di Vito Pirrone
(Avvocato del Foro di Catania)
Uno dei problemi di maggior rilevanza della società italiana è costituito dalla crisi della legalità.
Il concetto di legalità esprime la puntuale applicazione delle norme di legge alle singole fattispecie, essa indica un modo di agire, che consiste, secondo la definizione di Pietro Calamandrei, “nel principio molto elementare e trito del rispetto delle leggi”.
Invero, si assiste oggi a un diffuso e radicato modo di vivere che, a tutti i livelli, considera la legalità come un disvalore.
Ancora oggi dobbiamo registrare che nel sentire comune molto spesso non viene chiaramente percepito il rapporto antitetico legalità-illegalità.
Nel comune modo di “sentire” la norma, che radica il concetto della legalità, è vissuta come qualcosa di astratto che si può anche non osservare.
Il precetto normativo viene sovente superato da un modo comune di intendere che spesso si pone in totale discrasia con esso.
Di fronte a questa anomalia italiana, si pone l’interrogativo: quali i motivi di una tale radicata cultura dell’illegalità?
Le risposte possono venire direttamente dalla storia.
E’ stato evidenziato come tra le cause di questa patologia nazionale vi sia il deficit cronico del senso dello Stato e della cultura delle regole, essendosi sviluppata la società italiana nella cultura delle illegalità a tutti i livelli.
Dall’esperienza di “mani pulite” è emersa una classe politica che era lo specchio della società civile. Le indagini hanno rilevato l’esistenza in tutto il paese di una criminalità sistemica.
La cronaca di quanto sta accadendo oggi in Italia ricorda quella narrata nelle Verrine. Si ha l’impressione di un deja vù.
Un aspetto che distingue la storia d’Italia da quella delle altre democrazie occidentali è costituito dalla circostanza che la “legalità” come alcuni hanno evidenziato, non è stata accettata da parte di tutti gli esponenti delle varie forze politiche.
Il rifiuto della legalità non riguarda singoli personaggi, ma interi gruppi di poteri. Basti pensare alla difficile attuazione della Costituzione, la Corte Costituzionale venne istituita solo nel 1956, ed analogamente il Consiglio Superiore della Magistratura solo nel 1958, a causa di notevoli resistenze da parte di settori del potere politico.
La tradizionale debolezza delle politiche strutturali ha fatto il resto, lasciando al diritto penale, che dovrebbe avere uno spazio residuale, un ruolo centrale nel Governo dei fenomeni sociali.
L’eccessiva normazione penale ha comportato un eccesso delle indulgenze. Ciò mostra come le istituzioni siano state contraddittorie e con il loro comportamento
abbiano indebolito il senso della legalità.
Dal 1861 al 1992 sono stati emessi in Italia 333 provvedimenti dì clemenza.
L’indulgenza è diventata un fatto strutturale della nostra politica criminale.
Punire e perdonare, per poi riprendere a punire e quindi perdonare, è la spirale di politica criminale seguita nella storia italiana.
Ed emblematica a tal riguardo la grave degenerazione in materia urbanistica: si creano piani regolatori, zone protette, si prevedono parchi, normativamente si regolamenta l’urbanizzazione; parallelamente i vari governi fanno ricorso ai condoni condizionati al semplice pagamento di una somma di denaro in caso di violazioni edilizie o urbanistiche.
Dal 1985 si sono avuti 14 provvedimenti di condono in materia edilizia e urbanistica.
Talvolta si è persino proceduto alla modifica dei confini di aree protette al solo fine di legalizzare situazioni sorte in totale violazione dei suaccennati strumenti urbanistici.
In buona sostanza, invece di pretendere l’osservanza della legge, si offre la possibilità a coloro che l’hanno violata di conservare i frutti del reato, eventualmente mediante il semplice pagamento di una somma di denaro.
Stesso modus operandi in materia di violazione alle norme finanziarie, ove si sono avuti 26 condoni fiscali dal 1944.
L’efficacia dell’intervento penale adottato per ottenere consenso e sicurezza sociale è costantemente annullata dai provvedimenti di indulgenza.
Agli esempi fatti in materia urbanistica e fiscale, si può aggiungere la questione relativa alla carcerazione preventiva.
Dal 1985 al 1996 il Parlamento è intervenuto ben 17 volte in senso restrittivo e sette volte favorevole agli imputati.
La politica criminale ha acquisito un andamento congiunturale, basato solo sulle spinte dell’emergenza. Si è punito o perdonato, non in base ai criteri di politica criminale, ma in base alla spinta del momento.
Uno Stato per essere credibile deve pretendere che il cittadino abbia un comportamento improntato all’osservanza delle leggi, ciò che non può agevolmente ottenersi ove le stesse istituzioni “assolvano” il reo, riconoscendo di fatto che la norma (e quindi il sistema legale) può essere violato.
