sabato 27 settembre 2008

Il cantiere per la giustizia: in Sardegna. Ovvero, del ruolo dell’Avvocatura.



di Gioacchino Bàrbera
(Avvocato del Foro di Bari)



Il 23 giugno 2008, la Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane aveva diffuso un ampio Comunicato di cui spero di essere riuscito a cogliere gli aspetti più rilevanti che cerco qui di riassumere.

1) Inaccettabile qualsiasi intervento che impedisca di condurre a compimento i processi in corso, essendo questo un caposaldo dello stato di diritto;

2) fermo ciò, la Giunta tiene subitaneamente a chiarire, ad evitare confusioni, che «Altro discorso è discutere per il futuro di meccanismi, anche riformando leggi e Costituzione, che regolino l’esercizio dell’azione penale»;

3) in strettissima sequenza, la inequivoca e fondamentale precisazione che questi meccanismi devono essere inmquadrati «nel contesto di una riforma complessiva della giustizia, prevedendo anzitutto un adeguato stanziamento di mezzi, risorse e uomini per fronteggiare le reali cause della lunghezza dei processi»; (nel testo originale il brano qui in neretto era sottolineato, ma il blog non consente la sottolineatura);

4) in perfetta sintonia con questa consapevole? esigenza di concretezza si pone la promessa che la «Unione delle Camere penali italiane, nelle prossime settimane, metterà a disposizione i dati che dimostrano che a rallentare i processi sono in gran parte l’irragionevole durata dei tempi morti del processo e le disfunzioni degli apparati giudiziari»;

5) conscia della complessità delle questioni da affrontare l’UCPI sollecita «La classe politica» a dar «corso immediatamente a quel cantiere per la giustizia che i penalisti hanno da tempo richiesto»;

6) in questo cantiere devono entrare: «Separazione delle carriere come riforma che nobilita funzione e ruolo del giudice salvaguardando l’indipendenza del pubblico ministero e migliora la qualità del processo accusatorio; riforma del CSM e della “magistratura fuori ruolo” per salvaguardare dalle invasioni di campo tutelando il principio della separazione dei poteri. Ristrutturazione garantista del codice di procedura penale, modulando anche interventi che incidono sui tempi del processo senza sacrificare garanzie. Nuovo codice penale. Riforma della legge forense con riguardo in particolare all’accesso e alla specializzazione professionale come strumento per dare forza alla difesa nel processo di parti».

Incamminandosi verso la fine, il Comunicato tratta ampiamente (e questo mi costringe ad un rinvio) altri due temi di indubbia rilevanza: la legge Gozzini e le intercettazioni.

Il Comunicato termina così: la Giunta delle Camere penali Italiane ribadisce i passaggi fondamentali evidenziati nel presente documento, invitando la classe politica e la magistratura ad un confronto su questi temi ed «invita il Governo ed il Parlamento a dar corso alla riforma organica della giustizia» facendo «riserva di promuovere un dibattito pubblico che verifichi le reali volontà di aprire subito il cantiere per l’elaborazione di tale riforma».

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Commentare questo Comunicato è onestamente, almeno per me, impresa difficilissima, resa ancora gravosa dalla esigenza di brevità. Sintetizzo dunque quanto più possibile.

A) Dopo la premessa, viene enunciata la fermissima posizione che tutti i processi in corso devono essere celebrati.

B) Immediatamente dopo la Giunta tiene a precisare che «Altro discorso è discutere per il futuro di meccanismi, anche riformando leggi e Costituzione, che regolino l’esercizio dell’azione penale». La discussione (nemmeno la decisione) su questi meccanismi – che potranno anche comportare riforme legislative e costituzionali – non deve dunque iniziare ora, ma IN FUTURO.

C) Non rinviabile è invece la primaria esigenza di un «adeguato stanziamento di mezzi, risorse e uomini per fronteggiare le reali cause della lunghezza dei processi». Questa esigenza è ritenuta di importanza tale da indurre la Giunta all’unica sottolineatura rinvenibile nel testo del documento (che qui ho trasformato in neretto, non avendo il blog i caratteri sottolineati). Come è del resto ovvio, posto che la Giunta individua nella insufficienza degli stanziamenti (in senso ampio) la vera causa del principale male che affligge la nostra giurisdizione: la spropositata lunghezza dei processi. Incontestabilmente logica, sebbene non espressamente enunciata essendo scontata, è la deduzione che, qualora non siano in primo luogo aumentati gli stanziamenti, le reali cause della crisi della giurisdizione non potranno essere rimosse e la crisi della giurisdizione si protrarrà così a tempo indeterminato.

D) Questa posizione della Giunta spiega perché ha osservato che la discussione concernente la regolamentazione dell’esercizio dell’azione penale non può iniziare oggi, ma deve svolgersi in futuro. Non ci vuol molto a comprendere il ragionamento sottostante. Dal momento che la Giunta ha individuato nella inadeguatezza degli stanziamenti la reale causa della inverosimile durata dei processi, l’avvio di un dibattito su riforme legislative che non prendono in considerazione questo gravissimo problema non ha alcun senso. Soltanto dopo aver verificato sul campo gli effetti prodotti dall’incremento delle risorse destinate alla gestione della giurisdizione si può avviare una concreta e perciò non ideologica discussione sulle modificazioni o integrazioni delle leggi che disciplinano l’azione penale, sullo stesso codice penale, sulla normativa in materia di accesso alla professione e specializzazione, e così via.

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Può darsi per scontato che il Comunicato è stato consapevolmente diffuso in un momento particolare. Il governo ha infatti ripetuto infinite volte che uno dei fondamentali obiettivi che intendeva raggiungere era la riforma della giustizia ed aveva dichiarato il cerchio si sarebbe chiuso nell’autunno di quest’anno. Ignoti e, comunque, non ufficializzati erano peraltro i perni attorno a cui la riforma doveva ruotare. Per questo motivo gli avvocati penalisti sono intervenuti prima che si scoprissero le carte. Hanno inteso così escludere che il loro ruolo si riducesse a quello di semplici comparse ed hanno perciò voluto far sentire la loro voce affinché il governo tenesse conto delle indicazioni provenienti da una categoria che giornalmente vive il disastro del nostro sistema giurisdizionale.

Il 26 agosto 2008, a distanza di due mesi dal Comunicato, il premier incontra il ministro della giustizia. In circa un’ora raggiungono un’intesa sui momenti essenziali della riforma. Il giorno successivo il ministro li illustra in una intervista: separazione delle carriere, riforma del CSM e accelerazione del processo penale.

Lo stesso giorno, con incredibile tempestività, il prof. Dominioni esprime un deciso apprezzamento riguardo alle linee fondamentali della riforma rese note dal ministro nell’intervista,. Ritiene, infatti, che vadano nella direzione delle storiche battaglie dei penalisti italiani che sono perciò disponibili, “a mettere a disposizione le proprie elaborazioni e il proprio contributo per le riforme, augurandosi che questa volta, a differenza del passato, propositi e promesse vengano rispettati”.

Non si riesce davvero a comprendere come il prof. Dominioni possa aver immediatamente plaudito alle decisioni prese dal governo che non sfiorano minimamente il problema di adeguare le risorse destinate alle esigenze di funzionamento della giurisdizione «per fronteggiare le reali cause della lunghezza dei processi».

Ad appena due mesi dal Comunicato della Giunta il prof. Dominioni lo getta alle ortiche

Come può spiegarsi questo comportamento? I casi sono due: o nel proclamare il suo assenso alle linee della riforma della giustizia disegnate dal governo è sfuggito di mente al prof. Dominioni il Comunicato della Giunta del 23 giugno; oppure – come è di certo più verosimile – lo ricordava perfettamente, ma ha comunque deciso di “fare di testa sua”.

Anche la decisione della Giunta di sollecitare la classe politica a dar «corso immediatamente a quel cantiere per la giustizia che i penalisti hanno da tempo richiesto», nella consapevolezza che temi delicatissimi come quelli che incidono sul sistema giudiziario penale devono essere attentamente esaminati da tutti i soggetti interessati al funzionamento della macchina giudiziaria svanisce nel nulla.

Non si può peraltro escludere che l’immediato consenso alla riforma Alfano manifestato dal prof. Dominioni trovi spiegazione proprio nell’apertura di quel cantiere da tempo auspicato dagli avvocati penalisti, ovviamente, ben lungi dall’assomigliare a quelli che vediamo sorgere qui e là ogni giorno. Un cantiere del tutto particolare e che nell’occasione è divenuto ancor più tale. E’ stato aperto negli splendidi e sconfinati spazi della Sardegna ed è stato chiuso in un paio d’ore. Il tempo di un pranzetto cui hanno partecipato il progettista, il direttore dei lavori ed il capo-cantiere, a porte così rigidamente chiuse da non permettere l’accesso nemmeno al maggiordomo. Del resto, non occorreva.

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A questo link si può leggere un altro articolo con il quale Gioacchino ha risposto ad alcune delle osservazioni svolte nei commenti a questo.


54 commenti:

Vittorio Ferraro ha detto...

Condivido e sottoscrivo il presente articolo dell'avv. Gioacchino Barbera e anche quello successivo dell'avv. Oreste Flaminii Minuto.

L'ovazione fatta al ministro della giustizia Alfano in occasione del recente congresso nazionale della camere penali dimostra (ed è una chiara lettura) che le intenzioni sono ben altre.

E questo nonostante le scarse risorse (tagli consistenti) destinate al settore giustizia e la sicura riforma - questa volta si - costituzionale della separazione delle carriere.

Anonimo ha detto...

Ho letto questo articolo, incuriosito dal titolo e dall'argomento, deliberatamente rimandando a dopo averlo letto la conoscenza del nome di chi lo aveva scritto.
Non posso credere di essere il solo ed unico avvocato ad avere una mente libera ed anche in questo caso ho avuto gradita conferma di questo prezioso assunto.
L'articolo lo scrive un Collega.
Dice le cose che penso anche io.
Dice, tra le righe, che anche in Avvocatura esiste un problema di "rappresentatività", di scollamento dei vertici dalla cosiddetta "base".
Dice che certe Associazioni cui la stampa attribuisce con troppa facilità il "distintivo" di rappresentanti e divulgatori del pensiero di ben 100.000 (troppi lo so, ma questa è un'altra questione) avvocati italiani in realtà rappresentano soltanto i loro Presidenti e l'entourage che vi siede intorno nella fiduciosa attesa di ricevere, come capitò a Ricciardi, Buccico , Pecorella ed altri, una qualche onorificenza (possibilmente retribuita).
Dice che è facile e bello fare il sindacalista del proprio tornaconto evocando la figura dell'eroe senza macchia che si batte per il bene supremo della collettività.
Dice che gente come Andrea Falcetta e Gioacchino Barbera (soltanto loro? non credo, lo si domandi uno per uno a tutti i 100.000 avvocati italiani) sono stanchi di questo modo di fare giornalismo e della finzione oscena e falsissima per la quale chi ha il microfono davanti alle labbra lo si debba ineluttabilmente ritenere titolato ad esprimersi a nome di tutti.
Dice che le Camere Penali hanno in tutta Italia un numero di iscritti sicuramente inferiore ad un decimo del numero totale degli Avvocati italiani, e che tuttavia le si continua a prendere quale riferimento di una intera Classe Forense.
Dice che se Atene (la magistratura) piange, Sparta (l'avvocatura) non ride.
Non ride affatto.
Qui non c'è nulla da ridere.
Ci sarebbe da incazzarsi a morte, ma tanto se non hai un microfono davanti non serve a nulla, ti fa soltanto male al fegato e ti rovina il fine settimana.
Quel che non avviene in televisione è come non esistesse.
Andassero Studio per Studio a domandare cosa pensano gli avvocati italiani, tutti e 100.000, circa le reali priorità della Giustizia.
Poi tornassero da Dominioni a chiedergli a nome di chi, lui e quelli che lo hanno preceduto, avevano parlato al popolo.
Sarebbe un buon modo di cominciare a fare le cose. Farle seriamente, almeno per una volta.
Un caro saluto

Andrea Falcetta

Anonimo ha detto...

