magistrati nell’assolvimento dei medesimi doveri funzionali, a causa della irrazionale e obsoleta distribuzione degli uffici nel territorio e della mancata corrispondenza (per eccesso o per difetto) fra piante organiche e reali carichi (qualitativi e quantitativi) di lavoro, rende concretamente inapplicabile, per mancanza di indici equi omogenei e uniformi, l’intera disciplina, peraltro assai farraginosa e complessa, dettata in tema di valutazione di professionalità (ant. 11, 12, 13), la quale, diversamente, non meno di quanto accade già oggi, si trasformerebbe in un formidabile strumento di sperequazioni e di iniquità, giacché una moltitudine di magistrati sarebbe, suo malgrado, privilegiata, e un’altra moltitudine, assai più vasta, sarebbe invece danneggiata.
In estrema sintesi, senza alcuna pretesa di esaustività, ecco alcuni altri punti della riforma che risultano assolutamente inaccettabili.
Funzioni di legittimità
Un dato, oggi, è comune ad ogni analisi sulla Corte di Cassazione, quale Corte Suprema: la gravissima crisi in cui da decenni si dibatte.
La Cassazione, è stato giustamente detto, è pletorica (ha una pianta organica di circa 430 magistrati, superiore a quella di qualsiasi altra Corte Suprema del mondo occidentale), sovraccarica di lavoro, ferita dai sui stessi contrasti giurisprudenziali. Ciò, di fatto, determina la grave compromissione, se non il fallimento, della delicata funzione di nomofilachia [l’interpretazione uniforme della legge], con ricadute deleterie sul piano della garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, giacché “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, in un contesto sincronico, ne costituisce il presupposto essenziale. Ed è evidente che la funzionalità della Corte è destinata a peggiorare finché essa rimane prigioniera dell’aporia, come è stata incisivamente definita (La Torre), ravvisabile nella contraddizione fra “ipertrofia” e “nomofilachia”: ove la pletoricità e il peso della quantità corrompono la qualità della funzione.
La riforma, anziché muoversi nella direzione di promuovere il recupero del ruolo istituzionale dell’organo posto al vertice funzionale del sistema giudiziario italiano, non solo ne suggella la crisi, nulla prevedendo in tal senso, ma addirittura ne determina una sorta di mutazione genetica trasformando la Corte Suprema nel “supremo” organo gerarchico-burocratico al quale si può accedere solo per cooptazione.
Infatti, per il conferimento delle funzioni di legittimità la legge prevede una speciale commissione (composta da tre magistrati che esercitano o hanno esercitato le stesse funzioni, un professore universitario e un avvocato abilitato al patrocinio innanzi alle magistrature superiori) la quale deve valutare una non meglio definita e insondabile “capacità scientifica e di analisi delle norme”, quasi che l’interpretazione libera e l’applicazione della legge sia prerogativa e sia richiesta soltanto per i magistrati che svolgono funzioni di legittimità, e non rappresenti, invece, l’essenza stessa, la ragione intima ed esclusiva della giurisdizione.
Si crea, in tal modo, una vera e propria “casta” di magistrati “scienziati nell’analisi delle norme” e, al tempo stesso, di fatto si sottrae al C.S.M. il potere della nomina.
Scuola della magistratura
La collocazione della Scuola al di fuori del C.S.M. e, sostanzialmente, alle dirette dipendenze del Ministro della Giustizia, che controlla il numero legale del Comitato Direttivo, è contraria al dettato costituzionale (art. 105) che riserva al C.S.M. la formazione e l’aggiornamento dei magistrati.
Ben venga. dunque, una Scuola per la magistratura, ma operante all’interno dell’organo di autogoverno, il solo costituzionalmente competente a delineare e fissare le linee programmatiche dell’attività didattica e a verificarne l’attuazione.
Piante organiche del personale di magistratura
E’ venuto il momento di sostenere con fermezza l’attribuzione anche al C.S.M. della competenza in ordine alla formazione delle piante organiche degli uffici giudiziari. Continua a essere ingiustificabile e irragionevole che l’organo di governo autonomo, mentre è il titolare esclusivo di un potere pieno di controllo e di intervento in tema di formazione delle tabelle di composizione degli uffici giudiziari; al contrario, per quanto concerne la composizione delle piante organiche è sfornito di qualsiasi potere, riservato esclusivamente all’esecutivo.
