martedì 30 giugno 2009

Consulta, la cena segreta




di Peter Gomez
(Giornalista)





da L’Espresso del 25 giugno 2009


Un incontro carbonaro tra il premier, Alfano, Ghedini e due giudici della Corte Costituzionale. Per parlare di giustizia. Ma sullo sfondo c’è anche l’immunità di Berlusconi

Le auto con le scorte erano arrivate una dopo l’altra poco prima di cena.

Silenziose, con i motori al minimo, avevano imboccato una tortuosa traversa di via Cortina d’Ampezzo a Roma dove, dopo aver percorso qualche tornante, si erano infilate nella ripida discesa che portava alla piazzola di sosta di un’elegante palazzina immersa nel verde.

Era stato così che in una tiepida sera di maggio i vicini di casa del giudice della Corte costituzionale Luigi Mazzella, avevano potuto assistere al preludio di una delle più sconcertanti e politicamente imbarazzanti riunioni, organizzate dal governo Berlusconi.

Un incontro privato tra il premier e due alti magistrati della Consulta, ovvero l’organismo che tra poche settimane dovrà finalmente decidere se bocciare o meno il Lodo Alfano: la legge che rende Silvio Berlusconi improcessabile fino alla fine del suo mandato.

Del resto che quello fosse un appuntamento particolare, gli inquilini della palazzina lo avevano capito da qualche giorno.

Ilva, la moglie di Mazzella, aveva chiesto loro con anticipo di non posteggiare autovetture davanti ai garage.

“Non stupitevi se vedrete delle body-guard e se ci sarà un po’ di traffico, abbiamo ospiti importanti ...”, aveva detto la signora Mazzella alle amiche.

Così, stando a quanto ‘L’espresso’ è in grado ricostruire, a casa del giudice si presentano Berlusconi, il ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini.

Con loro arriva anche un altro collega di Mazzella, la toga Paolo Maria Napolitano, eletto alla Consulta nel 2006, dopo essere stato capo dell’ufficio del personale del Senato, capo gabinetto di Gianfranco Fini nel secondo governo Berlusconi e consigliere di Stato.

Più fonti concordano nel riferire che uno degli argomenti al centro della riunione è quello delle riforme costituzionali in materia di giustizia.

Sul punto infatti Berlusconi e Mazzella la vedono allo stesso modo.

Non per niente il giudice padrone di casa è stato, per scelta del Cavaliere, prima avvocato generale dello Stato e poi, nel 2003, ministro della Funzione pubblica, in sostituzione di Franco Frattini, volato a Bruxelles come commissario europeo.

Infine l’elezione alla Consulta a coronamento di una carriera di successo, iniziata negli anni Ottanta, quando il giurista campano militava in un partito non certo tenero con i magistrati, come il Psi di Bettino Craxi (ma lui ricorda di aver mosso i primi passi al fianco dell’avversario di Craxi, Francesco De Martino), diventando quindi collaboratore e capo di gabinetto di vari ministri, tra cui il suo amico liberale Francesco De Lorenzo (all’epoca all’Ambiente), poi condannato e incarcerato per le mazzette incassate quando reggeva il dicastero della Sanità.

La cena dura a lungo.

E a tenere banco è il presidente del Consiglio. Berlusconi sembra un fiume in piena e ripropone, tra l’altro, ai presenti una sua vecchia ossessione: quella di riuscire finalmente a riformare la giustizia abolendo di fatto i pubblici ministeri e trasformandoli in “avvocati dell’accusa”.

L’idea, con Mazzella e Napolitano, sembra trovare un terreno particolarmente fertile.

Il giudice padrone di casa non ha mai nascosto il suo pensiero su come dovrebbero funzionare i tribunali.

Più volte Mazzella, come hanno in passato scritto i giornali, ha ipotizzato che la funzione di pm fosse svolta dall’avvocatura dello Stato.

Solo che durante l’incontro carbonaro l’alto magistrato si trova a confrontarsi con uno che, in materia, è ancora più estremista di lui: il plurimputato e pluriprescritto presidente del Consiglio.

E il risultato della discussione, a cui Vizzini, Alfano e Letta assistono in sostanziale silenzio, sta lì a dimostrarlo.

‘L’espresso’ ha infatti potuto leggere una bozza di riforma costituzionale consegnata a Palazzo Chigi un paio di giorni dopo il vertice.

Una bozza che adesso circola nei palazzi del potere ed è anche arrivata negli uffici del Senato in attesa di essere trasformata in un articolato e discussa.

Si tratta di quattro cartelle, preparate da uno dei due giudici, in cui viene anche rivisto il titolo quarto della carta fondamentale, quello che riguarda l’ordinamento della magistratura.

Nove articoli che spazzano via una volta per tutte gli ‘odiati’ pubblici ministeri che dovrebbero essere sostituiti da funzionari reclutati anche tra gli avvocati e i professori universitari.

Per questo è previsto che nasca un nuovo Consiglio superiore della magistratura (Csm) aperto solo ai giudici, presieduto sempre dal presidente della Repubblica, ma nel quale entrerà di diritto il primo presidente della Corte di cassazione, escludendo invece il procuratore generale degli ermellini.

