giovedì 3 gennaio 2008

Dei diritti e delle paure


di Giovanni Maria Flick
(Vicepresidente della Corte Costituzionale)



da L’Unità del 2 gennaio 2008

Esiste oggi, drammaticamente, un agitato sentire sociale che – più o meno consapevolmente – associa tutta una serie di fenomeni, assai diversi tra loro, incanalandoli nell’unico, grande filone «emergenziale».

Così, sentiamo evocare il concetto di emergenza tutte le volte in cui si è in presenza di una violenza che oltrepassa l’episodicità; in cui si assiste a episodi delittuosi che hanno una parvenza di serialità, per provenienza e modalità; o in cui si è di fronte a quella microcriminalità diffusa, che si esprime con cadenze costanti.

La presenza multietnica nelle nostre metropoli viene vista, immediatamente, come un’emergenza epocale al pari della tutela delle vittime; in generale, il problema della sicurezza viene, sempre più spesso, spostato «verso l’alto».

Ossia in quel contenitore onnicomprensivo ormai conosciuto – anche dai non addetti ai lavori – come “diritto penale dell’emergenza”.

In esso, oggi, si tende a far confluire un po’ di tutto: dalle emarginazioni sociali ai disadattamenti della convivenza tra etnie diverse; dalla rinascita del “diritto penale d’autore” ai malesseri sociali; arrivando, persino, a includervi i disagi della famiglia o delle microconvivenze, se è vero che, persino in occasione di efferati delitti maturati in ambito domestico, abbiamo letto che la stessa violenza in famiglia o verso amici o conviventi costituisce la “nuova emergenza” criminosa.

Ogni “falsa” emergenza, si nutre poi, naturalmente, dei rituali per esorcizzare l’insicurezza che la genera; questi ultimi, a loro volta, divengono – per un’eterogenesi di fini di immediata leggibilità – occasione di ulteriore, falsa emergenza.

Rispetto a un’irrazionale paura collettiva, nulla ha maggiore capacità di aggregazione (a buon mercato e con il rischio di un populismo a sua volta aggregante) della minaccia di repressione penale: una risposta esemplare (“tolleranza zero” e “risposte forti”); simbolica (le “leggi manifesto”, anche prescindendo dalla verifica dell’esistente normativo, magari mai attuato); emotiva (le categorie del Tatertip, appunto, oppure la repressione proclamata al di là ed indipendentemente da ogni effettività di tutela). (...)

L’emergenza che mette alla prova i diritti fondamentali della persona non è la “falsa” emergenza dei fenomeni microsociali e della paura sociale che essi generano.

Essa, purtroppo, assume contorni ben diversi – emblematici e reali, al tempo stesso – a seconda delle situazioni da cui origina; ed è un concetto che ovviamente si relativizza nello spazio e nel tempo, assumendo connotazioni di gravità assai variegate che, a loro volta, generano differenti livelli di compressione dei diritti fondamentali.

E possibile, infatti, che un contesto di eccezionalità si realizzi in un dato momento storico per eventi o fenomeni della più varia natura: può trattarsi di catastrofi naturali; di guerre; di scontri sociali e simili.

Ed è ovvio che a ciascun fenomeno corrispondano esigenze di tutela altrettanto differenziate.

E’ la nostra Costituzione, ad esempio, a prevedere che in presenza di motivi di sanità possa essere limitata dalla legge la libertà di circolazione e di soggiorno sul territorio nazionale e possa essere compressa la inviolabilità del domicilio attraverso la esecuzione di ispezioni secondo le leggi speciali. (...)

Di fronte a questa pluralità di accezioni, mi sembra opportuno fermarsi a riflettere sul fenomeno che presenta in atto i connotati di più alto allarme collettivo: il terrorismo internazionale.

Sono, infatti, proprio le gravissime forme in cui quel fenomeno tragicamente si esprime a rappresentare di per sé (aggredendo i singoli Stati, attraverso la emblematicità ed estensione dei fatti di sangue) l’emergenza collettiva di più estesa e percepibile pregnanza.

Da tutto ciò scaturisce, dunque, il rischio che a tale acme di terrore, finiscano per corrispondere – sull’onda di logiche eccessivamente “semplificatorie” – deprecabili rimedi, per così dire, uguali e contrari, che finirebbero per travolgere i valori su cui si fonda il concetto stesso dello Stato di diritto.

Qualsiasi struttura costituzionale, infatti, non può rinunciare – pena la sua evidente incongruenza giuridica – alla individuazione di una soglia minima di garanzie che devono proteggere l’individuo in quanto tale, a prescindere dalle esigenze di salvaguardia dello Stato collettività o, financo, dello stesso Stato persona.

Spesso ci si interroga su quale sia il crinale che distingue il diritto di difesa dalla “ingiusta” compressione del diritto altrui; ed è altrettanto frequente il richiamo a un machiavellico principio di “fine che giustifica i mezzi”.