Si è già detto sulle valutazioni di professionalità e sulla gerarchizzazione degli uffici di procura, resta da aggiungere che la disciplina del passaggio di funzioni, che naturalmente non tocca la Corte di Cassazione, realizza, di fatto, la separazione delle carriere.
Infine, si è certi che la temporaneità anche delle funzioni semidirettive non si traduca in un rovinoso fattore di destrutturazione? Il mutamento automatico e continuo dei fulcri strutturali e organizzativi intermedi si è certi che non produca instabilità, insicurezze, appiattimenti, che non soffochi la passione, non renda indifferenti rispetto agli obiettivi, che, in definitiva, non esasperi e non esalti soltanto il profilo burocratico, degradando una funzione delicata a mero capriccio temporale? Non sarebbe stato più proficuo e più rispondente ad esigenze di stabilità e di razionalizzazione, senza azzerare e disperdere patrimoni di professionalità e di esperienze, estendere anche alle funzioni semidirettive la disciplina di cui all’art. 19 come modificato e contemporaneamente prevedere un cantrollo periodico serio e reale sui risultati dell’attività svolta?
E poi, ai fini del conferimento delle funzioni direttive e semidirettive cosa vuol dire la valutazione “di ogni altro elemento, acquisito anche al di fuori del servizio in magistratura”?
Insomma, la riforma elude quasi tutte le misure necessarie e funzionali a un sistema di giustizia efficiente ed effettivo, all’interno del quale vi sia una magistratura che responsabilmente e consapevolmente, ma in piena autonomia e indipendenza, operi ad esclusiva garanzia dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e di razionalità del sistema.
Si ricava, piuttosto, l’impressione che ciò che la riforma persegue è una magistratura docile, indebolita, atrofizzata dal timore e dalla speranza di carriera (“l’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio” - art. 11, comma 2, lettera a - diventa elemento di valutazione della capacità), quindi omogenea e conforme al sistema complessivo di potere.
Questo scritto è tratto, con il consenso dell'autore e dell'editore, dal libro "Non mettiamoci la pezza ...", che può essere letto e scaricato sul sito di Unità per la Costituzione.
18 commenti:
Penso che questo scritto sia illuminante rispetto al nuovo ordinamento giudiziario e alle ripercussioni che potrà avere non solo sull'efficienza della giustizia, ma anche, indirettamente, infine sull'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Non sono dentro a tutti i problemi prospettati in questo contributo, ma vivo sulla mia pelle la questione relativa al mutato sistema di accesso al concorso che ora non si chiama più di uditore.
Riporto la seguente parte del contributo del dott. Di Marco per prospettare una situazione e fare una domanda:
"[...] (la gran parte della riforma è interamente incentrata sull’accesso in magistratura, introducendo un concorso di secondo grado che presenta tutte le caratteristiche di un concorso per censo[...]"
Il rischio che si verifichi una tal cosa non è remoto e soprattutto potrà accadere che, paradossalmente, le persone più giovani, motivate e meritevoli non riescano ad avere i requisiti richiesti per la partecipazione al concorso.
Come ben saprete, è stata eliminata la possibilità di accesso al concorso con la sola laurea, previo superamento della tanto odiata prova preselettiva: il concorso è diventato di secondo grado. Per accedervi si dovrà possedere un titolo ulteriore alla laurea. Non sto qui ad elencare i titolo richiesti, ma è evidente che il giovane, meritevole, ma sfornito di mezzi (per pagarsi ad es. le costose e in parte inutili sspl), o di "aggangi" universitari (ad es. neccessari in alcune università per ottenere un dottorato) debba necessariamente aspettare di ottenere l'abilitazione alla professione di avvocato, ma anche in questo caso, non basta il semplice superamento dell'esame, ma occorre anche l'iscrizione all'albo, che ha i suoi costi e soprattutto, se si lavora già nel privato o anche nel pubblico (magari con contratti da precari!) anche volendo non potrà ottenersi.
Credo che questo nuovo sistema non contribuirà a portare maggiore preparazione in magistratura e non raggiungerà nemmeno l'obiettivo, non dichiarato, ma sicuramente considerato, di effettuare una una scrematura o meglio una riduzione del numero di concorrenti.
La redazione cosa ne pensa?
Grazie
Valentina La Mela
Gentile Valentina, non so cosa pensi la redazione, ma hai toccato un punto per me nevralgico e quindi non posso esitare a dirti la mia opinione.
