di Nicola Saracino
(Magistrato)
Nel secondo semestre dello scorso anno il Consiglio Superiore della Magistratura, nel richiamare i principi costituzionali posti dagli artt. 25, 97, 101, 107 e 112 Cost. (precostituzione del giudice, imparzialità dell’agire pubblico, soggezione dei magistrati soltanto alla legge, diffusione del potere fra tutti i magistrati inclusi i pubblici ministeri ed obbligatorietà dell’azione penale nei confronti di tutti), aveva emanato una risoluzione (1519/FT/2006) con la quale regolamentava aspetti di dettaglio relativi al nuovo assetto ordinamentale degli uffici di procura.
In virtù del relativo decreto emanato dal Governo su legge di delegazione del Parlamento, risulta infatti notevolmente accentuato il principio gerarchico che già, ma in misura minore, caratterizzava la magistratura requirente.
La gerarchia, spinta alle estreme conseguenze, determina la concentrazione delle decisioni più importanti in capo a pochissimi individui, e quindi intacca la caratteristica di potere diffuso del pubblico ministero.
Era, pertanto, opportuno dettare alcune direttive per garantire che la concreta attuazione della riforma degli uffici del Pubblico Ministero operasse in armonia con la Costituzione, dato che le norme costituzionali prevalgono sempre sulla legge ordinaria dovendosi questa ultima interpretare ed applicare - prima di ipotizzarne il conflitto con i suddetti principi - in assonanza con i valori fondanti della collettività.
A questo dichiarato fine il C.S.M. aveva stabilito che se un Procuratore avesse ritirato la delega delle indagini già conferita ad un sostituto procuratore, com’è a lui consentito dalle norme, avrebbe dovuto chiarirne i motivi in forma scritta in modo che potessero essere in seguito valutati dall’organo di autogoverno ove il contrasto tra capo e sostituto fosse giunto alla sua attenzione.
Occorre chiarire che l’eventuale biasimo del C.S.M. nei riguardi di una revoca della delega di indagine non influirebbe in ogni caso sul singolo processo nel quale l’anomalia si è registrata, ma opererebbe esclusivamente sul piano disciplinare o su quello della valutazione della professionalità del procuratore che interpreti troppo “alla lettera” il principio di gerarchia.
Va anche detto che il ritiro della delega d’indagine non determina alcuno spostamento di competenza giacché è lo stesso ufficio ad occuparsene, anche se cambia il magistrato indagante.
Quella direttiva era stata inoltrata a tutte le procure d’Italia, comprese le procure generali, alle prime gerarchicamente sovra-ordinate, affinché vi si attenessero.
L’intervento chiarificatore del Consiglio Superiore era parso opportuno in quanto la legge non aveva minuziosamente predeterminato le ipotesi nelle quali il procuratore potesse togliere l’inchiesta già assegnata ad un suo sostituto.
Diversamente dalla revoca della delega d’indagine, l’avocazione è consentita in ipotesi tassativamente predeterminate dalla legge ed era quindi inutile che il C.S.M. la considerasse nella risoluzione già citata.
L’avocazione, istituto di rarissimo impiego, rappresenta un evento ancor più traumatico del semplice ritiro della delega in quanto determina lo spostamento di un’inchiesta da un ufficio ad un altro, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale alla Procura Generale della Corte d’Appello.
Uno degli ultimi (e pochissimi) casi di avocazione che la cronaca giudiziaria ha fatto registrare ha visto all’opera un procuratore generale presso la Corte d’Appello che ha richiamato a sé una inchiesta svolta da un sostituto del procuratore della Repubblica presso il Tribunale e questo ultimo dolersene con il Procuratore Generale della Cassazione (il vertice della gerarchia delle procure).
Proprio la gerarchizzazione degli uffici di procura, accentuata dopo l’entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario, ha indotto il Procuratore Generale della Cassazione a ritenere che non spetti al sostituto procuratore lamentarsi per essere stato spogliato di un’inchiesta la cui titolarità - essendo ormai riferibile all’ufficio della procura della repubblica e non al singolo magistrato al quale in concreto essa risulti delegata - può essere rivendicata soltanto dal capo di quell’ufficio.