Non può pretendersi che il cittadino (destinatario della norma imperativa) rispetti il precetto in essa contenuto se sa bene, per esperienza comune e consolidata, che lo stesso Stato con i provvedimenti di clemenza fa spesso “ammenda”, ingenerando il perverso convincimento dell’ingiustezza della disposizione normativa violata e riportando così il comportamento illegale nell’alveo della legalità.
Solo la perentoria attuazione della norma e la certa applicazione della sanzione per i trasgressori, rende immediatamente percepibile il senso della legalità.
In Italia abbiamo assistito, invece, ad una politica criminale schizofrenica, legata in parte a spinte emozionali dell’opinione pubblica, in parte alla necessità di captare consenso dagli elettori.
Si è verificata un'“eclisse di legalità” che patologicamente si è diffusa ai vari livelli della società (pubblica amministrazione, potere politico...).
E anche il cittadino, nel suo piccolo, cerca di raggiungere interessi particolari con azioni che, pur se di limitata rilevanza se considerate singolarmente, costituiscono violazioni e negazioni del principio di legalità.
Queste violazioni, anche se piccole e disorganiche, contribuiscono a creare quell’”humus” nel quale l’illegalità trova proliferazione e diffusione.
Lo scadimento della legalità è stato il terreno di cultura dei fenomeni di corruzione e di degenerazione della vita politica e sociale.
Dalla esperienza dei processi di “mani pulite” emerge chiaramente un dato inquietante: la mancata percezione, da parte degli inquisiti della illegalità del loro operato.
La diffusione di tali comportamenti, li induceva a ritenerli “normali".
Un meccanismo perverso, innescatosi nella società italiana dagli anni ottanta, ha fatto sì che il potere politico, in cambio di una sorta di pseudo assistenzialismo statale generalizzato, abbia chiesto “consenso” prima che rispetto delle leggi.
Il fenomeno dell’illegalità ha raggiunto livelli di gravita tali da indurre a chiedersi se dietro ad esso non vi sia una crisi dei valori.
A questo punto è necessario che la politica e la cultura trovino la loro unitarietà per riportare il paese nella cultura della legalità.
Non servono nuove leggi. Si è visto che l’ipernormazione non crea “valori” anzi in Italia la proliferazione di leggi e la previsione sistematica di penalizzazione ha provocato la svalutazione dell’intero sistema giuridico.
Riteniamo infine che un recupero della legalità vada abbinato ad un effettivo recupero della giurisdizione.
La giurisdizione deve essere esercitata nelle aule giudiziarie, dinanzi ad un giudice, e non come viene oggi, ad opera dei media, attraverso una sorta di processo anticipato.
(Avvocato del Foro di Catania)
Uno dei problemi di maggior rilevanza della società italiana è costituito dalla crisi della legalità.
Il concetto di legalità esprime la puntuale applicazione delle norme di legge alle singole fattispecie, essa indica un modo di agire, che consiste, secondo la definizione di Pietro Calamandrei, “nel principio molto elementare e trito del rispetto delle leggi”.
Invero, si assiste oggi a un diffuso e radicato modo di vivere che, a tutti i livelli, considera la legalità come un disvalore.
Ancora oggi dobbiamo registrare che nel sentire comune molto spesso non viene chiaramente percepito il rapporto antitetico legalità-illegalità.
Nel comune modo di “sentire” la norma, che radica il concetto della legalità, è vissuta come qualcosa di astratto che si può anche non osservare.
Il precetto normativo viene sovente superato da un modo comune di intendere che spesso si pone in totale discrasia con esso.
Di fronte a questa anomalia italiana, si pone l’interrogativo: quali i motivi di una tale radicata cultura dell’illegalità?
Le risposte possono venire direttamente dalla storia.
E’ stato evidenziato come tra le cause di questa patologia nazionale vi sia il deficit cronico del senso dello Stato e della cultura delle regole, essendosi sviluppata la società italiana nella cultura delle illegalità a tutti i livelli.
Dall’esperienza di “mani pulite” è emersa una classe politica che era lo specchio della società civile. Le indagini hanno rilevato l’esistenza in tutto il paese di una criminalità sistemica.
La cronaca di quanto sta accadendo oggi in Italia ricorda quella narrata nelle Verrine. Si ha l’impressione di un deja vù.
Un aspetto che distingue la storia d’Italia da quella delle altre democrazie occidentali è costituito dalla circostanza che la “legalità” come alcuni hanno evidenziato, non è stata accettata da parte di tutti gli esponenti delle varie forze politiche.
