sabato 20 settembre 2008

La giustizia a proprio uso e consumo


Si è discusso qui nei giorni scorsi della svergognatezza di Sofri. Ritorniamo sul caso.

Premesso che la questione non è in nessun caso se Giuseppe Pinelli sia stato ucciso o si sia suicidato, ma solo se Adriano Sofri fosse allora legittimato a deciderlo da sé e a fare assassinare quello che lui aveva deciso che fosse il colpevole e oggi a decidere che quell’omicidio è stato un bel gesto di pietà, riportiamo una intervista a Gerardo D’Ambrosio, che fu il giudice istruttore che indagò sulla morte di Pinelli e stabilì che non si trattò di omicidio.

Fermo restando che chiunque può sbagliare e dunque anche D’Ambrosio, ciò che è pacifico è che D’Ambrosio è stato magistrato di eccezionali capacità professionali e di nessuna vicinanza a logiche poliziottesche che potessero indurlo a “coprire” la polizia.


Se orientamenti politici gli sono stati attribuiti, questi sono stati sempre “di sinistra” e non “di destra”.

Oggi, lasciata la magistratura per raggiunti limiti di età, è senatore del Partito Democratico.

Dopo di che, ciò che veramente scoraggia è che l’incapacità di pensare secondo logiche legalitarie, democratiche e costituzionali in Italia non ha colore.

Come per la destra i Previti sono innocenti “a prescindere”, per la sinistra lo sono i Sofri.

E quando i fatti rendono molto difficile sostenere “innocenze” (???) così tanto spudorate, ci si rifugia nel “… e però ci sono colpe e colpe”.

La giustizia, una giustizia semplice, senza aggettivi e senza colori di parte, non la vuole proprio nessuno.

Il grande profeta Sofri, dall’alto della sua condanna per omicidio, ci spiega la differenza fra “terrorismo” e “giustizialismo” a fini di pietà. Come se nella deriva demenziale di questo Paese ci mancasse solo di subire le lezioni di “morale” da Sofri. Attendiamo nei prossimi giorni delle belle lezioni di onestà da Previti. Il tutto, ovviamente, su Il Giornale, che in questi casi non fa distinzioni fra destra e sinistra.


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«Una lobby per Pinelli. Ma io non trovai neanche una prova dell’omicidio»


di Tommaso Labate
(Giornalista)



da Il Riformista del 20 settembre 2008


«È inaudito, inaudito. Davvero non ho più parole. Ma come si fa ancora a sostenere che Pinelli fu ucciso? Io sono ancora convintissimo di ciò che scrissi in quella sentenza. La mia inchiesta fu meticolossissima, non frettolosa come la prima. Non c’era uno straccio di prova a sostegno della tesi dell’omicidio. Nemmeno una».

Gerardo D’Ambrosio, oggi senatore del Pd, era il giudice istruttore dell’inchiesta sull’omicidio di Pino Pinelli, la stessa che portò al proscioglimento di tutti gli indagati, tra cui il commissario Calabresi.

Dopo che Sofri ha “riaperto” il caso, la vedova del ferroviere anarchico è tornata a sostenere
che il marito fu «buttato giù» dalla finestra della Questura di Milano, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre del ‘69.

«Mi creda – dice l’ex magistrato al Riformista – dopo tanti anni non ho più parole. Hanno detto e scritto un sacco di falsità. Che vuole che dica la vedova Pinelli? E sempre stata convinta dell’uccisione del marito, non cambierà idea certo ora. Quanto a Soffi, faccia come crede. Continuino pure a dire la “loro” verità ma non possono dimostrare di avere ragione. E’ evidente che c’è una lobby, e non parlo solo degli ex Lotta continua, che ha interesse a sostenere che Pinelli fu ucciso ... Ma non fu così».

Dall’inchiesta sono passati 33 anni. Eppure D’Ambrosio dà l’impressione di ricordare anche i dettagli:

«Fu un’inchiesta talmente scrupolosa che mi trovai tutti contro. Lei non ha idea dei soldi che feci spendere per indagare. Facemmo la prova gettando un manichino dalla Questura, poi altre perizie in piscina con un peso identico a quello di Pinelli ... Neanche un tassello combaciava con la tesi dell’omicidio».

Eppure, coloro che sostengono che Pinelli fu creduto morto e poi gettato dalla finestra, di prove, ne hanno sempre portate.

«Ma quali prove?», incalza D’Ambrosio. Che racconta: «Dissero che Pinelli era già morto. Falso: arrivò vivo all’ospedale. Dissero che il segno di agopuntura che aveva sul braccio era il siero della verità che gli era stato iniettato dai poliziotti. Falso anche questo: quel segno era la flebo che gli applicarono al pronto soccorso. C’è una foto che lo testimonia e il Corriere d’Informazione la pubblicò addirittura in prima pagina. Anche su quello indagai, sa? Mi feci dare i negativi, li sviluppai: non c’era traccia di contraffazione. Interrogai anche medici e infermieri dell’ospedale, e più volte. Non c’è che una verità: all’ospedale Pinelli arrivò che era ancora vivo. Mi spiega quindi come facevano ad averlo ucciso prima?».

All’epoca un gruppo di fisici sostenne che la caduta di Pinelli era compatibile con l’omicidio.

D’Ambrosio: «Lo sa che fecero quelle persone? Fecero la media aritmetica di quello che aveva-no detto i testimoni. Suvvia, siamo seri ... Nel 1980, lo ricordo come fosse oggi, uno di quei fisici entrò nel mio studio e mi disse, semplicemente: “Dottor D’Ambrosio, le chiedo scusa. Con la sentenza Pinelli lei ci ha dato una grande lezione”».

Pinelli si suicidò?

«Questo dovremmo chiederlo al Padreterno. Io so solo che non fu ucciso», risponde il senatore. «Era tenuto in quella caserma da tre giorni. Tre giorni senza dormire né mangiare. Tre giorni fumando sigarette a iosa. Avrà avuto un malore ...».

E quando sente parlare di «malore attivo», il tono di voce di D’Ambrosio si fa più alto: «Io non ho mai scritto né parlato di “malore attivo”. Sia chiaro una volta per tutte: quell’espressione fu usata dal settimanale Panorama, non da me».

Tra le tante memorie che sopravvivono al caso Pinelli c’è anche quella di D’Ambrosio:

«Dopo la sentenza su Pinelli, scrissero “D’Ambrosio fascista” non solo sui muri di Milano, ma anche sul quaderno di mia figlia. Dopo il caso piazza Fontana ero invece “D’Ambrosio socialista”. In fin dei conti è questa la scarsa fiducia nei confronti della magistratura. Ora Sofri sostiene che l’omicidio Calabresi non fu terrorismo. E che cos’era, la sentenza di condanna di una Corte d’Assise? E chi la presiedeva questa Corte? Lo stesso Sofri? Ma per favore ...».


73 commenti:

Anonimo ha detto...

Gentile Redazione,
possiamo intervenire?
Pare che Pinelli sia stato tenuto per tre giorni in stato di fermo negli uffici della questura di Milano; esausto, al culmine di detto Week end, si è suicidato!
Posso fare una domanda? Con Ministro degli Interni Maroni ed alla difesa La Russa se avvenisse la stessa cosa oggi, con un Sofri ventenne animatore del Blog di Grillo, contro chi avrebbe fatto la sua campagna denigratoria? Considerato che avrebbe sempre difeso Pinelli, contro il commissario o contro i Ministri?
bartolo

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Bello, appassionato, indignato lo sfogo di Gerardo D'Ambrosio, che condivido 'in toto'.
Non basta ad Adriano Sofri di non essere più in carcere, ma a casa sua, in detenzione domiciliare per gravi motivi di salute (art. 47 ter, comma 1-ter Ordinamento Penitenziario. "Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre l'applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare").
Non è più in carcere, potrebbe farvi ritorno, non si può allontanare dalla propria abitazione, perchè sempre detenzione è, anche se domicciliare e deve stare in casa.
Allora scalpita per fini abbastanza trasparenti: la grazia presidenziale, che non vuole chiedere ma solo accettare.
E vuole anche scrollarsi di dosso la fama di terrorista, rectius, di mandante di un omicidio a fini di terrorismo.
Come andrà a finire questa vicenda ? Quali finalità si nascondono dietro questo affannarsi a scrivere e perchè queste lettere sono pubblicate con così grande risalto ?
Certo è che il soggetto non può infliggere lezioni di morale a nessuno !
Concludo: non è sostenendo che Pinelli fu ucciso, contro la verità storica e quella giudiziaria, che l'omicidio (quello sì) del commissario Calabresi diviene meno grave per l'autore e i suoi mandanti, uno dei quali se ne sta beatamente in Francia non avendo scontato mai un solo giorno di carcere, l'altro ha scoperto che il carcere gli fa male alla salute e l'ultimo pure, ma (questo si) per seri motivi di salute.

Anonimo ha detto...

Grazie Redazione,
io mi trovo d'accordo!
Ma domani, non possiamo condannare la Guzzanti per omicidio se qualcuno nel frattempo impazzisce e uccide il Papa.
b

Cinzia ha detto...

Ma chi mai ha pensato che Pinelli sia stato ucciso?!
Pinelli non è stato ucciso, Pinelli è stato suicidato.
Il caro D'Ambrosio s'indigna nel sentir parlare di suicidio attivo, nessuno vuole mettergli in bocca tali parole, per carità.
Infondo una legge come quella Reale era in vigore per ben nobili scopi e quindi che c'è di strano se una persona può essere tenuta 36 ore in interrogatorio continuo, senza dormire, mangiare o anche solo essere assistito da un avvocato.
La guerra è guerra e chi è debole soccombe, solo chi è un vero uomo resiste oppure chi è illuminato dall'equilibrio dell'innocenza.
Certo non è che D'Ambrosio poteva star lì a rilevare la crudeltà di certi metodi e i loro eventuali nefasti effetti. Se è legale è legale e un giudice bada alla legge, se poi non è umano questo non è un suo problema, lui la sentenza l'ha scritta bene e ci tiene pure a dire che l'indagine è costata un sacco di soldi. Quindi la sua coscienza è a posto.
Mi fa piacere che si senta in pace con se stesso, buon per lui.
Invece io, che non c'entro niente, ancora oggi dopo tutti questi anni quando ci penso mi viene il magone. Ma io faccio parte della schiera dei deboli, non ho gli "attributi" per stare in guerra.

E vabbè, "continuiamo così... facciamoci del male" (diceva Nanni), tanto non mi sarei aspettata di meglio.

"Uguale per tutti" ha detto...

Per Bartolo (commento delle 12.40).

Caro Bartolo,

abbiamo detto che dobbiamo stare ai fatti.

I fatti sono:

1. Sabina Guzzanti ha espresso critiche al Papa. Critiche discutibili, ma critiche. Non ha detto: "Deve morire per quello che ha fatto".

2. C'è una differenza oggettiva tra la critica e l'istigazione all'omicidio.

3. Sofri, comunque e decisivamente, non è stato condannato per ciò che ha detto e scritto, neppure per la parte oggettivamente istigatrice. La condanna riguarda l'avere agito da "mandante materiale" dell'omicidio. Non da "mandante morale".

4. E' vero che a volte alcune differenze sono sottili, ma ciò non significa né che non ci sono né che non dobbiamo difenderle. Una cosa è la critica, che è sempre legittima, altra cosa è l'istigazione all'omicidio.

Così come un conto è dire, per ipotesi, "io sono cattolico e non sono musulmano per questo motivo e quest'altro"; altra cosa è dire: "bastardi musulmani, spero che muoriate tutti".

La Redazione

Anonimo ha detto...

Gentile Redazione,
io vi amo e non voglio polemizzare!
(Giuro che è l'ultima volta che rispondo in merito alla vicenda Sofri).

1- Le critiche della Guzzanti al Papa, nei cui Uffici non si è mai suicidato nessuno, sono stati del seguente tenore: "Ratzinger tra vent' anni sarà morto e finirà all' inferno, tormentato da diavoloni frocioni attivissimi e non passivissimi"

2 e 3. Nel contesto di allora, Sofri ha fatto una campagna di stampa feroce contro Calabresi, ma che abbia mandato Marini, Pietrostefani e Bompressi (bambini plagiati) ad ucciderlo ce lodice Marini. E la giustizia italiana dopo 22 processi ha stabilito che quest'ultimo ha detto la verità e quindi assicurato alla giustizia i responsabili. Io sono libero di non credere e mi piace leggere cosa ha da dire Sofri in merito.

4. Dall'inizio della campagna denigratoria di Sofri contro Calabresi fino al pentimento di Marini non mi pare che sia mai stato indagato per il reato di istigazione all'omicidio.
bartolo

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Sono sempre dell'idea che la gente la mattina, quando s'alza dal letto, spesso dimentica una semplicissima operazione, la seguente:
1) abbassare il pedale della frizione;
2) innestare il cervello;
3) iniziare la propria giornata.
Ciò spiega le castronerie che si ascoltano e si leggono e si fanno quando si va a votare.
Se poi il cervello uno non ce l'ha ...

Anonimo ha detto...

Ricordo molto bene quello che pensai vedendo ,il giorno dopo l'assassinio del comissario Calabresi,il titolo di prima pagina sul giornale Lotta Continua:"Giustizia è fatta". Pensai : che imbecilli, questa gliela faranno pagare!A quell'epoca c'erano ladruncoli di auto che per farsi ammirare e per protagonismo si dichiaravano "prigionieri politici", prendendo con ciò condanne assurde! Ma ,volendo davvero capire la realtà oltre l'apparenza e le chiacchere ,bisognerebbe chiedersi : perchè la dichiarazione di un soggetto che si poteva supporre inaffidabile e vendicativo per ragioni personali come l'ex operaio-massa calabrese Leonardo Marino,sia stato ritenuto attendibile nel denunciare (decenni dopo l'omicidio Calabresi)il suo ex-idolo Sofri di essere il mandante dell'omicidio ? Non dice forse la legge che per condannare qualcuno occorre che vi sia certezza "al di là di ogni ragionevole dubbio"? E qui di dubbi, non foss'altro per il forte movente psicologico che potrebbe aver indotto l'accusatore ad accusare l'imputato ,credo ce ne fossero abbastanza! L'articolo di Sofri sul Foglio contiene a sua volta un movente psicologico :non tradire quello che si stati un tempo anche a costo di non voler ammettere le gravi ingenuità e gli errori commessi. Dovrebbe ,Sofri, chiedersi da dove gli viene la sicurezza che gli assassini di Calabresi non avessero ben altre motivazioni rispetto a quelle pseudo-nobili da lui supposte.

Ciò detto mi sembra che la piu' vicina alla verità sia colei che si firma Cinzia. Sono certa che ricorderà con quale cura fu preparata la strage di Piazza Fontana ,che sta sullo sfondo del "suicidio " di Pinelli e di tanti altri delitti politici. Perchè nessuno si indigna per l'assenza di colpevoli in quella strage?

Anonimo ha detto...

X Bartolo

"Marini, Pietrostefani e Bompressi (bambini plagiati)"

1)
Bambini?
Se fossero stati dei bambini se ne sarebbe occupato il tribunale per i minorenni.

Saranno stati anche giovani ma non si può certo dire che fossero bambini.
Tutti quelli che in quegli anni hanno scelto la via dell'omicidio e della gambizzazione erano giovani, perchè certe cose non le possono fare gli ottuagenari, per ovvi motivi.

Certo però che in un Paese dove un cinquantenne viene definito "giovane promessa del mondo del lavoro", ci sta anche che Marini, Pietrostefani e Bompressi all'epoca rientrassero nella categoria degli infanti.

2)
Plagiati?
Da chi?
Se sono stati plagiati da Sofri, in che senso lo sono stati?
Nel senso che vomita odio oggi, vomita odio domani li ha convinti a far fuori Calabresi?
Se è così, allora Sofri è pienamente colpevole delle colpe che gli sono state riconosciute.

Luciana

Anonimo ha detto...

Per Anonima delle 21.46.

Gentile Amica,

due riflessioni sul metodo.

La prima è questa: lei commenta criticamente le sentenze sul caso Sofri. Mi permette di chiederle una cosa: almeno una di queste sentenze l'ha letta?

Perchè se non le avesse lette - e questo sembra emergere dalla sua ricostruzione dei fondamenti della condanna di Sofri - si deve chiedere come fa a giudicarle.

E' un fatto di metodo.

La seconda considerazione riguarda il fatto che lei si chiede: "Perchè nessuno si indigna per l'assenza di colpevoli in quella strage?"

Sta scherzando, vero?

Ci indignamo da anni in tantissimi per questo.

E - ovviamente - la strage di piazza Fontana è molto più discussa e dolorosamente sofferta dell'omicidio Calabresi.

Ma questo cosa risolve?

Ancora una volta mi permetto di segnalare che non mi sembra logico un modo di ragionare per il quale ogni volta che si discute di qualcosa che "non piace" o "non conviene" si sposta l'attenzione su altro.

La tragina immensa gravità di piazza Fontana è una cosa. L'omicidio del commissario Calabresi un'altra.

Ciascuna ci deve indignare autonomamente e non è che se ci indignassimo di più per piazza Fontana questo ci dovrebbe fare indignare di meno per l'uccisione a sangue freddo di un commissario di polizia che stava per salire sulla sua Fiat 500.

E' la tragedia assurda di questo paese. Scusi se ripeto cose che ho già scritto in calce all'altro post sul caso Calabresi, ma quando rinfacci a un fascista i crimini del ventennio, lui ti chiede perchè non ti indigni per le foibe dei titini e quando rinfacci a un comunista le tante stragi macellaie dei regimi comunisti lui ti chiede perchè non rifletti sull'imperialismo americano.

Grazie a questo sistema, i fascisti si sentono moralmente legittimati a "coprire" i loro macellai e altri si sentono legittimati a considerare "necessità della storia" alcuni crimini con i quali ancora non riusciamo a fare i conti.

Gentile Amica, non me ne voglia, ma io non riesco a indignarmi solo di alcune cose. mi indigno di tutto.

Achille

tanino ferri ha detto...

Le domande sono due?

- E' colpevole chi ha ucciso Calabresi?

- E' stato Sofri?


Chi lo ha ucciso è colpevole aldilà di ogni dubbio. Gli assassini sono da condannare senza se e senza ma. Il commissario Calabresi sembra non entrare per niente con la morte di Pinelli, ma anche se ci avesse avuto a che fare, non spettava a delle bande della morte giustiziarLo (Cinzia ha ragione sulla morte di Pinelli, ma è un altro fatto).

2^ domanda.
Qualcuno ha dei dubbi sulla colpevolezza di Sofri, io sono tra questi.
Premesso che non ho studiato né le sentenze, né gli atti del processo (né io credo che bisogna fare tutto questo per esprimere la propria opinione, ché altrimenti nessuno si farebbe un'opinione più di niente), la mia personale opinione, dagli imput che ho fatto miei, è che Sofri sia stato solo il mandante morale dell'omicidio: da questo a mandante materiale, ce ne corre.
E, fatto per me importante, Sofri ha sempre detto, e continua a dire che non è colpevole dell'omicidio.

Tutt'altra cosa è il giudizio morale che Sofri da sugli assassini: non lo condivido, gli assassini di Calabresi chiuque siano, sono e restano dei volgari assassini.

Anonimo ha detto...

Gentile Tanino Ferri,

che Lei sia convinto dell'innocenza di Sofri è ovviamente del tutto legittimo; ci lasci dire, però, che il fatto che Lei pensi questo senza avere letto neppure le sentenze sul caso, rende la Sua convinzione del tutto inaffidabile.

E', come al solito, una questione di metodo: bisognerebbe conoscere ciò di cui si parla. E' una delle ragioni per cui è nato questo blog ed è ciò che ci sforziamo sempre di fare: trattare i fatti con cognizione di causa, criticamente ma oggettivamente. E' il contrario del metodo pubblicitario che oggi in Italia, purtroppo, imperversa quasi in ogni dove ed incancrenisce la nostra democrazia e, più ancora, il nostro Stato di diritto.

Quanto poi alla distinzione tra "mandante morale" e "mandante materiale", dovrebbe anche sapere che, in base al nostro sistema di responsabilità penale, entrambi i mandanti sono colpevoli se la loro condotta ha avuto una qualche incidenza nella realizzazione del reato.

Dire che Sofri è stato riconosciuto "mandante materiale" e (non solo) "mandante morale", diversamente da quanto Lei sembra avere colto, non serve a segnare il discrimine tra responsabilità penale e morale (il concorso del mero "mandante materiale", infatti, è il caso di scuola di "concorso morale" nel reato) ma semplicemente a dar conto di un fatto così come giudiziariamente acertato.