La prima priorità per la giustizia sono gli avvocati stessi.E' impossibile sperare di avere un decente "Servizio -Giustizia" sia in ambito civile che penale se non si risolvono alcuni nodi nascosti che sono pre-processuali e che riguardano il rapporto tra il cittadino e l'avvocato.
1) Sicurezza da parte dell'utente che l'avvocato farà davvero i suoi interessi e che l'obbiettivo giuridico perseguito non sarà deviato .
2)Possibiltà di determinare alla pari (senza soccombere al grottesco paternalismo così spesso esistente tra cliente e avvocato),le condizioni contrattuali ( Dovere di informazione ,Patto di quota lite al riparo da inganni e abusi ecc)della prestazione professionale tra avvocato e cliente.
3)Prevedere sanzioni in caso di colpe professionali evidenti senza dover imbastire altre lunghe ,difficili e dolorose cause civili o penali contro l'avvocato reo di abusi o infedele patrocinio.
4)Accesso da parte del cliente ai dati che riguardano sia le competenze dell'avvocato sia le infrazioni alla deontologia e gli eventuali reati commessi dallo stesso(perchè devo farmi operare da un medico che ha già ammazzato svariti pazienti? perchè devo affidare la mia vita a qualcuno che invece di tutelarmi mi può distruggere?)
La "zona grigia" che tutela la illegalità degli attuali poteri di stampo predatorio e mafioso è notoriamente composta da avvocati, medici,ingegneri ecc. E' impossibile qualunque cambiamento se non viene rivisto il disequilibrio tra cittadini ,utenti del servizio -giustizia e ordini professionali.
Gli avvocati devono nel loro stesso interesse ribellarsi alla brutale gerarchizzazione e al servilismo per cui gli ignoranti furbastri fanno carriera come portaborse dei presidenti o dei consiglieri. Nessun problema della giustizia può essere affrontato seriamente se non si sciolgono questi nodi ,tutti centrati sul rapporto con l'utente del servizio-giustizia che subisce una oggi una situazione vessatoria da tardo -medioevo .Sulla confusione interessata campano oggi in tanti e fare chiarezza non è poi così difficile!

Anonimo ha detto...

In effetti i rappresentANTI non rappresentANO i rappresentATI.
CNF, OUA, Cassa Forense, tutti enti nei quali i rappresentANTI portano avanti discorsi che non riguardano affatto i rappresentATI.
I 100.000 avvocati sono i NESSUNO
ed i rappresentANTI sono coloro che propongono riforme che tenderanno sempre più a rafforzare le posizioni personali, tutto questo a scapito non soltanto dell'avvocatura ma di ogni singolo patrocinato. Il rapporto personale tra avvocato ed assistito è destinato a scomparire.
L'avvocatura sta diventando imprenditoria....o lo è già?
Mathilda

Anonimo ha detto...

Temo che non si possa neppure parlare di imprenditoria se le regole del rapporto tra avvocato e patrocinato non vengono radicalmente riviste,ma solo di abusi ,mistificazioni, volgari grassazioni in danno del patrocinato. l'imprenditoria è una cosa seria dove se sbagli paghi e i danni sono tuoi! Consiglio alle Camere Penali la visione collettiva del video del procuratore antimafia Roberto Scarpinato sulla presentazione del libro "il ritorno del principe".

Anonimo ha detto...

Parziale OT: chiedo -da ignorante- un'informazione ai "tecnici". A proposito della riuscita della giustizia (senza voler passare davanti a cause più "importanti", come la mancanza di mezzi, le leggi-canaglia, ecc.), ma il rapporto cliente-avvocato... come funziona?
Cioè se l'avvocato sa che il cliente è colpevole lo difende come fosse innocente o è tenuto a dire la verità anche contro la volontà del cliente (che magari di lui si è fidato)?
Perché parliamo sempre del caso in cui uno sia innocente (vocazione garantista) ma del caso contrario si parla poco. Io non sono affatto convinta che gli avvocati dei delinquenti grossi siano convinti dell'innocenza dei loro assistiti, finché si tratta di un poveraccio sì ma i mafiosi, i politici, i professionisti di alto livello corrotti?
Ho provato a sollevare il problema dei cavilli in questo blog un'altra volta, ma giustamente non deve essere un problema di teoria, bensì di pratica. Sbaglio?

Silvia.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

@ Silvia (visto che non ha avuto risposta, gli avvocati che commentano anche qui, tacciono): all'imputato deve essere garantita una difesa tecnica, a sue spese se se lo può permettere, a carico dello Stato nei casi di indigenza previsti ed accertati.
L'avvocato è parte nel processo, parte interessata, a dimostrare l'innocenza del proprio assistito in base agli elementi di prova opposti dall'altra parte del processo, la Pubbica Accusa.
Non compete a nessuno un giudizio morale sull'imputato.
Non credo che l'avvocato abbia il dovere giuridico di accusare il proprio assistito.
Se lo facesse, essendo a conoscenza di elementi di prova di colpevolezza del suo assistito, potrebbe incorrere in un caso di difesa infedele, o peggio.
Adesso mi auguro di essere smentito, così anch'io ne saprò di più.

Vittorio Ferraro ha detto...

Voglio solo riportare l'art. 9 del codice deontologico degli avvocati - "Dovere di segretezza e riservatezza" -:
"E' dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell'avvocato mantenere il segreto sull'attività prestata e su tutte le informazioni che siano a lui fornite dalla parte assistita o di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato.
I. L'avvocato è tenuto al dovere di segretezza e riservatezza anche nei confronti degli ex-clienti, sia per l'attività giudiziale che per l'attività stragiudiziale.
II. La segretezza deve essere rispettata anche nei confronti di colui che si rivolga all'avvocato per chiedere assistenza senza che il mandato sia accettato.
III. L'avvocato è tenuto a richiedere il rispetto del segreto professionale anche ai propri collaboratori e dipendenti e a tutte le persone che cooperano nello svolgimento dell'attività professionale.
IV. Costituiscono eccezioni alla regola generale i casi in cui la divulgazione di alcune informazioni relative alla parte assistita sia necessaria:
a) per lo svolgimento dell'attività di difesa;
b) al fine di impedire la commissione da parte dello stesso assistito di un reato di particolare gravità;
c) al fine di allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e assistito;
d) in un procedimento concernente le modalità della difesa degli interessi dell'assistito.
In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato."

Nessuno ci obbliga ad accettare un incarico. Ma una volta perfezionato il contratto d'opera intellettuale (art. 2229 e seg. cc)siamo tenuti al segreto.

Anonimo ha detto...

In pratica, per quanto riportato alla lettera b): se l'assistito confessa all'avvocato di essere stato l'assassino individuato dall'accusa, ma per lo svolgimento dell'attività di difesa (lettera a) egli chiede all'avvocato di potersi dichiarare innocente, si ha:
- l'avvocato che tiene fede al segreto professionale e dichiara davanti al giudice l'innocenza dell'assistito (con la conseguenza che in mancanza di prove sufficienti il cliente viene assolto);
- o l'avvocato che -onde evitare che il cliente possa commettere un reato di particolare gravità, tipo uccidere ancora alla bisogna, tanto l'avvocato tace, basta stare attenti a non lasciare indizi- denuncia al tribunale la colpevolezza del proprio assistito, pur continuando ad assisterlo e richiedere per lui quante più riduzioni di pena riesce?

A mio personale parere una dimostrazione così forte di onestà intellettuale, morale, legale (se si può dire) ecc. dovrebbe oltretutto garantire all'avvocato di essere creduto per tutte le necessità di riduzione di pena che successivamente porterebbe, anche se sappiamo che in realtà esiste la possibilità di apparire onesti per poi farsi credere le volte successive, costruirsi la fiducia "tradendo".

Silvia.

ps: ringrazio per l'attenzione e per le eventuali gentili risposte, e aggiungo che io mi fiderei molto di più di una giustizia "giusta" che condanna dove c'è da condannare e assolve dove c'è da assolvere che di una giustizia troppo "garantista". Senza nulla togliere al nostro sistema in fatto di garanzie in favore di altri sistemi più "duri" almeno questo, il divieto di mentire ANCHE da parte dell'imputato stesso (e del suo avvocato) sarebbe un enorme passo avanti.

Vittorio Ferraro ha detto...

Cara Silvia,
quella dell'avvocato è la difesa dell'imputato, non del reato.

Vi è da dire, però, che oltre alla segretezza gli avvocati, giustamente, hanno anche un vincolo verso la collettività: ed è il dovere di svolgere con fedeltà la propria attività professionale (art. 7).

Lart. 9 n. IV lettera b)- eccezioni alla segretezza - si riferisce alla circostanza che il cliente non si limiti a chiedere assistenza per fatti avvenuti e a lui contestati, ma solo per ottenere informazioni riguardanti reati che intende commettere.

Inoltre il rapporto tra avvocato e cliente è fondato sulla fiducia (art. 35).

Anonimo ha detto...

Gentilissima Silvia,
nell'altro post dell'Avvocato Oreste Flammini Minuto, al primo posto tra gli "ordini" professionali che, secondo me, potrebbero essere posti in cima alla graduatoria di miserabilità, ho messo gli avvocati!
Il motivo è proprio quello che dici tu: immagina se tutti gli avvocati dalle paercelle milionarie denunciassero i clienti che con metodi mafiosi, o per mezzo della stessa mafia, hanno accumulato fortune, cosa succederebbe. Quale tragedia, un'Italia senza mafie!!!,

Anonimo ha detto...

L'avvocato ha sempre il dovere morale di rinunciare all'incarico se il suo cliente pretende di fargli dire delle falsità.

E non è assolutamente TENUTO, salvo che nelle difese d'ufficio, ad accettare alcun incarico.

Pertanto, chi difende un assassino sapendo che costui è colpevole, e sostenendo invece che il cliente non ha commesso il fatto, contribuisce VOLONTARIAMENTE a cercare di metter in libertà un assassino, compiendo un'azione moralmente riprovevolissima, come insegnava Piero Calamandrei e come nessuno, invece, oggi sostiene, in forza del "principio": PECUNIA NON OLET.

Anonimo ha detto...

L'unico augurio a quanti non vedono con favore l'avvocato e la sua funzione oppure che ritengono che l'avvocato debba fare il poliziotto ( o, ancora, che lo vedono come un fastidioso ostacolo alla missione di alcuni PM)è quello di non averne mai bisogno: solo in quel momento ci si renderà conto della insostituibile funzione di questi professionisti nell’amministrazione della giustizia!

Anonimo ha detto...

Da un lato mi dispiace che siano stati inseriti così tanti post oggi da attirare l'attenzione su altri temi. Non che non siano importanti e forse sono più attuali di questo, ma mi sarebbe piaciuto avere qualche risposta più argomentata, ecco. Da parte di avvocati e magistrati.
Sapere che è tutto relegato alla sola morale degli avvocati non mi dà affatto sicurezza, nemmeno se sapessi che improvvisamente si sono trovati tutti i mezzi tecnologici e tutte le persone più efficienti per ridare vita alla giustizia in Italia, dopo che un burlone li ha tenuti nascosti nello sgabuzzino per tutto questo tempo, per vedere l'effetto che fa...
Silvia.

Anonimo ha detto...

All'anonimo (evidentemente avvocato) delle 16.21 vorrei dire che è passato da un estremo all'altro. L'avvocatura deve restare libera, assolutamente.

Ma posso non stimare chi difende un delinquente SAPENDO che il suo cliente E' EFFETTIVAMENTE un delinquente e contribuendo in tal modo a farlo rimettere in libertà ?

Un avvocato serio, semplicemente, rifiuterebbe l'incarico! Come accadeva, molto spesso, prima che la professione forense si "americanizzasse" e che gli studi legali si moltiplicassero in misura esponenziale, diffondendo la mentalità del "bottegaio" (con il rispetto dovuto per la categoria) nei vari Fori d'Italia.

Ripeto: PECUNIA NON OLET.

Anonimo ha detto...

Con l'articolo iniziale si intendeva avviare un discorso sulla inefficienza della giurisdizione (che si manifesta in primo luogo nella lentezza dei processi) e su quali iniziative (non in astratto, ma in concreto) occorre adottare per cercare di venir fuori dalla situazione disastrosa in cui ci troviamo che provoca danni enormi sui cittadini. Molti commenti hanno toccato invece una diversa problematica: quella del ruolo della difesa (da non confondere con la persona fisica dell'avvocato) non dell'avvocato) nel "sistema giustizia". Questo è un argomento molto delicato e, nel contempo, assai complesso che - appunto perché tale - deve essere oggetto di uno specifico e ben delimitato dibattito. Non deve essere perciò inserito in una discussione sul diverso tema della (in)efficienza della giurisdizione. Se qualcuno ha interesse ad avviare un dibattito sul significato che ha la parola "difesa" nell'àmbito della giurisdizione lo faccia pure, ma in modo diretto e specifico, non inserendolo in differenti problematiche. Altrimenti si finisce inevitabilmente col creare confusione; il che non giova a nessuno.

Anonimo ha detto...