Ma, per non superare quell’invalicabile crinale che è patrimonio coessenziale dello stesso Stato di diritto, occorre che i valori dell’individuo – che corrispondono “naturalmente” ai valori della collettività in cui esso si esprime – non vengano compressi al di là della soglia (variabile ma sempre identificabile in concreto) che ne determinerebbe la sostanziale vanificazione.

In tale prospettiva deve quindi essere vista con estremo favore la recente iniziativa delle Nazioni Unite sulla moratoria della pena di morte, giacché è proprio questa la base etico-giuridica su cui edificare uno “statuto” dei diritti dell’individuo che viva nella concretezza delle dinamiche istituzionali, al di sopra e se si vuole anche a prescindere da qualsiasi “Carta” meramente declamatoria. (...)

Che certi gradi di divaricazione tra sicurezza e legalità (e dunque anche rispetto alla dignità) possano sussistere, è inevitabile, entro certi limiti, anche in situazioni ordinarie.

Ciò che invece rappresenta un rischio (e, dunque, la prova per i diritti fondamentali) è una sorta di “cronicizzazione” e di “normalizzazione” dell’emergenza, idonee a trasformare il ricorso a misure eccezionali – quali ad esempio, la limitazione o la sospensione di diritti fondamentali – in una sorta di prevenzione senza fine, giustificata dal pericolo del terrorismo.

In breve, il pericolo è quello di enfatizzare e di strumentalizzare paure e insicurezze sociali per veicolare limiti alle libertà, secondo il criterio dell’innesto all’apparenza innocuo e senza effetti collaterali: come un veleno che – assunto in dosi insignificanti, ma continue – determina l’assuefazione e, quindi, la tolleranza dell’organismo.

Ora, questo effetto di “mitridatismo sociale” verso l’indebolimento dei diritti – vale a dire: questa condizione di immunità a più veleni per la democrazia, raggiunta tramite l’assuefazione, a causa dell’assunzione costante di dosi non letali di compressione dei diritti – è, probabilmente, il rischio più serio per questi ultimi, proprio in quanto idoneo ad alterarne la prospettiva.

E’ un rischio causato non tanto e non solo dall’assuefazione a tale indebolimento, quanto e soprattutto dalla confusione tra due piani temporali completamente diversi.

Si rischia, cioè, di confondere l’orizzonte storico dei diritti fondamentali con il transeunte dell’emergenza, annullando, in quest’ultimo, lo stabile assetto dei primi.

Per semplificare, il rischio è quello di invertire le proporzioni temporali dei due termini: considerare l’emergenza quale condizione duratura dell’odierna civiltà, quasi un portato inevitabile e ineliminabile delle contraddizioni di un mondo assai poco omogeneo; e considerare, per contro, i diritti quale variabile dipendente, elastica, come qualcosa che può e deve plasmarsi secondo la contingenza storica, comprimibile e riespandibile e, dunque, adattabile alle circostanze.

In breve, una concezione mobile della dignità umana e dei diritti che la presidiano: perché col terrorismo dobbiamo convivere; mentre i diritti li possiamo comprimere.

Correlato a ciò, è il rischio di trasformare il diritto penale – opportunamente derogato nei suoi principi fondamentali: legalità, materialità, offensività, personalità della responsabilità, colpevolezza, proporzionalità, rieducazione, giusto processo – in un ordinario diritto penale “del nemico”; magari esteso – una volta che l’innesto nel corpo sociale abbia avuto i primi effetti di assuefazione – anche a campi diversi, a manifestazioni criminali comuni.

Persino a una microcriminalità colorita con le tinte fosche della xenofobia.

Sono solo scenari apocalittici?

Non credo. Sono scenari possibili, soprattutto se, culturalmente, passa l’idea di una inconciliabilità della tenuta dei dritti di fronte all’emergenza; se, cioè, si pensa (e quindi si agisce) come se (ancora una volta) uno dei due termini della relazione dovesse comunque annullarsi.

E, poiché non è in nostro potere il porre fine all’emergenza, è intuitivo capire quale sarebbe il termine sacrificato.

(Il testo è tratto dall’intervento di Giovanni Maria Flick al convegno organizzato dall’Associazione Silvia Sandano in onore di Aharon Barak e che si è svolto all’Università La Sapienza di Roma lo scorso 6 dicembre)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Se la norma giuridica nasce, o almeno dovrebbe nascere, dal comune sentire sociale e da ciò che la comunità di riferimento avverte come esigenza di regolamentazione in rapporto agli obiettivi minimi di pacifica convivenza ed ai suoi diritti fondamentali da tutelare, non resta da chiedersi se la consapevolezza di una norma giuridica che nasce sempre più vecchia ed in ritardo rispetto a quelle esigenze abbia determinato una voluta legislazione dell'emergenza. Che però genera un rimedio peggiore del male. Che il pericolo sia il terrorismo internazionale, l'omicidio d'impeto o il semplice scippo della casalinga sotto casa, quel che si avverte è il senso di angoscia, l'insicurezza, la paura, la consapevolezza che non c'è più un argine di protezione ai propri diritti e forse neanche alla propria libertà personale genericamente intesa. E' la vera emergenza della persona, del suo sentimento individuale. Cambia il valore del bene giuridico violato? Va bene, è vero. Ma è compito della pena, della sanzione, della funzione general preventiva del diritto penale. Perchè se uno Stato si impegna solo a legiferare sul terrorismo internazionale, senza magari porsi in comparazione e collaborazione con la legislazione e gli strumenti di tutela europei e internazionali, e poi si dimentica del tutto di contrastare fenomeni come lo scippo alla massaia, la disoccupazione che genera altri reati, i rifiuti, l'acqua pubblica,etc. è uno Stato che produce potente veleno per combattere la peste, ma poi muore per un raffreddore. Perchè lo Stato-comunità e il cuore dello Stato-apparato, il quale può essere anche bello e scattante, ma poi rischia di affannarsi ogni giorno di più e di morire d'infarto.