Un lettore sfornito di specifiche cognizioni giuridiche avrebbe sufficienti ragioni per essere perplesso, dato che da un lato il C.S.M. richiama all’osservanza delle norme costituzionali che devono ispirare il concreto esercizio dei poteri conferiti dalla legge e, dall’altro, il Procuratore Generale della Cassazione ha dichiarato inammissibile il reclamo del sostituto procuratore, vale a dire che il merito della questione (se l’avocazione fosse corretta oppure no) non è stato neppure esaminato, né la norma di legge che prevede l’avocazione è stata portata all’attenzione della Corte Costituzionale.
Quel lettore, quindi, è creditore di una spiegazione.
Affinché una norma di legge pervenga all’attenzione della Corte Costituzionale (l’unico organo che può annullarla) è necessario che sia un giudice a chiederlo quando debba applicarla per decidere una causa; il Procuratore Generale della Cassazione, invece, pur essendo un magistrato, non svolge funzioni giudicanti e quindi non può rivolgersi alla Corte Costituzionale.
Lo stesso lettore, ancora, potrebbe ipotizzare che la norma (o le norme) di carattere organizzativo che riguardano le procure della repubblica si possano mettere in discussione quando, al termine dell’inchiesta, entra in gioco il giudice che deve decidere il caso; purtroppo questa eventualità è da escludere in quanto il giudice non può sindacare la legittimazione del P.M. che ha davanti se non in base ai dati meramente formali che ne qualificano l’investitura (delega del capo o, per l’appunto, avocazione da parte del Procuratore Generale della Corte d’Appello).
Come si nota, dunque, è molto difficile provocare il controllo di costituzionalità delle norme che riguardano l’organizzazione delle procure.
Difficile non vuol dire impossibile.
Se, ad esempio, il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che è anche il titolare dell’azione disciplinare contro i magistrati, essendo peraltro obbligato ad esercitarla, ravvisasse nell’atto di avocazione sul quale non si è potuto pronunciare a causa dell’inammissibilità del reclamo, un’anomalia tanto grave da lasciar configurare un illecito disciplinare (come l’indebita interferenza nell’attività giudiziaria di un altro magistrato, o l’adozione di un provvedimento per errore macroscopico) potrebbe avviare il relativo processo nel quale il giudice (la sezione disciplinare del C.S.M.), dubitando di una o più delle norme in discussione, dovrebbe, alla fine, provocarne il vaglio di costituzionalità.
Tralasciando le conseguenze di carattere disciplinare che comunque non risolverebbero il problema, perché l’inchiesta non tornerebbe al sostituto al quale è stata tolta, deve osservarsi che l’ordinamento entra in crisi quando sia astrattamente ipotizzabile che l’esercizio di un potere, consentito dalla legge, possa in concreto attuarsi con modalità configgenti con i motivi per i quali esso è stato conferito e nessun rimedio sia previsto per correggere tale ipotetica anomalia.
(Magistrato)
Nel secondo semestre dello scorso anno il Consiglio Superiore della Magistratura, nel richiamare i principi costituzionali posti dagli artt. 25, 97, 101, 107 e 112 Cost. (precostituzione del giudice, imparzialità dell’agire pubblico, soggezione dei magistrati soltanto alla legge, diffusione del potere fra tutti i magistrati inclusi i pubblici ministeri ed obbligatorietà dell’azione penale nei confronti di tutti), aveva emanato una risoluzione (1519/FT/2006) con la quale regolamentava aspetti di dettaglio relativi al nuovo assetto ordinamentale degli uffici di procura.
In virtù del relativo decreto emanato dal Governo su legge di delegazione del Parlamento, risulta infatti notevolmente accentuato il principio gerarchico che già, ma in misura minore, caratterizzava la magistratura requirente.
La gerarchia, spinta alle estreme conseguenze, determina la concentrazione delle decisioni più importanti in capo a pochissimi individui, e quindi intacca la caratteristica di potere diffuso del pubblico ministero.
Era, pertanto, opportuno dettare alcune direttive per garantire che la concreta attuazione della riforma degli uffici del Pubblico Ministero operasse in armonia con la Costituzione, dato che le norme costituzionali prevalgono sempre sulla legge ordinaria dovendosi questa ultima interpretare ed applicare - prima di ipotizzarne il conflitto con i suddetti principi - in assonanza con i valori fondanti della collettività.