Io non intendo creare confusione a nessuno, ma penso che effettivamente anche questo sia un problema inerente l'efficenza della giustizia, altrimenti non l'avrei postato qui ma avrei scritto una lettera alla redazione.
Ovvero: è ovvio che scaturisce un discorso molto complesso sul ruolo della difesa, ma non significa che non sia inerente... quanti discorsi conducono (per poter essere approfonditi) a tematiche limitrofe? Non si può trattare per camere stagne e pretendere di essere almeno profondi, se non esaustivi.
All'anonimo delle 16,21 vorrei far notare che io non ho mai auspicato né un'avvocato-poliziotto, né che si tolga di mezzo dalla strada del pm.
Anche perché io fortunatamente non ho ancora avuto mai problemi con la giustizia (e spero di non averne mai) ma l'andazzo politico di questi ultimi tempi (anni) mi fa preoccupare non poco, e temo di poter casualmente incappare anch'io in un caso per cui si cerca un capro espiatorio. Cosa che può succedere a tutti. E' ovvio che mi auguro che l'avvocato che eventualmente dovrebbe difendermi sia quanto più libero di muoversi possibile, e non essendo ipocrita, mi auguro che lo sia anche ora per tutti gli altri, compresi i delinquenti (i diritti umani civili sono di tutti, e non sono cedibili, disponibili, né prescrittibili).
Ma come giustamete sottolineato da un altro anonimo, lei va da un estremo all'altro.
Il mio avvocato (o quello di un delinquente) deve avere tutti i mezzi per muoversi e per difendere il proprio assistito ma, a mio modestissimo parere, difenderlo tramite la dichiarazione d'innocenza SAPENDO che è colpevole è quanto di più dannoso per l'EFFICENZA del sistema giustizia ci sia.
Perché se mancano i mezzi o il personale la teoria funziona ma la pratica no. Come dire: non c'è bisogno di aggiungere leggi inutili (vedi pacchetto sicurezza con il reato di immigrazione clandestina, ad esempio) quando queste ci sono già (espulsione per immigrazione clandestina che non è reato), basta riuscire ad applicare quelle esistenti, ad esempio rafforzando i budget della polizia di frontiera (non tagliando).

Se invece quello che manca è la teoria con tutti i mezzi e le risorse del mondo non si va da nessuna parte. Perché se miracolosamente i tribunali non fossero intasati, avessero mezzi e personale sufficiente ma gli avvocati potessero per legge (questo ignoro e questo vi ho chiesto: allo stato delle cose, per legge, oggi lo possono?) mentire (come già so che l'imputato può mentire per legge) e dichiarare l'innocenza del proprio assistito sapendo che non lo è, diventa molto più difficile condannare qualcuno dato che le prove (se si è bravi avvocati e il nostro è stato un bravo delinquente) si riesce a farle sparire.

Due piccole osservazioni ancora:
1- è ovvio che questo non esaurisce tutti i problemi odierni del sistema giustizia, ma ne è una parte rilevante, perché se per legge si depenalizza un reato molto comune (azione teorica) il sistema giustizia sembra riprendersi per l'improvvisa eliminazione di tanti processi che creano ingolfamenti, ma è questo un sistema giustizia che funziona meglio dato che non si persegue più chi -che ne so- ruba? E' un paese migliore con prospettive future migliori un paese in cui la giustizia funziona perché non deve perdere tempo a perseguire chi falsifica/ammazza/rapina/mente/faccia lei?
Con questo non voglio dire che non ci sia bisogno anche di riorganizzazione di mezzi, risorse e budget (azione pratica) ma che la sua importanza ce l'ha anche il lato teorico.

2- E' ovvio anche che qui non stiamo parlando del poveraccio o del delinquentello o della banda criminale che ruba una macchina o più per ricavarci qualcosa. Primo perché voglio proprio conoscerlo l'avvocato disposto a mentire e rovinarsi la reputazione per straccioni di poco conto.
Secondo perché spesso per questi le prove si trovano...
Quello di cui stiamo discutendo sono i reati (a mio parere) più gravi: quelli cioè che non colpiscono poche decine di persone cui si ruba la macchina, ma migliaia e milioni di persone con truffe colossali perpetrate a danno dei più deboli che sono tali grazie ad una classe mediatica solitamente collusa, che rende i soggetti deboli perché fa mancare loro le informazioni necessarie per essere forti, per difendersi dai colletti bianchi.
Io non ci credo che l'avvocato di... che ne so... Callisto Tanzi (pur con tutto il mio pregiudizio personale sul caso dato che non conosco né l'avvocato né il signor Tanzi) sia convinto che il suo povero assistito sia completamente innocente e sia stato scavalcato da tutti i suoi sottoposti che gli hanno organizzato ogni cosa sotto il naso per farlo incriminare.
In un caso così -dato per vero che Tanzi sia colpevole e che l'avvocato lo sappia- per me l'avvocato dovrebbe avere il dovere (non morale, legale, pena radiazione dall'albo o che ne so, qualcos'altro, pagamento risarcitorio o altro ancora) di dichiarare la colpevolezza del suo assistito, pur cercando di fargli avere quante più attenuanti possibile.
Perché limitarsi a dire "io in quel caso non accetterei l'incarico" è ridicolo, visto che alla fine gli incarichi importanti uno o l'altro che li accetta c'è sempre... perfino i mafiosi latitanti hanno avvocati e non d'ufficio!

Silvia.

Anonimo ha detto...

Osservo che si continua ad eludere il VERO PROBLEMA che sta alla radice della inefficienza del servizio- giustizia . In Italia non esiste alcuna possibilità ,da parte del cittadino che si rivolge ad uno studio legale ,di avere la certezza che l'avvocato patrocinerà realmente i suoi interessi . Il rapporto con l'avvocato è di stampo pseudo -paternalistico e la "prestazione professionale" non è vincolata da nessun reale obbligo (cui corrisponde necessariamente ,in caso di inadempienza,una sanzione) di tutela effettiva del cliente.

Questa situazione è estremamente pericolosa per il funzionamento della GIUSTIZIA perchè favorisce la creazione di un'ampia "zona grigia"in cui l'avvocatura , oggettivamente svincolata da norme e obblighi nei confronti del cliente-cittadino, è facilmente utilizzabile da poli di potere mafioso e para -mafioso nei cui confronti facilmente l'avvocato può essere indotto a comportamenti di "asservimento della propria funzione " a scapito della patrimonialità o dei semplici interessi del cittadino.

Questa situazione è "un'invito a nozze" a delinquere ,non solo per l'avvocato disonesto ma per qualunque avvocato che sa benissimo che il cliente difficilmente potrà smascherare il suo infedele operato, in quanto per farlo occorrono competenze specifiche e il venir meno dell'omertà corporativa dei colleghi.

In questa situazione di assenza di qualunque reale garanzia per il cliente-cittadino, l'avvocatura diventa il terreno privilegiato per la creazione di una "zona grigia ad alto valore aggiunto" per la delinquenza organizzata che s'intreccia con quella mafiosa.

Se questo nodo di natura pre-processuale e di garanzia contrattuale per l'utente del "servizio -giustizia"non verrà affrontato una volta per tutte ,un paese come l'Italia ,già gravemente depredato delle sue risorse dalla "razza predona" che lo governa a vario titolo, verrà ulteriormente spolpato e bloccato nel suo sviluppo economico e civile.

Non ho voluto scomodare la Costituzione Italiana per ribadire la tutela che essa garantisce al cittadino.

Su questo problema sarei felice si aprisse un dibattito.

Anonimo ha detto...

Ringrazio l'anonimo qui sopra per aver espresso le sue riflessioni sulla materia. Anch'io gradirei molto si aprisse un dibattito sul tema, penso infatti che la mancanza di controlli (ammesso che sia così, io non lo so) sugli avvocati sia dannosa sia per il cliente che non viene in questo modo tutelato, sia per la giustizia in caso il cliente venga "oltremodo" tutelato dall'avvocato.

Magari si potesse aprire un dibattito, un altro post. E magari potessimo avere qualche considerazione da parte della redazione (anche i magistrati penso abbiamo una visione più vicina alla realtà delle cose di quella che possiamo avere noi "esterni", pur non essendo avvocati) e da parte di qualche altro avvocato.

Silvia.

Anonimo ha detto...

Grazie a Silvia per l'apprezzamento espresso alla richiesta di apertura di un dibattito sulla necessità di tutelare adeguatamente l'utente del "servizio -giustizia" , che oggi si trova esposto a gravissimi rischi di "infedele patrocinio"(che la falsa coscienza dell'avvocato magari neppure avverte come tale,talmente radicata e frequente è l'abitudine a usare il cliente come un "pollo da spennare" quando va bene -al cliente s'intende).Norme di semplice civiltà giuridica che nell'attuale contesto di "predazione all'italiana" ,neppure vengono prese in considerazione dall'ordine degli avvocati.
Attendiamo anche noi ,come Silvia qualche autorevole intervento. Maria Cristina

Anonimo ha detto...

@ l'Anonimo del 5, 20.45, dico solo che i primi 11 articoli della Costituzione, se non del tutto violat, sono raggirati. Per non dire del 21 per la censura di stampa e il 37 sulle pari opportunità.
@ Silvia faccio notare che proprio oggi su "Giustizia, informazione e democrazia" di Bruno Tinti, ho postato un commento in merito, e peraltro, al quesito posto dall'avvocato "Io speriamo che".

@ Maria Cristina, sul "patrocinio infedele" (art. 380 c.p.)non s'illuda; la Procura, dopo un mio esposto-denuncia, mi ha comunicato che il "mio" avvocato era stato indagato...ma poi non ho saputo più niente anche perché, forse, non ho citato quanto previsto dal 408 c.p.p.
So per certo che circa 15 anni fa , in tv su Rai 2, un imprenditore che aveva affidato dei recuperi di credito, scopre un assegno (del valore del 10% della somma dovuta dal cliente; deve sapere che la mazzetta è codificata...come si dimostra in uno sketch di Lello Arena con l'amministratore che doveva liquidargli un credito facendogli capire che doveva "oliare"; e lui, con imbarazzo che rilanciava con le dita - come a morra - della mano sino a stenderle tutte e dieci, solo allora il corrotto assentì con un cenno del capo)un suo cliente sul tavolo del "suo" avv. Dopo di che dice di aver contattato 200 colleghi che per solidarietà avrebbero rifiutato l' incarico. Ma qualora si trovasse chi accetta il mandato, magari per inimicizia verso il collega, non crediate di cantare vittoria...avrai solo contribuito alla loro riconciliazione. Anche per i medici: viene prima l'interesse corporativo e poi quello del cliente e del parente, anche stretto. Cordiali saluti Mauro C.

Anonimo ha detto...

Per Mauro e Silvia. Eppure il nodo centrale della Giustizia Italiana è costituito proprio dal ruolo dell'Avvocatura e dal profondo modificarsi del "posizionamento" del ruolo dell'avvocato nella società italiana .Nella societa post-industriale la figura e la rilevanza del ruolo dell'avvocato come elemento "regolatore istituzionale del conflitto" ,possiede una centralità -mai avuta nel passato-, sia per il funzionamento del "servizio- giustizia " nel suo insieme ,sia per i riflessi sull'Economia e sull'affidabilità delle Istituzioni. Voglio dire che se in un'economia pre-industriale ,il "cattivo" avvocato poteva essere l'" Azzeccagarbugli" di Manzoniana memoria, oggi ,che ricorrere all'avvocato per fatti di "ordinaria amministrazione" è una necessità comune a tutti i cittadini ,-più che un lusso o una necessità estrema -, la distorta "prestazione professionale" a discapito del cliente , avvicina la sua figura -,per i potenziali danni che può infliggere all'ignaro o consapevole cliente-a quella del Faccendiere Mafioso (di vario grado e caratura ) ,inserito nei disegni criminosi di "pezzi delle classi dirigenti",per dirla con il PM Scarpinato.
L'assenza di regolamentazione e di trasparenza nel rapporto cliente-avvocato (e ciò vale anche per altri prfessionisti)è alla radice della "zona grigia " che viene sfruttata dalle "oligarchie mafiose" per spremere utili diretti , indiretti e "valore aggiunto" in danno della società e del cittadino.
Tutte le "lungaggini" le "distorsioni ",le "confusioni" lamentate nei Tribunali da Giudici e Avvocati hanno la loro origine in questa "zona grigia" relazionale e pre-processuale, che può in molti casi impedire oggettivamente al "processo " di essere quel" momento di effettiva legalità" che Felice Lima ,ottimisticamente ,gli attribuisce .Ecco perchè è assolutamente neccessario imporre più trasparenza e responsabilità alla relazione contrattuale tra cliente e professionista ,sottraendola al limbo di una "Fiducia " che sempre più spesso poggia sulla "frode ,sul raggiro e sulla mistificazione .
Maria Cristina

Anonimo ha detto...