Chiazzese

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Sono sorpreso.
Come si fa ad avere convincimenti morali se si dichiara di non sapere granchè della vicenda Calabresi e non si sono lette le sentenze (e chi potrebbe, vi sono stati nove-dieci processi) ?
La verità storica non potrà, allo stato, essere accertata 'aliunde'.
La responsabilità penale-giudiziaria, invece, si: vi è una sentenza definitiva di condanna a pena detentiva, mentre le richieste di riapertura del procedimento (non so quante sono ma di certo più di una) sono state tutte bocciate, quanto meno la riapertura non è approdata ad una assoluzione definitiva.
In un solo caso vi fu una sentenza d'appello di proscioglimento, ma il giudice relatore che la redasse subito dopo si dimise dalla magistratura (non ricordo se per anzianità o per vecchiaia).
Certo, il Sofri di oggi è molto diverso da quello degli anni di Lotta Continua, tanti detenuti ho conosciuto io che sono diventati diversi da quelli che erano, ma solo dopo avere scontato quasi per intero una lunga pena detentiva. Non solo. La percentuale di quelli che si sono riconosciuti colpevoli dopo la sentenza irrevocabile di condanna è bassissima: tutti protestavano la propria innocenza.
Solo pochissimi e solo doo la legge Gozzini del 1986, che rese più agevoli le misure alternative alla detenzione ed introdusse i permessi-premio per esito positivo dell'osservazione scientifica della personalità condotta in carcere.
Sofri è diverso perchè sono passati moltissimi anni dal delitto Calabresi e solo nel 1997 vi è stata l'ultima sentenza di condanna definitiva, che oggi è in esecuzione, per ultimo in regime di detenzione domiciliare per gravi motivi di salute.
E' diverso.
Adriano Sofri è un intellettuale di grande spessore, ma può per questo essere ritenuto solo responsabile morale del delitto Calabresi ?
La situazione oggi è la seguente: il P.M. ha provato le sue accuse, la difesa non è riuscita a dimostrarne l'infondatezza.
Queste sono la verità storica e quella giudiziaria, che fino ad oggi collimano.
Tutto il resto sono solo illazioni, che non portano lontano, anzi da nessuna parte.
La stessa cosa vale per chi crede Calabresi responsabile della morte di Pinelli: Calabresi non era nella stanza quando Pinelli cadde dalla finesrtra della stanza della questura di Milano in cui veniva sottoposto ad interrogtorio.
Il Giudice Istruttore Gerardo D'Ambrosio lo ha accertato in una sentenza istruttoria definitiva !
L'affermazione del carattere forte di Pinelli per dubitare non è concludente: sapete quanti caratteri forti si sono spezzati in carcere ? E senza sottoposizione a vessazione alcuna !
La responsabilità certa è che Pinelli fu trattenuto illegittimente in interrogatorio per oltre tre giorni, mentre poteva esserlo solo per due, poidichè doveva essere o associato a S. Vittore o rimesso in libertà.
Non altro.
Certo è che ognuno può continuare a credere ciò che vuole, ma non è credibile.

Anonimo ha detto...

Ogni tanto in questo blog di discussione, si attua un modus operandi, che mi lascia un pò perplessa. Ecchisefrega, dirà la redazione(ovviamente scherzo)Però...
Io capisco bene che una sentenza è una sentenza (di condanna o di innocenza)e vabbé. Eppur vero però, che la storia(penale e non) ci ri-manda (a volte) a sentenze che sono stati errori giudiziari .Due esempi solamente(per non dilungarmi) Portella della Ginestra e il caso Valpreda.Ora, non entro nel merito del caso Sofri, perché ho sempre avuto un rifiuto epidermico per questo 'signore'. Le sue analisi, riflessioni,pensieri, mi sono apparse (a prescindere dal caso Calbresi)sciocche e petulanti (anch'io ho eletto come massimo rappresentante dell''intellighenzia' P.P.Pasolini).Detto ciò, quello che mi lascia perplessa, è che per dimostrare l'inutilità(e la mancanza di etica) di certe affermazioni di Sofri, la redazione, abbia spostato l'oggetto dell'attenzione sul caso Pinelli: siccome Sofri è colpevole, allora Pinelli, si è suicidato. Certo c'è la sentenza dell'esimio D'ambrosio: ma può starci l'errore(giudiziario)? Sono tra quelli/lle,che ritengono che Pinelli sia stato suicidato(sarebbe interessante una disamina del clima dell'epoca)anche se non materialmente da Calabresi.Fossi la vedova di Pinelli, chiederei la revisione del processo.
Ho scritto che sarebbe stata (secondo il mio modesto parere)interessante un excursus del periodo, non perché voglio metter bocca nella scelta del percorso, ma la contestualizzazione storica, avrebbe impedito ciò che la redazione ha più volte ribadito : la scelta dei "beniamini", e di quella falsa umanità inscenata in ogni occasione.

Lia G.

Anonimo ha detto...

Gentile Luigi Morsello,
Lei dice:" il Sofri di oggi è molto diverso da quello degli anni di Lotta Continua, tanti detenuti ho conosciuto io che sono diventati diversi da quelli che erano, ma solo dopo avere scontato quasi per intero una lunga pena detentiva. Non solo. La percentuale di quelli che si sono riconosciuti colpevoli dopo la sentenza irrevocabile di condanna è bassissima: tutti protestavano la propria innocenza.
Solo pochissimi e solo doo la legge Gozzini del 1986, che rese più agevoli le misure alternative alla detenzione ed introdusse i permessi-premio per esito positivo dell'osservazione scientifica della personalità condotta in carcere. " Ed ancora "L'affermazione del carattere forte di Pinelli per dubitare non è concludente: sapete quanti caratteri forti si sono spezzati in carcere ?E senza sottoposizione a vessazione alcuna !"
Ecco, le Sue affermazioni mi hanno rispedito ad una delle pagine più tristi della shoah: quella in cui molti deportati sono stati costretti a prostrarsi dinnanzi ai loro carnefici.
Vede, Lei è stato un ottimo direttore di carceri non le competeva altro. La maggioranza dei cittadini, forse, invece, ha buoni motivi per dubitare sul sistema poliziesco-giudiziario-carcerario del nostro paese.
bartolo iamonte

tanino ferri ha detto...

Insisto

Non credo che per esprimere la propria opinione bisogna aver letto la sentenza, e/o tutte le sentenze e/o uno o più atti processuali di uno o di tutti i gradi di giudizio. L'opinione mia, e quella del meccanico giù in strada, sotto casa mia, valgono a prescindere della lettura di questo o di quel documento, perché altrimenti avremmo due popoli diversi, coloro che hanno e coloro che non hanno letto/studiato/capito le sentenze (gli atti processuali, etc.): i primi titolati a parlare, i secondi no.
Ognuno si fa la propria opinione, tenendosi informato, leggendo i resoconti giornalistici, ed approfondendo quello che ritiene opportuno approfondire.
Poi, onestamente lo dice, io, io che non ho letto la sentenza, ma che mi sono fatto una mia opinione (anche a pelle, perché no?) la penso così e così. Sarà poi il lettore a decidere se sia più credibile il tanino ferri che non ha letto la sentenza ma che crede, forse da ignorante, che, oggi Sofri, non ha nessun beneficio a protestarsi ancora innocente, e potrebbe, quindi, effettivamente essere tale o se sia più credibile Chiazzese che ha letto, l'ultima e le altre sentenze, che conosce tutti gli atti processuali, e che, quindi uno dei pochi in Italia, parla con perfetta cognizione di causa, e la pensa in maniera diversa.

P.s.: il termine di mandante morale è stato da me usato nel senso di ispiratore morale.
Sarebbe come se io dicessi: "Solo una rivoluzione ci potrebbe far uscire da questo "Cul-de-sac" in cui siamo oggi, e domani, avendo un manipolo di insurrezionisti assaltato con le armi Montecitorio, essere accurato di esserne il mandante e condannato... per l'omicidio di...

Anonimo ha detto...

Per Lia G.

Cara Lia,

a me non sembra vero che "per dimostrare l'inutilità(e la mancanza di etica) di certe affermazioni di Sofri, la redazione, abbia spostato l'oggetto dell'attenzione sul caso Pinelli: siccome Sofri è colpevole, allora Pinelli, si è suicidato".

Proprio se fai ciò che tu stessa proponi - e cioè riandare indietro nella storia - potrai constatare che Pinelli nella vicenda Sofri/Calabresi ce lo infilano sempre gli amici di Sofri.

Ogni volta che si parla dell'assassinio di Calabresi, arriva qualcuno a dire: "E si, però Pinelli".

Invece di dire "L'omicidio del commissario Calabresi è stata una cosa vergognosa. Punto", ci sentiamo dire che bisogna contestualizzare (lo hai appena fatto tu). Perdonami: io non voglio contestualizzare nulla. Io voglio che un omicidio sia e resti un omicidio.

Periodicamente la sinistra si interroga sulle ragioni per le quali la gente la schifa. Non voglio entrare in vicende politiche, ma mi permetto di suggerire che scegliere come eroe e profeta morale un assassino non è una cosa che aiuta.

La Redazione non ha alcun interesse a discutere del caso Pinelli.

Ciò che si è fatto è stato cercare di smetterla con questa pretesa che Pinelli sia stato assassinato da Calabresi senza che di questo ci sia la minima prova e neppure indizio.

Di finirla con un percorso illogico per il quale non siamo sicuri che Sofri sia l'assassino di Calabresi anche se sul punto c'è una sentenza di condanna definitiva a Sezioni Unite e siamo invece sicuri che Pinelli lo ha ammazzato Calabresi anche se di questo non c'è uno straccio di prova.

E ciò senza prescindere dall'assurdità che c'è nel parlare - come fai tu - di "errori giudiziari" senza leggere le sentenze.

E' come da Bruno Vespa. Si chiacchiera di cose che non si conoscono.

Tutti a discutere della "assoluzione di Andreotti". Andreotti non è stato assolto e la sentenza dice un sacco di cose che nessuno ha letto, ma un bel mazzetto di intellettuali discute del nulla.

Certo che ci sono stati e ci sono gli errori giudiziari.

Il problema è che chi vuole parlarne si deve documentare. Altrimenti alimenta questo discutere sul nulla.

E' del tutto legittimo ipotizzare che la sentenza di condanna di Sofri sia sbagliata. Ma c'è un solo modo intellettualmente decente per farlo: LEGGERLA. E poi indicarne i passaggi errati.

In mancanza, siamo alla propaganda.

Dire, come fai tu, che c'era un ragionevole dubbio sulla colpevolezza di Sofri senza sapere quali sono gli argomenti usati per condannarlo è irrazionalità allo stato puro.

Significa dire che TU hai un dubbio (non ragionevole, perchè non fondato su argomenti spendibili). La confusione fra "HO un ragionevole dubbio" e "C'E' un ragionevole dubbio" è il fondamento della cultura contemporanea di questo paese: i fatti sono irrilevanti. Contano solo le opinioni.

Berlusconi ha ragionevoli dubbi sulla colpevolezza di Previti. Tutta la sinistra ha ragionevoli dubbi sulla colpevolezza di Sofri. E, diciamolo, quando serve anche di D'Alema e di Latorre.

Ma l'oggetto della nostra discussione era tutt'altro: è possibile sopportare - moralmente, perchè legalmente Sofri può fare e dire quello che vuole - che il condannato per l'omicidio di un commissario di polizia ci dica perchè quell'omicidio non fu terrorismo, ma giustizia?

Questa è la domanda sulla quale si attendono risposte e considerazioni.

Se permetti, ce ne aggiungo un paio di non ancora poste.

Che paese è questo nel quale il condannato per l'omicidio di un commissario di polizia che dimostra la sua pochezza intellettule e morale non avendo la lucidità di capire che di tutte le "lezioni" che ci deve infliggere dall'alto della sua condanna quella sulla "giustezza" dell'omicidio per il quale è stato condannato è la meno opportuna è stato da sempre ed è ancora oggi coccolato da tutte le parti politiche e sommamente dalla sinistra sedicente civile e democratica e ospitato come un profeta nelle più autorevoli testate giornalistiche del paese?

Ed è mai possibile che la storia e la vita di un condannato per l'omicidio di un commissario di polizia invece che essere motivo di riflessione sulle colpe di un certo modo di fare politica siano usate come argomento contro la giustizia?

E infine, per favore me la puoi spiegare la differenza fra il tuo approccio al caso Sofri e l'approccio di Berlusconi al caso Dell'Utri (a parte la differenza che Dell'Utri non è ancora condannato definitivamente)?

Un caro saluto.

Achille

Anonimo ha detto...

Anche se non rientra direttamente nell'oggetto della discussione, penso che si debbano dare ai cittadini delle informazioni precise di diritto processuale penale su un evento del quale hanno parlato molti giornali.
Fra questi anche quello telematico “America Oggi” in cui è dato leggere quanto segue:
"21-09-2008
ROMA. Silvio Berlusconi conferma la volontà del governo di varare la riforma della Giustizia entro l'anno. E attacca nuovamente quella parte della magistratura che utilizza il suo lavoro per "fare politica", prendendo come esempio il cosiddetto processo Mills, che lo coinvolge in prima persona.
"A Milano -spiega parlando a margine dell'inaugurazione del rigassificatore di Porto Viro, a Rovigo- venerdì non hanno permesso che fosse spostata l'udienza e sono andati a cercare difensori d'ufficio. E' qualcosa di impensabile che, chi lavora per il Paese dalle 7 del mattino alle due di notte, venga trattato così. C'è chi si approfitta della Giustizia per fare lotta politica e questo è inaccettabile".
I magistrati di Milano ieri l'altro l'hanno "trattato male" e lui ci tiene a farlo sapere formulando un preciso ‘j'accuse'.
"I miei legali -racconta ai cronisti che lo circondano- erano impegnati nelle commissioni parlamentari e invece di rinviare l'udienza i giudici cosa hanno fatto? Hanno nominato un difensore d'ufficio: qualcosa di davvero impensabile che chi dalla mattina alla sera lavora per il Paese venga trattato così". "Io insomma -si lamenta con forza- sono il recordman delle persecuzioni giudiziarie!".

Questa la notizia.
E' bene che i cittadini sappiano che il codice di procedura penale, precisamente all'art. 97, comma 4, stabilisce che, ove nella udienza dibattimentale manchi il difensore di fiducia, il giudice DESIGNA come sostituto un altro difensore immediatamente reperibile.
La norma è tassativa e indica un comportamente dovuto.
La sua violazione comporterebbe, infatti, una nullità assoluta per lesione del diritto di difesa (art. 179 c.p.p.).
Se il Tribunale non avesse designato un difensore di ufficio, non si sarebbe potuto legittimamente provvedere sulla richiesta di rinvio del processo già prospettata dai difensori assenti.
E se il Tribunale avesse comunque provveduto, senza aver nominato come sostituto un difensore immeditamente reperibile, avrebbe emesso un provvedimento nullo che avrebbe inficiato ogni successivo atto del processo in corso.
Il Tribunale ha quindi applicato la legge, come era suo dovere e come accade ogni giorno -in casi simili a quello descritto- in tutti i Tribunali italiani.

Francesco Messina, giudice penale

Anonimo ha detto...

@ Achille:
l'errore giudiziario, era da me invocato per Pinelli, non per Sofri.E, non ho mai scritto che reputo Calabresi, responsabile materiale della morte del Pinelli.Né ho fatto mia, la crociata del "doppio estremismo" Non ho letto la sentenza di D'ambrosio, ma ho letto ciò che lui ha dichiarato(se non sbaglio il pezzo tratto dal 'riformista, lo avete pubblicato, e non mi pare che sia una sentenza) Vale per farsi (o per avere conferma del) la propria opinione? Ché altrimenti, dobbiamo dire che per qualsiasi vicenda giudiziaria, i/le cittadini/ne,pronunciare non hanno il diritto di prounciarsi se non leggono le sentenze. E guai, a metterle in discussione.. Ma le vicende non hanno soltanto risvolti giudiziari, ma storici,culturali e politici.Esse non sono avulse dal contesto del momento.Ché altrimenti, mi dovete spiegare perché avete glissato tempo fa, l'articolo di Travaglio (lo cito, perché è una fonte che ri-chiamate spesso)che, nonostante la sentenza di innocenza del giudice Di Pisa, titolò il suo articolo, "oltraggio a Borsellino".

Francamente la tua invettiva su ciò che per me è certo o no, mi pare pretestuoso: ho avuto il privilegio di avere incontrato persone (compresi pm, e giudici) che mi hanno insegnato a non dicotomizzare tra fatti e opinioni. E a farmi sui fatti delle opinioni.
Scusami, Achille, ma ho l'impressione che per quel che mi riguarda, sia diventato un discorso ad personam, e, forse, ne conosco anche il motivo.Non si spiega altrimenti, visto che non conosci la mia storia personale (e mi leggi/leggete alla rovescia)

Un saluto

Lia G.

Vittorio Ferraro ha detto...

Carissimo Francesco Messina, quello che Lei ha riportato è la riprova della "scomparsa dei fatti": e nel caso di specie della scomparsa delle norme processuali, che Lei, giustamente, ha voluto mettere in evidenza.

Con il "Lodo Alfano" il Presidente del Consiglio non può essere processato; ma Mills si.

E Berlusconi sa benissimo che se il processo dovesse andare avanti anche senza di lui e dovesse comunque terminare con una sentenza che accerti che il testimone è stato corrotto, tutto il suo castello crollerebbe in un solo colpo.

In quel caso non potrebbe nascondere il fatto che il corruttore era lui. Politicamente, poi, le conseguenze sarebbero imprevedibili.

Ecco che allora si cercherà in tutti i modi possibili di far affondare il processo.

Anonimo ha detto...

@Achille:

Intervento anonimo delle 21,46? Guarda che io ho commentato per la prima volta, oggi pomeriggio(commento delle 17,22) e mi sono firmata. La seconda volta, è stato alle 18,39 e mi sono firmata. Quando dimentico di farlo, riscrivo mettere il mio nome.Quindi, a quale commento anonimo, mi ascrivi non lo so. Forse quello emotivo stasera sei tu.

Io non mi sono offesa, per la discussione, solo che non voglio che mi si appioppino frasi e opinioni che non ho mai espresso.
Per quanto riguarda Travaglio, non ho contestato la scelta di non averlo pubblicato, ma che la libertà passa anche col non essere d'accordo (sentenza o no) Tant'è che il discorso,allora, era partito da me, e Travaglio non aveva ancora pubblicato il suo articolo. All'epoca, mi era stato detto che non dovevo 'contestare' la sentenza: eppure Achille,è proprio il dubbio (che tu, viceversa, non mi riconosci) da sempre a connotare la mia formazione culturale. Nel sito di Salvatore Borsellino, abbiamo discusso e riduscusso, la nomina del Di Pisa, discutiamo della sentenza di archiviazione del tenete Arcangioli,e nessuno si sogna di dire che non bisogna avere opinioni,ma attenersi ai fatti.L'unica volta che c'è stta una "censura" è stata quando,una
certa signora Agnese Pozzi, era venuta a sbandierare la sua (falsa) umanità nei confronti Del Contrada: lo sdegno di Salvatore e dei suoi lettori/trici, è stato talmente grande che ha dovuto battere in ritirata.
Ciò che mi offende, non è il dissenso (scusami, ma mi pare che siate voi, da un pò di tempo a questa parte a non ammetterlo) ma il travisamento delle opinioni.
Un'altra cosa: è da un bel pò di anni che navigo su internet, ho(abbiamo) aperto forum, comunità blogs, e ,credimi il litigio, non è mai stato il presupposto dal quale sono partita.

Lia G.

Anonimo ha detto...

Lia,

facciamo così, io ti chiedo scusa incondizionatamente e così non litighiamo più, dato che siamo entrambi d'accordo che è inutile.

Una sola cosa ci tengo a precisare dato che anche io, come te, soffro quando mi si attribuiscono posizioni che non mi appartengono.

Tu scrivi:
"Per quanto riguarda Travaglio, non ho contestato la scelta di non averlo pubblicato, ma che la libertà passa anche col non essere d'accordo (sentenza o no) Tant'è che il discorso,allora, era partito da me, e Travaglio non aveva ancora pubblicato il suo articolo. All'epoca, mi era stato detto che non dovevo 'contestare' la sentenza"

Questo blog è la prova documentale che tutti quelli che ci lavoriamo pensiamo che si possano e a volte si debbano criticare le sentenze.

Dunque, nessuno ti ha mai detto che non si devono contestare le sentenze.

Abbiamo sempre detto un'altra cosa.

Che le sentenze si possono e a volte si devono contestare, ma che, per farlo, bisogna conoscerle e usare argomenti.

A noi sembra non solo inutile e insensato ma anche molto dannoso criticare qualunque cosa - non solo le sentenze - in maniera non argomentata.

Insultare il C.S.M. perchè ha nominato Di Pisa Procuratore di Marsala non ha alcun senso se non si spiega come e perchè poteva non nominarlo.

Perchè se fosse vero che, come sembra a me, quel provvedimento era un atto giuridicamente dovuto - non foss'altro perchè Di Pisa era già Procuratore della Repubblica in una Procura pure più grande di quella di Marsala (quella di Termini Imerese) - allora indignarsi è attività sterile e gratuita che serve solo a dare ragione a chi dice che ci si indigna senza fondamento.

Questo blog riceve centinaia di mail alla settimana nelle quali si raccontano fatti per i quali alcuni si indignano (e magari hanno pure ragione a farlo). La nostra scelta è stata di non dedicarci a indignazioni sterili, ma di provare a promuoverne di argomentate. E questo abbiamo fatto.

Quando mancano argomenti, non pubblichiamo l'indignazione.

Perchè alla cultura democratica nuoce il silenzio e la mancanza di indignazione, ma nuocciono anche le indignazioni generiche e generalizzate, che fanno il gioco di chi, per esempio, vuole riformare la giustizia prendendo a pretesto indignazioni palesemente false.

Se "tutto fa schifo" alla fine è quasi come se niente facesse schifo.

Puoi criticare quello che vuoi, ma se fondi la critica non su argomenti ma sul sentimento, stiamo solo perdendo tempo e riunendo tutti gli scontenti, senza fondamento.

La differenza fra "i buoni" e "i cattivi" non può essere solo di "colore", deve essere anche di metodo.

Ciò posto, scusami ancora davvero di tutto.

Achille

Pietro Gatto ha detto...

Cara Redazione,

leggo dal De Mauro la definizione del lemma "opinione": "ciò che si pensa di qcn. o di qcs., idea, convincimento soggettivo: o. arbitraria, fondata, infondata (...)".

Dunque: una opinione è sempre soggettiva, anche se si basa sulla preventiva conoscenza e analisi dei fatti alla sua base.

Se però tale preventivo vaglio manca, l'opinione è infondata o arbitraria: pertanto, non può essere messa sullo stesso piano della precedente.

Premesse queste banali considerazioni, temo che l'opera di convincimento della Redazione sia tempo perso.

Nella maggior parte dei casi, chi critica l'opinionista che dice: "premesso che non ho letto le carte, ritengo che Previti sia innocente", lo fa perché è di sinistra (quindi, secondo il nostro concetto di fare politica, si ritiene autorizzato a dare in testa Previti a prescindere), o perché Previti gli è antipatico. Non perché è il metodo ad essere sbagliato e fuorviante.

Lo stesso sta accadendo qui. Nessuno dice: "ho dubbi sulla colpevolezza di Sofri perché le modalità di audizione di Marino all'inizio della sua collaborazione sono sospette", oppure perché "il racconto di Marino presenta lacune e contraddizioni" (indicando quali).