Il "disegno" sotteso alla riforma è quello di rendere la magistratura una classe impiegatizia e burocratica come molte altre. Ho sempre pensato, a differenza di illustri contraddittori, che i magistrati non siano affatto "geneticamente" modificati ma "costituzionalmente" protetti nell'interesse dei cittadini.
Quel che intendo dire è questo: se, come sottolineato nel post principale, si agisce sui fattori capaci di condizionare le scelte di ciascuno (progressione in carriera secondo certi canoni, accentuata gerarchizzazione delle funzioni) anche i magistrati risponderanno a quegli "stimoli", come ogni altro lavoratore, cercando di adeguarvisi per migliorare la propria posizione: è un fatto umano.
Proprio per questo è stabilito nella carta costituzionale che i magistrati si distinguono solo per diversità di funzioni il che ne implicava la pari dignità.
Tornando al tuo quesito finale devo darti ragione: ho preso servizio a 28 anni; oggi, con la trafila che è stata introdotta, non sarebe più possibile. Personalmente, all'epoca, 1992, preferii la magistratura all'università (ero dottorando in ricerca) ed alla libera professione. Con i tempi che si profilano in seguito alla riforma mi sarebbe difficile ripetere quella scelta. In pochi possono permettersi di non lavorare fino ai 32/33 anni in media necessari per raggiugere la nomuina ad uditore giudiziario, tenendo presente che la frequenza dei corsi di specializzazione propedeutici al concorso è obbligatoria.
Per cui a malincuore, se volessi un consiglio, ti direi di puntare sulla professione libera dato che sempre meno libera - se questa china non verrà invertitia - sarà la magistratura.
Nicola Saracino
Cara Valentina,
Comprendo la Sua apprensione, ma credo sia del tutto ingiustificata, visto l'aumento esponenziale del numero degli avvocati in Italia, che negli ultimi venti anni si sono più che sestuplicati, tanto che superano di ben quattro volte il numero complessivo di avvocati dell'intera Francia, paese assai più civile del nostro, ove la Pubblica Amministrazione è veramente Amministrazione Pubblica e non un posto per raccomandati, salvo le rare eccezioni che, da noi, consentono alla macchina pubblica di sopravvivere.
Pertanto, faccia la Sua pratica, superi il Suo esame da avvocato (non c'è più "Catanzaro", ma è sempre un esame abbordabile...), paghi due/trecento euro per l'iscrizione e si iscriva al Suo Ordine di competenza, quindi partecipi al Suo concorso (quando uscirà il bando...), sfruttando all'uopo la preparazione per l'esame da avvocato, e in bocca al lupo !
Ringrazio per le loro risposte il dott. Nicola Saracino e l'anonimo.
Ho già 27 anni, sono laureata da tre anni...tre anni passati su libri e riviste:ho partecipato al mio primo concorso per uditore dopo neanche un anno dalla laurea, è stato troppo presto, la preparazione a macchia di leopardo non mi ha permasso di superare entrambi gli scritti; c'ho riprovato quest'anno, con più maturità, preparazione e meno fatalismo, di nuovo preselezionie e poi scritti.Nel frattempo ho fatto anche altro, esame di abilitazione alla professione, concorsi in varie amministrazioni, di alcuni ho fatto già l'orale e di qua al nuovo anno qualcosa si concretizzerà. Io le mie possibilità, anche se non tre, ma solo 2, le ho avute e comunque ad un'età ancora accettabile, in futuro non sarà più così.
E comunque se le condizioni mi permettessero di scegliere, e avessi un titolo, continuerei a studiare per il prossimo concorso(l'ultimo!), perchè, nonostante i sermoni che ti fanno al primo anno di università, io mi sono iscritta a giurisprudenza per andar dietro al sogno di vestire una toga, poi mi sono anche lasciata "sedurre" dal diritto, ma solo dopo.
Non posso non credere nel diritto che diventa giustizia e quindi nella magistratura:per quanto cerchino di piegarla, secondo me, non si potrà mai in tutto sottomettere la funzione giurisdizionale e chi ne fa parte deve esserne orgoglioso, perchè esercita una funzione "alta" e lo fa ancora "in nome del popolo italiano", anche in questi periodi così difficili.
Valentina La Mela
P.S. Mi scuso se il post di prima, e forse anche questo, ha una sintassi che lascia a desiderare, ma per la fretta spesso non rileggo ciò che ho scritto tutto di un fiato.
"...nonostante i sermoni che ti fanno al primo anno di università, io mi sono iscritta a giurisprudenza per andar dietro al sogno di vestire una toga, poi mi sono anche lasciata "sedurre" dal diritto, ma solo dopo".