@ Maria Cristina
Non a caso - parlando di fiducia, se questo è il punto (cruciale) della discussione - citavo alla fine la parentela, stretta: che è emblematico per dire che se lo si fa con i parenti (e amici) figuriamoci con il resto dei clienti.
Ora è casuale che un amico che aveva da riscuotere crediti da clienti e società, poi decida di rinunciare al tutto...e l'avvocato era suo nipote?
E' casuale che un mio parente stretto, acquisito, (assieme ad altri condomini) per una causa vinta in partenza, dopo un anno decida di rinunciare al recupero di una somma consistente relativa alla manutenzione di un attico prima dell'uso e l'avv. era il fratello del cognato?
Ed è lo stesso che si è impegnato con per chiedere davanti al giudice la somma di 5.000 euro a un suo collega (l' ex avv.del cliente...si diceva che tra loro non correva "buon sangue") che "chiedeva" (non c'è uno straccio di prova scritta!) tramite decreto ingiuntivo (?) circa 4.000 euro...per aver fatto perdere il credito vantato (tramite decreto ingiuntivo, del 93 che dalla pretura è passato al/i giudice/i di pace nel 2000: alla 1° "udienza" arriva alle 10 e già era stato scritto il rinvio..perché non s'era presentato l'avvocato... e si chiede che per tal motivo si potesse procedere alla ricusazione o che almeno si verbalizzasse la sua latitanza...continuata sino all'ultima udienza per la quale lui aveva chiesto al cliente di non mancare, che ha avuto occasione di conoscere l'avv. della controparte... ).
Somma dal giudice dimezzata e poi mandata per racc. A/R (come indicato dall' avv. con l'invito a fatturare vecchio e nuovo...in mancanza, né il giudice e né la Finanza anno fatto una piega) senza aver nessun riscontro.
Non è finita.
Da una telefonata in casa della giudice che aveva dimezzata la "parcella" (mai vista...neanche dopo averla richiesta all'ordine, per 2 volte, anche perché si spiagasse sulla base di che fosse stata deliberata...) e che aveva accolto, da pretore, il 1° decreto nel 93, tra l'altro, informa che la causa era passata ad altra sua collega....che ha voluto almeno conoscere in volto e dirle se era il caso di abbassare il sipario (se tutto questo non è un teatrino!)...rispose di non esserne certa; infatti ce n'é voluta un'altra per concludere e per cui aveva la data.
giorno prima, (per i suoi di casa , al fine di evitare un'altro "processo") và dall'avvocato per chiedergli se fosse stata oppurtuna la sua presenza (da "attore" nemmeno comparsa?) , e lui dice di no. Tutto tace.
L'ultima volta che si sono visti è stato, per caso, in tribunale, e avendo perso il bus, gli offre un passaggio...parliano di tutto, non accenna per nulla all'esito (di cui lui ufficiosamente sapesa) della causa...e magari pensa che lui non lo sapesse?
Ed è lo stesso che ha mollato la zia 84enne...la quale poi si è rivolta al più anziano degli avv.ti local (che si fa "assistere" o, meglio, si accompagna con una praticante - di quelle che poi, forse, scrivono a un giornale per denunciare, come tutti sanno, che non sono retribuite e il giorno dopo con una replica di 4-5 volte la timida praticante, compare un pres. dell'ordine per dire che non è vero) e finisce per essere condannata a pagare, oltre i 3.000 euro di fitto arretrato, circa 3.000 euro di spese che comprendono la scandalosa (io dico incivile, anche in vista del soggetto debole, ma direi cinica) somma di 800 euro relativa al ctu per misurare la superficie dell'appartamento, oggetto della contestazione.
Vorrei concludere parlando del rapporto, fermo restando quello con l'esterno, all'interno della categoria traendo spunto da una disamina scritta 9 anni fa (non pubblicata, "un'articolessa"? manco fossi il giudice Lima o l'avv. "Io speriamo che"...che per averlo, umilmente, ammesso, sono "assolti") in merito ad un convegno su la disoccupazione giovanile con un'assortita tribuna (sindaco, sindacati, ass.ni e fondazioni culturali,ecc.) presieduta dal vetero avvocato pres.dell'Ordine che fa da testimonial alle 3 ragazze neo laureate in giurisprudenza, di cui una presenta un libro di sue poesie. Si parla di "buchi neri" nel lavoro (ma anche di conquiste dello Spazio, del lancio della sonda N.P. L. su Marte,...), metafore allusive, progetti di vita, di Nicola Rossi (quando stava con D'Alema) e del suo " Meno ai padri e più ai figli....ed ecco l'avvocato che intenerito dalle "Fragili rime di vita" della sua "patrocinata", mentre ne esalta le doti poetiche passa a prospettare un avvenire forense catastrofico: sconsiglia d'iscriversi all'Ordine...per non incorrere nel riscio di dover "mendicare" un incarico, spesso in modo non dignitoso...Come per dire che, noi abbiamo seminato frutti avvelenati che voi dovete evitare di raccogliere? Salvo poi ad avere una figlia avvocato.Io Le posso dire che 3 anni fa su La Stampa, il pres. naz. forense, Guido Alpa, replicando a Tito Boeri che attribuiva agli avvocati i tempi dilatati (per tornaconto), affermava che il regista dei tempi fosse il giudice; il teoria può aver ragione, anchio lo penso: infatti anche quel pacione di ex magistrato, l'on. Mantovano, di An, disse che il "dum pendet, rendet conviene anche ai giudici.

Il tribunale di cui sopra mi dicono che sopravvive con 4 giudici e incombe il rischio di chiusura...e quello che mi ha rovinato 3 cause , guarda caso, è stato trasferito. Cordiali saluti Mauro C.

Anonimo ha detto...

Chiedo scusa, mi sono persa... :)
Capisco che state parlando di casi precisi (di cui non conosco nulla) ma non riesco a seguirli... portate pazienza!
Se nel frattempo la Redazione (che mi sembra latitante ultimamente, no? No lo so, lo so... già lo portate avanti questo blog e non dev'essere facile... è che mi mancano un po' le vostre risposte, sempre misurate) avesse voglia di inserire un post tutto nuovo che riguardi in pieno l'argomento richiesto sarei molto felice, sperando di coinvolgere nella discussione anche altri!

Silvia.

Anonimo ha detto...

Per Mauro. il "pezzo" scritto da Mauro è uno sfogo "letterario"comprensibile ,ma mi associo totalmente alle richieste di Silvia. Maria Cristina

io che speravo che :( ha detto...

Cara Silvia e Gentile Mauro, gli argomenti trattati in questo post sono delicatissimi. Vi ringrazio per avere chiesto in altro post una mia opinione in merito e mi scuso per il ritardo nella risposta, ma il tempo a mia disposizione - negli ultimi tempi - è davvero poco.
Ho una mia idea precisa sulle ragioni che hanno portato, dopo decenni di pratica della giustizia, gran parte degli avvocati a difendere comunque il proprio cliente pur sapendolo colpevole.
Si parla in questi casi di "difesa tecnica", e talvolta da questa si sfocia nel favoreggiamento con la stessa facilità con la quale si può passare nello sporto dall'allenamento virtuale alla applicazione concreta delle cose imparate nell'allenamento.
Piano piano i confini del lecito si dilatano e si modellano a seconda delle reazioni degli arbitri e della utilità marginale dei "falli di gioco".
Se la giustizia fosse in qualche modo avvicinabile al Golf penso che la differenza tra le “difese tecniche” ed il “favoreggiamento” sarebbero marcatissime.
Siccome la giustizia è assai più vicina allo sport fatto con i piedi (il calcio), queste differenze si sono fatte negli anni sempre più evanescenti.
Ovviamente ogni situazione presenta risvolti assolutamente diversi, e mille e mille sono differenze da caso a caso.
In linea generale posso solo dire che se il sistema presenta margini di lassismo, è evidente che tanto più cedevoli sono i margini tanto più si tende a consentire il radicarsi di comportamenti professionali disinvolti.
Altra cosa è il problema del diritto alla difesa costituzionalmente assicurato ai cittadini.
Taluno confonde il diritto alla difesa con il diritto ad affermare il falso, ed in altro mio intervento ho già sottolineato come al nostro ordinamento importi assai poco della verità.
L'importante per il nostro sistema non è arrivare ad una sentenza che sia quanto più possibile avvinta alla verità, quanto piuttosto arrivare ad una pronuncia che sia quanto più possibile frutto della applicazione delle regole astratte, la cui combinazione (secondo l’ambizione del legislatore) dovrebbe condurre alla affermazione della verità  e qui il faccino è d’obbligo.
Il punto di incontro tra queste due diverse condizioni (astrattamente praticabili entrambe nel rispetto delle stesse regole) è dato dalla sensibilità dei singoli arbitri e purtroppo poichè gli arbitri sono tanti e la formazione culturale e civile di ciascuno di loro è assai diversa, si assiste spesso ad una disomogenea applicazione della giustizia, la quale, affidata a registi diversi, consente ai singoli attori del processo (parti ed avvocati) di assumere sempre comportamenti diversi a seconda delle personalità e delle sensibilità dei singoli arbitri.
Occorre partire dal presupposto che il nostro ordinamento non obbliga le parti del processo a dire la verità. Certe volte addirittura chi sceglie la strada della verità piuttosto che quella convenienza risulta assolutamente penalizzato. Alcune volte ho persino assistito ad affermazioni dette in camera caritatis da giudici che, commentando il comportamento processuale di un avvocato, hanno sottolineato come lo stesso fosse stato poco scaltro avendo scelto una strategia processuale che passando per la verità avrebbe tuttavia esposto il suo cliente a conseguenze potenzialmente peggiori rispetto a quelle che gli sarebbero potute derivare affermando il falso o tacendo.
Quei giudici non sono affatto né corrotti eticamente, né poco intelligenti, né spregiudicati. Sono semplicemente il frutto del nostro sistema così come è venuto storicamente a modellarsi attraverso la interpretazione delle norme.
Una norma del nostro codice di procedura civile obbliga le parti a comportarsi secondo lealtà.
La suddetta norma si sarebbe potuta interpretare in due direzioni: o le si attribuiva una portata precettiva sostanziale, e si sarebbe dovuto condannare il comportamento di chi nel processo si comporta slealmente, ovvero le si sarebbe potuto attribuire una cogenza inferiore, una sorta di invito ad un “bon ton” processuale privo di conseguenze.
Venne operata la seconda scelta, e non per un capriccio di coloro che per primi si cimentarono nell’attribuire a quella norma un significato concreto, ma per il semplice motivo che altri principi generali del nostro ordinamento non obbligano le parti ad affermare la verità ed a favorire l’accertamento della stessa, essendo stato ritenuto prevalente (per il singolo) l’interesse particolare a quello della giustizia.
Tengo a precisare che gli argomenti di cui sto scrivendo di getto sono assolutamente delicati e che nello scrivere, peraltro molto in fretta, potrei avere usato espressioni che ben potrebbero essere fraintese, o che volendo dire una cosa ne ho scritta un’altra.
Insomma il mio pensiero in linea generale è che il ruolo degli avvocati è fortemente influenzato dalla stesura delle regole e dalla loro concreta interpretazione, fermo restando che allorquando si fa ricorso al concetto di “difesa tecnica” si deve, a mio modestissimo avviso, avere anche ben presente quali sono i limiti reali della “difesa” e quando da questi si passa alla “offesa” alla intelligenza di chi è poi chiamato a giudicare.

Anonimo ha detto...

Gentilissimo avvocato,
intanto grazie per averLe sottratto del tempo prezioso.
Le posso assicurare che per quanto ho capito non resto nemmeno sconcertato, in quanto vaccinato, anche se è difficile convincersi che per una così nobile e delicata materia (del contendere)si pratichi, di fatto, al di là di buone intenzioni (di cui sono lastricate le vie dell' "inferno") una sorta di baratto tra le parti in causa.
A "conforto" Le dico che un paio di volte mi è andata bene: fermo restando la ragione morale e patrimoniale nei confronti della controparte, ho voluto subire passivamente gli atti procedurali e che in estremis avrei dovuto ottemperare...se si fosse presentato l'ufficiale giudiziario che pare fosse lo stesso che non portò a compimento un'"offerta reale" restituendo i 5 milioni dopo 4 mesi (?). E addirittura l'avv. avverso (che in privato gli avevo fatto capire che il suo cliente contestualmente era debitore, anche morale verso di me) malignò che mi fossi accordato con l'uff. Giud....quella figura che, anche per le modalità e i modi dell'agire, in un paese veramente civile e democratico non dovrebbe esistere? gli ribatto, dicendogli che non aveva capito nulla.
Nell'altro caso, la controparte non si è presentata perché il giudice ha sbagliato indirizzo...e quando io, per caso, me ne resi conto, per amore di verità, e volevo dirlo al giudice il mio avv. mi sconsigliò; purtroppo non sono ancora trascorsi i 5 anni, per cantar vittoria. Si fa per dire. Cordiali saluti Mauro C.