L’obiettivo è evidente.

Impedire indagini sui potenti e sulla classe politica senza il placet, almeno indiretto, dell’esecutivo.

Del resto il progetto di Berlusconi di incrementare l’influenza della politica in tutti i campi riguardanti direttamente o indirettamente la giustizia trova conferma anche in altri particolari.

Per il premier va rivisto infatti pure il modo con cui vengono scelti i giudici della Corte costituzionale aumentando il peso del voto del parlamento.

Anche la riforma della Consulta è un vecchio pallino di Mazzella.

Nei primissimi anni ‘90 il giurista, quando era capogabinetto del ministro delle Aree urbane Carmelo Conte, aveva tentato di sponsorizzare con un articolo pubblicato da ‘L’Avanti’ l’elezione a presidente della Corte dell’ex ministro della Giustizia Giuliano Vassalli e aveva lanciato l’idea di modificare la Carta per affidare direttamente al capo dello Stato il compito di sceglierne in futuro il presidente.

Allora i giudici non l’avevano presa bene.

Da una parte, il pur stimatissimo Vassali, era appena entrato a far parte della Consulta e se ne fosse diventato il numero uno per legge avrebbe ricoperto quell’incarico per nove anni.

Dall’altra una modifica dell’articolo 138 della Costituzione avrebbe finito per far aumentare di troppo il peso del presidente della Repubblica che già nomina cinque giudici.

Per questo era stato ricordato polemicamente proprio dagli alti magistrati che stabilire una continuità tra Quirinale e Consulta era pericoloso.

Perché la Corte costituzionale è l’unico giudice sia dei reati commessi dal capo dello Stato (alto tradimento e attentato alla Costituzione), sia dei conflitti che possono sorgere tra i poteri dello Stato, presidenza della Repubblica compresa. Altri tempi.

Un’altra Repubblica. E un’altra Corte costituzionale.

Oggi, negli anni dell’impero Berlusconi, un imputato che fonda buona parte del proprio futuro politico sulle decisioni della Corte, che dovrà pronunciarsi sul Lodo Alfano, può persino trovare due dei suoi componenti disposti a discutere segretamente a cena con lui delle fondamenta dello Stato. E lo fa sapendo che non gli può accadere nulla.

Al contrario di quelli dei tribunali, le toghe della Consulta, non possono ovviamente essere ricusate.

E dalla loro decisione passerà la possibilità o meno di giudicare il premier nei processi presenti e futuri.

A partire dal caso Mills e dal procedimento per i fondi neri Mediaset.


11 commenti:

francesco Grasso ha detto...

Ciò che riferisce Peter Gomez,non è per nulla una novità nella storia della nostra amata "Italia dei Misteri", ove impera la "ragnatela dell'illegalità". Ma vi è di molto peggio e sono le categorie che sfuggono all'attenzione dell'opinione pubblica e che non entrano mai nei servizi come quello per cui argomentiamo e che assicurano l'impunità,una vera e propria immunità giurisdizionale, a persone di tutti i generi. E RIPETO CHE NON VENGONO MAI MENZIONATI DAI MEZZI DI DIFFUSIONE! Certo una novità c'è ed è quella che i gravissimi motivi che hanno determinato un costante peggioramento delle condizioni della giustizia sono arrivati al culmine. Ad un punto tale che è necessari provvedere da parte della base.O troviamo il modo di provvedere o la catasrtofe è prossima.

Anonimo ha detto...

Si non caste saltem cautem.

Alessandra

Vittorio Ferraro ha detto...

"La Corte è il frutto congiunto sia di ragioni giuridiche che di atteggiamenti spirituali e motivi psicologici.
Le une hanno influito sugli altri e viceversa.

L'equilibrio è fragilissimo e può essere facilmente spezzato e dobbiamo esserne consapevoli.

Spirito e psicologia orientati al superiore interesse della protezione della Costituzione dalle turbolenze della contesa politica sono affare dei giudici.

I presupposti giuridici sono affare del legislatore."


Queste riflessioni - solo un piccolo spunto di una relazione - sono state scritte alcuni anni fa dal prof. Gustavo Zagrebelsky.

Anonimo ha detto...

"Caro Silvio," cosi' scrive il giudice Mazzella nella sua lettera aperta su Repubblica, dove dichiara di essere un amico intimo di mr. B : come puo' un amico pronunciarsi sul lodo Alfano ???

DEVE DIMETTERSI !!!!

http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/politica/lodo-alfano-cena-giudici/parla-vito/parla-vito.html

francesco Grasso ha detto...

Alessandra, certo "se proprio non puoi farne a meno almeno fallo con moderazione" a chi ti rivolgi? se a noi, grazie, se alla controparte no!Questa è la filosofia di Provenzano e "dell'Innocente" che ha fatto divenire la "ragnatela dell'illegalità" onnipotente!

La Redazione ha detto...

Costituzione, art. 111:
Ogni processo si svolge nel contradditorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale.

Codice di procedura civile, art. 51: Il giudice ha l'obbligo di astenersi ... se è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori.