Ti invito a riflettere su quanto hai appena scritto... sarebbe come dire che non ti piaceva la medicina, e però hai deciso di fare il medico, per il sogno di indossare un camice !
Poveri pazienti...
Tornando a te, cosa ti affascinava, allora, il POTERE del magistrato ?
Poveri imputati...
Meno male che, saggiamente, POI ti sei fatta ANCHE affascinare dal diritto !
da repubblica.it
ROMA - Non è stato accertato al momento alcun reato di competenza del Tribunale dei Ministri per quanto riguarda la posizione del Guardasigilli Clemente Mastella. E' quanto si apprende da fonti giudiziarie della procura di Roma che hanno inviato parte degli atti sull' inchiesta "Why not" alla procura di Catanzaro. Il pm Sergio Colaiocco, con la supervisione del procuratore Giovanni Ferrara, ha tuttavia trattenuto alcuni atti e continua l' indagine per quanto riguarda la posizione di Mastella prima dell'incarico di governo.
Lo scorso 26 ottobre la procura di Roma aveva ricevuto da Catanzaro i soli faldoni dell'inchiesta "Why not" relativi ai presunti reati commessi dal ministro Mastella. A decidere l'invio degli atti a piazzale Clodio era stato il procuratore generale di Catanzaro, Dolcino Favi, che aveva avocato l'indagine coordinata dal pm Luigi De Magistris. Come di prassi in questi casi, il pm di Roma, Sergio Colaiocco e il procuratore capo Giovanni Ferrara, avevano proceduto all'iscrizione di Mastella (già indagato a Catanzaro) nel registro degli indagati per le ipotesi di reato di abuso d'ufficio, finanziamento illecito ai partiti e concorso in truffa.
A fine ottobre i magistrati romani avevano acquisito le dichiarazioni di Giuseppe Tursi Prato, 54 anni, supertestimone dell'indagine 'Why not' attualmente in carcere per scontare una condanna a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa finalizzata al voto di scambio e per corruzione. Dal racconto di Tursi Prato, ex consigliere regionale del Partito socialdemocratico, ex assessore nonchè ex presidente dell'Asl di Cosenza, non sarebbero emersi fatti penali rilevanti.
Il pentito, in sostanza, si sarebbe limitato a parlare di conoscenze e amicizie di natura politica, che poco o nulla hanno a che vedere con fatti-reato. Per questo motivo, i magistrati di Roma hanno deciso di proseguire gli accertamenti per capire se tutta la vicenda, nata a Catanzaro, abbia o no un qualche fondamento.
In sostanza la procura, dopo avere vagliato gli atti, ha stabilito che non contengono ipotesi di reato riconducibili al periodo in cui Mastella si è insediato al ministero della giustizia. Il pm Colaiocco, con la supervisione del procuratore capo Ferrara, dovrà ora effettuare gli atti istruttori necessari a valutare se nelle carte rimaste a Roma sono individuabili ipotesi di reato relative al periodo in cui Mastella era semplice parlamentare.
Gentile anonimo delle 16,25, grazie per l'invito a riflettere, ma credo di non aver detto niente di così scandaloso, anzi tutt'altro. Il diritto non lo conoscevo prima di frequentare l'università,come molti e come penso capiti anche che chi vuol fare il medico non conosca la medicina perchè l'ha studiata già: a 18/19 anni si può solo avere un'aspirazione e una potenziale inclanazione, che devono poi reggere alla prova dei fatti.
Fortunatamente io ho retto e le posso assicurare non per smania di "potere".
Credo addirittura che parlare di "POTERE del magistrato" come fa lei sia sbagliato e fuorviante, e forse causa delle peggiori distorsioni del sistema cui assistiamo.
Sarebbe meglio parlare di "funzione del magistrato"...
Valentina La Mela
Gentile Valentina,
Credo sia rimasta l'unica, in Italia, a credere che il magistrato non abbia potere !
Che poi lo amministri bene o male, è altro discorso.
La mia, del resto, era solo una domanda retorica. Ho difatti soggiunto che nel suo caso, fortunatamente, è nato anche, sia pur in seguito, l'interesse per la materia.
Vede, tutti noi, almeno quelli di noi che lavorano, hanno una "funzione". C'è chi fa l'avvocato, chi il medico, chi l'operaio, chi l'impiegato.