A questo dichiarato fine il C.S.M. aveva stabilito che se un Procuratore avesse ritirato la delega delle indagini già conferita ad un sostituto procuratore, com’è a lui consentito dalle norme, avrebbe dovuto chiarirne i motivi in forma scritta in modo che potessero essere in seguito valutati dall’organo di autogoverno ove il contrasto tra capo e sostituto fosse giunto alla sua attenzione.
Occorre chiarire che l’eventuale biasimo del C.S.M. nei riguardi di una revoca della delega di indagine non influirebbe in ogni caso sul singolo processo nel quale l’anomalia si è registrata, ma opererebbe esclusivamente sul piano disciplinare o su quello della valutazione della professionalità del procuratore che interpreti troppo “alla lettera” il principio di gerarchia.
Va anche detto che il ritiro della delega d’indagine non determina alcuno spostamento di competenza giacché è lo stesso ufficio ad occuparsene, anche se cambia il magistrato indagante.
Quella direttiva era stata inoltrata a tutte le procure d’Italia, comprese le procure generali, alle prime gerarchicamente sovra-ordinate, affinché vi si attenessero.
L’intervento chiarificatore del Consiglio Superiore era parso opportuno in quanto la legge non aveva minuziosamente predeterminato le ipotesi nelle quali il procuratore potesse togliere l’inchiesta già assegnata ad un suo sostituto.
Diversamente dalla revoca della delega d’indagine, l’avocazione è consentita in ipotesi tassativamente predeterminate dalla legge ed era quindi inutile che il C.S.M. la considerasse nella risoluzione già citata.
L’avocazione, istituto di rarissimo impiego, rappresenta un evento ancor più traumatico del semplice ritiro della delega in quanto determina lo spostamento di un’inchiesta da un ufficio ad un altro, dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale alla Procura Generale della Corte d’Appello.
Uno degli ultimi (e pochissimi) casi di avocazione che la cronaca giudiziaria ha fatto registrare ha visto all’opera un procuratore generale presso la Corte d’Appello che ha richiamato a sé una inchiesta svolta da un sostituto del procuratore della Repubblica presso il Tribunale e questo ultimo dolersene con il Procuratore Generale della Cassazione (il vertice della gerarchia delle procure).
Proprio la gerarchizzazione degli uffici di procura, accentuata dopo l’entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario, ha indotto il Procuratore Generale della Cassazione a ritenere che non spetti al sostituto procuratore lamentarsi per essere stato spogliato di un’inchiesta la cui titolarità - essendo ormai riferibile all’ufficio della procura della repubblica e non al singolo magistrato al quale in concreto essa risulti delegata - può essere rivendicata soltanto dal capo di quell’ufficio.
Un lettore sfornito di specifiche cognizioni giuridiche avrebbe sufficienti ragioni per essere perplesso, dato che da un lato il C.S.M. richiama all’osservanza delle norme costituzionali che devono ispirare il concreto esercizio dei poteri conferiti dalla legge e, dall’altro, il Procuratore Generale della Cassazione ha dichiarato inammissibile il reclamo del sostituto procuratore, vale a dire che il merito della questione (se l’avocazione fosse corretta oppure no) non è stato neppure esaminato, né la norma di legge che prevede l’avocazione è stata portata all’attenzione della Corte Costituzionale.
Quel lettore, quindi, è creditore di una spiegazione.
Affinché una norma di legge pervenga all’attenzione della Corte Costituzionale (l’unico organo che può annullarla) è necessario che sia un giudice a chiederlo quando debba applicarla per decidere una causa; il Procuratore Generale della Cassazione, invece, pur essendo un magistrato, non svolge funzioni giudicanti e quindi non può rivolgersi alla Corte Costituzionale.
Lo stesso lettore, ancora, potrebbe ipotizzare che la norma (o le norme) di carattere organizzativo che riguardano le procure della repubblica si possano mettere in discussione quando, al termine dell’inchiesta, entra in gioco il giudice che deve decidere il caso; purtroppo questa eventualità è da escludere in quanto il giudice non può sindacare la legittimazione del P.M. che ha davanti se non in base ai dati meramente formali che ne qualificano l’investitura (delega del capo o, per l’appunto, avocazione da parte del Procuratore Generale della Corte d’Appello).
Come si nota, dunque, è molto difficile provocare il controllo di costituzionalità delle norme che riguardano l’organizzazione delle procure.