Il rifiuto della legalità non riguarda singoli personaggi, ma interi gruppi di poteri. Basti pensare alla difficile attuazione della Costituzione, la Corte Costituzionale venne istituita solo nel 1956, ed analogamente il Consiglio Superiore della Magistratura solo nel 1958, a causa di notevoli resistenze da parte di settori del potere politico.
La tradizionale debolezza delle politiche strutturali ha fatto il resto, lasciando al diritto penale, che dovrebbe avere uno spazio residuale, un ruolo centrale nel Governo dei fenomeni sociali.
L’eccessiva normazione penale ha comportato un eccesso delle indulgenze. Ciò mostra come le istituzioni siano state contraddittorie e con il loro comportamento
abbiano indebolito il senso della legalità.
Dal 1861 al 1992 sono stati emessi in Italia 333 provvedimenti dì clemenza.
L’indulgenza è diventata un fatto strutturale della nostra politica criminale.
Punire e perdonare, per poi riprendere a punire e quindi perdonare, è la spirale di politica criminale seguita nella storia italiana.
Ed emblematica a tal riguardo la grave degenerazione in materia urbanistica: si creano piani regolatori, zone protette, si prevedono parchi, normativamente si regolamenta l’urbanizzazione; parallelamente i vari governi fanno ricorso ai condoni condizionati al semplice pagamento di una somma di denaro in caso di violazioni edilizie o urbanistiche.
Dal 1985 si sono avuti 14 provvedimenti di condono in materia edilizia e urbanistica.
Talvolta si è persino proceduto alla modifica dei confini di aree protette al solo fine di legalizzare situazioni sorte in totale violazione dei suaccennati strumenti urbanistici.
In buona sostanza, invece di pretendere l’osservanza della legge, si offre la possibilità a coloro che l’hanno violata di conservare i frutti del reato, eventualmente mediante il semplice pagamento di una somma di denaro.
Stesso modus operandi in materia di violazione alle norme finanziarie, ove si sono avuti 26 condoni fiscali dal 1944.
L’efficacia dell’intervento penale adottato per ottenere consenso e sicurezza sociale è costantemente annullata dai provvedimenti di indulgenza.
Agli esempi fatti in materia urbanistica e fiscale, si può aggiungere la questione relativa alla carcerazione preventiva.
Dal 1985 al 1996 il Parlamento è intervenuto ben 17 volte in senso restrittivo e sette volte favorevole agli imputati.
La politica criminale ha acquisito un andamento congiunturale, basato solo sulle spinte dell’emergenza. Si è punito o perdonato, non in base ai criteri di politica criminale, ma in base alla spinta del momento.
Uno Stato per essere credibile deve pretendere che il cittadino abbia un comportamento improntato all’osservanza delle leggi, ciò che non può agevolmente ottenersi ove le stesse istituzioni “assolvano” il reo, riconoscendo di fatto che la norma (e quindi il sistema legale) può essere violato.
Non può pretendersi che il cittadino (destinatario della norma imperativa) rispetti il precetto in essa contenuto se sa bene, per esperienza comune e consolidata, che lo stesso Stato con i provvedimenti di clemenza fa spesso “ammenda”, ingenerando il perverso convincimento dell’ingiustezza della disposizione normativa violata e riportando così il comportamento illegale nell’alveo della legalità.
Solo la perentoria attuazione della norma e la certa applicazione della sanzione per i trasgressori, rende immediatamente percepibile il senso della legalità.
In Italia abbiamo assistito, invece, ad una politica criminale schizofrenica, legata in parte a spinte emozionali dell’opinione pubblica, in parte alla necessità di captare consenso dagli elettori.
Si è verificata un'“eclisse di legalità” che patologicamente si è diffusa ai vari livelli della società (pubblica amministrazione, potere politico...).
E anche il cittadino, nel suo piccolo, cerca di raggiungere interessi particolari con azioni che, pur se di limitata rilevanza se considerate singolarmente, costituiscono violazioni e negazioni del principio di legalità.
Queste violazioni, anche se piccole e disorganiche, contribuiscono a creare quell’”humus” nel quale l’illegalità trova proliferazione e diffusione.
Lo scadimento della legalità è stato il terreno di cultura dei fenomeni di corruzione e di degenerazione della vita politica e sociale.
Dalla esperienza dei processi di “mani pulite” emerge chiaramente un dato inquietante: la mancata percezione, da parte degli inquisiti della illegalità del loro operato.
La diffusione di tali comportamenti, li induceva a ritenerli “normali".
Un meccanismo perverso, innescatosi nella società italiana dagli anni ottanta, ha fatto sì che il potere politico, in cambio di una sorta di pseudo assistenzialismo statale generalizzato, abbia chiesto “consenso” prima che rispetto delle leggi.
Il fenomeno dell’illegalità ha raggiunto livelli di gravita tali da indurre a chiedersi se dietro ad esso non vi sia una crisi dei valori.