C'è anche, tra questi, chi ha il potere (che di "potere" si tratta, ancorché legittimamente conferito) di condannare una persona al carcere a vita, o quasi !
Converrà con me che questa è una "funzione" un po' diversa dalle altre, che proprio per la sua gravità merita che siano selezionati i soggetti migliori, non solo per la cultura, ma anche per l'equilibrio e l'effettivo interesse alla materia che trattano.
Per fortuna la grande maggioranza dei magistrati in Italia possiede queste qualità, ancorché sia costretta a lavorare in un sistema che è tutto, fuorché efficiente !
Le auguro, infine, un sincero "in bocca al lupo" per le sue aspirazioni.
WHY NOT: DE MAGISTRIS, MAGISTRATURA VICINA AL POTERE
La magistratura e' diventata troppo vicina al potere politico, soprattutto con il Governo Prodi, per questo ha reagito tiepdiamente ad una vicenda come quella all'avocazione dell'inchiesta "Why not" o al trasferimento ordinato dal ministro alla Giusitizia Clemente Mastella. Se Berlusconi avesse fatto le stesse cose ci sarebbero state delle proteste di piazza. E' quanto ha spiegato il Pm di Catanzaro Luigi De Magistris, parlando al Parlamento europeo a Strasburgo in una conferenza sull'utilizzo dei fondi europei insieme a Beppe Grillo, Marco Travaglio e Giulietto Chiesa. La magistratura, ha detto De Magistris, "negli ultimi anni, ma soprattutto con il Governo di centro-sinistra si e' andata troppo a sedere nelle stanze del potere" e "ci sono state troppe vicinanze con il potere esecutivo, troppi ammiccamenti" e "in questo momento (la magistratura, ndr) non ha la forza di rimettere sul tappeto questi argomenti cosi' centrali". La prova e' "questo silenzio della magistratura associata sulla vicenda dell'avocazione o della vicenda del trasferimento cautelare" ordinato da Mastella, "se l'avesse fatto il governo Berlusconi sarebbero scesi in campo anche i pensionati, Slow Food e Mc Donalds e si sarebbero riempite le piazze". "Io - ha insistito De Magistris - credo che il magistrato deve fare il magistrato" e "se si mette il bavaglio ad una parte della magistraturae ad una parte dell'informazione l'Italia rischia di entrare in un circuito, non sudamericano perche' in parte ci siamo gia', ma qualcosa di ancora peggio". (AGI) (13 novembre 2007 ore 19.25)
Strasburgo, 13 nov. - (Adnkronos/Aki) - Sull'inchiesta 'Why not' la magistratura e' stata troppo "tiepida". Se al governo non ci fosse stato Romano Prodi ma Silvio Berlusconi "sarebbero scesi in campo pensionati, slow food, McDonald's... si sarebbero riempite le piazze". A parlare e' il pm di Catanzaro Luigi De Magistris, nel corso di un dibattito sulla destinazione dei fondi comunitari in Italia organizzato al Parlamento europeo dall'eurodeputato del Pse, Giulietto Chiesa. Nel corso dell'incontro, a cui hanno anche partecipato Beppe Grillo, Marco Travaglio e numerosi europarlamentari soprattutto italiani, De Magistris ha puntato il dito contro i rapporti tra magistratura e potere politico e ha definito l'avocazione "un arnese che veniva usato nella precostituzione repubblicana e negli anni cinqiuanta, quando la cultura democratica si andava ancora a formare". Sulla vicenda 'Why not', ha affermato De Magistris rivolgendosi agli eurodeputati, ''la magistratura e' stata tiepida".
Anonimo ha detto... 13 novembre 2007 20.37
Cosa?...
I magistrati in Italia stanno abbandonando quelle logiche, ed ogni anno che passa l'etica e la morale anche per loro vien sempre più dimenticata...
Ogni anno passano sempre in più sull'altra sponda, per convenienza professionale o altro... o per quieto vivere... basta vedere l'ANM o magistratura democratica come hanno reagito sul caso De Magistris e sul caso Forleo...
Basta ascoltare le parole di De Magistris a Strasburgo... per rendersi conto a che punto siamo arrivati.
Il livello di corruzione è altissimo e il sistema è stato alterato per costituire una sorta di controllo tramite una gerarchia di potere sull'intera magistratura italiana.
I casi di frodi, di mafia, di fondi europei o nazionali che spariscono sono vicende quotidiane, ma non un solo caso viene aperto... e quando raramente qualcuno lo fa (De Magistris) il sistema reagisce per distruggerlo e ammazzarlo professionalmente... nessuno alza uno scudo in sua difesa...