Nessuno chiede: "cara Redazione, sarebbe fantastico se ci metteste a disposizione le sentenze, di modo da farci un'idea". Niente.

Sento solo:

1) ho dei dubbi sulla colpevolezza di Sofri. È una mia opinione, non ho letto una carta ma è un mio diritto formularla. E la mia opinione ha pari dignità rispetto ad ogni altra opinione.

2) Pinelli non è morto suicida. Non conosco un atto del procedimento, ma la penso così. Se fossi la vedova Pinelli, chiederei la revisione del processo (c'è un motivo, in realtà, perché la revisione non è stata chiesta: perché essa può essere chiesta solo in caso di condanna di un imputato. Semmai si può richiedere la riapertura delle indagini, indicando prove, non opinioni).

Credo che questo sia il frutto di una lunga opera di diseducazione civile. In Italia il giornalismo investigativo non esiste. In Italia il cittadino è ignorante in materia di legislazione (anche se ha la laurea in giurisprudenza).

E del resto, se è concesso al famoso opinionista del tale prestigioso quotidiano dare patenti di colpevolezza o innocenza a poche ore da un arresto eccellente, perché ciò - si ritiene - dovrebbe essere impedito al cittadino qualunque? L'esempio è contagioso. Ma sì, esprimiamo tutti le nostre opinioni! Libertà di pensiero, non si chiama così?

Purtroppo, questo frainteso concetto di libertà di pensiero fa solo il solletico al potere. Come tutte le parole in libertà.

P.S. Ho trovato molto interessante la lettura di:
1) Il Giudice e lo Storico - Considerazioni a margine del processo Sofri, di Paul Ginsborg: una bella indagine, di taglio innocentista, sulla base degli atti processuali;

2) Pinelli. Una finestra sulla strage, di Camilla Cederna (Feltrinelli): in questo caso la tesi non è quella del suicidio, ma almeno è documentata e la scrittura è avvicente.

Diamoci allora tutti una regolata, per non far scadere questo blog e i suoi nobili intenti a circolo dei bocciofili: iniziamo almeno da questi libri, leggiamoli, e poi ne riparliamo.

Anonimo ha detto...

Per Pietro Gatto.

Carissimo Avvocato,

premesse le mie scuse sincere a tutti coloro che possano essersi irritati per il mio tono e a Lia in particolare, approfitto delle sue considerazioni - che dolorosamente condivido - per sottolineare un profilo filosofico/culturale della cosa, che a me appare di grandissimo rilievo (purtroppo negativo) sulle sorti del nostro Paese.

Premetto che condivido del tutto, ovviamente, le sue riflessioni sul fatto che ogni opinione è per definizione e inevitabilmente soggettiva e che, dunque, un grado di opinabilità ce l'ha qualunque pensiero e opinione.

La questione è quale grado di approssimazione sia tollerabile per una crescita consapevole e democratica di un popolo.

La mia modesta opinione - e la ragione per la quale ho speso tempo in questo blog nel tentativo di sensibilizzare gli altri a questo tema - è che questo sia il tempo della volontà in danno dell'intelligenza.

L'essere umano è caratterizzato dalle facoltà intellettuali che indichiamo come "intelligenza" e "volontà".

L'affermazione - a mio parere assurda - che "la verità non esiste" (cosa molto diversa da "la verità c'è ma non la conosciamo") ha tolto materia all'intelligenza e ha ridotto tutto alla volontà.

Questa è l'epoca della volontà. Tanto più violenta quanto più cieca.

Non a caso i candidati al potere non sentono mai il bisogno di dire "come" faranno ciò che promettono e perchè sarebbe giusto farlo e si limitano a chiedere consenso su ciò che "vogliono". Inseguendo anche le volontà degli elettori, secondo una logica del "anche io voglio ciò che volete voi".

Questo è il tempo dei talk show nei quali ognuno dice qualunque scempiaggine e, quando gli si fa notare che è una sciocchezza, risponde indignato dicendo: "Questa è la mia opinione e come tale merita rispetto".

Confondendo il rispetto alle persone che è sempre dovuto con il rispetto alle opinioni che, invece, deve essere meritato con gli argomenti addotti a sostegno delle stesse.

E questo andazzo ormai ha contagiato e distrutto tutto.

La gente non vuole pensare e approfondire. Vuole esprimere consenso o dissenso e trovare gente che la pensa come lei.

Non cerchiamo confronto. Cerchiamo consenso.

Non a caso sempre più lettori non comprano i giornali per esserne informati (e i giornali, peraltro, informano sempre meno), ma per trovare in essi conferma alle loro ragioni di rabbia contro "la destra" o contro "la sinistra".

A questo proposito è stato impressionante vedere come tutta la stampa di sinistra abbia deprecato (del tutto fondatamente) Emilio Fede che in occasione di certe elezioni regionali mise in televisione le bandierine del centro destra anche sulle regioni poi finite al centro sinistra (vendendo quindi una speranza al posto di una notizia) ma poi Il Manifesto sia riuscito a stampare (davvero) una prima pagina nella quale annunciava (falsamente) la vittoria di Kerry su Bush alle ultime elezioni americane (vendendo quindi una illusione al posto di una notizia).

Ovviamente gli amici di Fede citano sempre la gaffe del Manifesto e quelli del Manifesto quella di Fede.

Nessuno dei due gruppi mette in conto neppure per remota ipotesi che i loro componenti siano uguali, con la sola differenza del colore delle bandierine.

Tolto il dovere intellettuale di cercare argomenti razionali e di addurre motivi confrontabili a sostegno delle opinioni, resta solo la volontà pura.

"Io la penso così e basta".

E questo è gravido di terribili conseguenze. Prima fra tutte la sostanziale impossibilità di comunicare veramente.

Criticando alcune sentenze mi è capitato di osservare che mi apparivano scritte andando dal dispositivo alla motivazione, invece che viceversa.

Temo che questa malattia sia diffusa epidemicamente in tutta la società.

Non pensiamo andando dagli argomenti alle conclusioni. Partiamo (e dunque dolorosamente restiamo) dalle conclusioni e cerchiamo argomenti per "difenderle".

L'ipotesi di scoprire che ci stiamo sbagliando non solo non è messa nel conto, ma è proprio considerata il male assoluto.

Visti da questo punto di vista, mi sembriamo diventati dei mostri.

Un caro saluto.

Achille

Anonimo ha detto...

Con molta amarezza prendo atto del depistaggio culturale che si è cercato di fare in questa ultima fase della discussione.
Mentre da un lato si scrive che"qui nessuno ha verità precostituite sul caso Pinelli (...) è la necessità di provare a confrontarsi con onestà morale o intellettuale con i fatti, che non sono né di destra né di sinistra. Dall'altro (e dall'alto) si dice poi, :"Nella maggior parte dei casi, chi critica l'opinionista che dice: "premesso che non ho letto le carte, ritengo che Previti sia innocente", lo fa perché è di sinistra...(avv.Gatto).Il quale avvocato Gatto, cogliendo al volo un'inesattezza giuridica "revisione del processo, al posto di "apertura dell'indagine", non si fa scappare l'occasione di una filippica sulla totale ignoranza e la conseguenziale inciviltà delle/degli italiane/i.
In questo sostenuto dal 'buon 'Achille - che mentre si scusa in maniera "incondizionata",omette di dire che le scuse erano appopriate,visto che aveva confuso una persona "anonimo/ma" e le opinioni da questo/sta espresse, con un'altra, che aveva manifestato tutt'altra opinione,firmandosi.
Ma la censura (intesa come biasimo) opera su un doppio binario: da un lato l'arroganza della gente comune, che si permette di avere opinioni che prescindono dalla lettura delle sentenze(per cui si arriva al paradosso che coloro che non hanno letto i "faldoni" delle sentenze giuridiche, non possono esprimersi, né farsi un'opinione personale)e dall'altro, pur avendo letto le sentenze - anche se non in maniera capillare e riga per riga - non si possa avere argomenti a contrario, perché comunque sia molte delle sentenze sono"tecnicamente ineccepibili"(caso Di Pisa).
Ricordo bene il mio primo intervento in questo blog: era dedicato ad un magistrato che una sera di molti anni fa, a sorpresa, volle (nel senso di esprimere la "volontà") incontrare tutta quella gente, che partecipando con la sola passione (ancorché con il "pessimismo dell'intelligenza")intendeva rendere omaggio a Giovanni Falcone da poco ucciso dalla mafia. Egli,denunciò il "gioco grande" entro il quale doveva leggersi l'isolamento non solo dell' amico Giovanni, ma anche il suo.Dalla decisioni del Csm, alle (ammazza)sentenze "tecnicamente ineccepibili" di Carnevale(assolto poi, dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa)al "corvo" che cercò di delegittimare il lavoro del pool antimafia.Quel giudice che rispondeva al nome di paolo Borsellino, quella sera, riconobbe come solo interlocutori affidabili, quei cittadini/ne,che magari non avevano letto le sentenze del maxprocesso o le motivazioni della Cassazione che annullava gli ergastoli ai mafiosi,ma che si identificava in uno Stato finalmente credibile.E gli rendeva omaggio.
Eppure, Falcone fu accusato di essere comunista e Borsellino venne osteggiato dagli apparati giudiziari.
E a proposito di 'verità'chiudo con le parole di Roberto Scarpinato alla domanda posta da Saverio Lodato, del perché una verità individuale non riesce a trasformarsi in verità colletiva:
" Perché è la stessa polis, la stessa società di cui il potere è espressione e specchio che lo impedisce. Perché la verità individuale possa trasformarsi in verità pubblica e patrimonio collettivo,occorre infatti che i testi raccontino quello che hanno visto e sentito,occorre che i documenti non vengano occultati e distrutti dai servizi segreti, occorre che i poliziotti non si tirino indietro o trasferiti appena si avvicinano alla verità, occorre che gli avvocati non trucchino le carte diventando complici dei loro clienti, occorre che i magistrati non si lascino corrompere o non siano omologati al potere (...) Ma in una società nella quale, dietro le cortine fumogene della retorica ufficiale, domina la legge del più forte e del più furbo, una società diseguale e quindi profondamente ingiusta, come può generare una giustizia uguale per tutti?...
E ancora: "a fronte di tanti segreti e di sentenze (passate in giudicato) si possono fare solo delle ipotesi..."

Lia G.

Pietro Gatto ha detto...

Correggo il mio post precedente:

Nella maggior parte dei casi, chi critica l'opinionista che dice: "premesso che non ho letto le carte, ritengo che Previti sia innocente", lo fa perché è di sinistra (quindi, secondo il nostro concetto di fare politica, si ritiene autorizzato a dare in testa Previti a prescindere), o perché Previti gli è antipatico. Non perché è il metodo ad essere sbagliato e fuorviante.

Ovviamente volevo dire "lo fa perché è di destra", etc.

Mi scuso per l'errore.

Anonimo ha detto...

Mi dispiace notare in Lia G. (di cui ho spesso apprezzato i contributi) quello che io ritengo essere una piccola cecità, che fa vedere le cose diverse da come sono, o spostandone l'argomento o trasformandole proprio.
Non mi sembra di aver letto in nessun commento della Redazione (o di Achille, che se non ho capito male ne fa parte e comunque è colui con il quale Lia stessa ha intavolato una parte della discussione) qualcosa che si avvicini al delegittimare le opinioni dei comuni cittadini ignoranti in fatto di pubbliche sentenze. Né una delegittimazione di opinioni personali da parte e nei confronti di chicchessia.
Mi sembra invece ovvio e al di fuori da ogni ragionevole dubbio un concetto che dovremmo avere nel dna e invece più persone si trovano a doverlo non solo esprimere, ma spiegare e ricordare e sottolineare: la fondatezza o meno di tali opinioni.
Credo sia abbastanza ovvio (per tornare sui temi della discussione oggetto dei post di Lia) che il contesto occorra, e serva a spiegare magari il clima in cui si sono succeduti determinati fatti (omicidi, suicidi, condanne e assoluzioni), le motivazioni delle varie parti in causa, ecc. Ma altrettanto lapalissiano è che le opinioni che si formano su detti fatti (considerando anche le sentenze come fatti di condanna o di assoluzione) non possono prescindere dalla conoscenza dei fatti stessi, altrimenti si parla si di opinioni, ma "infondate" (come scrive Gatto dal De Mauro). A che pro dire "io sono convinta/credo che Tizio sia innocente" se lo si fa sulla base di altre opinioni (quelle riportate dai giornalisti che i fatti non sanno più cosa siano, quelle di D'Ambrosio sulla propria sentenza)? O si analizzano i fatti (come si sono svolte le indagini, quali sono le prove emerse da una e dall'altra parte) o la propria opinione la si tiene per sè (in quanto infondata e quindi inutile).
Altra cosa, e sacrosanta, è l'avere diritto alle proprie opinioni (ovvio che anche quella infondata e quindi inutile -ma oserei dire dannosa se la si vuole far passare come legittima, come valida al pari delle altre, magari fondate- è un'opinione che naturalmente ci si forma, ma la differenza tra persone che usano la testa e persone che non la usano sta appunto nel fatto di usarla, quindi di dire "su che basi mi sono fatto questa idea, questa sensazione a pelle? Devo dunque darle ascolto o no?"). Altrimenti io "a pelle" sento antipatia per uno che trovo per la strada, o "credo" in virtù dell'ambiente in cui lo trovo, delle sue movenze o altro (contesto) che sia colpevole di un omicidio di cui ho letto sul giornale stamane. Magari lo bastono per renderlo innocuo (un assassino chissà cosa potrebbe farmi se non lo immobilizzassi) e lo trascino dalla polizia.

Naturalmente esistono delle opinioni che non necessitano di particolari conoscenze, tipo "secondo me l'arredamento moderno è molto più bello di quello classico" o "ritengo assolutamente inutile e dannoso per chi lo fa spendere milioni per un semplice gingillo da portare al collo o su un dito, è molto meglio la bigiotteria".
Queste opinioni non necessitano di conoscenze pregresse perché esprimono concetti incontrollabili, non provabili, puramente soggettivi, gusti (in una parola).
Ma se io voglio esprimere un'opinione che ho su un fatto realmente accaduto o dichiaro preventivamente "la mia opinione è basata sul nulla, sulle mie sensazioni, sul contesto del fatto ma non sul fatto in sè e sulle sue prove" (e a quel punto vado a fare l'opinionista ma non discuto su un blog che mette come principio di base per la partecipazione l'argomentare) o cerco di formarmi un'opinione su basi reali, essendo disposta a cambiarla all'emergere di nuove evidenze che prima non avevo notato o non conoscevo.

Non capisco francamente il girare intorno a cose così lapalissiane, sembra di essere tornati a quei commenti di qualche tempo fa in cui un lettore diceva che il dato vero di cui tener conto (nella fattispecie si parlava di omicidi all'anno in Italia) è la media aritmetica tra il dato oggettivo (omicidi realmente avvenuti) e quello "percepito" (omicidi temuti dalla gente comune, cioè quanti si teme possano accadere non da parte di addetti ai lavori che li prevedono come statistica, ma da parte di comuni cittadini che sospettano di tutto e di tutti e temono di uscire di casa, sempre qui, in Italia).

Silvia.

ps: poi di condanne giuste o sbagliate parliamo pure, di convinzioni di ogni genere, ma insomma delle regole da cui partire ci dovranno pure essere, o torniamo alla giungla?

Anonimo ha detto...

ps2: dimenticavo. Questa tendenza è alimentata anche da quei disgraziati politici che ogni giorno infestano i nostri telegiornali e da quei disgraziati di giornalisti che non chiedono, non approfondiscono e continuano a mettere loro il microfono sotto il naso a proposito di ogni nuova legge, di ogni nuova situazione, di ogni nuova azione. Si parla dell'Alitalia, del lodo Alfano, della malasanità in Abbruzzo? La frasetta è sempre quella: "occorre assumersi le proprie responsabilità/ non minare il dialogo/ il Paese ha bisogno di riforme/ questa è l'unica soluzione (o "non è una soluzione accettabile", a seconda che parli chi è pro o chi è contro l'oggetto in questione)". Ma cosa significano ste cose? Perché una determinata legge proposta "fa bene, è ciò che occorre al Paese" o "fa danno, il Paese non ne ha bisogno"? Cosa dice esattamente quella legge proposta? Quali sono le conseguenze prospettate dai tecnici (non dai politici)? Cosa comporta in concreto (e vogliamo sapere pro E contro, non uno solo dei due)? Chi mai li sente dire qualcosa del genere? Quando propongono una legge al massimo al tiggì la descrivono con il nome e con la lista dei favorevoli e contrari, e basta.

Silvia.

Anonimo ha detto...

Per la profonda Silvia G. e l'avv. Gatto.
"...(ancorché con il "pessimismo dell'intelligenza")..." --------Pare che si direbbe [il condizionale in questi ambiti è sempre d'obbligo: la segretaria della Gip Forleo - un po' acida - ha deciso di interrompere la mia telefonata, alla sede di Milano, perché ho detto , "voglio parlare" con la d.ssa Forleo, anziché vorrei? Peccato, dopotutto volevo - pardon, "avrei voluto" - solo congratularmi con Lei...anche per la difesa coraggiosa sul maghrebino maltrattato dai poliziotti e sul caso Daki e &: "rivoltosi e non terroristi"...; a volte capita anche di emozionarsi a cospetto di certi personaggi caldi...in luoghi freddi...al dialogo. In verità ero per fortuna immunizzato: dalla Gip Romaniello (e da Woodcock, attorniati da segretarie...) fui io a non voler continuare il dialogo...collaborativo] "pessimismo della ragione" (e "ottimismo della volontà"). Ma al di là della forma (che "dovrebbe", in questi ambiti, "sempre" essere "sostanza"?), le sue osservazioni/considerazioni sono ineccepibili.
All'avv. Gatto, "vorrei" far presente che, in concomitanza dell'uscita del film "Minority report", su Previti si disse che, in base alla tecnica dello staff che si prefiggeva di anticipare il crimine e il futuro potenziale criminale, lui "sarebbe" stato condannato (a prima vista?) solo per la sua faccia (antipatica solo alla sx?). Ma di certo non avrebbero previsto che poi il manovratore di giudici "sobri" non avrebbe fatto nemmeno un giorno di carcere..."...grazie a una 'toga rossa' che corregge la ex Cirielli" ("...una legge mal scritta- come tante - che la giudice ha voluto - senza condizionale? o pututo? - interpretare in favore del condannato") Si fa per dire! Mauro C.

Anonimo ha detto...

Gentile Tanino Ferri,

mi dispiace doverla contraddire, ma Lei non può rimettere ai lettori di “decidere” se la sua tesi sul caso Sofri sia più affidabile della mia. Ciò per il semplice motivo che io, come chiunque può constatare leggendo quanto ho scritto, non ho espresso alcuna tesi al riguardo.

Né io ho detto di aver letto alcunché! E' stato Lei che ha candidamente ammesso di non aver letto e, come si dice, di non conoscere le carte. Io mi sono limitato a dire che la sua verità - fondata apparentemente sul nulla perché non ci ha offerto alcun fatto e/o argomento per valutarla - è inaffidabile.

Lei, mi scusi ma sono costretto a farglielo rilevare, contrapponendo una sua verità con una mia che non c’è, il suo genuino senso comune che intuisce il vero - “a pelle, perché no?” - con la mia fredda razionalità che si barcamena tra un mare di carte, anche questa del tutto inventata di sana pianta da Lei a suo uso e consumo, fa solo retorica.

Vede, caro Tanino, fino a quando si continuerà a parlare del nulla o a parlar d’altro, fino a quando ognuno continuerà a declamare la sua verità senza prendere in considerazione i fatti, fino a quando il “dialogo” resterà finzione retorica, per questo paese non c’è speranza.

Lei viene qui a dirci che Sofri è innocente. Sarà anche vero ma detto da Lei, nel modo in cui lo dice, non è credibile perché lo dice pretermettendo del tutto i fatti e offendendo la logica.

Il problema che, rispondendoLe, intendevo sollevare non riguarda il caso Sofri, o non riguarda solo il caso Sofri.

E’ un problema di metodo perché dovrebbe rendersi conto che il metodo da Lei impiegato - sicuramente in buona fede - è quello che sta portando l’Italia alla totale implosione del suo essere democrazia, del suo essere Stato di diritto.

Vede, caro Tanino, la nostra Costituzione, che taluni (ai quali non credo possa riconoscersi la buona fede che riconosco a Lei) definiscono con falsi argomenti “vecchia culturalmente”, è invece mille anni più avanti rispetto a noi e, purtroppo, resta per la gran parte NON attuata.

Bene, una delle fondamentali ragioni per le quali la nostra Costituzione è, non solo culturalmente, ma concretamente avanzatissima, sta nell’affermazione di un principio fondamentale per ogni società che voglia migliorare la condizione dei suoi aderenti. Essa “riconosce e garantisce” a tutti i diritti ma “richiede” a tutti “l’adempimento dei doveri”.

Ora, tutti abbiamo il diritto di partecipare alla vita politica e sociale attraverso le nostre idee ed il nostro modo di vedere le cose ma se vogliamo farlo costruttivamente, direi con “spirito costituente”, abbiamo il dovere di informarci e di conoscere.

E, per quanto riguarda il caso Sofri, mi rivolgo anche a Lia G., per chi voglia davvero contribuire al dibattito politico e sociale che intorno ad esso si è sviluppato prendendo posizione sull’innocenza o meno e offrendo la propria opinione alla valutazione sociale, la base di partenza non può che essere costituta dalla conoscenza dei pronunciamenti giudiziari sul punto. Altrimenti uno parla d’altro e non viene qui a dire “non ho letto ma posso dire che le cose stanno così e ne ho tutto il diritto”. E no, caro amico; ne avrebbe il diritto se questo diritto se lo fosse meritato ma Lei stesso sta dicendo che non ha fatto nulla per meritarselo.