Difficile non vuol dire impossibile.
Se, ad esempio, il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che è anche il titolare dell’azione disciplinare contro i magistrati, essendo peraltro obbligato ad esercitarla, ravvisasse nell’atto di avocazione sul quale non si è potuto pronunciare a causa dell’inammissibilità del reclamo, un’anomalia tanto grave da lasciar configurare un illecito disciplinare (come l’indebita interferenza nell’attività giudiziaria di un altro magistrato, o l’adozione di un provvedimento per errore macroscopico) potrebbe avviare il relativo processo nel quale il giudice (la sezione disciplinare del C.S.M.), dubitando di una o più delle norme in discussione, dovrebbe, alla fine, provocarne il vaglio di costituzionalità.
Tralasciando le conseguenze di carattere disciplinare che comunque non risolverebbero il problema, perché l’inchiesta non tornerebbe al sostituto al quale è stata tolta, deve osservarsi che l’ordinamento entra in crisi quando sia astrattamente ipotizzabile che l’esercizio di un potere, consentito dalla legge, possa in concreto attuarsi con modalità configgenti con i motivi per i quali esso è stato conferito e nessun rimedio sia previsto per correggere tale ipotetica anomalia.
8 commenti:
io credo nella mia semplicità che al di la delle future conseguenze e senza alcuna premeditazione o malafede verso altri colleghi di De Magistris,l'inchiesta Why Not è stata iniziata da De Magistris ed è suo dovere/diritto proseguirla,persone e organi non hanno permesso che questo potesse esser fatto,il resto,almeno per me comune cittadino ha veramente poca importanza,per Voi che siete nell'ambiente invece penso sia stata una azione molto grave,mentre per coloro che di magistrato hanno solo la scritta su una scrivania che volete che gli si dica ? Ricordo in uno dei post precedenti sempre sulla vicenda De Magistris le parole di un magistrato che con giusta ragione osservava che oltre alla cittadinanza onesta e per bene erano altre le persone che dovevano far sentire la propria voce e mi riferisco agli stessi colleghi di De Magistris,ma tutto questo non è successo.Una curiosità mia e quindi una domanda per voi quante possibilità ci sono che l'inchiesta venga totalmente insabbiata ? Oramai le carte sono andate in piu uffici localizzati in altre città figuriamoci se non siano state contraffatte e manipolate ad hoc,altra domanda la giurisdizione europea può materialmente intervenire sul caso specifico ? ( anche se ripeto ammesso che sia possibile,a meno che de Magistris non abbia una carta vincente e cioè aver fatto delle copie da tenere e presentare eventualmente alla stampa qualora andasse tutto insabbiato) Io penso che De magistris non ha piu nulla da perdere come recitava il vecchio detto cade Sansone e con lui cadono tutti i Filistei,adesso se questi Filistei siano suoi colleghi membri del governo ed alte cariche istituzionale non sarà più un problema di De Magistris ma solo di tutte le persone coinvolte e mi auguro di tutto cuore che questo avvenimento sia a breve scadenza,buon lavoro a tutti
Tecnicissima spiegazione, di cui ringrazio il Dr. Saracino, specie per la porta lasciata aperta alla speranza che qualcuno, che ha deciso di non decidere in ordine alla fondatezza dell'esercizio di un potere - l'avocazione-, voglia poi prendersi la briga di sollevare il problema disciplinare sulla correttezza dell'esercizio di quel medesimo potere (pero', viene da dire, proprio la ventilata conseguenza di provocare addirittura una pronuncia costituzionale sulle aberrazioni introdotte nel sistema ordinamentale allontana ogni fantasia che cio' accada davvero nello specifico...).
Mah, non si puo' mai dire : il coraggio ha percorsi talvolta davvero imperscrutabili!
Cio' che conta e' che la gente, anche quella priva delle notizie "tecniche" necessarie a comprendere i passaggi procedurali, ha perfettamente colto il senso di quello che e' avvenuto e sa da che parte stare, specie dopo l'esperienza dei bizantinismi che hanno ammazzato centinaia di sentenze - e purtroppo non solo quelle...!
Le informazioni oggi circolano piu' facilmente di un tempo e possono, quelli che lo vogliano, andare a cercare le notizie per farsi una idea propria e capire (anche se qualche indicazione autorevole meno timida sarebbe pur utile ai piu', caro Dr. Colombo).