Certo... ci sono però quelli che ancora credono nella giustizia e nella democrazia... io le chiamo le "cape toste"... resistere resistere resistere... ma son davvero pochi... quelli che hanno ancora davvero il coraggio di opporsi.
Per questo spero che l'Europa faccia qualcosa...
Ma soprattutto sta a noi italiani svegliarci e mobilitarci per far si che regole più democratiche vengano attuate e rispettate.
penso che quando verrà alla luce del sole tutta questa sporca vicenda Why Not l'attuale governo non sarà più in carica,mi auguro cmq che tutti i responsabili possano essere condannati in via definitiva e che possano sparire (politicamente parlando) dalla vita pubblica del paese,in quanto non degni di rappresentare nemmeno loro stessi
Show di Grillo a Strasburgo: «Basta soldi all'Italia»
STRASBURGO (13 novembre) - «Vengo qui con una supplica: smettete di dare i soldi all'Italia. Fatelo per noi». Nuovo show di Beppe Grillo, piombato oggi a Strasburgo con il pm di Catanzaro Luigi De Magistris e il giornalista Marco Travaglio per partecipare a un incontro al Parlamento europeo sull'utilizzo dei fondi comunitari.
Basta fondi all'Italia. Dare i fondi all'Italia, ha detto Grillo, è «come darli a Bokassa». «Noi abbiamo bisogno di un segnale da fuori», ha sostenuto il comico sollecitando l'Ue a dare «un segnale» sospendendo l'erogazione dei fondi all'Italia. «Siamo venuti qui per chiedere il vostro aiuto», ha continuato Grillo, secondo il quale quella dei finanziamenti europei è «una partita di giro», «una sorta di riciclaggio del denaro». «Che ci vogliamo fare con questi soldi, finanziare le 22.000 aziende italiane per farle rimanere in Italia invece di andare in Romania?», ha detto il comico che ha accusato i fondi per la pesca o l'agricoltura di avere fatto perdere milioni di posti di lavoro.
«Ci sarà un motivo per il quale l'Italia conta un numero cinque volte superiore di frodi rispetto agli altri paesi Ue», ha scandito il comico genovese. Invece di fare commissioni di controllo, ha continuato, è necessario che la documentazione di come vengono usati i fondi Ue in Italia passi su Internet. I cittadini «normali» possono controllare «dove vanno a finire i loro soldi» e cioè i fondi europei e lo possono fare verificandolo su internet, ha aggiunto, sottolineando che porterà la propsota all'attenzione del Parlamento europeo.
De magistris grande combattente. Grillo ha poi definito il pm De Magistris «un grande combattente» e si è confrontato per due ore serrate con vari eurodeputati, in particolare il diessino Claudio Fava, che lo ha accusato di avere una visione «da fumetto» dell'Unione europea. «Il 90% dei cittadini italiani non sa che cosa è l'Unione europea, ho tentato di leggere la Costituzione e mi è quasi venuto un esaurimento nervoso», ha detto Grillo.
Grillo ha quindi letteralmente demolito la proposta di un eurodeputato belga verde Bart Staes affinché siano i governi a controfirmare l'utilizzo dei fondi Ue. «Negli apparati non ci crede più nessuno. Non credo più nell'autorità dall'alto che decide dove vanno i fondi. In Italia abbiamo 24 pregiudicati in Parlamento e 75 inquisiti. Il Belgio ce li ha? Facciamo invidia a tutto il mondo. È lo stato la mafia», ha scandito Grillo. «Sono i partiti la vera criminalità organizzata in Italia, non la mafia», ha detto ancora il comico.
Strasburgo - «Hai una cognizione da fumetto dell’Europarlamento! Parli come Le Pen!» gli strilla contro il sinistro democratico Claudio Fava. «Ma voi piuttosto, che fate? Sempre occupati a decidere la lunghezza delle banane o l’altezza dei bassotti!» gli replica a brutto muso Beppe Grillo. Scene di caccia incrociate in bassa Alsazia tra urla di disappunto e rissa finale. Tutt’altro scenario rispetto a quello che si era preventivato.