Lei, caro amico Tanino, non si è conquistato il diritto di dire che Sofri è innocente e ciò che esercita non è la sua libertà di pensiero ma la pretesa di dire comunque la Sua; dicendo che le opinioni fondate sul nulla “valgono a prescindere” non tutela la sua libertà di pensiero ma sta violando parte del nucleo su cui si fonda lo stare insieme in società, cioè l'idea che non tutto è permesso e che a qualcosa bisogna rinunciare.

Non mi sarei mai sognato di contrapporre alla sua verità - Sofri è innocente - una mia verità. Per tante ragioni e tra queste perché non sono nelle condizioni di farlo e comunque, se lo fossi stato, mi ci sarebbe voluto troppo tempo rispetto a quello che ho a disposizione; e, ancora, perché non mi pare questo l’oggetto del dibattito che il Blog ha inteso avviare.

Infatti, non è certo questo il luogo dove si può rifare il processo a Sofri. Ma qui non può non prendersi atto che un processo c’è stato, che c’è una verità giudiziaria. Certo, c’è sempre la possibilità che si tratti di un errore giudiziario. Ma, ripeto, non è questo il punto, non volendo e non potendo essere l’oggetto del dibattito l’innocenza o la colpevolezza di Sofri; e neppure il fatto che un soggetto che ha sempre detto di essere estraneo all’omicidio, oggi ci venga a dire che gli autori erano dei buoni, anche se verrebbe da chiedersi "ma lui, se è del tutto estraneo, che ne sa e come fa a saperlo"?
E, ancora, il nodo da dibattere non è neppure che un soggetto che ha scritto quello che ha scritto e fatto quello che ha fatto (non mi riferisco, ovviamente, alla sua accertata responsbilità penale) e che sostanzialmente pretende ancora oggi che gli si riconosca di avere, così facendo, fatto "il bene", si metta a pontificare e a dare lezioni a destra e a manca. Di pontificare, infatti, come di protestare la propria innocenza, Sofri ne ha tutto il diritto.

Il punto, quello che impressiona e lascia impietriti, è che gran parte di destra e manca, parlando del caso Sofri, lo facciano ribaltando i fatti, negando cittadinanza ad un fatto ritenuto esistente da una sentenza passata in giudicato - la responsabilità di Sofri nell'omicidio Calabresi - e dando per pacifico un fatto del quale, come ha detto (se non sbaglio) Achille - non c'è uno straccio di prova (la responsabilità di Calabresi nella morte di Pinelli).

Insomma, il metodo per cui ognuno si costruisce i fatti da sé a proprio uso e consumo. E, cosa massimamente grave, il fatto che questo sia il metodo della nostra classe dirigente, che più degli altri avrebbe il dovere di stare ai fatti di fronte ai cittadini e invece sempre più esercita la pretesa di creare i fatti e di propinarli ai sudditi.

Chiazzese

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Mi cadono le braccia per lo sconforto nel leggere le repliche ai miei commenti, repliche che mi appaiono superficiali e pretestuose.
Bartolo non ha la più pallida idea che cosa sia il sistema carcerario oggi.
Si dovrebbero conoscere le leggi e valutare che enormi difficoltà si incontrano nell'applicarle con risorse a disposizione che definire ridicole è un gentile eufemismo e che hanno il preciso scopo di mantenere l'efficienza del sistema giudiziario a livelli molto bassi.
E non quando non basta si fanno leggi 'ad hoc' per mantenere bassa la soglia di efficienza.
Non si parla di ciò che non si conosce, e se lo si fa occorre poi leggere attentamente le repliche, cercare di documentarsi (Google è un eccellente motore di ricerca, anche se non l'unico).
Io conosco il sistema penitenziario e formo le mie opinioni leggendo tutti i giorni i principali quotidiani italiani (Il Corriere della Sera, La Stampa, La Repubblica, L'unità) e settimanali (L'Espresso), leggo i blog di Antonio Di Pietro, Beppe Grillo e Marco Travaglio & C.
Evito come la peste Il Giornale, L'Indipendente, La Padania.
Metto a confronto le varie opinioni.
Se qualcuno fa affermazione che io so non esatte, commento.
L'ho fatto perfino con un fondo di Eugenio Scalfari.
Ma sopratutto leggo, leggo moltissimo.
E scrivo articoli miei, per puro diletto.
Quindi, non accetto i vaniloqui e le prese di posizione acritiche.
Non mi piacciono nemmeno i blog che non consentono commenti.
Ma leggo le repliche, con molta attenzione, anche quelle che fanno cadere le braccia.
E spero, spero tanto che il futuro non sia a tinte così fosche.

Anonimo ha detto...

Ringrazio Silvia, per la gentilezza e la pacatezza del suo argomentare.Credo comunque, che si riferisca a qualche altro commentatore/trice. Nel mio, ho solo sostenuto che, Pinelli(sempre secondo il mio modesto parere) non si è suicidato. E l'argomento non era la sentenza , ma la dichiarazione del giudice D'ambrosio.
Non ho mai fra l'altro, affermato che Sofri, sia innocente. Mi pare siano stati altri.
Circa l'attinenza ai fatti, voglio solo aggiungere che da un paio d'anni,Giulietto Chiesa, è impegnato a dimostrare che gli attentati alle Torri Gemelle, siano stati decisi all'interno degli States, e "tecnicamente" ci siano stati delle pre-esplosioni. . Ebbene, per molti, continua ad essere considerato un visionario. Perché, le commissioni d'inchiesta americane, hanno sostenuto la matrice terroristica islamica.
Inoltre, le mie fonti,non sono stati né i salotti di Vespa, né la stampa manipolata.Dei politici,poi, non ne ho mai subito la fascinazione tout court.

Grazie e chiedo scusa se si è 'perso tempo'
Lia G.

Cinzia ha detto...

Io vorrei evitare di continuare a portare avanti questa polemica sulla cognizione di causa, ma sinceramente sarei proprio curiosa di sapere:

1) Per quale motivo escludete a priori che chiunque abbia fin qui espresso un’opinione non abbia comunque letto, non dico le varie innumerevoli sentenze e atti del processo, ma quantomeno libri e/o articoli con resoconti dettagliati che però inevitabilmente mirano ad esprimere una propria visione dei fatti. (ad esempio quelli citati dal dott. Gatto)

2) Mi piacerebbe sapere poi quanti di Voi, autorevoli contestatori delle altrui “infondate” opinioni, abbiano realmente letto tutto quel fardello di carte e sentenze.
(e spero non la prendiate come una stupida provocazione)

3) Vista la mia assoluta ignoranza in questioni legali, amerei che qualcuno con maggiori conoscenze mi spiegasse pazientemente come sia possibile stabilire il ruolo di mandante materiale di un omicidio se non solo attraverso la testimonianza di una o più persone ampiamente coinvolte nei fatti o al più per mezzo di intercettazioni, che non mi risulta ci siano.

4) Come inoltre sia possibile stabilire cosa sia realmente accaduto quella sera in questura a Milano se non attraverso la testimonianza della stessa polizia presente a quei fatti. E per quale motivo non sia stato rilevato dalle indagini e quindi poi penalmente perseguito, il comportamento fuori legge degli stessi inquirenti. (perizie a parte, che a mio avviso lasciano un po' il tempo che trovano, tanto più che andrebbe indicato da quale parte processuale siano state realizzate)

Tutto ciò fermo restando che siamo sotto un post che riporta un’intervista di D’Ambrosio sulla questione Pinelli e su questo ci tengo a ribadire in pieno il mio commento precedente in cui sostengo l'assoluta insensibilità da parte del magistrato nei confronti della vedova, oltre al fatto che si continua a parlare inopportunamente di Sofri. Con questo articolo non si può, a mio avviso, sostenere quanto la Redazione premette e cioè che la questione non è se Pinelli sia stato o no ucciso e come, visto che l'intervista verte su quest'argomento.

Anonimo ha detto...

Gentile Luigi,
mi dispiace se ti ho fatto cadere le braccia, non era mia intenzione!
Ho soltanto riflettuto su alcune circostanze: tu, più o meno, hai detto che la percentuale di detenuti che si riabilitano è molto bassa, che quasi tutti si dichiarano innocenti nonostante le condanne passate in giudicato. E che i pochi miglioramenti riabilitativi sono avvenuti grazie alla legge Gozzini. Infine, sei testimone di tanti detenuti "duri" che si sono piegati. Mi è parso naturale risponderti in quei termini. Poi, non è una mia impressione se la polizia si comporta come si è comportata nei casi Pinelli, no global di Genova, caso rifiuti a Napoli, e tanti e tanti altri casi che non fanno notizia ma dei quali la gente comune ne viene a conoscenza tramite il passaparola; la magistratura con gli infiniti casi Tortora (e tieni conto che dei casi Tortora ci sono un'infinità che non fanno notizia, perché non sono dei Tortora, e di cui si sa grazie allo stesso metodo poc'anzi citato); infine, nelle carceri un alto tasso di detenuti o vengono suicidati o si suicidano. Ecco, a fronte di tutto questo, tu non hai usato una ben che minima flessione di dubbio a che qualcosa potrebbe non andare nel “sistema”.
Dico questo senza alcuna polemica nei tuoi confronti, anzi, sono certo, che hai sempre svolto il tuo ruolo con scrupolosa onestà.
Un Caro Saluto
bartolo

tanino ferri ha detto...

Insisto 2

Gentile Chiazzese,
mi sembra di essere un DonChisciotte, che lotta contro i Mulini a vento. Lotta, perché a questo si è ridotto il dialogo, e Lei sarebbe il mio Mulino a vento.
Premetto, e lo faccio solo perché nell'approssimazione del mio italiano, non vorrei dare l'impressione che in mancanza di argomenti, passo all'insulto, che non ho nessuna intenzione di offenderLa.
Detto questo, Lei travisa, e secondo me a bella apposta, quello che io dico piegandolo alla sua logica.
In primis, NON HO MAI detto che Sofri è innocente!
Ho sempre usato il condizionale, e credo di aver aggiunto anche, un secondo me.
Affermo questo senza andare a riscontrare quello che effettivamente ho scritto, ma perché così la penso: Non so se Sofri è innocente, ma secondo me, ci sono buone probabilità che lo sia.
(Ed io non voglio vendere niente a nessuno, sono di sinistra, di una sinistra che non c'è, ma ho enorme rispetto dell'uomo, anche quando guarda Buona Domenica o Amici miei e vota a destra)
Questo ho detto, ed ho detto che comunque mi sono fatto un opinione.
Un opinione da uomo della strada: leggendo i resoconti giornalistici di buoni e meno buoni giornalisti, leggendo su vari blog le buone o meno buone argomentazioni di persone, non necessariamente legulei, ma anche, che esprimevano le loro.
Opinioni fondate sui loro personali convincimenti e che si erano fatte confrontandosi con altri e non necessariamente leggendo la sentenza della Cassazione a sezioni riunite (poi ho allargato il concetto perché Lei, se mi andassi a leggere le motivazioni di quella sentenza, potrebbe sempre dirmi, che per parlare dovrei conoscere anche gli atti processuali, etc., etc, sino ad arrivare... all'atto di battesimo di Sofri).
Questo nel mio primo intervento ho inteso dire quando per confutare “Achille” Vs “Anonima delle 21.46”, ed il suo
“La prima è questa: lei commenta criticamente le sentenze sul caso Sofri.
Mi permette di chiederle una cosa: almeno una di queste sentenze l'ha letta?
Perché se non le avesse lette - e questo sembra emergere dalla sua ricostruzione dei fondamenti della condanna di Sofri - si deve chiedere come fa a giudicarle.


Ora ritenevo, e ritengo tuttora inaccettabile che si giudichino illegittime delle opinioni a prescindere, legandole solo al fatto che uno abbia o non abbia letto una sentenza ( e da questo deriva, come Lei ha abilmente colto, anche la necessità di disporre delle sentenze, il tempo di studiarle (leggere è un pleonasmo), etc. - ed io sto da settimane inutilmente cercando una sentenza del TAR del Lazio -).
Il discorso, allargandolo, poi diventa ancor più pericoloso:
di matematica possono parlare solo coloro che hanno effettiva conoscenza dei numeri...
di astronomia possono ...
di ...politica possono ...
Ed il mio fruttivendolo di cosa potrà parlare? Solo di insalata e mele?
(e, il passo poi è breve, coloro che non possono esprimere la loro opinione con la parola, perché dovrebbero poterla esprimere con il voto?).
Questo Suo, gentile Chiazzese, è un metodo per dire: per parlare devi avere cognizione di causa, e la cognizione di causa chi la giudica: Sempre Chiazzese?
Non ho letto la sentenza della cassazione su Sofri, mi sono fatta una mia opinione leggendo sui giornali, su Internet, parlandone con amici, e nessun appartenente a nessuna casta può dirmi, che non posso esprimere la mia opinione. Lei, Chiazzese, come tutti gli altri ha, avete la libertà di non leggerla.
Ed allora, scambiatevi le Vs. opinioni tra di Voi del mestiere, e restate nella Vs. Torre d'avorio finché un qualche Presidente non vi butta giù.
Il guaio, anche in questo caso, è che a rimetterci saremo ancora io, il mio giornalaio, il mio meccanico, etc., perché se ne andrà un grosso pezzo delle nostre libertà (Ho letto la Costituzione!).

Anonimo ha detto...

Cara Cinzia,

mi permetto di contraddirLa. Lei continua a condurre la questione su un versante dal quale non si caverà mai un ragno dal buco.

Tutto questo dibattito è stato innescato da Adriano Sofri che ha sostanzilamente giustificato gli assassini di Luigi Calabresi.

Qui non si può fare il processo. Si può soltanto discutere di ciò che si sa.

Ora, a seugito delle parole di Sofri, come sempre è accaduto sull'argomento, il dibattito si è riaperto come se non ci fosse una certa "storia giudiziaria" e, in molte parti, come se le cose fossero andate diversamente.

Nessuno può escludere con certezza che le cose possano essere andate diversamente ma, allo stato, risulta che sono andate in un certo modo.

E discutere come se così non fosse è una mistificazione, l'ennesima alla quale assistiamo.

Il problema che pone questo nuovo dibattito sul caso Sofri è di metodo. Ripeto, fino a quando ciascuno partecipa al dibattito vedendo solo i fatti che gli conviene vedere o distorcendo i fatti stessi a proprio uso e consumo, fino a quando in sostanza discuteremo senza stare ai fatti, come si può sperare che il dibattito ci possa consentire anche un solo passo avanti?

Chiazzese

Anonimo ha detto...

Per Tanino Ferri.

Caro Tanino,

è chiaro che di ogni aspetto della storia e del mondo ognuno di noi ne vede una parte.

Io le dico la parte che vedo io.

Io vedo che viene pronunciata una sentenza di condanna irrevocabile nei confronti di Cesare Previti e un branco di gente va in televisione e sui giornali a dire che Previti è innocente. Così. Senza speigarlo. "A prescindere".

Qualcuno sommessamente fa notare che c'è una sentenza definitiva di condanna.

Gli viene risposto: "E chi se ne frega. La storia della giustizia italiana è piena di errori giudiziari".

Allora insorge un altro branco di gente e dice: "Bisogna rispettare la magistratura e le sentenze".

A questi il primo branco replica mettendo su sceneggiate tipo Porta a Porta che convincono "il suo fruttivendolo" (è lei che lo cita) che fare i giudici e celebrare processi è una cosa abbastanza semplice, quasi infantile, che la si farebbe molto meglio se non la si affidasse a quelli come noi che stanno, come dice lei, nelle "torri d'avorio" (e così oggi abbiamo scoperto che questo blog è un luogo di "depistaggio" - Lia - e una "torre d'avorio - Tanino) (per inciso, mi sono sempre chiesto perchè la gente abbia una enorme facilità a capire che fare il chirurgo è una cosa difficile, che richiede notevoli competenze, e pensi invece che fare il giudice sia una cosa banalissima che può fare chiunque).

Passato qualche tempo (in realtà le cose cronologicamente stanno in un altro modo, ma qui è l'apologo che conta), viene condannato definitivamente un amico del secondo branco, tal Sofri.

A questo punto il secondo branco si comporta uguale uguale al primo.

Fa le stesse buffonate e rivolge alla giustizia e ai giudici gli stessi insulti del primo branco.

Solo non ha a disposizione Porta a Porta (ma solo perchè in questi anni il turno di potere è in favore degli altri).

Anche in questo caso intervengono alcuni a fare quello che avevano fatto per Previti: fare notare sommessamente che c'è una sentenza definitiva di condanna.

E anche in questo caso la risposta è la stessa, anche su questo blog: "E chi se ne frega. La storia della giustizia italiana è piena di errori giudiziari".

Solo che stavolta a dire questa frase non sono gli amici di Previti, ma quelli del branco opposto.

Vorrei chiederLe:

1. nota o no le somiglianze che ci sono fra i due branchi o continua a vederli diversi?

2. in che modo potremmo mai uscire da questo empasse per il quale ognuno dichiara di essere, come un certo lettore del nostro blog, "un italiano che crede nella gisutizia", ma solo quando la giustizia gli fa comodo?

Ciò posto, a me sembrano ovvie le seguenti cose:

1. ma certo che chiunque può discutere di quello che vuole e avere opinioni - giuste o sbagliate, intelligenti o strampalate - su quello che vuole;

2. se non si vuole legittimare il "metodo Previti" non lo si deve usare per Sofri;

3. certo che si possono criticare le sentenze e che le sentenze possono essere sbagliate o addirittura corrotte: ma bisogna fare la fatica di dimostrarlo. Altrimenti siamo come quelli che le insultano a Porta a Porta premettendo di non averle lette e non cogliendo l'insensatezza di tale condotta.

Con la sola differenza che ognuno crede che il suo branco è quello giusto.

Chi chiede la grazia per Sofri fa la stessa cosa di chi chiede la grazia per Contrada.

Anche Contrada e i suoi amici sostengono con la più assoluta passioen che Contrada è vittima di un errore giudiziario.

Può darsi che Contrada o Sofri o entrambi siano vittime di errori giudiziari. Ma per stabilirlo c'è un solo modo: affrontare lo studio dei rispettivi processi. Come per decidere se una cosa è leucemia o colesterolo c'è un solo modo: analisi del sangue. Non "forte convinzione soggettiva". Analisi del sangue.

A questo proposito, immagini che io scriva su questo blog un post dal seguente contenuto:

"Cari amici, ho appena letto delle migliaia di bambini avvelenati in Cina dal latte in polvere adulterato. Premetto di essere laureato in legge e non in medicina e premetto anche di non sapere niente della composizione chimica degli elementi adulteranti del latte in polvere. Ci tengo però moltissimo a dirvi che, leggendo e riflettendo, IO (cioè non so se state capendo, IO, IO che mi sento uno troppo giusto), dunque ciò che vi volevo comunicare di enormemente importante è che IO mi sono convinto che non c'è problema. Non so dirvi come e perchè, ma ho la sensazione che quei bambini alla fine guariranno tutti. Certo, metto in conto che possano anche non guarire. Ma sento tanto che guariranno".

E' ovvio che questo discorso che ho appena proposto è "possibile" ed è "legittimo".

Solo è totalmente inutile (e se me lo permette anche abbastanza fesso). L'unica risposta che sembra possibile a una tale comunicazione di profonde convinzioni interiori dichiaratamente prive di qualunque fondamento sarebbe: "Ma chi se ne fotte".

Quanto al discorso "democratico" sul diritto del fruttivendolo di opinare sulle sentenze, Lei - in compagnia di altri lettori - incorre in un evidente equivoco logico.

Democrazia significa che tutti sono uguali e tutti possono fare tutto.

Non significa che automaticamente sono anche capaci di farlo.

Per farlo devono imparare a farlo.

E' democrazia che anche uno come me possa inforcare la moto di Valentino Rossi e pigiare l'acceleratore.

O vogliamo fare i fascisti e pretendere che le moto potenti le possano guidare solo certe persone?

No, siamo democratici e, quindi, le moto le può guidare chiunque.

Il problema è che essere democratici non fa diventare automaticamente buoni piloti.

Dunque, se io salgo sulla moto di Valentino e giro la manopola dell'acceleratore, accadrà una sola cosa, inevitabilmente: mi ammazzerò democraticamente.

Così anche Lia G., che ci dà dei depistatori e si crede l'unica impegnata a combattere per il bene mentre tutti gli altri qui siamo solo servi del potere, può tranquillamente e democraticamente dire quello che vuole, ma si deve rassegnare al fatto che quando scrive che "se fosse la vedova Pinelli chiederrebbe la revisione del processo", dimostra solo di essere ignorante di procedura penale.

Democraticamente, ma incontrovertibilmente.

E così come risulta ridicolo un mototurista come me che inforca la moto di Valentino e si schianta sul guard rail di fronte, risulta ugualmente ridicola una persona che suggerisce soluzioni giuridiche semplicemente impossibili (e, si badi, non per una mera questione lessicale, come, nonostante tutto, continua a sostenere Lia, ma proprio per una ragione sostanziale. La vedova Pinelli potrebbe chiere la riapertura delle indagini. Ma, puramente e semplicemente, la richiesta verrebbe rigettate del tutto inevitabilmente con sette parole e una firma. Dunque, diveramente da quanto sostiene Lia, non è solo un problema lessicale. E' un problema sostanziale. Lia non ha proprio nessuna idea di cosa davvero si potrebbe fare. Propone una cosa del tutto impossibile come se fosse possibile. Solo perchè LEI la pensa così).

Il problema del nostro Paese non è sentirsi allenatori e credere di sapere bene noi ciò che servirebbe, ma cercare ciò che servirebbe davvero.

Lo scopo di questo blog era: il mondo non cambierà contrapponendo rabbia a rabbia e arroganza ad arroganza. Forse cambierà contrapponendo a chiacchiere argomenti logici.

La sfida non è: facciamo decidere i processi a un fruttivendolo (come non facciamo scegliere le arance a un giudice).

Ma: facciamo in modo che un fruttivendolo possa acquisire cognizioni sufficienti a capire quello che gli succede intorno e a criticare con cognizione di causa anche una sentenza della Cassazione. E detto per inciso l'ultima e definitiva sentenza della Cassazione sul caso Sofri (la n. 1801 del 22.1.1997) non è di migliaia di pagine, come è stato ancora una volta opinato senza nessuna cogniziome di causa, ma solo di 24. Leggerla non sarebbe la fine del mondo.