Anonimo ha detto...

Ringraziando di cuore "io speriamo che... :)" per il suo intervento da "professionista" noto con tristezza che (se non ho frainteso il suo pensiero) avevo ragione da inesperta totale a dubitare dell'efficienza del sistema di giustizia italiano in virtù principalmente delle sue regole (troppo lassiste). Prima che in virtù della sua cronica mancanza di personale, strumentazioni e altro.
In sostanza, pare di capire, è stato messo in piedi non con l'obiettivo principale ancorato alla ricerca della verità ma con quello più "dilettevole" del giocare una bella partita, sudata e faticosa e per questo più soddisfacente, ad armi pari per quanto possibile. Dimenticando il fine ultimo (la ricerca della verità) e relegandolo a mera conseguenza (illusi!) -evidentemente creduta ovvia- della partita stessa.

Mi domando (anzi, mi ri-domando) a questo punto se non debba entrare anche questo discorso di diritto ed a piè pari nelle discussioni relative all'efficienza della magistratura, parlando di riforme della giustizia come necessarie assieme all'attuazione delle regole esistenti e al "rifocillamento" delle strutture giudiziarie.

Silvia.

Ps: grazie davvero a chi si è interessato e mi ha risposto.

Anonimo ha detto...

Sono sostanzialmente d'accordo con “Io speriamo che …”, salvo alcuni punti che mi sembrano marginali. L'argomento è, come riconosce lo stesso “Io speriamo che …”, delicatissimo ed assai complesso. A questo occorre aggiungere che tocca aspetti non ancora sufficientemente esaminati. Per questo motivo entro i prossimi due giorni invierò uno specifico articolo intitolato "Imputato - Avvocato - Giustizia". Quando l'argomento sarà stato sufficientemente sviscerato, invierò un altro articolo volto ad aprire un dibattito sul diverso tema - oggetto di precedenti commenti - che concerne il rapporto "Cliente - Avvocato".
Saluti a tutti.

Gioacchino Bàrbera
(avvocato del Foro di Bari)

Anonimo ha detto...

Anch'io ringrazio "io speriamo che.." per il contributo dato ad un tema delicato sì ,ma purtuttavia cruciale . Egli ci presenta una sorta di fotografia dell'idea della realtà giudiziaria che è sicuramente molto comune a molti "operatori del servizio -giustizia" :avvocati e giudici.
Ma la realtà ,fuori della rappresentazione che ce ne fa "io speriamo che.." ,mi dispiace dirlo è assai diversa. Decidere di fare l'avvocato o il giudice è un "mestiere ",una "professione" che cambia con i tempi e si situa in contesti economici e sociali ben precisi e ben diversi tra loro.

L'autoreferenzialità del servizio -giustizia è il risultato della crisi della giustizia non la causa;inoltre il fatto che "nel processo non si tenda alla ricerca della verità ma all'applicazione di regole astratte "che tengono il posto della verità si spiega con un'intrinseca difficoltà ,legata anche alle procedure giudiziarie, di usare le "regole astratte" per raggiungere il "vero- verosimile e concreto".

Per fare bene l'avvocato occorre essere un pò giuristi e ,per esserlo ,bisogna essere anche"bravi avvocati" ,occorre saper fare bene il proprio mestiere ,e questo non è da tutti. E' molto più comodo far prevalere altre logiche di accomodamento ,quelle che per l'appunto si rifanno all'uso di "regole astratte" che essendo autoreferenziali non richiedono più di tanto sforzo e ingegno.

Prevale la logica della corporazione chiusa al rischio della vera competizione democratica tra studi legali.

Oggi siamo arrivati al punto che anche avvocati radiati dall'albo perchè condannati per reati gravissimi possono dopo qualche anno reiscriversi all'ordine ed esercitare impunemente .

Il problema non è "il lassismo morale" della giustizia ,il problema è la "zona grigia" della professione legale che sembra sottratta alle regole del rapporto contrattuale ,semplicemente democratico, cliente- professionista e che ,per questo, da un lato serve gli interessi del cliente finanziariamente forte cui si piega senza farsi alcuno scrupolo ,non dico morale ,ma anche professional-deontologico(Credo che molti visitatori di queso blog avviano visto l'avvocato Trapani ricevere i pizzini da Lo Piccolo )dall'altro non risponde di abusi ,slealtà ,omissioni e colpe professionali commesse nei confronti del cliente "normale".

Sembra che dopo aver raggiunto l'agonata iscrizione all'Ordine , l'avvocato abbia acquisito una specie di "immunità" di casta del tutto ingiustificata e "abusiva" nella realtà contemporanea.

Invito "io speriamo che.." ,se nonl'ha già fatto ,a guardare il video di Stefano Salvi ,presente in questo stesso Blog sulle potenziali manipolazioni e abusi che sono resi possibili dall'assenza assoluta di regole relative alla sicurezza del servizio informatico dato in appalto e sub-appalto a ditte esterne all'amministrazione giudiziaria ; oltre a gonfiare smisuratamente i costi del servizio, tale situazione rende possibili infiltrazioni mafiose ,vendite di dati riservati e abusi di ogni genere :si crea di fatto un'altra "zona grigia " ad alto "valore aggiunto mafioso".

Queste realtà facilmente assorbite nella pratica routinaria dell'avvocato medio possono inclinare ancora di più il" disservizio-giustizia " verso il baratro , esponendo il professionista legale alla tentazione di trasformarsi in "faccendiere" al servizio del gruppo di potere ecomonico più forte e che paga meglio. In fondo è più facile fare soldi rubando l'acqua dello stato e rivendendola ai cittadini assetati di Agrigento che misurarsi col mercato e, se nessuno dice niente o fa finta di non accorgersene ,la faccia è salva e l'onore è "cosa nostra",non è vero?
Scusate la durezza del commento ma credo, l'Italia non ne possa più di "sepolcri imbiancati" (nel senso di Roberto Scarpinato),veri camaleonti nell'esorcizzare qualsiasi autentico cambiamento che possa condurre all'esercizio di un'effettivo "servizio-giustizia" nel senso richiesto e voluto da Falcone. grazie per l'attenzione Maria Cristina

Anonimo ha detto...

Sono felice che si possa discutere in maniera più approfondita della cosa, e attendo l'articolo del dott. Barbera.

Concedetemi una precisazione a Maria Cristina, di cui comunque condivido il pensiero in genere.
Lei scrive:
Il problema non è "il lassismo morale" della giustizia, il problema è la "zona grigia" della professione legale che sembra sottratta alle regole del rapporto contrattuale [...]

Corretto, ma quello di cui abbiamo parlato nei post precedenti era -infatti- il "lassismo contrattuale", non quello morale (che è demandato ai singoli), cioè la mancanza di regole che impediscano certi comportamenti "fraudolenti" (passatemi il termine che non sono una giurista e non so se sia corretto usato in questo senso), o per lo meno che li condannino pubblicamente e -se ci si riesce- anche penalmente.

Silvia.

Anonimo ha detto...

Ringrazio Silvia per la precisazione :è esattamente quel che penso anch'io. Il "lassismo contrattuale " è una delle principali cause di impedimento e di blocco del "servizio -giustizia" nel nostro paese e, in un certo qualmodo, è il "comune denominatore " di tanti altri "disservizi". L'" osceno " nell'accezione di Roberto Scarpinato trova il suo terreno pratico-operativo e la sua violenza specifica su persone e cose (beni materiali)proprio nelle pieghe di questo "lassismo contrattuale" all'italina che si fa beffe del diritto autentico nell'atto stesso con cui finge di inchinarsi ad esso. Anch'io essendo una comune cittadina sono in attesa di un autorevole intervento, Maria Cristina

io che speravo che :( ha detto...

Non ho la pretesa di rendere l'autorevole intervento auspicato da Cristina, ma mi permetto solo di dare un altro piccolo contributo.
Non penso che il "lassismo contrattuale" sia la causa dei comportamenti non troppo ortodossi degli avvocati. Semmai potrebbe sostenersi il contrario, e cioè che taluno di noi si lasci un po' troppo coinvolgere dalle esigenze del proprio assistito assumendo comportamenti e suggerendo decisioni non proprio "legali".
Come ho già detto il problema è delicatissimo ed offre risvolti di discussione davvero variegati.

E' nostro dovere deontologico non riferire al cliente che se sceglie una certa via l'ordinamento non lo punisce?

Siamo tenuti a far emergere la verità, oppure dobbiamo fare in modo che emerga la verità processuale che il gioco delle parti consente di far emergere?

Se un nostro assistito pieno di debiti ci chiede di mettere al riparo il suo patrimonio, fino a che punto e quali strumenti possiamo suggerirgli di utilizzare senza violare norme penali e nel contempo assicurando al cliente lo scopo perseguito?

Mettere una persona in condizione di non pagare debiti è un reato, un fatto socialmente esecrabile, un comportamento deontologicamente scorretto oppure sarebbe scorretto non suggerire al cliente l'assunzione di una serie di comportamenti non solo generalmente diffusi, ma addirittura non ritenuti penalmente rilevanti dall'ordinamento;

Incanalare un cliente verso la assunzione di comportamenti solo civilmente illeciti cosa comporta?
Siamo responsabili nei confronti della società se lo facciamo e rendiamo una utilità al cliente, oppure siamo responsabili nei confronti del cliente se non lo facciamo e rendiamo migliore la società?

Se poi chi lo fa (chi incarta i patrimoni e lascia a bocca asciutta i creditori) raggiunge in grandissime percentuali ottimi risultati, l'avvocato che è meno disinvolto è rappresentativo della parte migliore della categoria, oppure di quella peggiore?

Potrei continuare all'infinito e penso che a queste domande si possa rispondere in mille modi diversi dicendo cose sensate e condivisibili sia che si converga verso una soluzione che verso l’altra.
Tutto sta a dire bene le "cose".
La nostra giustizia è un po' così.
A volte si perde il senso delle "cose", e la ragione sta dalla parte di chi (giudice o avvocato che sia) sa dire meglio le "cose".
I ghirigori argomentativi cui si ricorre (giudici ed avvocati) spesso fanno accapponare la pelle ai laici del diritto. Per noi hanno un senso forse perchè ci siamo un po' assuefatti, ma se guardiamo a talune decisioni o a taluni contesti dall'esterno (ed è “ricco” chi riesce a farlo) potremmo valutare la opportunità di far parte ed aderire a meccanismi a volte tanto perversi quanto insulsi se guardati da una ottica diversa.
Quando il contenuto dei cd. “argomenti giuridici” (che altro non sono che i percorsi logico giuridici che poi determinano la assunzione delle decisioni e quindi la formazione dei cd. principi di diritto) ha il pregio della suggestione e della ortodossia ermeneutica, ma lascia intirizzite le parti che invocano giustizia, quando nel sentire affermare alcuni concetti, arguti nella enucleazione ma astrusi nei risultati, sorge un senso di fastidio, in quel momento il "giurista" dovrebbe fermarsi, riflettere e ricominciare daccapo.
Secondo la mia modesta opinione il problema della giustizia attecchisce le proprie radici nella scarsità di veri "giuristi" ai quali negli ultimi venti anni (e non penso di tirare i numeri al lotto) si sono sostituiti, quanto agli avvocati, dei veri e propri imprenditori della professione talvolta incapaci anche di coniugare i principi fondamentali del diritto, e quanto ai magistrati, dei fondamentalisti della "giurisprudenza" che in tante occasioni si sostituisce alle norme. Quando si fa una ricerca una volta si partiva dalle norme, poi si seguiva con la dottrina, quindi si approcciava la giurisprudenza. Oggi con l'avvento delle banche dati su pc, si approccia direttamente la giurisprudenza e per di più partendo da una ricerca per lemmi che velocizza il risultato ma imbarbarisce la mente.
Questo scadimento della qualità dei giuristi sta affossando sempre di più un sistema che, solo fino a pochi decenni fa, era comunque pieno di problemi ma non era così paralizzato.
Noi avvocati contribuiamo alla paralisi, ma il nostro contributo è tanto più forte quanto più utile si rivela l’impreparazione e la disinvoltura.
Non penso sia un problema di coscienza.
E’ un problema di risultati.
Se taluni comportamenti pagano, vengono ripetuti in scala geometrica.
Se un calciatore si butta nell’aera di rigore ed induce l’arbitro a concedergli un rigore verrà imitato. Se l’arbitro lo ammonisce (per me sarebbe meglio l’espulsione) non solo quel giocatore ci penserà mille volte prima di ributtarsi, ma difficilmente sarà seguito da altri.
Noi avvocati perseguiamo “risultati” il che spesso va nel senso contrario al buon andamento della giustizia.
Chi non si butta nell’area di rigore o è davvero ma davvero superiore al contesto generale nel quale opera (e quindi è bravissimo, autorevolissimo e capacissimo) o rischia di passare per fesso, pur non essendolo.
Si può infatti anche essere bravi, molto bravi, ma non bravissimi ed autorevolissimi, ed in quel caso il rischio di passare per fessi è altissimo.
A quel punto forse è meglio essere ciucci (!!??).