Eh già. Perché erano attesi come i tre re magi, Grillo Travaglio e soprattutto De Magistris sulle rive del Reno. Mentre la sinistra italiana al completo si è ritrovata davanti il trio dell’Apocalisse. Pronto a scatenarsi non solo contro il solito (e annunciato) Mastella, ma contro il governo Prodi, le sue leggi, le sue non scelte, il suo nascondere la testa sotto la sabbia. Già all’inizio erano in parecchi - tra cui la Gruber («Si squalifica da solo») e la verde Frassoni - a ringhiare contro la telepredica del Grillo parlante: «Vi prego, sono qui per chiedervi di non dare più una lira all’Italia» esortava. E partivano i primi mormorii di disapprovazione, si alzavano i cenni della protesta. Ma lui proseguiva ieratico, conscio dell’appoggio di un De Magistris in palla («Guardate che l’intreccio del malaffare in Calabria è tra tutte le forze politiche, non è che riguardi solo una parte…») e di un Travaglio in versione Buddha («Castelli ne aveva fatte, ma mai come Mastella»), pigiando il piede sull’acceleratore: «Non siete manco capaci di dire al cittadino dove finiscono i suoi soldi!». La platea ruggiva un po’ inferocita. E ancora Fava s’accalorava di brutto: «Noi facciano politica! Invece che accuse generiche come te, io faccio pelo e contropelo a Cuffaro!». Ma il comico genovese mica lo smonti con una frasetta di circostanza: «Ah, bel pelo hai fatto al governatore della Sicilia! Sono dieci anni che sta fermo sul trono». Ci provava allora il rifondarolo Catania a spezzare l’incantesimo che aveva trasformato una festa di sinistra in un incubo: «Basta con le accuse generiche e basta con le falsità». Ma era De Magistris a replicare a stretto giro di microfono: «Si vada a leggere le mie inchieste: ci sono nomi e cognomi!».
A qualcuno è venuta alla mente una celebre frase cara a Pietro Nenni: «C’è qualcuno più puro del puro che ti epura». È un po’ l’immagine di ieri. Dove ai festanti ulivisti e rifondaroli accorsi per unirsi al coro di condanna, è toccato interpretare il ruolo di accusato per ignavia o complicità. Qualcuno ha provato a reagire, ma si trovava inevitabilmente davanti una mannaia che ne decapitava le tesi. «Noi vietiamo gli Ogm» si faceva presente. E Grillo, implacabile: «Sai quanto gliene frega ai contadini sardi che stanno vendendo tutto e sono avviati al fallimento per colpa dei mutui bancari che la Regione aveva consigliato?». «La chiami Comunità europea mentre sono ormai anni che si chiama Ue!» gli si rimproverava. E lui, mefitico: «Ho tentato di leggere la Costituzione. Non si capisce un cavolo!».
Toni sempre più accesi - con inedito scontro tra un giornalista che accusava Giulietto Chiesa di un «passato professionale» assai discutibile e quello, organizzatore dell’incontro all’Europarlamento, a replicargli «ma chi sei, cosa stai dicendo?» - che neppure la copresidente dei Verdi Monica Frassoni riusciva a stemperare. La sua richiesta di «sinergia» per eliminare le storture e la sua difesa della compagnia politica di cui fa parte, tanto a Strasburgo che a Roma, veniva gelata ancora una volta da De Magistris. Che insisteva nelle accuse all’attuale esecutivo per avergli sottratto l’inchiesta e gelava tutti rilevando che, l’avesse commesso il governo Berlusconi, quello scippo, in piazza sarebbero scesi a milioni.
Escono scuri in volto gli europarlamentari delle diverse sinistre. Grillo fa sapere di esser pronto a tornare e a discutere. Ma c’è da scommettere che dopo questa performance sarà difficile che ci rimetta piede nel «depuratore» come gli è parso il Colosseo in riva al Reno. A meno che non ci si faccia eleggere. «Perché son pronte 500 liste civiche...» ha ricordato. Facendo tremare le vene dei polsi di tutti i presenti.
"Il ministro da sette mesi a questa parte lo fa solo per hobby. La politica è un piacere, non più un mestiere. Clemente Mastella è riuscito a trovare la soluzione che sogna ogni uomo: farsi mantenere per il resto della vita. Per giunta da una bella signora come Alessandrina Lonardo, che per altro è sua moglie. È la trovata più fantasiosa fra mille mutui casa dei parlamentari italiani. Mastella il mutuo se lo è fatto in casa. E non per modo di dire: con un contratto vero e proprio. Così ha ceduto alla consorte proprietà di ville e terreni a Ceppaloni e Benevento. In cambio avrà l'usufrutto a Ceppaloni e la signora Lonardo dovrà mantenerlo per tutta la vita.