Spero che questo modesto contributo di pensiero possa arricchire il dibattito e non essere interpretato come polemico o antidemocratico.

Un saluto sinceramente caro a Lei e grazie per la Sua preziosa presenza fra noi.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

sarebbe possibile mettere a disposizione dei visitatori e degli estimatori di queso blog le parti piu' rilevanti delle sentenze su Sofri?

Pietro Gatto ha detto...

Credo che questa discussione sul metodo, nonostante le asperità polemiche, faccia bene al blog.

Sarebbe invece pericoloso se qualcuno pensasse che ci sia, tra i "tecnici", la voglia di marcare le distanze rispetto agli altri, semmai dando loro il silenzio. Sono un semplice visitatore del blog, ma credo di ben interpretare il suo spirito dicendo che la volontà è proprio quella opposta. Non sarebbe onesto sostenere il contrario.

C'è un limite, però. E il limite è dato dalle questioni di sostanza. Per riprendere un esempio, revisione del processo e riapertura delle indagini non sono affatto la stessa cosa. Sarebbe atto di doverosa umiltà prendere atto della cantonata e dire: "chiedo scusa", semmai chiedendo spiegazioni sulle differenze (e sulle possibili ripercussioni nella vicenda della quale si parla, perché ovviamente non siamo ad un corso di procedura penale)

Ho appena terminato di parlare al telefono con un consulente tecnico del pubblico ministero incaricato di effettuare una autopsia. Omicidio preterintenzionale, non una fesseria).

C'è un problema di concorso di cause nel decesso, dalle quali dipende la sorte del mio assistito. Ebbene: ho ascoltato, ho chiesto spiegazioni, ho preso atto. Non ho detto: dottore, secondo me lei si sbaglia, perché la morte per infarto a dieci giorni di distanza dall'aggressione non è causalmente collegata.

Sarei stato semplicemente un arrogante. Per cui, la prossima cosa che farò sarà quella di passare l'incartamento ad un altro medico per una consulenza di parte, sperando sia più favorevole.

E invece, qualcuno legge come spocchia il puntualizzare che revisione e riapertura delle indagini sono cose affatto diverse.

È un errore, un grave errore. Significa minare alla radice la altissima funzione civile che gli animatori di questo blog hanno scelto di perseguire: avvicinare i cittadini alle questioni giudiziarie con un approccio tecnico ma allo stesso tempo comprensibile.

Ci sono tanti blog di incazzati puri, anche quando gli incazzati sono mossi dalle intenzioni più nobili.

Ma questo non è un blog di incazzati. È un blog di teste pensanti.

Anonimo ha detto...

Per Anonimo delle 19.46.

Gentile Lettore,

non le prometto niente perchè ce le ho su supporto cartaceo e devo scannerizzarle, ma spero di riuscire a soddisfare la Sua apprezzatissima richiesta.

Intanto, sia per consentire a chi voglia e possa di procurarsele da sé, sia per dimostrare che il problema non è così semplice come lo si racconta, riporto la cronologia delle diverse sentenze pronunciate in questa vicenda:

1) Corte d'assise di Milano, 2 maggio 1990: Sofri, Pietrostefani, Bompressi vengono condannati a 22 anni, Marino a 11 anni;

2) Corte d'assise d'appello di Milano, 2 luglio 1991: conferma le condanne a 22 anni e a 11 anni;

3) Corte di cassazione, Sezioni unite, 21 ottobre 1992, n. 1653: annulla la sentenza precedente per vizi di motivazione;

4) Corte d'assise di appello di Milano, 21 dicembre 1993: assolve tutti gli imputati principali;

5) Corte di cassazione, I sezione penale, 27 ottobre 1994, n. 12585: annulla la sentenza precedente per vizi di motivazione e violazione di legge;

6) Corte d'assise d'appello di Milano, 11 novembre 1995: Sofri, Pietrostefani e Bompressi vengono condannati a 22 anni, Marino prosciolto per avvenuta prescrizione del reato;

7) Corte di cassazione, V sezione penale, 22 gennaio 1997, n. 1801: rigetta il ricorso e rende definitive le condanne;

8) Con atto depositato il 15 dicembre 1997 i condannati presentano richiesta di revisione della sentenza passata in giudicato;

9) Con ordinanza del 18 marzo 1998 la Corte d'appello di Milano dichiara la manifesta infondatezza della richiesta di revisione;

10) Corte di cassazione, 6 ottobre 1998: annullamento dell'ordinanza d'inammissibilità e rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano;

11) Corte d'appello di Brescia (per intervenuta novella legislativa che modificava i criteri di assegnazione della competenza anche per i procedimenti in corso), 23 febbraio 1999: dichiara inammissibile l'istanza di revisione;

12) Corte di cassazione, V sezione penale, 27 maggio 1999: annullamento dell'ordinanza bresciana e rinvio alla Corte d'appello di Venezia;

13) Corte d'appello di Venezia, 24 gennaio 2000: rigetto della richiesta di revisione;

14) Corte di cassazione, I sezione penale, 5 ottobre 2000: rigetto dei ricorsi proposti dagli istanti.

La sentenza di primo grado, As. Milano, 2 maggio 1990, Marino ed altri, è pubblicata in La sentenza del Processo Calabresi, Kaos, 1997.

Felice Lima

P.S. - Come si vede, del caso Sofri si sono occupati più di cinquanta fra magistrati e giudici popolari di tutti i gradi e di diverse città (la Cassazione decide in composizione di 5, la Corte di Assise e quella di Assise di Appello in composizione di 8 ciascuno). E' difficile immaginare che siano - per principio e "a prescindere" - tutti meno onesti e meno intelligenti di noi e dei nostri lettori.

Pietro Gatto ha detto...

Aggiungerei:

"11) Corte d'appello di Brescia (per intervenuta novella legislativa che modificava i criteri di assegnazione della competenza anche per i procedimenti in corso), 23 febbraio 1999: dichiara inammissibile l'istanza di revisione"

Questa modifica legislativa FU FATTA PROPRIO PER SOFRI (la sua lobby riteneva che la Corte d'Appello di Milano non fosse serena sul caso).

Le leggi ad personam, com'è evidente, non vengono soltanto da una parte.

Anonimo ha detto...

A Pietro Gatto.

Carissimo Avvocato,

grazie di cuore per la Sua preziosissima presenza qui fra noi.

I Suoi contributi arricchiscono di molto il nostro confronto.

La legge "ad personam Sofri" sulla competenza per le revisioni mi era sfuggita. Applicata anch'essa ai processi in corso, in pieno stile Berlusconiano, ma ad opera del clan avverso.

E' proprio vero che nessun capopopolo viene fuori dal nulla (tranne che non si tratti di dittature militari), ma è sempre il frutto di un percorso culturale collettivo.

Quando ho messo il primo post sul caso Sofri ero sicuro che avrebbe dato luogo a una discussione "difficile", ma credo che essa fosse veramente essenziale e indispensabile per il blog.

Per verificare se ciò che ci siamo detti qui in quest'anno ha avuto o no un senso questo esperimento pedagogico era ineludibile.

E' stato ed è faticoso, ma è illuminante.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

E' una Gioia leggere Felice Lima quando viene stuzzicato. E Lia ha veramente stuzzicato la Redazione.
b

Anonimo ha detto...

Anonimo delle 19,45.
Vorrei rispondere ad Achille. E' vero che non ho letto le sentenze.
Spero che questi documenti si possano presto avere (almeno quelli più rilevanti)su questo blog e ringrazio il dott Lima per aver dato le indicazioni di cui sopra. Le mie considerazioni sul "ragionevole dubbio" circa l'essere Adriano Sofri "il mandante" dell'omicidio Calabresi si basano su considerazioni di buon senso e sulla diretta conoscenza delle motivazioni psicologiche e del bisogno di protagonismo che spingevano la sinistra extra-parlamentare ad usare un linguaggio roboante e violento .Il solo fatto che decenni dopo l'omicidio di Calabresi un ex-idolatra del capo denunci (pare che i carabinieri abbiano avuto un ruolo non secondario nella decisione di Marino di autodenunciarsi e denunciare "il mandante")l'ex-idolo decaduto, è di per sè ,credo ,sospetto.
A distanza di tanti anni non può essere sospetta la ricostruzione dei fatti? So per esperienza personale che la bontà delle sentenze è strettamente legata alle modalità di trasmissione dei documenti al giudice, alla qualità degli stessi e al controllo sull'assenza di manipolazioni da parte di coloro che hanno accesso ai documenti. Questo controllo non è sempre facile, tutt'altro !(come provano i depistaggi e gli inquinamenti di prove di tanti processi ). Nel caso Sofri i dubbi -forse resi più acuti dal non aver letto le sentenze-,sono forti e direi piuttosto comprensibili.

Anonimo ha detto...

Per Anonima delle 21.52.

Gentile Amica,

non era in alcun modo mia intenzione essere ostile o polemico.

Le chiedo SINCERAMENTE scusa, come ho già fatto con tutti, se il mio modo di esprimermi può averla in qualche modo ferita o dispiaciuta.

Ciò che mi premeva di esprimere è che la Costituzione italiana stabilisce che nessuno può essere detto colpevole fino a quando non c'è una sentenza passata in giudicato che lo afferma.

In sostanza, in mancanza di una sentenza definitiva, ciascuno non è colpevole (che è cosa diversa da "è innocente", come tutti i servi del potere dicono di questi tempi) fino a prova contraria.

L'ordine costituzionale impone, però, che quando c'è una sentenza definitiva di condanna il condannato è colpevole fino a prova contraria.

Altrimenti non c'è più un ordine costituzionale e non ha nessun senso fare funzionare i Tribunali.

Si fa Porta a Porta tre volte al giorno e si decide per acclamazione popolare chi gli elettori vogliono colpevole e chi vogliono innocente. E se c'è bisogno dell'appello si fa Matrix (Costanzo Show come Cassazione, al bisogno).

Non intendevo minimamente prendere posizione sul "merito" del caso Sofri, ma sul "metodo" del caso Sofri e di tutti gli altri come quello.

Se ci mettiamo d'accordo su cosa è una democrazia costituzionale e con quale metodo si deve gestire la giustizia in un Paese democratico, sui singoli casi ognuno la pensi come vuole, che non c'è nulla di male.

Mi scusi davvero ancora, la prego, per le mie parole forse infelici.

Un caro saluto e grazie per la pazienza e cortesia con la quale mi ha sopportato.

Achille

tanino ferri ha detto...

Eppur si muove.

Perdonatemi la presunzione di questa citazione, ma è quello che ho dentro.
Certo trovarmi a controbattere il dr. Lima, il Felice Lima che tutti stimano ed apprezzano, è arduo, già mi sento stanchissimo per questa mia giornata campale, ma so che devo portare avanti quello che penso...
...perché non mi sento uguale, non sono uguale a coloro che hanno difeso Cesare Previti. Così senza spiegarlo. “A prescindere”.
Le mie convinzioni sul caso Sofri sono frutto di una temporale sedimentazione di informazioni, notizie, confronti (anche se non ho preso nota del processo di formazione delle stesse).
Io non credo che fare il Giudice sia più facile che fare il chirurgo ma credo, questo si, che anche se io non sono un chirurgo posso dare un giudizio sugli allora chirurghi della Santa Rita di Milano, e, anche se non ho visionato le cartelle cliniche dei malati, se non ho i referti delle autopsie, posso dire, con il beneficio del dubbio certo, non essendo ancora arrivata una sentenza definitiva, ma posso dire che io in quella Santa Rita non mi farei fatto ricoverare, non avrei fatto ricoverare nessun mio familiare, e neanche ...il mio peggior nemico.
Perché non posso anche dire, che in base a quel poco che so il signor Sofri potrebbe essere non colpevole. Solo perché c'è una sentenza della Suprema Corte?
Ma molti di noi sanno che Sofri è stato condannato solo per una testimonianza rilasciata dopo molti anni dal fatto delittuoso, e da un signore che è stato molto chiacchierato per i benefici che ha ricevuto da quella testimonianza.
Un altro lettore di questo sito ha ricordato le sentenze senza possibilità di appello di un nostro conterraneo, il dr. Carnevale, sostanzialmente corrette, ma prezioso bastione del conformismo nella giurisprudenza del Bel Paese.
Io giuro e spergiuro che non ho letto nessuna sentenza del Dr. Carnevale, ma il mio giudizio su di Lui non è riportabile su questo blog: ed, in questo caso, non ho ombra di dubbi.
Dr. Lima, abbia pazienza...

eppur si muove.

Anonimo ha detto...

Per Tanino Ferri.

Carissimo Tanino,

lei ha più della mia pazienza. Ha la mia affettuosa simpatia e sincera gratitudine (sono stato recentemente qualche giorno alle Eolie e avevo pensato di cercarla).

La pazienza è lei che ce l'ha con me. E di questo la ringrazio sinceramente.

Felice Lima

P.S. - Sperando di non aver frainteso il senso del suo "eppur si muove" e cercando di riderci su per sdrammatizzare, mi permetto di segnalare che Galilei vi giunse argomentando logicamente e che il torto dei suoi avversari fu proprio quello di non accettare il confronto argomentato e opporre agli argomenti una fede. Io credo e ho fede. E non ho solo La Fede, ma ho fede in tante cose e in tante persone. Ma quando qualcuno mi dice nel corso di un processo "mi creda", sono costretto a ricordargli che lo stipendio non me lo danno per credere, ma per "constatare". E che per decidere devo argomentare.

Anonimo ha detto...

Al caro Tanino Ferri vorrei dire che non ci trovo nulla di offensivo in quanto ha scritto e non me ne sento minimante offeso; che altrettanto non ho inteso offendere nessuno né marcare differenze tra addetti ai lavori, legittimati, e profani non legittimati ad esprimere opinioni.

Penso che il mio punto di vista sia chiarissimo. Su questo blog si denuncia da sempre la mistificazione dei fatti che imperversa nel sistema Italia, corrompendo dalle fondamenta il suo essere Democrazia. Il caso Sofri, il modo in cui esso viene affrontato dalla classe dirigente e propinato all’opinione pubblica è un esempio di questo metodo mistificatorio. Se impostiamo il dibattito sul “secondo me Sofri è innocente/secondo me è colpevole”, soprattutto se lo facciamo prescindendo totalmente dal mettere in campo le ragioni delle rispettive convinzioni, non facciamo altro che prestarci a questo metodo che spinge verso la sua fine lo Stato di diritto.

Il mio e, penso, quello del Blog è un invito ad andare oltre, a superare il “superficialismo”, ad argomentare; perché solo così possiamo coltivare la speranza di migliorarci come singoli e come società. Mi pare che l'avv. Gatto abbia inteso alla perfezione quale è stato lo spirito del mio e di altri interventi. Non c'è più ragione di aggiungere altro.

Solo mi permetto di dire a Tanino che lui a me - non io a lui - continua a fare dire cose diverse da quelle dette.

Una sola cosa mi preme smentire, che avrei detto che la Sua opinione è illegittima. Come chiunque potrà constatare, se vorrà, rileggendo quello che ho scritto, semplicemente ciò non è vero e, anzi, è vero il contrario: ho detto che l’opinione di Tanino è del tutto legittima. Ho aggiunto, e lo ribadisco, che non è affidabile.

Non credo sia il caso di soffermarsi sul fatto che illegittimo e inaffidabile sono concetti profondamente diversi e penso che, nel definire inaffidabile un’opinione, non c'è alcuna offesa né mancanza di rispetto verso chi la sostiene.

Mi sia permesso di dire che ci vuole essere, invece, solo quel rigore intellettuale sul quale qui si intende far leva per cercare di capire meglio le cose e, in definitiva, scusate la presunzione, per migliorare il modo.

Chiazzese

Cinzia ha detto...

Gentilissimo dott. Chiazzese
contraddirmi è un Suo diritto, non era invece mia intenzione spostare questo dibattito con argomenti pretestuosi.
Le mie erano semplici domande, magari ingenue ma credo lecite, per capire meglio in che termini ci si possa fare un'opinione.
Tanto meno era mia assurda quanto improponibile intenzione voler riaprire in questa sede il processo.
Nelle mie parole non ravviso rileggendole neanche l’intenzione di negare la storia processuale.
La mia opinione in merito alla questione Sofri l’ho già espressa nel post che lo riguardava direttamente e ci tengo qui di nuovo a precisare di non essere mai stata una sua sostenitrice, né fra quelli che chiedevano per lui una grazia che lui stesso non chiedeva per se (e non certo perché è un eroe).
Rilevo solo che nessuno si è dato pena di rispondermi, ma probabilmente è una mia colpa, in quanto dalle Sue parole e dall’indifferenza degli altri capisco che non sono state ritenute degne di attenzione.
Sono domande che mi pongo da tempo, ma che non ho mai avuto l’occasione di esporre in giusta sede.
Nessun problema, non sarò certo io a cambiare le sorti né della vicenda Sofri né di quella di Pinelli e neanche l’ho mai preteso. Vorrà dire semplicemente che rimarranno miei personalissimi dubbi. Perché, e questo sì ci tengo a precisarlo, io non ho certezze ma solo dubbi, umanissimi e ignorantissimi dubbi.
Comunque credo che leggere la sentenza definitiva non basti a formare un’opinione completa sulla faccenda, ma solo a prendere atto dell’opinione che se ne è fatta la Corte.
La quale opinione invece si è formata studiando faticosamente tutte le carte processuali fatte di testimonianze, prove e quant’altro sia venuto alla luce. Non si può dire che sia la stessa cosa.
Alla Redazione invece vorrei solo far rilevare che l’esempio della vicenda Previti non mi sembra poi così calzante se non sotto il profilo della faziosità di giudizio delle parti che sostengono aprioristicamente il proprio appoggio.
Nel merito invece non mi sembra che ci siano affinità visto che Previti non mi pare sia stato condannato sulla base di testimonianza di un pentito, ma potrei anche sbagliare.

tanino ferri ha detto...

Delle sentenze e delle pene sui fatti del G7 di Genova Bolzaneto.

Non ho letto sentenze per i fatti del G7 di Genova, ma di quei fatti, ho un'idea chiara, acquisita da articoli, documenti, foto e filmati.

Non ho letto sentenze, ma sono convintissimo che le condanne sono sproporzionate, per difetto, alla gravità dei reati.

La mia opinione sarà inaffidabile, pur se legittima, ma so che è condivisa da tante persone perbene.

Chiedo scusa per l'insistenza.

Anonimo ha detto...

Caro Tanino,

considero i fatti di Bolzaneto di inaudita gravità.

Sul punto abbiamo riportato sul blog moltissimi articoli e si sono svolte discussioni aperte e dure.

Abbiamo sottolineato quanto sia gravissimo che i responsabili di quei fatti abbiano ancora ruoli di potere nella Polizia di Stato.

Abbiamo detto come quei fatti testimonino come l'Italia non sia un paese democratico.

Della sentenza non abbiamo detto nulla, perchè non l'abbiamo letta anche perchè, se non sbaglio, non è ancora stata depositata.

Il processo e la sentenza sono, sotto il profilo che ci interessa, "fatti".

Non riusciamo proprio a commentarli senza conoscerli.

Questo non impedisce di commentare politicamente, culturalmente e moralmente i fatti di Genova - ormai pacifici sia processualmente che extraprocessualmente -, non impedisce di trarre da questo tutte le gravissime conclusioni che se ne devono trarre. Non impedisce neppure di osservare come la giustizia italiana nel suo complesso - e come abbiamo detto e ridetto mille volte anche per gravissime colpe dei giudici - risulti gravemente inadeguata, spesso timida, a volte addirittura collusa.

E tutto questo non è poco e basta e avanza per crescere collettivamente come popolo democratico.

Ma dire se quella concreta e specifica sentenza sia giusta o sbagliata davvero non mi sembra possibile senza averla letta.

Sarebbe come dire che l'acceleratore di particelle di Ginevra lo hanno scassato i tecnici dell'impianto elettrico senza sapere cosa è un acceleratore di particelle.

Badi che la differenza di approccio non è di poco conto, perchè chi, dentro la magistratura, copre le aree di viltà e di collusione ha tutto l'interesse a far notare come le accuse alla magistratura siano sempre generiche, tecnicamente indifendibili, fatte "con la pancia".

Secondo il mio modesto parere perchè una critica sia efficace deve essere seria, fondata, fatta con il cuore (a me la pancia non piace) ma anche con la testa.

Io sono totalmente d'accordo con lei sulla necessità di democratizzare davvero il dibattito sulla giustizia e ho lavorato a questo blog proprio per contribuire a offrire a tutti coloro che vi fossero interessati strumenti per farlo.

Dunque, sto assolutamente sulle sue posizioni a proposito della importanza FONDAMENTALE del contributo del suo fruttivendolo alla democrazia del paese.

Ma, come ho già scritto, ci dobbiamo attrezzare e ci dobbiamo impegnare a farlo.

Dopo di che, quando potremo leggere la sentenza di Genova - e, se fosse già disponibile, qualcuno provi a cercarla e condividerla - e lei vorrà spiegare perchè le pene inflitte le sembrano troppo basse io starò con lei a discuterne e a darle tutta la ragione se i suoi argomenti risultassero convincenti.

Senza alcuna "copertura" corporativa e senza alcun "rispetto reverenziale" verso le sentenze, che sono opere dell'uomo come tutte le altre.

Ma con un rispetto revenziale per la ragione, senza il quale strumento non facciamo altro che il gioco di chi sta riducendo il popolo a una massa informe che urla e sbraita e viene portato non dove sarebbe giusto ma dove serve ai ricchi e ai potenti che vada.

Non ho detto "non viene portato dove vorrebbe andare" perchè un popolo che non pensa non può neppure sapere dove vorrebbe andare.

Se mi permette un riferimento a un fatto a un tempo tragico e ridicolo, un popolo che non pensa è un popolo repubblicano che sta in massa per giorni davanti alla televisione a piangere la morte (ed è ovvio che la morte di chiunque va pianta perchè tragica e dolorosa) di una principessa straniera viziata e capricciosa, la cui biografia si esaurisce nel racconto di vicende amorosose ridicole e pittoresche, e - cosa decisiva - la paragona a madre Teresa di Calcutta.