Anonimo ha detto...

Scustae, riprendiamo a leggere le questioni che riguardano l'altra emergenza nazionale, la giustizia.

http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta1&id=67

Ci chiediamo, puo' il sen. Mancino occuparsi del caso di De Magistris nei prossimi giorni? E degli altri PM potentini che a quanto pare si occupano di vicende assai vicine alla indagine "Toghe Lucane", l'unica non ancora scippata al PM di Catanzaro?
E della strapazzatissima Forleo, puo' occuparsene il CSM cosi' come oggi composto?

Capiamo forse ora perche' qualche altro componente del CSM si e' potuto esprimere cosi' come scandalosamente ha fatto senza subire alcuna ripercussione!

Teniamo alta la guardia, poiche' nei prossimi giorni si gioca una partita vitale per la democrazia, e non bisogna perdere di vista la tutela di questi magistrati isoalti e coraggiosi.

Anonimo ha detto...

E' un blog che ha pieno diritto di essere nel Thinking Blogger Awards.

Complimenti


http://visionionline.splinder.com/post/15382564/CI+SIAMO+ANCHE+NOI

Anonimo ha detto...

Dal Corriere della Sera 10.1.2008
Carlo Vulpio
Caso Forleo,indagati un pm e un uffuciale
Potenza-IlGip di Milano,Clementina Forleo,non vaneggiava quando sosteneva che la Procura di Brindisi aveva indagato poco e male sulla morte dei suoi genitori,avvenuta il 28 agosto 2205.Il pm di Potenza,Ferdinando Esposito,ha aperto un fascicolo in cui tra gli indagati avrebbe iscritto di sicuro uno dei due pm di Brindisi coinvolti nella vicenda (Alberto Santacatterina e Vincenzo Ngri) e il tenente dei carabinieri di Francavilla Fontana (città della Forleo),Pasquale Ferrari:
Molto gravi le ipotesi di reato:frode processuale,induzione a commettere reati e calunnia.
I genitori di Clementina Forleo, Gaspare e Stella,muoiono il 28 agosto 2005 in un incidente stradale.Ma attenzione alle date:il 5 maggio viene distrutta una loro villa di campagna, il 20 giugno iene incendiato l'intero raccolto di foraggio dell'azienda agricola di famiglia e il 21 lugliola Forleo riceve una lettera che dice:"Andrai dietro la bara dei tuoi genitori".In tutto questo periodo, i genitori della Forleo ricevono decina di telefonate anonime di minacce,anche mute.
E' una coincidenza, ma in quelle settimane è noto a tutti che la Forleo si sta occupando della scalata bancaria Unipol-Bnl.Così quando accade l'incidente,la prima cosa a cui pensa la Forleo è un sabotaggio dell'auto. I pm di Brindisi fanno una "relazione"soltanto il 29 agosto2005.Il giorno dopo la Forleo riceve un'altra lettera di "felicitazioni"per il grave lutto.A questo punto è in discussione l'inerzia investigativa di pm e tenente che, secondo una ricostruzione dei fatti contenuta in un'audiocassetta "esplosiva",avrebbe cercato di "rimediare" querelando la Forleo. E si sarebbero accordati per presentare la denuncia quando in Procura fosse stato di turno il pm Negro. Poi la Forleo,ha rifiutato la remissione della querela.E i pm di Brindisi l'hanno indagata per ingiurie al tenente.Infine,ancora un incidente d'auto.Il pm Esposito nei giorni scorsi è finito fuori strada e, in fin di vita, si è salvato per miracolo.
La vicenda costituisce uno dei capi di imputazione formulati dal pg della Corte di Cassazione, Mario Delli Priscoli,nei confronti della Forleo:Ma se si accerterà che anche questa storia è una montatura (come quella dei poliziotti della Questura di Milano che querelarono il Gip)il processo di CSM e Cassazione al gip di Milano poggerà sul nulla.

I miei fiduciosi auguri al Gip Clementina Forleo.
I soldi della mafia da palermo a Milano sono riusciti a fare l'unità degli italiani. Chissà cosa ne pensa D'Alema:
Un caro saluto
Alessandra