Vittorio Ferraro ha detto...

Il fatto caro "io speriamo che" è che è mutato il contesto, è cambiata la società... ed è cambiata anche la professione: sicuramente in peggio.

La nostra è una professione molto delicata; misurarla solo con il metro del denaro ha condotto alle degenerazioni che sono sotto i nostri occhi.

Quantità (circa 170.000 avvocati)non è sempre sinonimo di qualità.

Condivido in toto le sue riflessioni.

Anonimo ha detto...

Caro "io speriamo che" , debbo dirle in tutta franchezza che il suo "autorevole intervento"è assai deludente, anche se comprendo i motivi che l'hanno indotto a scriverlo.
Innanzitutto lei neppure prende in considerazione la dimensione "contrattualistica "di un rapporto tra professionista e cliente:il coinvolgimento "psicologico"dell'avvocato che viene catturato dai problemi del cliente ha come rovescio della medaglia il fatto (nient'affatto psicologico) che il cliente (parlo del cliente medio ovviamente)è di fatto in una posizione di assoluta subordinazione tecnica e cognitiva nei riguardi del "legale di fiducia " dal quale ,nel momento stesso in cui gli firma il mandato, viene oggettivamente a dipendere per il futuro della sua "causa" che spesso coincide anche con il suo stesso futuro.
Questa dimensione "oggettivamente cotrattualistica" è spesso e volentieri occultata nel rapporto "pseudo-personalistico" tra cliente ed avvocato. E' proprio questa mancanza di regole e di normativa che pesa in modo terribile principalmente sul cliente dell'avvocato, che non è posto in condizioni nè di difendersi da possibili abusi, nè di valutare le diverse opzioni giuridiche presenti al momento di intraprendere un'azione legale .
Lei sa meglio di me qual'è la verità in questo settore professionale in cui vige di fatto un grottesco paternalismo e un "abuso di fiducia" senza freni ,finalizzato di riffa o di raffa a riempire il portafoglio dell'avvocato. Spero con questo commento un pò pungente di stimolarla ad un intervento davvero "autorevole". Maria Cristina

io che speravo che :( ha detto...

Gentilissima Cristina,
preliminarmente Le segnalo che l’autorevolezza della mia risposta, purtroppo, non può in nessun modo essere stimolata dalla puntigliosità del Suo contributo, posto che la capacità di persuasione di una affermazione è data dal contenuto oggettivo della stessa e non dagli intenti di chi ne è autore.
Sarei molto lieto di poter recare contributi autorevoli “a comando” perché ciò vorrebbe dire che ne sarei comunque capace.
Mi limito invece ad esporre il mio punto di vista senza avere, come ho già detto, alcuna presunzione di autorevolezza.
Venendo al contenuto del Suo rilievo, Le assicuro che comprendo in pieno il punto di vista da Lei espresso ma, almeno per quella che è la “mia” visione del rapporto cliente / avvocato, osservo che il cattivo andamento della giustizia, sempre a mio avviso, è riconducibile più ad un abuso degli strumenti di difesa (offesa) da parte della categoria rivolti a favorire, al di là di ciò che sarebbe conforme alla giustizia intesa in senso etico, le esigenze dei propri clienti, piuttosto che da un disinteresse alle vicende di questi.
Sostenendo questa diversa visione, rispetto alla Sua, non nego affatto che il cliente sia in una condizione tecnicamente e psicologicamente dipendente rispetto all’avvocato, ma tale condizione non vale a minare l’andamento generale della giustizia, quanto piuttosto il singolo rapporto “cliente/avvocato”.
Molti avvocati hanno eretto, sulle fondamenta delle esigenze del cliente, una sorta di barriera invalicabile rispetto alla conduzione della propria attività.
So tuttavia per certo che tale atteggiamento non è estendibile su scala orizzontale a tutti i professionisti (troppi) del settore, alcuni dei quali, concordo con Lei, approfittano delle fiducia e dei “limiti” oggettivi di valutazione dei propri clienti.
Si figuri che in tantissime occasioni si vincono cause non perché si abbia ragione ma per la poco attenzione, e talvolta per la poca preparazione, dei colleghi di controparte.
In termini statistici tuttavia osservo che, per quella che è la mia esperienza, prevalgono comportamenti processuali scorretti, sotto forma di ostruzionismo, falsa rappresentazione della realtà, organizzazione di prove di comodo, fino ad arrivare a veri e propri progetti al limite della legalità non solo civile, al preciso scopo di favorire le aspettative di clienti assai disinvolti e da parte di legali altrettanto, se non più, disinvolti, rispetto a comportamenti sciatti e/o di approfittamento. Forse in realtà questi due diversi approcci alla professione più che stare in rapporto di alternatività, potrebbero essere in rapporto di stretta contiguità, nel senso che lo scaltro esercizio della professione (laddove la giustizia funzionasse anche solo un pochino) piuttosto che favorire il cliente dovrebbero penalizzarlo, ma la realtà delle cose è che lo favoriscono.
Secondo la mia modestissima opinione quel che segna questa epoca della giustizia disorientandone le prospettive, l’andamento ed i risultati, sono i comportamenti scorretti di questo tipo e non quelli, da sempre esistenti e costantemente diffusi, dell’approffitamento della condizione deteriore del cliente.
Quanto poi al contenuto contrattualistico del rapporto cliente avvocato, mi permetto di segnalarLe che non è vero che non ci sono regole, anzi e è vero l’esatto contrario.
Il contratto che un cliente conclude con un avvocato è un contratto d’opera intellettuale retto dalle stesse regole che regolano una qualsiasi prestazione professionale, e che nella loro interpretazione sono state modulate in maniera assolutamente stringente per l’avvocato.
La diligenza dell’avvocato è parametrata a quella “professionale”, nel senso che è richiesta al professionista una prestazione adeguata ad una conoscenza specifica della materia e non ad una conoscenza media (e sul punto non ho nulla da osservare).
I magistrati, invece, rispondono solo per dolo o colpa lieve, e tale soluzione normativa trae origine dalla osservazione dei “numeri” cui sono sottoposti, della salvaguardia della loro libertà nella decisione nel senso di assicurare la loro non condizionabilità a ragione del timore di assumere una decisione realmente libera e di una democratica applicazione del principio che vuole che il Giudice sia sottoposto solo alla legge (non a precedenti giurisprudenziali, o a prassi o a direttive dell’ufficio). Sul punto poi andrebbe fatta un approfondimento alla luce delle recenti direttive che mi sembra assoggettino a procedimento disciplinare quei magistrati che si discostino dalla giurisprudenza dominante senza indicarne adeguatamente le ragioni e qui il problema risiede nel concetto di adeguatezza.
Sotto il profilo strettamente contrattuale, pertanto, il rapporto cliente avvocato è retto da rigide regole. Il problema pertanto non sta nella loro esistenza, quanto piuttosto nella capacità del cliente di chiederne la applicazione e quindi di valutare la professionalità e l’attenzione prestata alla singola causa dal legale.
A mio modo di vedere, sono pochi i clienti (anche tra gli uffici legali delle più qualificate società o banche) in grado di valutare davvero con reale cognizione quale sia la professionalità del proprio legale. A volte si è di fronte a professionalità apparenti, a volte invece si leggono atti che sembrano contenere tesi ardimentose, che fanno anche e sorridere gli addetti ai lavori, salvo poi vederle accolte a distanza di anni dalla loro elaborazione (il lustro o il decennio è l’unità di misura che di norma consente alla giustizia di recepire i mutamenti sociali che hanno riflessi sulla interpretazione delle norme, o per cogliere le ragioni della illegittimità di principi di diritto fondati su motivazioni apparenti e semplicistiche.
Altra cosa, ed in questo concordo con Lei, è quindi andare a vedere se e quando un cliente riesce ad avvedersi di una difesa non assicurata con la dovuta diligenza.
Negli ultimi tre mesi mi sono capitate, e mai mi era accaduto in passato, ben tre azioni da intraprendere nei confronti di colleghi esercenti fuori distretto (tengo a precisarlo perché c’è una regola non scritta che suggerisce ad un avvocato di non iniziare una causa nei confronti di un collega operante nello stesso distretto). Da questo dato rilevo che sta cambiando qualcosa anche nella consapevolezza del cliente rispetto alle proprie ragioni, il che per certi versi testimonia l’inizio di un processo di affrancazione dal legame di sudditanza psicologica, da Lei correttamente evidenziato, che lega il cliente al proprio difensore.
Pertanto per concludere questo mio secondo e assolutamente non autorevole intervento, preciso che se analizziamo il rapporto cliente / avvocato in via autonoma, concordo pienamente con Lei sulla condizione del cliente, ma non sulla assenza delle regole contrattuali, che ci sono e sono anche di assoluta garanzia per il cliente (salvo invocarne la applicazione).
Se invece guardiamo al rapporto avvocato / cliente dalla prospettiva delle conseguenze che questo determina sull’andamento della giustizia, confermo la mia opinione e cioè che l’imbarbarimento di certe prassi giudiziali e la tendenza alla assunzioni di comportamenti che generano il moltiplicarsi del contenzioso deriva non tanto da abusi degli avvocati in danno dei propri assistiti, quanto dall’abuso degli strumenti della giustizia per favorire le esigenze particolare di questi.
Tali abusi hanno assunto nel tempo una maggiore consistenza a ragione della condizione premiante che il diritto vivente attribuisce alla scaltrezza piuttosto che al corretto atteggiarsi dei vari compartecipi della giustizia.
Sulle ragioni poi che hanno generato l’insorgenza di una tale condizione premiante il discorso si farebbe lungo e difficile, e comunque non sarebbe strettamente legato al tema della discussione.
Spero di avere chiarito il mio pensiero e rinnovo la richiesta di essere esentato dalla condizione di autorevolezza invocata da Maria Cristina : )

Anonimo ha detto...

Per "io speriamo che" . Volevo innanzitutto subito ringraziarla per la sollecitudine e la gentilezza con cui ha risposto al mio commento. A mia volta interverrò quanto prima sulle sue interessantissime argomentazioni. Maria Cristina

Anonimo ha detto...

Ringrazio sinceramente Io speriamo che..., il quale mi conferma da "addetto ai lavori" (in questo misuro io l'autorevolezza, più che nel contenuto nella competenza, ma forse sbaglio)ciò che sento a pelle da profana completa.

Attendendo sempre l'articolo promesso (per sviscerare l'argomento e chiederci perché accade tutto questo, come è possibile, cosa si può fare per risolvere tale problema e se è giusto fare qualcosa o si invade il terreno del garantismo), mi avventuro a chiedere: senza voler invocare i sistemi anglosassoni, è solo una mia percezione o il nostro è un sistema un po' troppo garantista?
Questi cavilli formali (su cui già mi è stato risposto che sono garanzia di giustizia per l'imputato innocente) che fanno saltare processi a gogò, anche se a carico di imputati veramente colpevoli, servono davvero in un paese completamente privo del senso dell'etica e della giustizia fin nel midollo osseo?
E mi riallaccio anche al penultimo post di Bruno Tinti sul suo blog: pur considerando la pena in Italia come recupero e non come punizione, ma non sarebbe ora di un po' di certezza della pena... veramente che sia certezza? Alludo al fatto che van bene gli sconti per i redenti, van bene l'aggiunta di controlli perché troppo spesso fingono la redenzione per uscire e tornare a delinquere ma non si può limitare tutti (anche quelli realmente redenti) per colpa di delinquenti recidivi, ma vogliamo parlare della sospensione della pena e delle pene alternative per cui fino a tre anni non si va in galera?
Non dovrebbe essere applicata solo a determinati tipi di reati piuttosto che al punteggio totalizzato (a quanti mesi si è condannati)?
O non essere applicata affatto... no, ok, per questo verrei linciata.
Ma penso che tra la presunzione di colpevolezza e la presunzione d'innocenza (entrambe fino a prova contraria) dovrebbe esserci una via di mezzo, non so, magari riguardante i gradi di giudizio. Possibile che un colpevole anche quando condannato in via definitiva da tre gradi di giudizio si sia fatto nel frattempo dieci anni di vita tranquilla e felice?
Possibile che non si possa riformare in pejus (si scrive così? scusate, non so il latino ma mi sembra d'aver letto che giuridicamente lo si dice solo in latino) la pena -se lo si ritiene necessario- nei successivi gradi di giudizio? Perché così sembra tanto un "ritenta, tanto o ti danno lo stesso o ti danno di meno e nel frattempo stai fuori".
Se ci fosse la possibilità per il secondo grado di giudizio (e il terzo) di aggravare la condanna (se ritenuto necessario) non sarebbe altro che una parificazione: infatti già ora se lo ritengono necessario possono allegerirla, perché non dovrebbero mai ritenere necessario peggiorarla? Dessero quotidianamente condanne massimali! E poi francamente per quel poco che sento dai media (ma è un mio limite, magari nella realtà le proporzioni sono diverse: confermate o smentite?) la maggior parte delle condanne nemmeno si ripete tale e quale ma perde sempre progressivamente salendo di giudizio parte della condanna stessa. E' quasi una regola. Uno dice "mi hanno dato 5 anni, se vado in appello ne becco 4 e in cassazione 3. Mi conviene comunque!"