E d'altra parte, se non si ragiona, succede che il giudizio collettivo su Andreotti finisce con il fondarsi solo sulle sentenze che lo riguardano e per di più e assurdamente neppure su ciò che le sentenze davvero dicono, ma su come i cantori del regime le raccontano.

Quello che dobbiamo fare, secondo me, Tanino, sono due cose:

1. spiegare alle persone che Sofri, Andreotti, Pinelli e i fatti del G8 vanno giudicati dal popolo per ciò che sono, indipendentemente da ciò che ne dicono le sentenze, perchè la verità giudiziaria non è né l'unica verità né tutta la verità, ma solo una parte di essa, e un popolo che aspetta la verità solo dai Tribunali è già fritto;

2. fare in modo che la verità dei Tribunali migliori di molto (e per farlo non servono insulti e sceneggiate alla Berlusconi o alla Sofri, ma impegno con la testa), che quella che già c'è sia valorizzata come dovuto e quella che non c'è sia cercata e reclamata.

Felice Lima

P.S. - Sul fatto che tutto il potere - senza distinzione di colori - considera ormai il popolo solo come una massa di pecoroni da prendere (e portare) in giro si potrebbero scrivere fiumi di parole. Permettetemi di ricorrere, invece, all'ironia e di segnalarvi il video che ha visto uno dei premi del Blogfest2008.

Si trova a questo link e racconta come il grande intellettuale Veltroni ha fondato la sua campagna elettorale sulla filosofia di ... Lorenzo Jovanotti e sul carisma di ... Tiberio Timperi (per favore, abbiate pietà e non ditemi che faccio politica, perchè non è questo sotto alcun profilo il mio intento).

Vittorio Ferraro ha detto...

Un breve contributo alla discussione in atto. Riporto il passo tratto dal libro del professor Isidoro Barbagallo, La prova testimoniale:

"La ricerca della verità, alla luce delle risultanze del processo, costituisce l'obiettivo principale dell'attività del giudice e dei difensori nel processo: questi ultimi, anche quando i loro clienti si trovino dalla parte del torto, contribuiscono alla ricerca della verità nel processo, adoperando lealmente tutti gli strumenti consentiti e leciti per difendere nella maniera migliore e più corretta i loro assistiti.
Occorre, inoltre, non dimenticare che nel processo c'è sempre qualcuno che, in effetti, sta dalla parte della ragione (in toto ovvero in parte prevalente). Il suo difensore avrà, pertanto, il pieno interesse a far emergere la verità dei fatti ed a far trionfare il proprio punto di vista di diritto.
In tale gioco di parti contrapposte è al giudice che, valutate le argomentazioni e le prove a lui offerte (iudex secundum alligata et probata iudicare debet), compete il difficile compito di stabilire da quale parte si trovi la verità, per come essa emerge dagli atti e dalle risultanze del processo: è questa la verità processuale, non sempre coincidente con la verità sostanziale, che è altra cosa (centrale nel processo canonico) cui, auspicabilmente, la verità processuale dovrebbe tendere a non discostarsi..."

Uscendo dal processo:
"Dica ognuno cosa gli sembra verità, e sia raccomandata a Dio la verità." Lessing.

Anonimo ha detto...

La lettura di alcuni interventi mi ha dato la dimostrazione di quanto pericolosa sia la proposta avanzata da alcuni lettori di questo blog e, quel che è più grave, dalla parte politica adesso al governo: l'elezione popolare della Pubblica Accusa e la centralità della giuria popolare nel processo penale, una giuria non competente dal punto di vista tecnico, che giudica solo sulla base dell'emozione e della simpatia verso l'imputato e l'avvocato, secondo il modello americano ( che a me ha sempre suscitato i brividi).
Cordiali saluti,
Irene

Anonimo ha detto...

Cara Irene,

mi permetta di approfittare del Suo intervento delle 12.12, per spiegare le differenze fra i sistemi c.d. di common law (per intenderci, quello americano e inglese), che sempre vengono invocati a sproposito come quelli che dovremmo imitare, e quelli c.d. di civil law, quale quello del nostro paese.

I sistemi di common law, quello americano e quello inglese funzionano così:

1. I processi vengono celebrati davanti a una giuria composta da persone sorteggiate a caso fra la popolazione.

Dunque, vi è un primo importantissimo elemento del giudizio che è affidato al caso. Della giuria potranno fare parte persone eccellenti o orribili cialtroni e, anche se gli avvocati hanno una certa esperienza nel riconoscere i peggiori e chiedere che vengano esclusi, resta un'alea molto significativa.

2. Poiché la giuria è composta da persone senza competenze tecniche e poiché non ci sono regole di merito per decidere se uno è colpevole o innocente, la sentenza non ha la motivazione di merito.

Ovverossia, si viene condannati all'ergastolo con questa sola motivazione: "Perchè la giuria ha deciso così".

Il condannato e il resto del mondo non sapranno mai se la giuria ha deciso così perchè ha creduto a quel teste o perchè si è convinta che il possesso dell'arma significava anche che l’imputato l'aveva usata.

E' condannato e basta.

E la sentenza è giusta per il solo fatto che è stata pronunciata dalla giuria popolare. E' il popolo che vuole così e dunque è giusto così.

3. Tutto il processo, dunque, consiste e si esaurisce nel convincere una giuria.

Il giudice professionale serve solo a gestire la procedura del processo. Ossia il rito. Ma il merito è "nelle mani" della sola giuria.

4. Giocandosi tutto nel convincere una giuria, il ruolo degli avvocati è determinante.

Gli avvocati costano una cifra spaventosa. Sono pochi, molto competenti, costosissimi.

5. Non esiste il processo in contumacia o a piede libero.

Appena vieni incriminato, vieni subito arrestato. Perchè l'incriminazione comporta la tua "traduzione" in vinculis davanti al giudice. Il giudice decide poi se liberarti provvisoriamente e se farlo previo pagamento di una cauzione.

6. La sentenza di primo grado - che è l'unico grado a cui hai diritto - è immediatamente esecutiva. Appena la giuria ti condanna, tu vai immediatamente in carcere a scontare la pena che ti è stata inflitta.

7. Non hai alcun diritto all'appello.

Chiedi l'appello e la Corte decide a sua discrezione se farlo o no.

La decisione non viene presa sulla base del "merito", sulla base cioè del fatto che la sentenza appaia giusta o no, perchè essendo del tutto priva di motivazione, non ha alcun senso chiedersi se è giusta o no. E' giusta per definizione, essendo stata pronunciata dalla giusta giuria.

L'appello ti viene riconosciuto solo se la Corte si convince che il processo è viziato nel rito. Se, cioè, si convince che la giuria è stata condizionata da una qualche procedura impropria.

In questo caso, ti fanno l'appello, che non è una revisione del primo giudizio (come in Italia), ma una rinnovazione totale dello stesso. Ti fanno, cioè, un nuovo processo, stavolta senza i vizi di procedura del precedente.

8. Se il nuovo giudizio finisce come il primo e, cioè, se vieni condannato di nuovo, il tempo che hai trascorso in carcere nell'attesa di questo secondo giudizio NON TI VIENE COMPUTATO COME PENA SCONTATA. Ossia, ti fai il carcere corrispondente alla condanna PIU' quello che hai fatto mentre si attendeva e si celebrava il nuovo processo.

Questa cosa che a noi sembra terrificante, è stata ritenuta legittima dalla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo.

9. Ovviamente non c'è alcun divieto di reformatio in peius e, dunque, il secondo giudizio potrebbe benissimo condannarti a una pena più grave del primo.



Il sistema italiano si fonda invece sui seguenti principi:

1. Cl processo si celebra davanti a una corte formata da professionisti di questo lavoro (i magistrati).

2. Ci sono regole di giudizio di merito e i giudici vi si debbono attenere.

3. I giudici devono esporre in una motivazione le ragioni della loro decisione.

4. La loro decisione e le sue ragioni divengono quindi note all’imputato e a tutto il popolo, che possono così sindacarle.

5. Si ha DIRITTO all’appello e al giudizio di legittimità della Cassazione, che si fondano sul riesame delle ragioni delle decisioni adottate nei gradi precedenti.

A mio sommesso parere, tutto questo – e ringrazio di cuore Irene per avermi dato l’occasione di esporlo – dimostra due cose:

A) Come il nostro sistema sia molto più civile di quello americano che tanti, a proprio uso e consumo, invocano a sproposito;

B) Quanta importanza abbia la motivazione delle sentenze.

La motivazione delle sentenze non è, come alcuni nostri amici lettori hanno dimostrato di credere, un orpello o uno strumento per riservare agli “addetti ai lavori” il dibattito sulla giustizia.

La motivazione – imposta dall’art. 111 della Costituzione – è lo strumento che fa sì che l’attività dei giudici non sia attività di imperio, ma attività tecnico-professionale, e che consente al popolo tutto di “verificare” e “sindacare” l’attività dei giudici.

Lo sforzo titanico fatto in tutti questi anni dalla classe politica – purtroppo tutta – è stato quello di mistificare queste questioni di rilievo costituzionale, politico e culturale, propugnando un “giudizio popolare” sul lavoro dei giudici fondato solo sulla “pancia”, perché la “pancia” del popolo il potere, con le sue televisioni e i suoi giornali, la controlla totalmente.

L’obiettivo del potere è oggi decidere lui cosa è “giusto” e cosa no e indurre il popolo a reclamarlo, accusando di "eversione" e trasferendo i giudici "disobbedienti".

Il risultato sarà quello già visto davanti al pretorio, quando Pilato, dinanzi a un imputato che riconosceva innocente, invece di fare il suo dovere e assolverlo, chiese al popolo cosa voleva. E il popolo, come noto, ne chiese la crocifissione, ottenendo dallo stesso Pilato la liberazione di Barabba.

A questo, dopo duemila anni, siamo tornati, radendo al suolo alcuni decenni di pensiero critico postrivoluzionario.

Per tutto questo ci siamo permessi su questo blog di dare luogo a questa diatriba sul caso Sofri, che si rivela ogni giorno di più preziosa.

Grazie a tutti coloro che vi stanno dando vita con pazienza e generosità.

Felice Lima

Pietro Gatto ha detto...

A tutti coloro che volessero farsi un'idea sulle connessioni tra processo e modelli di società, consiglio la lettura di M. Damaska, I volti della giustizia e del potere, il Mulino.

È un bellissimo saggio scritto da un professore americano (ma di origine slava, dunque continentale) di diritto comparato. Poche concessioni al tecnichese e al giuridichese, nella migliore tradizione anglosassone.

Damaska non concorderebbe con Felice Lima (come, si parva licet, non concordo io), la cui ricostruzione ha il "piccolo" difetto di mettere a confronto il la teoria del sistema continentale con la pratica del sistema anglosassone.

A ben vedere, si potrebbe ottenere il risultato inverso (cioè la superiorità del modello anglosassone), confrontando la teoria di quest'ultimo con la patologia del modello continentale. Ma è chiaro che, essendo sbagliato nel metodo, questo ragionamento non porterebbe da nessuna parte.

Perché ho citato Damaska? Perché questo studioso dimostra che vi è una stretta connessione tra processo continentale e sistemi politici autoritari (lui li chiama: di attuazione di scelte politiche); e, di conseguenza, tra processo anglosassone e sistemi politici liberali.

Felice Lima ha elencato correttamente le caratteristiche del processo anglosassone, ma lo ha fatto evidenziandone soprattutto le patologie (mentre da noi, sembra di capire, si vive nel migliore dei possibili mondi).

Ne volete una prova? Provate ad eliminare dal suo post l'espressione "anglosassone" o "americano" e cercate poi di indovinare a quale sistema politico quel processo possa essere attribuito: vi verrebbero subito in mente la Cina o la Libia, non di certo le più grandi democrazie del mondo (USA e UK), rispetto ai quali, sotto l'aspetto dei diritti individuali, noi siamo soltanto degli scolaretti.

Questione giuria.
È un dato di fatto che la giuria è in crisi anche nei paesi anglosassoni, poiché comporta costi e problemi logistici che l'alto numero di procedimenti non riesce più a sostenere. Ma risponde a un princio sommamente democratico che l'individuo sia giudicato dai suoi pari (non, ovviamente, nell'interpretazione interessata di rito berlusconiano...).

Gli anglosassoni non sono pazzi, ma semplicemente applicano il buon senso. Ciascuno di noi (il fruttivendolo di Tanino Ferri, per esempio) è in grado di giudicare se un fatto sia avvenuto o meno, o come sia avvenuto.

A ben vedere, lo facciamo in ogni istante della nostra vita. Osserviamo e giudichiamo fatti, questo facciamo.

Ovvio che, per sapere quali siano le conseguenze giuridiche di tale fatto, occorrano specifiche competenze giuridiche. Ed è questo il ruolo del giudice togato, il quale (ma questo Felice Lima non lo ha detto) dà le opportune istruzioni alla giuria, prima che questa emetta il verdetto. Dice cioè alla giuria: se voi ritenete che i fatti siano andati nel modo a, la conseguenza giuridica è dunque l'assoluzione; nel modo b, la conseguenza è la condanna.

Ai giudici abbiamo demandato l'onere di applicare il diritto, ma ciò non significa che essi siano più bravi di noi nel valutare i fatti.

Queste cose le dicevano già un paio di secoli fa gli illumnisti e il nostro Cesare Beccaria, continentali d.o.c., non rozzi cowboys texani.

Appello.
È interessante notare come la facoltà di accesso indiscriminato all'appello, indicato dalla magistratura italiana come uno dei fattori di allungamento della durata dei processi, venga ora eretto a baluardo di garanzia.

A costo di tirarmi dietro gli strali dei miei (molto più titolati) colleghi penalisti, io dico che l'appello andrebbe abolito, o comunque fortemente limitato. Se il processo di primo grado rispetta contraddittorio e parità delle parti (come avviene in Italia), perché, allora, affiancargli un doppione? Le garanzie non possono moltiplicarsi all'infinito, perché altrimenti non si giungerebbe mai ad una sentenza di condanna.

Bisognerebbe dire (ma Felice Lima non lo ha fatto) che l'appello è il classico istituto dei processi autoritari, dove i magistrati sono organizzati in maniera piramidale, senza apprezzabile indipendenza, e dove il controllo superiore è giustificato dall'esigenza del potere (il sovrano, piuttosto che il dittatore) di "controllare" cosa avviene in basso.

Dunque: nei paesi anglosassoni l'appello è limitato non perché sono dei pericolosi reazionari, ma perché il processo di primo grado è paritario, dunque di un doppione nel secondo grado non se ne vede il bisogno.

Felice Lima obietterà: ma quale paritario! Ma se negli USA il 95% per cento delle cause penali si chiudono con il patteggiamento della condanna!

È vero, come è vero che tra teoria e pratica c'è sempre un abisso. È così anche in Italia, dove ogni anno si celebrano decine di migliaia di processi a carico di extracomunitari irreperibili, di fatto messi nelle condizioni di non potersi difendere.

Dunque: confrontiamo teoria vs. teoria, patologia vs. patologia. Non facciamo pericolosi incroci.

Qui in Inghilterra, lo Stato spende ogni anno 3 miliardi (miliardi) di sterline per il gratuito patrocinio. In Italia? 64 milioni di euro, secondo l'ultimo dato disponibile.

Il discorso potrebbe continuare, ma rischierei di annoiare.

Sono comunque contento che Felice Lima, ottimo magistrato della cui ospitalità su questo blog io mi onoro, difenda il nostro processo penale.

Sono contento perché (ma anche questo non è stato detto) il nostro attuale processo (entrato in vigore nel 1989) è stato progettato sulla scia di quello anglosassione.

Abbiamo le garanzie che abbiamo perché le abbiamo emulate dagli americani e dagli inglesi, i quali, a loro volta, non hanno fatto altro che applicare le regole processuali già utilizzate dalla democrazia ateniene.

Il vero processo continentale, quello di civil law, è quello in vigore sino al 1988: vale a dire, il codice fascista Rocco.

Se non ricordo male, la magistratura italiana ha fortemente avversato il codice del 1988: troppe garanzie, troppi poteri alla difesa, troppa parità, troppo contraddittorio.

Ora, io non chiedo ad un magistrato di formazione contenentale di genuflettersi dinanzi al processo anglosassone.

Ma almeno, mi farebbe piacere se quello stesso magistrato desse atto che, se l'imputato di oggi, in Italia, ha visto consacrato il suo diritto a un processo giusto, è proprio per l'influenza che i canoni anglossassoni hanno avuto sulla nostra cultura giuridica.

Anonimo ha detto...

Caro Dottor Lima,

A legger Lei sembra che il sistema americano sia una cosa orrenda, e il sistema italiano il non plus ultra !

Lo vada a dire a quello cui hanno riconosciuto il diritto di servitù, in primo grado, dopo diciassette anni ! :)

Andiamo, sappiamo benissimo tutti e due che il sistema italiano di giustizia è peggio di quello dell' ex congo belga (non ricordo come si chiama ora) !

Quel che conta nel diritto è l'EFFETTIVITA', non i "Prinzipen" dello Schultz o le belle parole !

Rilevo, inoltre e per chi non lo sapesse, che il sistema americano si fonda su due diritti: quello "federale" e quello "statuale". Non è pertanto possibile fare un paragone diretto con il sistema italiano.

Meglio sarebbe fare un paragone con il sistema INGLESE: allora sì ... ma basta passare Ventimiglia e andare in Francia per vedere un sistema giuridico DEL TUTTO SIMILE AL NOSTRO funzionare perfettamente, almeno rispetto ai nostri parametri !

Li avete voluti così tanti avvocati ? Oltre cinque volte il numero di avvocati di tutta la Francia ?

Teneteveli !

Magari se qualche Procura si fosse "mossa" prima, e per più anni, non sareste ora a lamentarvi, perlomeno non così tanto.

Bastava poco. Ormai è tardi.

Stanno peggio gli avvocati, stanno peggio i giudici ... stanno peggio i cittadini !

Cordiali saluti.

Anonimo ha detto...

D'accordissimo con l'ultimo post di Irene, di cui sottoscrivo ogni parola...

Mi fa piacere vedere che gli animi sembrano un po' più tranquilli e non voglio far montare nessuna polemica, ma anch'io penso che questa discussione sia utilissima ad un processo di coscienza del blog (concediamogliene uno anche al blog!).

Anzi, vorrei smettere qui e andare a fare le altre mille cose che devo e che mi trovo sempre all'ultimo momento, ma devo sforrzarmi di scrivere perché penso sia una cosa abbastanza importante (se per voi tutti non lo è, pazienza, passate oltre). Sempre per il discorso "diamoci delle regole" sia nel discutere che ovviamente nel vivere civile, salvo poi reinterpretarle, dire che si è stati travisati e non si voleva intendere, dire che sì, la regola va bene ma occorrerebbe anche...

Non mi rileggo ora tutti i commenti qui sopra (li ho già letti) e non sto a fare le pulci a tutti, ne prendo uno solo come esempio, il nono, di Anonimo delle 21.46 del 20 settembre (l'autore non se la prenda, è solo un esempio che prendo poiché è stato anche citato da altri). In quel commento si dice "bisognerebbe chiedersi: perchè la dichiarazione di un soggetto che si poteva supporre inaffidabile e vendicativo per ragioni personali come l'ex operaio-massa calabrese Leonardo Marino,sia stato ritenuto attendibile nel denunciare (decenni dopo l'omicidio Calabresi) il suo ex-idolo Sofri di essere il mandante dell'omicidio?"
A quel commento la risposta di Achille "lei commenta criticamente le sentenze sul caso Sofri. Mi permette di chiederle una cosa: almeno una di queste sentenze l'ha letta?".
A questo piccolo botta e risposta è stato risposto che non occorre leggere le sentenze per farsi un'opinione, sennò nessuno potrebbe discettare se non di ciò che lo riguarda personalmente, o di ciò che è la sua professione.
In primo luogo vorrei far notare che se uno dicesse "secondo me Sofri è un grande intellettuale" gli si potrebbe obiettare "hai letto i suoi scritti? hai sentito qualche suo discorso?" ma non certo "hai letto la sentenza di condanna?"; ma qui ci si è chiesti su che basi è stata dichiarata valida la testimonianza di un certo Tizio al processo, che altro si poteva rispondere se non "ma hai letto la sentenza?" in cui viene appunto spiegata la motivazione per cui Sofri viene condannato (elencando le prove raccolte e spiegando le loro validità)?

E poi, sempre sul metodo: premesso che le sentenze sono atti umani e quindi non sono la verità assoluta, va sottolineato come di solito sono comunque espressioni di un convincimento il più possibile vicino alla realtà, perché per fare un processo occorre raccogliere ogni elemento utile, analizzarlo e vagliarlo e non farsi influenzare da sensazioni di alcun genere (fatti salvi gli errori, è ovvio).
Viceversa le convinzioni personali di chi ha letto articoli, partecipato a dibattiti, letto libri, ascoltato convegni -per quanto legittime- sono in ogni caso meno affidabili di quelle espresse in una sentenza. Primo perché se possono sbagliare i giudici nello scriverle non vedo perché non possano mai sbagliare i comuni cittadini nel formarsi le loro opinioni. Secondo perché partono non da una evidenza di fatti e prove ma da una rilettura degli/delle stesse, quand'anche questa non sia parziale, soggettiva, intrisa di convincimenti personali dei vari autori su cui ci formiamo.