A questo punto è necessario che la politica e la cultura trovino la loro unitarietà per riportare il paese nella cultura della legalità.
Non servono nuove leggi. Si è visto che l’ipernormazione non crea “valori” anzi in Italia la proliferazione di leggi e la previsione sistematica di penalizzazione ha provocato la svalutazione dell’intero sistema giuridico.
Riteniamo infine che un recupero della legalità vada abbinato ad un effettivo recupero della giurisdizione.
La giurisdizione deve essere esercitata nelle aule giudiziarie, dinanzi ad un giudice, e non come viene oggi, ad opera dei media, attraverso una sorta di processo anticipato.
8 commenti:
Bellissimo questo post.
I nostri rappresentanti ci rappresentano nei nostri difetti peggiori. E non ci si può illudere di colmare con delle leggi un vuoto di valori.
Forse bisognerebbe partire dalla scuola ma anche lì la situazione non si distingue dall'andamento generale del paese...
http://www.antenneattive.org/
conferenza stampa al parlamento europeo con interventi del dott de magistris,grillo,travaglio e chiesa
buona visione
un saluto a tutta la redazione
Anche questo mi sembra interessante, ma nessun giornale ne ha parlato.
http://calabriaindipendente.wordpress.com/2007/11/12/why-not-la-massoneria-calabrese-domina-la-la-loggia-di-san-marino/
I pazzi e visionari sono sempre meno pazzi e meno visionari.
C'e' una scuola di pensiero,(ormai pero' divenuta prevedibile e scontata) che addita alla pubblica opinione come folle, a scopo di denigrazione e delegittimazione, ogni voce libera da altrui condizionamento.
Se questa e' divenuta la strumentale equazione, forse e' il caso di ascoltarli, questi "folli".
E forse dovremmo cominciare a pensare che sia piuttosto un valore aggiunto essere qualificati cosi' (d'altra parte, meglio folli che delinquenti)
"Qui si convien lasciar ogni sospetto
Ogni viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco, ov'io t'ho detto
Che tu vedrai le genti dolorose
c'hanno perduto il ben dello intelletto."
(Inferno - Canto III)
Video completo di Grillo Travaglio e De Magistris al parlamento europeo:
http://video.google.it/videoplay?docid=4448017020141192217
In aggiunta al post di Dante Alighieri:
"Ahi, serva Italia, di dolore ostello,
Nave senza nocchiere in gran tempesta,
Non donna di province, ma bordello".
E' da sottoscrivere il commento dell'avvocato.
D'altra parte, è noto che questo è un paese dove domina l'inciviltà, e non solo nelle sue classi dirigenti ma, per la maggior parte, nella stessa popolazione, che delle classi dirigenti è la fonte.
L'Italia, infatti, nonostante appartenga formalmente all'Unione Europea, deve ancora decidere, sostanzialmente, se vuol far parte dell'Europa o dell'Africa !
Per ora, nei costumi dei suoi abitanti, resta un malriuscito ibrido fra i due continenti.
Non c'è nulla da fare: sopportare, per chi è costretto a vivere qua, ovvero andarsene, rinunciando alla cittadinanza, per chi è più fortunato !
Quoto parte del discorso dell'avvocato... ma mi trovo invece a correggere la sua ultima parte del discorso.
Non sono daccordo sul fatto che egli dice che non servono nuove leggi... ma solo una cultura diversa...
Io credo che servono delle vere leggi... delle vere regole... delle responsabilità precise per chi riveste dei ruoli istituzionali rilevanti.
Quindi:
1) regole sulla trasparenza;
2) regole sul rispetto della democrazia e dei programmi elettorali;
3) regole che facilitino lo svolgimento dei processi e ne impediscano il facile rinvio, anche responsabilizzando chi ha il compito della difesa dell'imputato;
4) pene più severe;
5) Minor indulgenza e permessi vari per poter aggirare il carcere;
6) Maggiore indipendenza della magistratura com'era prima delle ultime leggi sull'ordinamento giudiziario, soprattutto quelle varate da Castelli e Mastella;
7) Maggiori finanziamenti alle forze dell'ordine e alla magistratura;
8) PG, procuratore capo e al Csm, ci si arriva non per nomina ma per punteggio in base al lavoro professionalmente svolto, cioè per esempio creare una tabella di punteggi per reato (furto 3 punti, mafia 100 punti, per ogni mafioso che andrà verrà condannato 10 punti) in base ai risultati ottenuti quando si libera un posto di Pg per esempio vari pm posson fare richiesta, chi ha un punteggio più alto si aggiudica quel posto, così che si avrà in quei posti tutta gente che ha prodotto e ha reso un servizio al paese carica di esperienza.
ottima analisi.
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