Perciò mi permetto di segnalare qualche altra lettura, diciamo cosi' "bipartisan" : l'ultimo numero di Micromega, il blog di Angela Napoli e la sua ultima interrogazione a Mastella.
Infine, una riflessione : i fatti di questi giorni hanno permesso di far sapere anche a quelli che non operino dentro la Magistratura, che a questa appartengono persone molto opache, con molte cose da nascondere, da farsi perdonare e -probabilmente - con legami di riconoscenza per essere ancora in sella.
Tutto questo e' di una gravita' inaudita ed offende i molti - tanti! - che credono davvero che la funzione giurisdizionale sia uno dei cardini della democrazia e non un comodo approdo donde esercitare solo potere.
Perche' non e' possibile che tale vergogna venga azzerata? In altri codici, in altri ordinamenti (e' notizia di questi giorni) chi contravviene alle regole comportamentali ed avvicina chi non dovrebbe viene raggiunto da sanzione certa, veloce e soprattutto effettiva. Perche' non dovrebbe essere la stessa cosa per chi ha il delicato compito di applicare le norme in modo "uguale per tutti"?
E come puo' succedere che si decida che lo strepitus di una grave violazione comportamentale - in italiano "vergogna" - non sia poi cosi' forte da giustificare l'allontanamento dalla Magistratura di chi, avendo chiaramente violato quelle norme di condotta proba e terza - e non parlo ovviamente dei passaggi in tv -, gia' ha prodotto materia di strepitosa vergogna da doversi da solo allontanare dalla funzione?
Un po' di coraggio, dunque, anche nella giustizia "domestica", e meno ricorso ai sistemi tipici della politica, che si autoassolve sistematicamente in una inaccettabile logica dell'essere "debole con i forti e forte con i deboli".
Buona settimana!
Ragazzi, continuiamo ad offrire il nostro supporto ai magistrati vittime di questo sputtanamento globale ad opera degli illustrissimi inquisiti. Onore anche a quei pochi giornalisti dotati di attributi che non hanno paura di denunciare queste porcate. Ma quanto dovremo aspettare per vedere una reazione da parte della gente comune? Siamo davvero un popolo di anestetizzati...
La procura di Roma ha già rimandato a Catanzaro le carte dell'inchiesta
Secondo i pm eventuali reati non sono riferibili al periodo in cui il leader Udeur era al governo
Why Not, no atti Mastella
al Tribunale dei ministri
ROMA - Non è stato accertato al momento alcun reato di competenza del Tribunale dei Ministri per quanto riguarda la posizione del Guardasigilli Clemente Mastella. E' quanto si apprende da fonti giudiziarie della procura di Roma che hanno inviato parte degli atti sull' inchiesta "Why not" alla procura di Catanzaro. Il pm Sergio Colaiocco, con la supervisione del procuratore Giovanni Ferrara, ha tuttavia trattenuto alcuni atti e continua l' indagine per quanto riguarda la posizione di Mastella prima dell'incarico di governo.
Lo scorso 26 ottobre la procura di Roma aveva ricevuto da Catanzaro i soli faldoni dell'inchiesta "Why not" relativi ai presunti reati commessi dal ministro Mastella. A decidere l'invio degli atti a piazzale Clodio era stato il procuratore generale di Catanzaro, Dolcino Favi, che aveva avocato l'indagine coordinata dal pm Luigi De Magistris. Come di prassi in questi casi, il pm di Roma, Sergio Colaiocco e il procuratore capo Giovanni Ferrara, avevano proceduto all'iscrizione di Mastella (già indagato a Catanzaro) nel registro degli indagati per le ipotesi di reato di abuso d'ufficio, finanziamento illecito ai partiti e concorso in truffa.
A fine ottobre i magistrati romani avevano acquisito le dichiarazioni di Giuseppe Tursi Prato, 54 anni, supertestimone dell'indagine 'Why not' attualmente in carcere per scontare una condanna a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa finalizzata al voto di scambio e per corruzione. Dal racconto di Tursi Prato, ex consigliere regionale del Partito socialdemocratico, ex assessore nonchè ex presidente dell'Asl di Cosenza, non sarebbero emersi fatti penali rilevanti.