Detto questo ecco il nodo centrale della questione che volevo (ri-pro)porre: anche il fruttivendolo sotto casa di Tanino ha diritto a dire la sua sulla politica, ci mancherebbe! Sulla giustizia, sull'economia, su...
Anche io, i miei amici, i miei cugini, perfino un'assassino reo confesso e per nulla pentito ha diritto a dire la sua (e ci mancherebbe). Ma tra dire una cosa e dirne una corretta ne passa.
Io posso discettare di quella che secondo me è la soluzione migliore per l'Alitalia, o per risolvere il problema del debito pubblico italiano, ma o porto argomenti convincenti (anche se non sono un'economista, potrei comunque essere illuminata), o gli altri sono liberi di dirmi "beh, è la tua opinione ma è sbagliata, perché non tiene conto di questo e quello e muove da premesse errate, frutto della tua ignoranza in materia". Io a quel punto non posso dire "no, secondo me invece ho ragione", devo dire "sì, secondo me ho ragione ma questo mio convincimento non vale niente e non mi da effettivamente ragione perché infatti parto da premesse d'ignoranza in materia".
2+2 lo sanno fare tutti, ma non perché la matematica sia una materia che tutti possono discutere a qualunque livello, semplicemente perché stiamo parlando di un livello talmente semplice da essere stato messo a disposizione di tutti. Bene fa la Redazione a sostenere questo blog che cerca di far uscire dalla propria Torre d'Avorio la materia giuridica, proprio perché mettendola a disposizione di tutti TUTTI NE POSSANO capire e quindi discutere e -perché no- contribuire con le proprie opinioni. Certo che non si può far uscire la materia snaturandola, con la scusa di renderla più accessibile: uno sforzo fa la Redazione a spiegarci la materia perché noi -capendo- possiamo arrivare a contraddire financo la Redazione stessa (con cognizione di causa), uno sforzo dobbiamo fare noi a capirla e mantenerla nella sua natura (ad esempio non travisando i termini giudiziari e non pretendendo di dire che tanto "significano lo stesso").

Concludendo -per quanto mi sia possibile- ribadisco l'ovvietà di quanto non dovrebbe essere ribadito, ma a quanto pare occorre fare: nessuno delegittima le opinioni degli altri, ma quando esse non siano fondate si abbia l'umiltà di riconoscerlo e di non pretendere che vengano prese per fondate quanto tutte le altre.

Silvia.

ps: tanto più che le proprie convinzioni si formano su incontri e studi (e altro) personali, che toccano solo una parte di realtà, quella che ci riguarda con esperienza diretta. Per cui non pretendiamo di poter discettare compiutamente di tutto, con cognizione di causa, se non di ciò di cui studiamo compiutamente.
Ecco che di politica (per dire) può discutere chiunque, ma se uno non si studia la storia politica del nostro paese, non può dire di sapere davvero come stanno le cose, può dire come gli appaiono.

Anonimo ha detto...

@ Pietro Gatto e il Dott. Lima

Gentilissimo Avvocato,
la ringrazio per i preziosi suggerimenti bibliografici e per i suoi interventi lucidi e chiarificatori.

Caro Dott. Lima,
ringrazio anche Lei per la pazienza con la quale spiega le cose e cerca di abituarci a riflettere e a pensare diversamente da come ci hanno abituato a fare.

Con grande stima,
Irene

Anonimo ha detto...

Per Pietro Gatto, con riferimento al suo commento delle 14.47.

Carissimo avv. Gatto,

certo che entrambi non solo non ci dispiaciamo della divergenza di vedute, ma al contrario la consideriamo una ricchezza, mi permetto di replicarle.

L’obiezione principale che intendo farle è che, a mio modesto parere, non è vero che io, come dice lei, abbia «messo a confronto la teoria del sistema continentale con la pratica del sistema anglosassone».

Io credo di avere messo a confronto la teoria di entrambi i sistemi. E non la teoria dell’uno e la pratica dell’altro.

Altro è il discorso sul perché l’uno o l’altro funzionano o no e in cosa funzionano e in cosa no.

Ma, come anche lei, che sul punto è molto più esperto di me, perché esercita la professione di avvocato in Inghilterra, quelle che ho descritto sono le regole del processo anglosassone e di quello italiano.

Sul perché poi l’uno o l’altro sistema funziona o no e in cosa funzionano e in cosa no potremmo scrivere libri.

Mi limito a indicare due cause, relative non alla teoria dei due sistemi ma ai contesti nei quale “operano”.

La prima considerazione riguarda il fatto che nel sistema italiano il processo è rimasto l’unico luogo di legalità. Il resto, tutto il resto, è illegalità non solo spregiudicatamente praticata, ma ostentata e lodata.

In Inghilterra il processo si può fare in un certo modo perché la maggior parte delle esigenze di tutela di diritti dei cittadini trova soddisfazione fuori dal processo e senza bisogno del processo.

E’ in Italia che per ottenere il posto che ti spetta devi ricorrere al TAR perché la maggior parte dei concorsi sono truccati. In Inghilterra la maggior parte dei concorsi non sono truccati. E quando un ministro non paga i contributi alla colf (è, come noto, un fatto realmente accaduto) non gli si fa il processo, perché appena un giornale pubblica la notizia lui corre a dimettersi e a pagare tutte le penali relative ai contributi evasi.

In Inghilterra il processo non è né l’unico né il principale luogo di legalità.

Dunque, un primo motivo per cui il sistema processuale inglese regge meglio è che la maggior parte dei problemi di legalità e di tutela di diritti in quel paese si risolvono in luoghi diversi dal tribunale, in una migliore gestione dell’amministrazione e dei rapporti fra cittadini.

La seconda considerazione è in qualche modo collegata alla prima e riguarda il modo con cui si partecipa ai processi.

In Inghilterra dire la verità al giudice è un dovere assoluto e ricorrere, da parte di un avvocato, a espedienti vergognosi è motivo di immediata radiazione. Lo stesso imputato può tacere, ma se parla DEVE dire la verità.

In Italia mentono tutti – imputato, testi, avvocato – e qualunque espediente è “buono” per non pagare, per evitare il carcere, per sottrarsi ai propri obblighi.

Ce lo ha raccontato lei su questo blog che è arrivato a Londra, ha posteggiato senza avere la targhetta che lo autorizzava e ha preso una multa.

E’ corso a pagarla punto e basta. Se non l’avesse pagata entro pochi giorni le avrebbero prelevato l’auto e l’avrebbero distrutta dentro un compattatore (è questo, se non ricordo male, il suo resoconto).

Il cittadino inglese può ricorrere al giudice contro la contravvenzione, ma è bene che abbia molta ragione, perché il processo costerà un sacco di soldi e se lo perderà si dovrà vendere la casa per pagare avvocati e processo.

In Italia, invece, accade tutt’altro.

Le racconto un caso uguale a quello suo ma con epilogo italiano.

Il vigile multa un catanese che ha parcheggiato sulle strisce blu ma senza biglietto del parchimetro.

Lui fa ricorso al Giudice di Pace e porta una testimone – viceprocuratore onorario – che dice di avergli visto mettere il biglietto del parchimetro, anche se non si ricorda bene il giorno e l’ora. Inoltre – il contravventore – sostiene che quel giorno aveva piovuto moltissimo e i vetri erano appannati e produce i bollettini meteo di mezza ragione. Chiede al Giudice di Pace di acquisire ulteriori dati presso l’ufficio meteorologico dell’aeronautica.

Il Giudice di Pace lo manda a quel paese e rigetta il ricorso.

Lui fa appello.

Il mio ufficio, fra una madre morta in sala operatoria, il sequestro di un’azienda e lo sfratto dell’asilo nido comunale, si occupa anche di appelli alle sentenze del Giudice di Pace sulle contravvenzioni stradali.

Perché a un certo punto si era stabilito – molto opportunamente – che per una contravvenzione stradale davamo al cittadino solo un grado di giudizio di merito e la Cassazione.

Poi si è deciso che questo è troppo poco garantista ed ecco che per quaranta euro di divieto di sosta ora hai di nuovo diritto a un primo grado davanti al Giudice di Pace all’appello davanti al Tribunale e alla Cassazione.

Credo sia ipocrita stupirsi per il fatto che la nostra giustizia sia ingolfatissima.

Dopo di che mi permetta di dirle che non sono affatto sicuro che una giuria non tecnica abbia le stesse competenze per decidere un caso come quello che ci ha raccontato proprio qui lei di concorso di cause nella morte di una persona. O uno nel quale si discute se ci si trovi davanti a colpa cosciente o dolo eventuale. O di un altro nel quale bisogna decidere se credere o no alla teste o al teste che piange e simula o non simula.

Infine, non credo proprio che gli italiani vorrebbero una giustizia rapida ed efficace.

O meglio, la vorrebbero in teoria e pensando a quando hanno ragione. Ma se hanno torto – e purtroppo in un paese ad alta diffusione della illegalità troppi e troppo spesso hanno torto – vuole ventisette gradi di giudizio e tremila vie di fuga dalla responsabilità.

Per non parlare poi di una cosa che lei ha giustamente messo in luce: il fatto che in Inghilterra e in America si fanno pochissimi processi perché si patteggiano LE CONDANNE fuori e prima del processo.

Glielo dica lei agli italiani come funziona in Inghilterra.

Ti chiama il pubblico ministero e ti dice: “Mio caro imprenditore, io ho scoperto che lei ha evaso le tasse. Adesso noi patteggiamo una bella multa di un milione di sterline e lei la va a pagare domani mattina. Altrimenti ci facciamo un processo nel quale io sosterrò che lei di tasse ne ha evase il doppio e punterò a ottenere che lei paghi una multa di tre milioni di sterline, invece che uno. E’ possibile che perda la causa, ma potrei anche farcela a convincere la giuria e allora vincerei. Che ne dice?” E quello patteggia.

Anni fa dei balordi hanno assassinato negli USA un catanese. Sono stati catturati e tutto si è chiuso in dieci giorni, PATTEGGIANDO UN ERGASTOLO.

Lei crede che gli italiani siano disposti a reggere cose del genere?

In Inghilterra il processo Sofri si sarebbe concluso con la prima sentenza, che è del 2.5.1990 ed è di condanna.

Se l’immagina che strazio a sopportare quelli che lo considerano ancora un perseguitato dopo ventidue gradi?

A lei la palla.

Un caro saluto.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Pietro Gatto scrive:

"Ciascuno di noi (il fruttivendolo di Tanino Ferri, per esempio) è in grado di giudicare se un fatto sia avvenuto o meno, o come sia avvenuto."

Non sono d'accordo, e credo che chi giudica per mestiere giudica meglio.

Prima di accusare qualcuno, il pm sottopone la propria ricostruzione a una serie di possibili obiezioni e/o ipotesi alternative.

Successivamente, il giudice afferma / nega / mette in dubbio i fatti tenendo conto delle ricostruzioni alternative proposte dalla difesa e valutandone la plausibilità.

Inoltre, il giudice non solo deve "convincersi" ma deve anche dar conto per iscritto del procedimento logico che l'ha portato alla decisione.

Anche nello scrivere la motivazione, e nel confutare le tesi alternative prospettateglisi, il giudice affina il proprio rigore logico.

questo succede ai magistrati migliaia di volte all'anno, per molti anni.

dubito che tale "allenamento" non conferisca a un magistrato di normale intelligenza una capacità di valutare i fatti (capire se il teste mente, valutare la precisione e la gravità di un indizio) superiore a quelli di cui naturalmente è dotato un qualsiasi giurato sorteggiato.

ovviamente, anche questa ricostruzione non tiene conto della patologia :-)

Anonimo ha detto...

Scusate se intervengo ancora, ma mi spingono a farlo le le osservazioni svolte da Anonimo delle 19.26, che condivido.

Gentile avv. Gatto,

proprio lei che opera in Inghilterra sa bene come il lavoro dell'avvocato e quello del giudice richiedono una serie di competenze - pensi alla psicologia tanto utile per chi investiga e per chi interroga dei testi in un dibattimento - che si procurano coloro che se ne devono servire per professione e che non sono "comuni".

Ma anche a volerle concedere che questo non sia vero - e io non glielo concedo - e che il nostro lavoro non richieda competenze professionali specifiche, resta il valore, messo in luce da Anonimo delle 19.26, dell'esperienza.

Sono un motociclista appassionato e non ho mai lasciato le mie moto in nessuna officina. Assisto a tutte le riparazioni. Molte me le faccio da me.

In linea del tutto teorica ho tutte le competenze necessarie a fare certe riparazioni. Ma alla fine deve sempre intervenire il mio fraterno amico che fa il meccanico.

Perchè?

Perchè un conto è sapere smontare e rimontare in teoria una testata. E' un lavoro teoricamente assai semplice.

Un conto è farlo praticamente.

Chi ha smontato mille testate lo fa in un modo purtroppo ineguagliabile da chi ne ha smontata solo una.

Così il medico con vent'anni di professione riconosce prima il sintomo che invece sfugge allo specializzando.

E un bravo avvocato e un bravo magistrato colgono prima e meglio di un profano l'inverosimiglianza di una testimonianza o la contraddittorietà di un'altra.

Io voglio essere giudicato da una persona che ne ha giudicati altri prima di me e ne giudicherà ancora dopo di me.

Come voglio essere curato da un medico che ha già visto altre volte i sintomi della mia malattia.

Non voglio essere giudicato da una salumiera - ma è uguale con una farmacista o un fisico nucleare - che una sola volta nella vita lascia il suo negozio/farmacia/laboratorio e viene a provare sulla mia pelle l'emozione di giudicare un caso giudiziario.

Un caro saluto.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Per Achille. Lei ha perfettamente ragione quando afferma che Adriano Sofri è da considerarsi colpevole fino a prova contraria.Mi piacerebbe che intervenisse direttamente lui stesso in questo blog. Le mie osservazioni non intendevano mimimamente difendere con un ottica di parte il "compagno" Sofri. In verità mi sono sempre stupita che Adriano Sofri non contestasse con argomenti forti innanzitutto la "credibilità "del suo accusatore. L'unica spiegazione che mi sono data (per questa omissione )sta nel tipo di legame psicologico esistente tra Marino e Sofri: il rapporto tra il capo idolatrato dal suo gregario è condizionato dal riflesso di devozione inconscia del capo verso il gregario che lo conferma come capo.Mettere in questione la credibilità dei moventi che hanno spinto Marino alla delazione poteva significare mettere in questione la "propria "credibilità di leader.
Lo stesso sfondo di natura psicologica si ritrova nella ridicola pretesa di attribuire una pseudo nobiltà alle ragioni dei killer di Calabresi. Il commissario Calabresi stava svolgendo delle delicate indagini su traffici di armi (e credo sull'ndrangheta)quando fu assassinato. Perche mai non potrebbe essere stato ucciso per quelle indagini ,come accadde a altri poliziotti nello stesso periodo?
Ma una cosa è la colpevolezza giudiziaria e un'altra la verità storica. Come giustamente rileva Cinzia ,gli unici testimoni del "delitto "Pinelli(non v'è possibilità alcuna che un uomo ,che dopo tre giorni di internanento e interrogatori continui vola dalla finestra ,possa aver deciso un "libero" suicidio),avvenuto due o tre giorni dopo la strage di piazza fontana,sono i poliziotti stessi che lo stavano interrogando.Pertanto gli unici documenti e testimonianze che il PM D'Ambrosio ha avuto a disposizione sono quelle rese dai potenziali killer di Pinelli. Quale attendibilità? Ovra docet.
Ma la grande macchia oscura , l'assenza di giustizia che rovina questo paese è la rinuncia a perseguire i colpevoli di quella prima tremenda strage. All' inizio di questo millennio in Italia abbiamo un Sofri condannato e colpevole fino a prova contraria e una strage "innocente", senza autori e colpevoli fino a prova contraria. Il rapporto tra la strage di piazza fontana, la morte di Pinelli ,(arrestato nell'ambito della caccia all'anarchico )e l'assassinio di Calabresi(quest'ultimo solo nell'immaginario della sinistra)sono collegati nella memoria storica e nella sequenza temporale. Alla resa dei conti però solo sulla strage del 12 dicembre è calato il vergognoso silenzio della Giustizia italiana

Pietro Gatto ha detto...

Innanzitutto un sincero ringraziamento a Irene, che mi fa sentire meno noioso.

Felice Lima mi cede la palla, che spero di giocare nel miglior modo possibile. Non sono in forma: vengo appena dal supermercato, dove l'unità di misura di frutta e verdura è il carato, non il grammo. Per me, abituato ai mercati meridionali, dove basilico e origano si regalano, è ancora una shock culturale.

Carissimo dottor Lima, nella sua replica ho apprezzato alcune considerazioni, mentre non ne ho condiviso altre. Su alcuni punti non mi ha risposto (ma ci tornerò in seguito).

Il mio precedente post criticava il suo assunto, e cioè che il nostro processo è migliore di quello anglosassone. Si ragionava di norme, non di società.

Condivido al 100% la considerazione per cui, in Italia, il processo è l'unico luogo in cui il principio di legalità trova ancora ospitalità, perché il resto della società lo ha accantonato da un pezzo.

Aggiungo pure che in Italia chi invoca riforme in senso anglosassone lo fa di solito a sproposito o - peggio - in maniera interessata. Io non sono culturalmente contrario alla sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo, perché azione e giurisdizione seguono logiche diverse ed hanno esigenze di garanzia diverse. Allo stesso modo, sono convinto che sottoporre in Italia il pm all'esecutivo sarebbe una iattura, la fine dello stato di diritto. Perché, come ha fatto ben notare lei, in Italia mancano strumenti di controllo di legalità esterni al processo (pubblica opinione consapevole, informazione libera), tali da bilanciare e deunciare eventuali sopraffazioni del potere esecutivo.

Ecco perché quando Angelino (Jolie) Alfano parla di riforma dell'azione penale, a me vengono i brividi.

Lei smentisce di aver confrontato la teoria del processo continentale con la pratica del processo anglosassone. Ma poi mi risponde con un argomento soltanto in parte rilevante (il processo funziona se è affiancato da altri strumenti di controllo), quando invece l'oggetto del mio post era: da un punto di vista normativo, il processo anglosassone è o meno superiore a quello continentale? Nel suo primo post, lei ha dato una risposta sulla base delle norme. Ma quando io ho replicato usando la stessa arma, lei ha cambiato metodo di indagine: non più le norme, ma il contesto sociale.

Con tutta onestà (e con questo rispondo anche ad Anonimo delle 19.26), non mi batterei per il ritorno della giuria, la cui reintroduzione manderebbe definitivamente in tilt l'intera macchina giudiziaria.

Insisto, invece, sul fatto che l'avere vinto un concorso in magistratura (o l'avere superato l'esame da avvocato) non ci rende più bravi degli altri a valutare IL FATTO.

Perché allora avrebbe ragione Tanino Ferri, che potrebbe dire: ma scusate, prima non leggo le sentenze e mi dite che la mia opinione non serve; poi leggo la sentenza, semmai leggo anche il verbale delle testimonianze, mi faccio un'idea ma anche in quel caso la opionione vale meno della vostra, perché voi avete fatto le "scuole grosse"! Non è allora che vi credete "i migliori"?

Mi dispiace, ma non sono d'accordo con voi. Felice Lima ha menzionato il caso citato da me qualche giorno fa, chiedendomi se sarei tranquillo a farlo giudicare da una manciata di quisque de populo. Io dico di sì.

Il caso è questo (il mio assistito non me ne vorrà, tanto non faccio nomi e lui è pure inglese, quindi non frequenta il nostro blog).

Nel corso di una vacanza in Italia, Tizio, il mio assistito, ha un forte litigio con Caio (ahimè, il padre). Vengono alle vie di fatto e, stando ad alcune testimonianze, Tizio sbatte violentemente la testa di Caio contro il muro. Sulle prime non succede nulla, tant'è vero che Tizio, arrestato dalla polizia intevenuta sul luogo, viene rilasciato dopo nemmeno dodici ore.

Il giorno dopo, Caio accusa un forte dolore alla testa e corre in ospedale. Gli viene diagnosticata una emorragia, sicché i medici decidono di intervenire chirurgicamente. Lo operano e l'intervento riesce.

Dopo sei giorni Caio, che è ancora in ospedale per la convalescenza, ha un attacco cardiaco e muore.

Il punto è: c'è un nesso di causalità tra le lesioni riportate nel litigio e la morte? Oppure il nesso di causalità deve ritenersi spezzato?

Così riferito, ha gioco facile Felice Lima a dire: è un caso troppo difficile perché possa essere affidato al salumiere o al meccanico (o all'astrofisico o al direttore di banca). Io invece rispondo: scomponiamo la storia, vediamo su cosa la giuria è chiamata a giudicare.

Punto primo: bisogna provare l'aggressione. Davvero credete che l'uomo qualunque non riesca a valutare l'attendibilità di un testimonianza, capire se un testimone sta dicendo il vero o il falso (semmai perché balbetta, si contraddice, è reticente)? Se così fosse, dovremmo rivolgerci al giudice per ogni cosa: per capire sei il socio ci sta fregando, se il partner ci sta mettendo le corna, etc. Eppure ogni giorno ognuno di noi dice: questo fatto è vero, quest'altro è falso. E non credo che tutti i giudici cornuti sappiano di esserlo, perché come valutano loro i fatti...

Poi occorre provare il nesso di causalità. Ma a questo punto non si chiedono al giurato competenze scientifiche (che neanche il giudice ha): si chiede semplicemente di valutare la deposizione del perito, le statistiche che cita, la tenuta del suo discorso rispetto a obiezioni del consulente di parte, etc.

A questo punto interviene il giudice, che istruisce la giuria in punto di diritto. Questo significa valutare il fatto.

L'obiezione di anonimo, ripresa anche da Felice Lima nel secondo post, è che il giudice è abituato a valutare, ha affinato le tecniche, quindi è più bravo.

È un'obiezione debole. Innanzitutto perché la tecnica nella conduzione dell'esame testimoniale è cosa ben diversa. Per esaminare un teste, per fare emergere contraddizioni nel suo racconto, certo che occorre essere degli esperti. Ma per valutare l'esito di quella attività no. Occorre semplicemente usare il buon senso.

Abitudine a valutare? Potrebbe anche dirsi assuefazione. Caro dottor Lima, sia sincero: quante volte i giudici si distraggono durante l'esame dei testimoni, perché tanto poi - a distanza di mesi - si può sempre leggere il verbale? E così facendo, quanti preziosi elementi si fanno sfuggire (una smorfia, un gesto di disappunto, ecc., che contano eccome nella valutazione dell'attendibilità)? Il giurato invece è attento, perché si sente responsabilizzato. Per il giudice è routine.