Silvia.

ps: grazie a chi mi risolverà un po' di dubbi (spero), e chiedo scusa a coloro che eventualmente si sentissero attaccati in quanto vittime di errori giudiziari e quindi ovviamente speranzosi nel garantismo, spero di non dover fare mai la stessa fine io, ma gli errori sono appunto tali, qui si sta parlando di sistema.

ps2: anche a proposito di pene alternative chi mi sa dire a cosa corrispondono? non sarebbe utile una bella regola del contrappasso piuttosto che l'aiuto ai servizi sociali generico (non lo conosco, se qualcuno ha tempo da perdere a illuminarli gliene sono grata)? Tipo la pulizia e ritinteggiatura di tutti i muri cittadini per chi li imbratat e ne fa vandalismo, la pulizia delle strade e dei bagni pubblici per chi inquina, tutti lavori "manuali" facilmente svolgibili anche dai non esperti che forse sarebbero più utili per la "repressione del reato" laddove la "redenzione del reo" non apparisse...
E i controlli perché i servizi vengano realmente svolti, e con consapevolezza, e con profitto, dove sono? Scusate ma sto pensando a Previti che spazza la strada, e non riesco a immaginarmelo... lì con la tuta o il giubbettino arancione...

Anonimo ha detto...

Dimenticavo: la via di mezzo potrebbe riguardare ad esempio le motivazioni di una sentenza?
Cioè: se c'è scritto che l'imputato ha commesso il reato ma l'interpretazione della norma è azzardata per la prima volta in giurisprudenza gli si può concedere qualcosa (la sospensione della pena), se invece è un reato conclamato con abbondanza di prove palesi che non necessitano di alcuna interpretazione (ad esempio anche la confessione, ma non solo) gli si conceda meno. Oppure se gli sono addebitate delle aggravanti... e smetterla di dare le attenuanti generiche a tutti...

Grazie per l'attenzione e le risposte, Silvia.

Anonimo ha detto...

Shakespeare, ne “Il mercante di Venezia”, nutre dubbi sulla qualità positiva della “giustizia” (atto quarto);
l’introduttore spiega: “ogni processo , invero, è sia un rito sia una scena teatrale…il teatro nel teatro”. Con finale drammatico?
Infatti, “l’attore” (l'ebreo) finisce col perdere il credito, viene punito, spogliato di ogni avere, umiliato ed emarginato implora: “Vi prego, datemi il permesso di andare via da qui, non mi sento bene (ora qualche tribunale si è dotato di defibrillatori), mandatemi l’atto e io lo firmerò”.
E' la “fredda legge”, fatta di norme bruciate dal tempo, cavilli... e da un formalismo fatto di orpelli, che spesso prevalgono o annullano la sostanza..
Sotto l’egida di leggi “eguali per non eguali"...tributo di tutti al comodo di pochi, una “giustizia” che punisce le colpe inevitabili del povero, i delitti “della miseria e della disperazione”: il delitto (e la pena) non è uguale per il “plebeo” e il “nobile”(“il grande”?), Cesare Beccaria (Dei delitti e delle pene).
E, circa 230 anni dopo, l’11 settembre 2006, a “Chi l’ha visto?”, è Birgit Hamer, la sorella del “plebeo” vittima del sig. Savoia, ad affermare che “il processo è stato un pezzo di teatro”.
"Buona causa"...ai circa 10milioni di "vittime" che tengono in vita un sistema che produce malattie e decessi...da parte di Vittorio Emanuele che ha "fregato" i giudici...nella Francia, con un numero di avvocati pari a quello della sola Roma?
"L'uso esasperatamente formalistico del potere, pur se paludato da richiami e pandette, codicilli, commi e capoversi o espedienti curialeschi di vario genere, è sempre esercizio di attività criminale": Leonardo Sciascia, che nutriva seri dubbi sugli esiti giudiziari.
Ora, se ho ben capito, Lei dice che, appunto, dovrei difendermi dagli "scaltri" addetti ai lavori che godono di strumenti della giustizia per favorire le esigenze particolare di questi...
Infatti, un cancelliere mi ha fatto capire che devo stare molto attento a quello che fanno...tra le pieghe procedurali "astratte", mentre l'avv. deve dar conto all'Ordinamento e non di volta in volta informare il suo cliente (come indica Marazzita) per poi magari "operare" sotto "consenso informato"?
Lei dirà che nemmeno i medici lo fanno.

Anonimo ha detto...

@ Mauro:

a parte che sì, nemmeno i medici lo fanno, e dovrebbero (se ho capito bene si riferisce all'informare completamente e correttamente il cliente). O forse oggi lo fanno più spesso perché hanno paura delle cause per risarcimento e ti fanno direttamente firmare un foglio in cui ti prendi tu la responsabilità di dargli il tuo "consenso" all'operazione?

Comunque -per quanto io sia tristemente d'accordo- lo scenario è sconfortante... la giustizia come macchina diabolica che mai potrà essere davvero giusta per sua natura congenita...

E io che stavo per proporvi un sito, il quale ripropone una teoria che io e mio padre andiamo sviluppando da tempo, sulle sanzioni proporzionate al delitto... ma anche al reddito! (http://sanzioniproporzionate.ilcannocchiale.it/)

Forse è meglio la legge della giungla, no?
Meno illusioni... perché vinca il male (la giungla) non occorre sforzarsi minimamente, perché vinca il bene (la Giustizia) occorre combattere ogni giorno con forza e determinazione, versare sangue, fino all'ultima goccia. E non è detto che chi verrà dopo riconoscerà il sacrificio e farà quel poco che basterebbe per conservarLa, tornerà più presumibilmente a non fare niente, regalando la vittoria alla giungla.

E forse un giorno qualcun altro si sforzerà, e verserà ancora sangue per la Giustizia, nell'indifferenza del mondo, e chissà se a Lei sarà concessa una seconda possibilità, o se verrà schiacciata definitivamente.
E per quante possibilità Lei possa ricevere nei secoli, tutti coloro che non avranno lotatto e versato sangue (proprio o di amici, parenti, conoscenti) non capiranno quanto sia preziosa, e si scocceranno a fare quel poco che basterebbe per conservarLa, una volta avuta. Finché La perderanno ancora.

Silvia.

io che speravo che :( ha detto...

Per Silvia:
I problemi che Lei pone sono quelli che dovrebbe porsi e che forse si pone, quella fascia ristretta di non addetti ai lavori che tuttavia ha strumenti cognitivi generali tali da rendersi conto, con il semplice intuito, di come da un sistema che si prefigga il "garantismo" si rischi di passare ad un sistema che invece assicura "l'impunità".
Nel nostro paese i termini "giustizia" e "astrattezza" o "virtuale" dovrebbero essere accomunati nel vocabolario allorquando si legge la definizione del concetto che essi esprimono.
Forse non esiste un sistema di diritto al mondo che assicuri più carta straccia di quello nostrano, ma se in luogo di carta straccia il sistema assicurasse risultati concreti, non immagino quel potrebbe essere la situazione tenuto conto del fatto che:
1) il 90% dei reati restano non impuniti, ma addirittura non perseguiti;
2) tra quelli perseguiti la stragrande maggioranza, va soggetta ad assoluzione e, anche in presenza dell'accertamento di una responsabilità, altrettanta, se non di più, stragrande maggioranza resta assoggetta ad una pena virtuale (sospesa);
Ciò nonostante le carceri sono piene (stracolme) sicchè laddove la giustizia che accerta i reati avesse risultati migliori non si vede come si potrebbe dare applicazione a provvedimenti di condanna che postulassero la sola pena della detenzione.
A mio avviso occorrerebbe ampliare il sistema delle pene, eventualmente, come ha correttamente evidenziato Silvia, detipizzandole, in modo tale da consentire al Giudice di applicare pene realmente rieducative in funzione del tipo di reato commesso e concretamente proporzionate allo stesso.

Nel settore civile, poi le sentenze che non si riescono ad eseguire, sono non tante, di più: sono tantissime.
Eppure alcuni Tribunali della Repubblica, nonostante ci sia una incredibile approssimazione per difetto delle esecuzioni (molti tra i creditori lasciano perdere l’idea di vedere realizzati i crediti), impiegano anche 15 anni (e non sto esagerando per nulla) a portare a compimento una esecuzione immobiliare. Le esecuzioni mobiliare, poi, hanno il solo scopo di compulsare il debitore al pagamento, ma se questo non paga, non servono assolutamente a nulla. Le vendite avvengono attraverso istituti all’uopo autorizzati, le cui procedure di vendita sono assai nebulose ed assolutamente inidonee a ricavare anche un valore minimo dalle aste, per far eseguire le quali tuttavia percepiscono somme non certo simboliche. Spesso si procede alla fissazione di tre quattro aste, si spendono circa 200/300 euro (solo per i diritti degli istituti) non si vende quasi mai nulla, ed i beni restano o a casa dei debitori non venduti o (per una minima parte) ammucchiati nei depositi giudiziari.

Occorre allora chiedersi, quale sarebbe l'efficienza del sistema della giustizia che assicura l'esecuzione dei provvedimenti definitivi (sentenze civili e penali) se migliorasse anche solo di poco la efficienza del sistema giustizia che dovrebbe assicurare la punizione (concreta) dei fatti di reato e la certezza del diritto civile ?

La conclusione che ne traggo io è che la Giustizia italiana altro è se non lo specchio fedele di una società che ha fatto, da secoli, dell'accomodamento una delle sue principali caratteristiche.
L'arte di arrangiarsi, la applicazione e la percezione elastica della norma, l'(in)sana tendenza al "ma si, che vuoi che sia" sono principi che hanno fatto da culla a generazioni su generazioni di italiani, ed invertire questa tendenza è compito arduo ed assai difficile, sicchè i piccoli passi avanti che ciascun cittadino si aspetta dalla giustizia in realtà dovrebbero, anzi, senza meno lo saranno, essere sincronizzati con i passi avanti che la cultura della nostra società riuscirà a percorrere in tutte le direzioni.
Le società anglosassoni, quelle d'oltreoceano, i paesi scandinavi non hanno una giustizia migliore o peggiore della nostra, ma hanno un livello di cultura sociale migliore o peggiore rispetto al nostro, al pari di quanto migliore o peggiore è la loro giustizia.
Il panorama normativo nostrano non è affatto scadente, anzi forse è uno dei migliori al mondo. Quel che risulta essere invece tra i peggiori è il risultato della applicazione di questo sistema di norme, il che, a mio avviso, sta a testimoniare che il nostro paese ha intelligenze apicali elevatissime (quelle che hanno partorito la basi del nostro diritto) ma un cultura media (quella che dovrebbe dare applicazione alle norme: magistrati ed avvocati, e che dovrebbe osservarle: cittadini) assai inferiore.


Per Mauro.