Corte costituzionale- Delibera 7 ottobre 2008 - Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (G.U. 7 novembre 2008, n. 261), art. 29: Astensione e ricusazione dei giudici. - 1. Nei giudizi di cui alle presenti norme integrative non trovano applicazione cause di astensione e di ricusazione dei giudici.

Che dire, la delibera della Corte appare di dubbia compatibilità proprio con un fondamentale principio della Costituzione, quello del giusto processo.
In certi casi la presunzione (assoluta) d'imparzialità dei suoi componenti vacilla, quanto meno sotto il profilo dell'apparenza.

Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

Per Francesco Grasso,
non mi riferivo certo a "noi".
Se gli interessati vogliono sostenere pubblicamente di onorarsi delle loro amicizie, rigore vorrebbe che autorità super partes con un prestigio costituzionale da garantire, avrebbero il dovere di astensione non fomentare lecite, facili "malizie".
Alessandra

Anonimo ha detto...

Alla Consulta lo spiegano con parole semplici. Queste: "La decisione sul lodo Alfano, com'è stata quella sul lodo Schifani, rappresenta un unicum. Abbiamo di fronte leggi del tutto particolari, che non sono astratte, che non riguardano migliaia di cittadini, ma uno solo. E a uno solo sono state applicate. Quell'uomo politico, quel presidente è Berlusconi. La decisione della corte perde la sua astrattezza, si cala inevitabilmente nel personaggio, ne decide la sorte politica, Può uno di noi, alla vigilia di questa decisione, andare a cena con quest'uomo? No, non può. E non è necessario che ciò sia scritto o vietato. Lo dice il buon senso comune. Se la nostra opzione dev'essere sopra le parti, come sarà, i comportamenti devono essere sterili, come se fossimo in sala operatoria".

la domanda che mi pongo e':
questa notizia e' solo su Repubblica?
queste dichiarazioni sono ufficiali?
che tipo di intervento puo' essere adottato nei confronti dei giudici Mazzella e Napolitano ?

http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/politica/lodo-alfano-cena-giudici/retroscena-consulta/retroscena-consulta.html

Mauro C. ha detto...

Il titolo, profetico, di un post mio (in tempi non sospetti)dell' 8/10/2007 su LA STAMPA.it FORUM, Politica italiana e i blog:

X Marco1 "Metti(un giudice)una sera a cena" con...

che inizia così: "Il problema etico-morale per il cdx 'non' si pone, della "torta" raffigurata da Grillo sui ìpartiti condannati' ne possiede l'84%, il resto al csx...cui la "sx" non può più vantare quella superiorità morale...morta con Berlinguer..."

Ora, sullo scontro Gelmini con la Corte C. per cui le dichiarazioni della ministra rasentano l'insulto alla Corte Costituzionale che avrebbe perso tempo a discutere di argomenti "inesistenti" e "superati", si prevede un'altro invito a "la cena dele beffe"?

L'arroganza, la superficialità e l'ignoranza istituzionale dei ministri di questo governo è paradossale. Una ministra dell'istruzione dovrebbe dare, invece, prova di disponibilità al confronto, all'approfondimento delle problematiche e alla "correzione"....

Vittorio Ferraro ha detto...

Riporto un altro passo della relazione del prof. Gustavo Zagrebelsky. Credo che sia un ottimo contributo alla discussione.

"L'assenza di indirizzi precostituiti non significa però discontinuità della giurisprudenza. Ma è una continuità su un piano più elevato, il piano della Costituzione.

Un organo come il parlamento è lì per legiferare secondo le esigenze politiche e sociali emergenti.
Quando una questione è affrontata sul piano legislativo, è per riscrivere la legge sul presupposto che la precedente sia da sostituire, che occorra ricominciare, se occorre da zero.

Per un organo giudiziario, e per la Corte in particolare, la situazione è opposta.

Quando una questione è portata al nostro esame, è per riconfermare la continuità del valore della Costituzione.

Noi non possiamo mai ripartire da zero. Se non fosse così, la decisione apparirebbe, anzi sarebbe il prodotto della pura volontà del momento e non della ragione giuridica radicata nei testi costituzionali ed elaborata nel corso degli anni dalla giurisprudenza.

L'altissimo valore attribuito al precedente è tale che talora lo si preferisce confermare, anche quando possono apparire ragioni giuridiche per superarlo o rovesciarlo.

Vale l'esigenza di continuità.

Si tratta, pur nell'insoddisfazione per la singola decisione, di salvaguardare un'esigenza più elevata, la stabilità del principio giuridico e la prevedibilità della sua applicazione; alla fine, si tratta di salvaguardare il carattere di un organo che 'dice', non 'crea' il diritto.

I cambiamenti, naturalmente, ci sono. Guai se la giurisprudenza non fosse anch'essa 'vivente': ma lo sviluppo è graduale, per distinzioni e aggiustamenti progressivi.

I revirements sono rarissimi e, tutto sommato, non giovano alla reputazione della Corte."

francesco Grasso ha detto...

ALESSANDRA
si certo,hai ragione,questo è il punto cruiale.Grazie.