Ma torniamo alla domanda principale. Caro dottor Lima, io ribadisco che:

1) il processo di civil law "classico" è di stampo inquisitorio, dunque autoritario. Se oggi siamo in grado soltanto di paragonare il nostro processo a quello anglosassone, è perché siamo stati noi ad avvicinarsi a loro, non viceversa;

2) l'atteggiamento della magistratura nei confronti del codice del 1988 è stato di avversità, sin dal primo giorno. Per i magistrati era (ma aggiungerei: è tutt'ora) inconcepibile che un atto di indagine del pm non potesse valere come prova nel dibattimento. Chiedere al 'buon' Maddalena per avere conferme.

3) la magistratura italiana era, al contrario, molto 'affezionata' al codice fascista ed ha vissuto il distacco come un trauma.

Carissimo dottor Lima, mi piacerebbe sapere cosa pensa al riguardo.

Grazie per la pazienza.

Anonimo ha detto...

Carissimo avv. Gatto,

lei mi chiede cosa penso delle cose che ha scritto.

Le rispondo per punti:

1. E' stato bellissimo leggerle. Ho lavorato per anni come giudice di un collegio con colleghi eccellenti e da anni sono monocratico e soffro. Soffro perchè mi manca il confronto ed è bellissimo confrontarsi e scoprire lati delle cose che ti erano sfuggiti: per esempio il rischio da lei messo in luce - e secondo me reale, purtroppo - che l'abitudine trasformi la professionalità in "mestiere" in senso deteriore.

2. Non voglio elencare punto per punto ciò che condivido e ciò che no. Perchè sto meglio, quando il contesto lo consente (è un problema di onestà intellettuale degli interlocutori) e questo contesto lo consente, a procedere senza la necessità di dovere "difendere posizioni" e così potere vedere dove si va se si considerano quante più cose possibili.

3. Adesso devo scappare e non riesco a sviluppare tutto il ragionamento (e le chiedo sinceramente scusa per questo), ma continuo a trovare bizzarro e un po' surreale un processo nel quale dei supertecnici e grandissimi marpioni - gli avvocati (ché lì da voi accusa e difesa le fanno gli avvocati) - si cucinano un processo che viene deciso da sprovveduti capitati lì per caso.

Capisco che lei ci si trovi a suo agio, perchè quello è il miglior contesto operativo per un avvocato (e sia chiaro che lo dico con la massima stima e considerazione per lei e per gli avvocati come lei: la mia non è una critica "ostile"). Ma a me continua a sembrare paradossale che le sorti del processo non siano affidate alle competenze di giudici e avvocati ugualmente competenti, ma ad avvocati estremamente competenti (e per questo strapagati) e a sprovveduti presi a caso la cui decisione poggerà tutta sulla capacità che avranno avuto i competenti marpioni di persuaderli.

Mi scuso per la volgarizzazione terribile del discorso, ma questo mi è sembrato il percorso più sintetico per dire ciò che penso dell'idea che chiunque può giudicare.

E badi, io penso che è ovvio che in astratto chiunque può giudicare, come in astratto chiunque può assaggiare vini, chiunque può guidare camion, correre gran premi e vendere tappeti.

Ma poi, in concreto, chi debba decidere chi assumere per fare queste cose sceglie sempre un professionista. Il ristorante sceglie un sommellier professionista. La ditta di autotrasporti sceglie il camionista professionista. La Yamaha vuole Valentino. La pizzeria vuole il pizzaiolo referenziato.

La giustizia no. La giustizia la facciamo fare a quisque de populo.

Capisco i suoi argomenti e ci rifletterò. Ma intanto mi permetta di sfotterla affettuosamente. :-)

4. Su ciò che ci divide a proposito di norme e contesti. Le chiedo scusa se ho fatto pasticci, ma a me, le assicuro in buona fede, non pare.

A me pare di avere esposto nel mio primo commento sul punto (quello ispirato da Irene) le regole dei due sistemi e poi, quando lei ha parlato di teoria e prassi, ho aggiunto considerazioni sui contesti che condizionano i sistemi.

Ma, ripeto, se sono sembrato capzioso me ne scuso.

In realtà quello che credo è che siamo entrambi in buona fede ma entrambi seguiamo nostri percorsi molto strutturati e sovrastrutturati. Sicchè "leggiamo" l'altro con le nostre griglie e lo interpretiamo "a modo nostro" ("a modo nostro" in buona fede si intende).

5. Mi perdoni se faccio una cosa orribile che è un atto di pura vanità, commentando il suo seguente passo.

Lei ha scritto: "2) l'atteggiamento della magistratura nei confronti del codice del 1988 è stato di avversità, sin dal primo giorno. Per i magistrati era (ma aggiungerei: è tutt'ora) inconcepibile che un atto di indagine del pm non potesse valere come prova nel dibattimento. Chiedere al 'buon' Maddalena per avere conferme. 3) la magistratura italiana era, al contrario, molto 'affezionata' al codice fascista ed ha vissuto il distacco come un trauma."

Sul punto, carissimo avvocato voglio dirle le seguenti cose:

A) sono pienamente d'accordo con lei;

B) (e qui c'è la vanità) io non sono stato come la maggior parte dei miei colleghi e non ho condiviso per nulla Marcello Maddalena (è divertente che giusto pochi giorni fa ci siamo confrontati proprio con lui e proprio su questo blog su altre questioni). Io ho amato il nuovo codice da subito. L'ho anche insegnato alla Scuola Superiore di Polizia (a avevo solo trent'anni). Ho fatto inchieste importanti, come pubblico ministero e con il nuovo rito, coronate da successo (considero "successo" le condanne definitive in tempi brevi).

C) poi il codice del 1988 è stato sconvolto in maniera demenziale con questa cosa che - ne sono contentissimo - trova critico anche lei. Questo innestare male cose degli uni con cose degli altri.

Dunque, l'abbreviato - che doveva essere una scelta dell'imputato che il P.M. doveva condividere o no del tutto liberamente - è diventato un diritto dell'imputato, ora addirittura in versione "allungata" (l'abbreviato condizionato). E tante altre cose simili che hanno sfigurato questo processo. E più in generale, per consentire a pregiudicati e indagati eccellenti di stare in Parlamento e al potere, si è sostanzialmente e definitivamente affossata la giustizia. Tutta.

In questo contesto continuare a discutere di quale sia un sistema "giusto" è vermanete difficile.

E' come se in un convento di suore tutte si dessero alla prostituzione e poi un paio si mettessero a discutere se la pietà delle consorelle (frattanto dedite alla prostituzione) viene aiutata di più dal silenzio durante il pranzo o dalla lettura di libri di pietà.

In un paese nel quale De Magistris e Forleo vengono cacciati invece che premiati; nel quale gli avvocati di Berlusconi possono fare quello che stanno facendo nel processo Mils; nel quale si fa un indulto assurdo solo per scarcerare una persona; nel quale il Ministro dell'economia dice che per scongiurare fatti come la crisi dei mutui bisogna punire seriamente il falso in bilancio dimenticando che sono stati i suoi amici a depenalizzarlo; nel quale eccetera eccetera, come si fa a discutere lucidamente di regole, principi e contesti?

Scusatemi - lei e tutti - per la confusionarietà di questo discorso, ma avevo poco tempo per scriverlo.

Grazie davvero di cuore per la generosità e la ricchezza dei suoi contributi e per il regalo di eleganza, intelligenza e cortesia che offre a tutti noi qui.

Scusi se scappo via.

A presto.

Felice Lima

Pietro Gatto ha detto...

Caro dottore,

lei è troppo buono con me. Per un mero errore (ahimè, non correggo mai i post) non ho specificato che mi sarebbe piaciuta una sua risposta soltanto sull'ultima parte del mio post. Non sono così presuntuoso, mi creda!

Sulla giuria non raggiungeremo mai un accordo. Ma ammetto che si tratta di un dibattito piuttosto di scuola. Un giudice togato, purché indipendente, offre ogni garanzia possibile.

Mi interessava conoscere il suo giudizio sull'architettura del nostro codice, ecco perché l'ho stuzzicata alla fine del mio post.

Incassato il suo giudizio, ritiro la qualifica di "magistrato continentale", anzi mi pento della superficialità con la quale l'ho formulata.

Perché, a ben vedere, non esistono magistrati "continentali" e magistrati "anglosassoni'. Esistono soltanto buoni magistrati, e magistrati meno buoni.

Grazie ancora.

Anonimo ha detto...

Avete citato il dottore Maddalena?
Che tristezza ("maleducazione") non aver risposto al dottore Lima, ed agli altri commenti scaturiti dalla Sua lettera!!!

Anonimo ha detto...

Anche se nessuno risponderà, vorrei ribadire il mio giudizio totalmente negativo sul "nuovo" c.p.p., mille volte novellato, e sulle sue conseguenze: il PM che fa il poliziotto, l'avvocato che diventa ancor più formalista di quanto era prima, il "due process of law" (o supposto tale) introdotto in un ordinamento continentale, lo svilimento totale del principio della ricerca della VERITA' nel processo, ecc. ecc.

E' stata una cosa ORRENDA ! E ancora più orrenda è la mentalità meramente formalistica che ne è derivata, sia dal lato degli avvocati, sia da quello dei magistrati.

Il processo come "gioco", diceva Carnelutti. Ma se potesse vedere il triste gioco e la tristissima recita quotidiana nelle aule penali credo che il suo giudizio oggi sarebbe affatto diverso.

Chi ha apparentemente guadagnato da tutto questo è solo il PM !

Ma ogni cosa ha il suo prezzo, e pare proprio che adesso il creditore intenda davvero procedere in via esecutiva.

Peccato non si possano nascondere i beni !

tanino ferri ha detto...

Ma cosa dite mai?

Con tutto il rispetto per Voi, Giudici ed Avvocati, non credo che Voi siate gli unici ad avere le migliori competenze, anche nel senso di più opportune, per esprimere giudizi nella società civile, sulla società civile.

All'interno di un processo, ovviamente, si. E' il vostro "mestiere".
Ed è chiaro che un bravo Avvocato, un bravo Giudice si muovono all'interno dell'aula con quelle capacità che ne io ne il mio, ormai famoso, fruttivendolo abbiamo. Ma io ed il mio fruttivendolo abbiamo scelto (o la vita ha scelto per noi) di fare mestieri diversi, e non pretendiamo di andare in aula e sostituirci ai Giudici.

Mi sembra non sia stato dato il giusto risalto ad una frase del Prof. Isidoro Barbagallo, citata e riportata da Vittorio Ferraro, post del 23 settembre 10.51: "In tale gioco di parti contrapposte è al giudice che, valutate le argomentazioni e le prove a lui offerte (iudex secundum alligata et probata iudicare debet), compete il difficile compito di stabilire da quale parte si trovi la verità, per come essa emerge dagli atti e dalle risultanze del processo: è questa la verità processuale, non sempre coincidente con la verità sostanziale, che è altra cosa (centrale nel processo canonico) cui, auspicabilmente, la verità processuale dovrebbe tendere a non discostarsi...".

Vorrei, che il dr.Lima e l'avv. Gatto mi spiegassero se questo vuol dire:
La verità processuale può non collimare con la verita, anzi spesso non collima perché il giudice non deve cercare il vero (la pancia o il cuore), ma quello che appare (dalle carte, testiminianze, prove...) come vero.

Per assurdo (sottolineato) se i Giudici della Cassazione che hanno giudicato il signor Sofri, avessero avuto la precisa, lucida, sensazione che l'imputato era innocente, ma che - in base alle prove portate nell'abbondante dozzina di processi, risultava colpevole - dovevano, comunque, condannarlo!
Vuol dire questo?
Se si, mi fido più del cuore che della testa, dr. Lima.
Lei ovviamente, in sede giudicante, non potrà farlo. Ma è un Suo limite, non un mio limite.
Approfitterò, ancora dell'apporto del sig. Ferraro, per la chiusa:
"Dica ognuno cosa gli sembra verità, e sia raccomandata a Dio la verità." ( Lessing )

p.s.: quand'ero studente, con i proventi di qualche lezione privata, mi sono comprata una vecchia seicento. Non ho una spiccata passione per la meccanica, ma per necessità, ho imparato, da amici studenti poveri in canna come me, a montare e smontare motore, spinterogeno... della "600".
Posso confortare il dr. Lima: non sono mai incorso in alcun guaio. Anzi mi facevo la Lipari-Padova (dove studiavo, con la tranquillità di chi comunque una soluzione la sa trovare.
La stessa esperienza la utilizzai con il motore diesel, un Fariman, di una pilotina che utilizzai anche in traversate non proprio da neofita (Levanto-Isola d'Elba). Spingerei il dr. Lima a mettere mano sulla sua moto, e vedrà, che anche se non è meccanico, otterrà grossi successi ed un'enorme soddisfazione a sentire rombare il suo motore.

Anonimo ha detto...

Per Tanino Ferri, con riferimento all'invito rivoltomi nel commento delle 18.20.

Intervengo solo perchè colpito nell'onore motociclistico. :-)

Carissimo Tanino, io sono un ottimo meccanico e da sempre "metto mano" sulla mia moto e su tutte le cose meccaniche che ci sono nella mia vita.

Il problema è che le moto di oggi non sono come le moto di ieri (la mia prima moto è stata una Guzzi, comprata dopo anni di Vespa) né come la sua 600 né come il motore diesel della sua barca.

La mia moto (che è una moto per nulla estrema e "normalissima" negli standard odierni) ha un motore cinque valvole per cilindro (ossia dieci valvole in due cilindri); bialbero a camme in testa; a iniezione elettronica; catalitico; eccetera.

Non suda olio e non si ripara a colpi di martello.

Per essere curato bene richiede un perito elettrotecnico, che abbia letto e mandato a memoria l'intero manuale officina (che ovviamente io ho e ripasso come le tabelline).

Appena inverti per errore una procedura di stacco e riattacco di qualcosa salta una centralina da mille euro e buona notte.

E' questo il problema di oggi. Tutto è molto molto specializzato.

Io ovviamente continuo a ingrassare da me la catena, ma non è più come una volta.

Se cerca su Google consigli per ingrassare una catena - che oggi ha gli o-ring che difendono la lubrificazione interna ai singoli anelli - scoprirà che non si può spennellargli sopra della nafta o un olio qualunque.

Dunque, la ingrasso con del grasso teflonato che arriva dal giappone.

E' tutta così la società occidentale moderna dei consumi.

E sono così anche i processi.

Le parti che se lo possono permettere non vengono in tribunale con un fruttivendolo, ma con un avvocato tremendamente preparato e deciso.

Nei confronti del quale il cittadino si aspetta che il giudice non impegni il cuore, ma una adeguata tecnica professionale.

Come diceva una persona alcuni anni fa, le grandi cattedrali gotiche testimoniano la fede dei loro committenti, ma anche le competenze ingegneristiche dei loro costruttori.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Tale è interessante e appassionante il dibattito a due tra il giudice Lima e l'avv. Gatto da meritare di essere "assolti" per aver dimenticato i non addetti ai lavori: la passione è trascinante e distrae; ma così dev'essere!

In sostanza, per quanto è dato sapere, le divergenze derivano dal fatto che 20 anni fa si è voluto innestare parte di un sistema (funzionante) in un contesto del tutto diverso da un punto di vista sociale, culturale e politico: efficiente in Inghilterra (dove, second Kipling, 2 persone appena si conoscono formano una società...) ma che stenta a decollare (come l'Alitalia) nell'Italia (dove 2 persone appena si conoscono litigano) con un numero di leggi spaventose....che, come dissero i 2 PM Carlo Nordio e Fabio Salamone, 11 anni fa, "... andiamo in Ue con 200 mila leggi?"

Dopo la metafora del "meccanico", è naturale, per un centauro, fare l'esempio della moto [che mi porta a ricordare le proteste di mio padre nel vedermi (distrutto) smontare la testata del "Capriolo" (dell'Aeromere, nel 64)...e qualche anno dopo, in campagna, smontare la testata di un motore a scoppio con una valvola puntata e farlo ripartire. Ora possiedo una "Lambretta"-175 TV, con freni anteriori a disco, che è ferma..]...da riparare col "fai-da-te": gratificante per un giudice e ammirevole per chi l'osserva..

Il dottor Lima ha parlato di "logica"...il dottor Gatto persino di "buon senso", che spesso (lo disse anche Nino Marazzita) superano la legge...(frutto di contrattazione in una sorta di "mercato delle leggi") che oltre le sue lacune poi magari viene mal interpretata o elusa a secondo del soggetto in causa

E non è raro il sotteso subdolo "terrorismo intellettuale"...rivolto a chi magari s'accorge di un agire perverso . Come è raro l'esercizio della "Juris prudentia" (al posto della "scientia juris", nel "Diritto mite" di Zagrebelsky: un modo per farsi perdonare la colpa?), un tormento con il quale convivere, per l'inadeguatezza della capacità rispetto alla grandezza del compito di essere sacerdoti in una giustizia necessariamente imperfetta...affinché la politica diventi scienza di buon governo e non solo arte di semplice conquista (di sola vittoria elettorale) e di conservazione del potere.

Ed è un Gip, docente alla Bocconi, a dire (2 anni fa, riferendosi al "giudice iniquo" dal Vangelo di Luca), "Mi sembra che anche oggi ottenere giustizia sia questione d'insistenza. Purtroppo chi non demorde e non si stanca presso gli organi competenti, ottiene più ascolto di coloro che confidano nel naturale corso degli eventi". E da fedele laico, ci ricorda che "Cristo è venuto non...ma soprattutto per invitarci alla giustizia"...e "quella perfetta si trova soltanto nei classici dell'utopia, da Platone in poi". Diritto che, secondo Alf Ross - siamo nella civile Norvegia - può risentire dell'umore o del malessere del giudice.

Per l'avv. Gatto: meglio la "quota litis o la formula "conditional fees"? Ma nel 2005, la Ue non aveva avviata una procedura contro il governo italiano (poco o non europeista?) per aver permesso il tariffario degli avvocati? Il problema è che da noi non solo non funzianano i modelli importati ma nemmeno quelli continentali quale il giudice unico...alla stregua del maestro unico, che la Gelmini-mini vuol reintrodurre al fine di risparmiare sui fondi; per la giustizia nemmeno questo, se si tiene conto che poi le sentenze "uniche" producono una marea di ricorsi. Mentre la produttività si può misurare o con la media dell'ufficio del tipo pollo di Trilussa di Mastella o con il "cruscotto" (e dai con la meccanica!) dell'ing. Castelli...sostenuto dal sen. Mantovano (2 anni fa), che a fine legislatura ammise che il "dum pendet, rendet" non vale solo per gli avvocati ma anche per i giudici. Infatti il pres. naz. forense, Guido Alpa. in contrasto con Tito Boeri, 3 anni fa, diceva che il regista dei tempi è il giudice. Certo l'avv. propone e tenta ma "dio" giudice dispone. O no? Cordiali saluti Mauro C.

Anonimo ha detto...

E' un piacere leggere quanto scrive il Dr. Lima, l'equilibrio concettuale che esprime, quale dovrebbe essere presente sempre in ogni giudice.
E' ovvio che anche lui ha opinioni, ma legato alla professionalità dell'attività che svolge, cerca sempre che siano suffragate da fatti concreti e comunque accertabili.
E' evidente insomma che nella querelle se Pinelli sia stato ucciso o meno e se Sofri sia colpevole o innocente ciò che conta sono le risultanze delle indagini e dei numerosi processi.
Tutto il resto è pura opinione e fa parte di quell'inveterata abitudine nostrana di trasformare un'opinione in un giudizio, di atteggiarci a giudici sulla base solo di impressioni, abitudine stimolata dai "processi" televisivi (cfr. il caso Franzoni, tanto per citarne uno) che se fanno spettacolo però certamente non ci educano e costituiscono elemento di disturbo a chi per ruolo e capacità è demandato il compito di giudicare.
Non mi escludo da questi abitudinari, ma ho sempre ben presente che la mia è semplicemente un'opinione, basata più sul si dice o si è detto che su fatti concreti, su risultati di indagini o prove testimoniali.
Quindi una volta consapevoli dei nostri limiti non è che ci venga impedito di credere che Pinelli sia stato ammazzato o che Sofri sia innocente o colpevole, ma dobbiamo sempre tener presente che la nostra opinione ha la stessa valenza di quella contraria.

Lex

Anonimo ha detto...

Io credo che la vicenda di Adriano Sofri sia misteriosamente emblematica dei nodi irrisolti della" politica della giustizia "che impediscono a questo paese di superare pregiudizi ,complessi di casta ,rancori ,malafede, vanità di intellettuali eredi dell' élite tardo-paretiane(l'idea di elite di W. Pareto). Non credo che il suo caso sia adatto per una discussione sul confronto tra modello anglosassone e modello continentale ..è troppo italiano..

tanino ferri ha detto...

La Sentenza di Genova:
Assolti Gratteri (allora capo dello SCO), Giovanni Luperi, allora braccio destro del prefetto Arnaldo La Barbera (oggi nr.1 dell'ex Sisde) e Gilberto Calderozzi (oggi a capo dello Sco). Tredici condanne (su 29 richieste dai PM) invece per gli agenti direttamente coinvolti nell'irruzione (fottuta solo la manovalanza!).
Sono tutti componenti del Settimo nucleo mobile di Roma. Il capo dell'epoca, Vincenzo Canterini, è stato condannato a 4 anni e accusato di calunnia, falso ideologico e lesioni; i suoi sottoposti Fabrizio Basili, Ciro Tucci, Carlo Lucaroni, Emiliano Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti e Pietro Stranieri, sono stati condannati a 3 anni e accusati di lesioni aggravate in concorso. Il vice di Canterini, Angelo Forniè è stato condannato a due anni di reclusione.
Inflitte, in totale, condanne per 35 anni e sette mesi, contro gli oltre 108 anni chiesti dall'accusa.
Alla lettura della sentenza, avvenuta alle 21.00, dopo 11 ore di camera di consiglio, dall'aula si è levato il grido 'Vergogna, Vergogna!'.
Che bisogno ho di leggere la sentenza per esprimere lo sdegno che ho dentro?