Il contratto stipulato fra i coniugi entrambi politici è una primizia assoluta del settore, ma non ha molti eguali in genere. Mastella in cambio della rinuncia alla proprietà di quei mattoni dovrà solo chiedere alla consorte ed essere soddisfatto. Perché nel contratto c'è proprio tutto: vitto, alloggio, vestiti, bisogni impellenti, assistenza morale e materiale di ogni tipo fino all'ultimo giorno della sua vita.Il contratto è stato firmato dal notaio Francesco Iazeolla di Benevento il 4 febbraio 2007. Giuridicamente si tratta di «cessione di diritti reali a titolo oneroso». Con quell'atto il ministro della Giustizia ha ceduto a titolo oneroso a sua moglie la parte di proprietà detenuta nella villa di Ceppaloni (18 vani), nei relativi terreni (otto aree censite al catasto per poco più di un ettaro complessivo), e un altro immobile a Benevento (13 vani) con cantina e box auto. Fra coniugi è abbastanza comune, e talvolta si fanno queste operazioni per ragioni fiscali o per pura comodità. La particolarità non è nemmeno nel fatto che la cessione sia a titolo oneroso, perché anche questo capita nelle buone famiglie.
Ma il contratto stipulato fra i due è a rate, e ha tutte le caratteristiche del mutuo, andando perfino a suggellare e rafforzare quella indissolubilità del matrimonio cui entrambi i coniugi fermamente credono. Riportiamo il testo contrattuale così come è stato archiviato:
«Mastella Mario Clemente, relativamente alle particelle della prima unità negoziale (villa e terreni in Ceppaloni, ndr), si riserva il diritto di abitazione sua vita natural durante per la quota riportata. Quale corrispettivo della cessione, Lonardo Alessandrina si obbliga al mantenimento del cedente Mastella Mario Clemente, ovvero a fare fronte a tutte le sue necessità: vitto, assistenza morale e materiale, spese mediche, vestiario e quanto occorresse, secondo le possibilità dell'obbligata e le necessità del beneficiario, per tutta la vita di costui». Il contratto perfetto che sognerebbero molte coppie italiane.
Lui mantenuto a vita, destinato a lavorare (al governo o in politica) soltanto per hobby e passione, e quando vorrà tirare i remi in barca, lo potrà fare senza alcun tipo di preoccupazione economica. Lei con le chiavi della cassa comune in mano, signora arbitra di ogni spesa necessaria e voluttuaria del legittimo consorte. Al suo buon cuore stabilire se anche qualche vizio per la buona tavola o di qualsiasi altro genere possa rientrare o meno fra «le necessità del beneficiario».
La villa di Ceppaloni fu acquistata in comunione di beni dai coniugi Mastella il 3 aprile del 1980 insieme a un «appezzamento di terreno posto in agro di Ceppaloni esteso complessivamente circa ettari 1.18.80 a corpo e non a misura, dotato di aia in terra battuta e di una porzione di fabbricato rurale costituita da tre vani terranei di vecchia costituzione e in cattivo stato di manutenzione adibiti ad uso di deposito agricolo». Il complesso è stato poi ristrutturato e adornato con la ormai celeberrima piscina a forma di cozza". (ItaliaOggi)
Segnalo questa notizia, perche' a chi abbia dimestichezza con il diritto non suona certo come gossip, ma come sistema comodo di sottrarre la proprieta' al rischio di essere aggredite da creditori et similia.
Anche le date sono significative....., cosi' come divertente e' il giornale su cui la notizia appare.
VIDEO DI STRASBURGO
http://mediacenter.corriere.it/MediaCenter/action/player?uuid=014595d0-9292-11dc-91b4-0003ba99c53b
Altro filmato sulla denuncia di mastella a grillo:
http://www.skylife.it/html/skylife/tg24/politica.html?idvideo=55720
Questo post è veramente illuminante..
E il punto toccato da Valentina credo sia destinato ad emergere nel medio periodo..Con, credo, gravi ripercussioni sul sistema tutto..
E, ahimè, non sarà un problema risolvibile "solo" con una buona legge di riforma..
Mi capita sempre più spesso di chiedermi il ''Perchè'' di tanto autolesionismo..E', al netto di qualunque tipo di conflitto di interesse, inspiegabile..
Ciò che non graverà su di te, graverà sui tuoi figli..
Una società malata, povera e non controllata non giova a NESSUNO.
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