Il pentito, in sostanza, si sarebbe limitato a parlare di conoscenze e amicizie di natura politica, che poco o nulla hanno a che vedere con fatti-reato. Per questo motivo, i magistrati di Roma hanno deciso di proseguire gli accertamenti per capire se tutta la vicenda, nata a Catanzaro, abbia o no un qualche fondamento.
In sostanza la procura, dopo avere vagliato gli atti, ha stabilito che non contengono ipotesi di reato riconducibili al periodo in cui Mastella si è insediato al ministero della giustizia. Il pm Colaiocco, con la supervisione del procuratore capo Ferrara, dovrà ora effettuare gli atti istruttori necessari a valutare se nelle carte rimaste a Roma sono individuabili ipotesi di reato relative al periodo in cui Mastella era semplice parlamentare.
(13 novembre 2007)
Ps: non sono esperta in Diritto, quindi vi chiedo se questo può significare che l'avocazione di dolci era inammissibile.
Ci chiede Gadero:
"non sono esperta in Diritto, quindi vi chiedo se questo può significare che l'avocazione di dolci era inammissibile"
No. Questa è questione diversa dalla correttezza o meno della avocazione del dr Favi, anche se è interessante prendere atto dell'inutilità di avere fatto fare "un giro per Roma" agli atti portati via in sua assenza dall'ufficio del collega De Magistris.
Abbiamo esposto le ragioni per le quali quella avocazione ci sembra illegittima in un post del nostro blog, per leggere il quale basta cliccare qui
Grazie per la Vostra attenzione.
La Redazione
....Non ci resta che piangere....!
Ma qualcuno, alla fine, si vergogna?
Sulla pagina di oggi del sito che segnalo la conferma che l'indagine di De Magistris Why not? era seria e pericolosa per i poteri occulti e forti.
http://www.perlacalabria.it/
A proposito del nulla di fatto (avocazione per presunta incompatibilita' e per ritardo nella trasmissione degli atti al Tribunale dei Ministri, che - ora sappiamo - non c'entrava nulla -, estromissione del perito Genchi...), se fosse una commedia potremmo dire "molto rumore per nulla".
Purtroppo e' una tragedia.
Riuscira il nuovo PG Iannelli a porre riparo allo scippo, magari ponendo nel nulla la ingiusta avocazione (lui puo'), restituendo l'indagine a De Magistris, che ne e' la memoria storica, e magari lasciandogli l'ausilio del pool che si e' creato (e che a quanto pare il PM napoletano aveva a lungo richiesto inutilmente?).
Abbiamo tutti capìto che bisognava trovare presto un diversivo ed un "intrattieni" che rallentasse il lavoro di indagine e magari portasse in giro un po' di carte, infelici di essere rimaste chiuse per mesi in cassaforte....
Congratulazioni a chi l'ha pensata!
Ma si poteva destinare a miglior fine tanta abilita' e destrezza, e tutte le energie anche economiche che l'operazione ha richiesto?
Riflettiamoci su.
INTERROGAZIONE DI ANGELA NAPOLI
Ci interroghiamo anche noi?
Al Ministro della giustizia.-
Per sapere - premesso che: con atto ispettivo n. 4-04818 del 17 settembre 2007 l'interrogante aveva denunziato alcune perplessità su provvedimenti assunti dal Tribunale del Riesame di Catanzaro;
nei giorni scorsi il settimanale Panorama nell'articolo «Fondi UE all'indagato numero uno» riportava la notizia in base alla quale il giudice Adalgisa Rinardo, Presidente del Tribunale del Riesame di Catanzaro, avrebbe in passato annullato il sequestro dei conti correnti intestati ad Annunziato Scordo e Giovanna Raffaelli, decretato dalla Procura della Repubblica di Catanzaro nell'ambito dell'indagine «Poseidone»;
sempre dalla stessa fonte si apprende che pochi giorni prima del provvedimento di dissequestro dei citati conti correnti, il figlio del Presidente del Tribunale del Riesame di Catanzaro aveva festeggiato il matrimonio in una tenuta riconducibile proprio ai coniugi Annunziato Scordo e Giovanna Raffaelli -:
se non ritenga necessario ed urgente inviare una visita ispettiva presso il Tribunale del Riesame di Catanzaro per accertare eventuali responsabilità nel riesame di alcuni atti che, se corrispondenti al vero, risulterebbero di estrema gravità. (4-05553)
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