I suoi richiami sono tutti pertinenti, e non ce n'è uno solo che non dia stimoli di riflessione importantissimi.
Approfitto della evocazione del Mercante di Venezia per collegarmi a quanto ho poc'anzi detto.
In quell’opera v'è un chiaro esempio di una situazione posta in termini assolutamente antitetici a quelli che a mio avviso fanno da impronta al nostra società.
Nella storia raccontata da Shakespeare, frutto dei tempi in cui la stessa si calava, v'era una società in cui un determinato contratto (che avrebbe portato al sacrificio della vita di una persona incapace di far fronte ai suoi debiti) era astrattamente tollerato dalla società e ritenuto valido dalla giustizia. Nella applicazione dello stesso, tuttavia, un giudice che aveva nella faretra frecce imbevute nella saggezza e nell'intuito, le usò in modo tale da fare in modo che l’attuazione del contratto, valido secondo le leggi dell’epoca ma gravemente lesivo della giustizia sostanziale, si rivolgesse in danno del mercante usuraio che ne invocava l’esecuzione.
Ad una regola palesemente ingiusta era seguita una applicazione che la riconduceva a giustizia.
Da noi succede l’esatto contrario.
Le regole sostanziali per la gran parte, salvo rare eccezioni, sono di assoluta qualità, ma gli strumenti processuali che ne dovrebbero consentire la applicazione, un po’ per la loro stessa consistenza, un po’ per la interpretazione che se ne è data, hanno stravolto la portata sostanziale del diritto positivo (quello che crea le regole).
Prima ancora di riformare le regole, dovrebbe essere riformata la cultura di chi si occupa delle loro attuazione. Pressappocagine e sciattezza sono condizioni assai diffuse tra gli operatori della giustizia (a tutti i livelli) e per quante modifiche si vogliano attuare e per quante se ne siano attuate, non cambierà mai nulla fino a quando il sistema che dovrebbe assicurare l’applicazione delle regole non cambi totalmente mentalità.
Cattivi avvocati e cattivi magistrati dovrebbero essere isolati, dovrebbe esserne nota la identità,dovrebbero essere messi ai margini del sistema. Continuano invece a farne parte integrante a tutti gli effetti, e se qualcuno si avventura in una battaglia rivolta ad isolare le mele marce, non rischia, ma viene in concreto egli stesso isolato, abbandonato e messo alla berlina.
La meschinità, l’opportunismo, l’inconsapevolezza dei propri limiti sono condizioni che si autoalimentano e che trovano nei particolarismi dei singoli un terreno fertilissimo per attecchire le proprie radici.
Chi si avventura per la strada della denuncia specifica, e non in quella generica e di costume (che anche io purtroppo mi trovo a praticare: ma sono ingenuo fino ad un certo punto e non vivo di rendita), resta vittima delle sue stesse aspettative.
I tempi, come diceva un noto mafioso redento, “non sono ancora maturi” perché si possa cavalcare l’onda della speranza e quella della denuncia.
La mediocrità è un buco nero che assorbe tutto quello che gli si para intorno, e se cerchi di elevartene, ti avvolge con i suoi vischiosi tentacoli, ti riconduce nel suo alveo e si approfitta della indifferenza generale e della incapacità dei singoli di riconoscerla.

Per questo mi sono scelto lo pseudonimo di “IO speriamo che : )”

Una ultima notazione per Mauro e Silvia.

“Sul consenso informato”

Scusate ma penso davvero che abbiate conosciuto professionisti davvero al di sotto della media.
Una volta poteva accadere che i legali non facessero capire davvero nulla ai clienti.
Oggi la situazione è cambiata e non di poco.
La concorrenza ha obbligato ciascuno di noi a rendere un servizio quanto più trasparente possibile. Alcuni vivono ancora di rendita, ma se si aprono gli occhi, e se invece di rivolgersi agli avvocati che fanno parte della propria ristretta cerchia di conoscenze (magari perché li si è conosciuti in palestra o in club ristretto dove si autocelebrano le migliori espressioni della società) chiedete un po’ in giro, vi assicuro che i nomi ai quali si associa un marchio di qualità sono quasi sempre gli stessi, e di norma se un professionista ha una discreta considerazione, la stessa non gli viene concessa gratuitamente.

I medici che conosco iio, mi informano su tutto ciò che chiedo loro. Se poi le risposte che ricevop non mi soddisfano, provo a sentire altre opinioni.
La scelta di un legale talvolta può davvero cambiarti la vita, al pari di quella di un medico.
In genere ci si sceglie tra simili e visto il Vs. livello di discussione non penso che abbiate scelto professionisti così deludenti.

Vittorio Ferraro ha detto...

Voglio prendere uno spunto dall'ultimo commento di "io speriamo che". Le esecuzioni nel settore civile.

Chiunque opera nel settore sa che le esecuzioni immobiliari sono non solo dispendiore (notifica, trascrizione del pignoramento, iscrizione a ruolo, incarico al CTU, delega al notaio...), ma anche lunghe - molti anni -, parecchio "burocratiche" e con risultato incerto.

Per non parlare delle esecuzioni mobiliari presso il debitore. Quasi tutte non vanno a buon fine. Se il debitore decide di non pagare - e dalle mie parti è la norma - inizia il calvario del pignoramento. Quasi sempre il debitore non ha beni e per quei pochi pignorati, nel rapporto costi benefici, tenendo conto delle spese (iscrizione a ruolo, compenso al custode, compenso della vendita, compenso per assegnazione, spese di trasporto, spese di pubblicità, accesso del mezzo...: è questo il caso delle vendite tramite gli istituti vendite giudiziari), non conviene assolutamente proseguire nella procedura ed è meglio lasciare perdere.

L'unica speranza è il pignoramento presso terzi... ma è una speranza.

Allora sarebbe auspicabile una seria riforma, sistematica, del settore delle esecuzioni. E non quelle pseudo riforme che, tempo fa, hanno "puntellato", nello specifico, il settore senza risolvere per niente il problema.

Dalle mie parti recuperare il credito, con le armi del diritto, è impresa quasi impossibile!

Anonimo ha detto...

All' avv. "IO speriamo che".
Anzitutto un sentito ringraziamento per la sua disponibilità e sensibilità che traspare dal Suo intervento, del tutto esaustivo e di merito.
Vorrei solo riprendere qualche spunto per fare due precisazioni.
Lei dice: "Prima ancora di riformare le regole, dovrebbe essere riformata la cultura di chi si occupa delle loro attuazione."
Perfetto, l'ho sempre pensato e all'occasione detto.
E conclude: "...visto il Vs. livello di discussione non penso che abbiate scelto professionisti così deludenti."
Per quanto mi riguarda, il "livello..." è a pelle, anzi acquisito sulla propria pelle (i medici non vedono di buon occhio chi parla il loro gergo, senza sapere che ci si sforza per sensibilità verso loro).
Per gli avvocati c'era ben poco da scegliere, dopo che i migliori sono deceduti.
Invece a riguardo dei medici mi riferisco a direttori di clinica e primari...magari a uno degli assistenti di Barnard (l'ho appreso dopo),angiologo; e perché no all' auxologo di Milano raggiunto con l'aereo e scoprire che era un siciliano, che scriveva come un bambino poco "sviluppato". E gli ortopedici (mancati psicologi?)che non ti visitano? (a mio figlio nemmeno alla prima visita!).
Una chicca prima di salutarLa. Si può tollerare che un appartamento di 100 mq di venda, all'asta, per 45.ooo euro e che finisca indirettamente al proprietario che aveva un debito pari a 3 volte, ma indire 2 gare (senza precisarlo, per vergogna?) per un incolto (credo)di 16 are al prezzo di 295 euro è fuori da ogni logica! Per il Ge è regolare...a conferma di quanto Lei afferma. Stia bene. Cordiali saluti. Mauro C.

Anonimo ha detto...

Per quanto riguarda la scelta dei professionisti io finora non ne ho mai avuto bisogno (per fortuna), mi sono rifatta alle esperienze descritte da Mauro solo per rispondere a lui, non per discuterne.

Due cose però le dico (mi avete stuzzicata :) ):
Certo che comunque quando mi è capitato di cercarne e quindi di parlarne con qualcuno ho avuto la duplice esperienza di "consulenza gratuita in forma amichevole" (pochi minuti) per due diverse ragioni da due avvocati "conosciuti" tramite frequentazioni altre, ed in quel caso mi sono sentita ascoltata e messa di fronte a tutte le possibili soluzioni e mi è stato spiegato doverosamente cosa significava immpiantare una causa per ciò che chiedevo, nonostante il tempo limitato (scaduto peraltro solo in base al fatto che non c'era altro da dire, non perché loro avessero posto termini). E poi, per un incidente d'auto in cui avevo ragione al 100 % ed ho subito (per me) parecchi danni, sono stata indirizzata da conoscenti verso un'avvocato "parente di" e verso uno studio ultrarinomato per casi di incidenti stradali. Mi sono affidata al primo, salvo poi avere la sensazione di non sapere quasi nulla di ciò che dovrei e di non essere trattata con il dovuto "impegno". Nello studio ultra-mega-iper sono andata per decidere a chi affidarmi (lo ammetto, ero comunque un po' prevenuta), e mi hanno fatto aspettare un quarto d'ora in una sala d'aspetto con le poltrone in pelle (umana?), quadri alle pareti, silenzio sacro, arredamento classico-antico, con uno schermo su cui andavano in loop immagini pubblicitarie dello studio stesso. Premesso che non sono un'autorità nel campo ma di video e montaggi un po' me ne intendo, dato che costituisce esattamente il mio ambito d'istruzione e lavorativo (oggi teorico), ve lo descrivo brevemente: c'era la ricostruzione di un vecchietto (ultrapatinata, tipo Beautyfull) che sedeva alla scrivania dicendo "io ho bisogno di soldi sa, non arrivo a fine mese... la controparte mi ha offerto cinque milioni..." e il fighissimo-giovane-avvocato: "ma no, lei non deve accettare! Io mi batterò per lei, le farò avere molto di più!"
Entrati siamo stati accolti in uno degli ufficetti che disseminavano il corridoio (sembrava una testata giornalistica più che uno studio di avvocati), ci è stato concesso un tempo di 5 minuti, ho spiegato grossolanamente l'incidente e mi è stato sottoposto un foglio (un modulo da compilare) da firmare per avviare il tutto. Non una parola su di loro, su chi sono, su cosa farebbero per me, su che tipo di caso sia il mio e come vada affrontato.
Io avevo il sangue che pulsava alle tempie e me ne sono andata.
E' in assoluto lo studio più rinomato della zona, costoso e vincente. Saresti seguito da uno dei "ragazzi" al seguito dell'avvocato-col-nome, titolare dello studio, e lui non lo vedresti mai. A meno che -ovviamente- la tua non sia una causa miliardaria, per cui se ne occupa lui in prima persona...
Avrò anche sbagliato (sono ingenua ed utopistica da sempre), ma in un posto così io non ci metterei mai più piede per tutta la vita, anche se so che avrei vittoria assicurata. Piuttosto metto in guardia sul tipo di studio ma ci mando altri (che vogliono solo vincere), io no. Ci saranno pure sulla faccia della terra altri avvocati altrettanto bravi e meno ***, meno viscidi, meno "commercianti", no?

Per quanto riguarda il discorso iniziato, poi, aggiungo solo qualche considerazione:
1- se esistesse maggior certezza della pena avremmo bisogno in un primo periodo di nuove carceri (o di ristrutturazione di quelle nuove e mai usate che ci sono), quindi muratori, ditte, appalti, polizia carceraria e dirigenti.... daremmo anche un po' di lavoro alla gente per bene... E poi scommetto la testa che se la giustizia diventasse più giusta e più certa diminuirebbero reati e delinquenti, e magari tornerebbero a starci nelle carceri vecchie, e si potrebbe utilizzare le strutture in più per riconvertirle in altro (senza cementificare ancora).
2- una maggiore efficienza, come detto nel post all'inizio e nei primi commenti, necessita anche di riforme strutturali della giustizia (fra cui snellimento dei processi, rivisitazione delle pene -quelle alternative, e proporzionali all'importanza del reo perché i potenti siano chiamati a dare l'esempio- e eliminazione dell'automatismo generico dei tre gradi di giudizio), e maggiori risorse personali e strumentali. Il che significa che i processi necessari avrebbero più probabilità di vedersi fatti e conclusi (e in termini ragionevoli).
3- d'accordissimo con "Io speriamo che... " sul Mercante di Venezia, anch'io l'avevo letta così, più che come scrive Mauro.
4- è un problema di cultura, siamo d'accordo. L'ho già scritto e ribadisco: le leggi non possono disciplinare ogni caso della vita umana, ci vogliono etica e buon senso, entrambi dati oggi per dispersi (in Italia). Sono d'accordissimo sul fatto che abbiamo picchi altissimi (la stessa Costituzione) e tutto il resto bassissimo. Sono cattedrali nel deserto. E una mentalità come la nostra (di cui tra l'altro la maggior parte degli italiani va fiera, come fosse una virtù, non a caso si chiama "l'ARTE di arrangiarsi") come si cambia? Di più: si può cambiare?
Nel commento in cui parlavo della giungla proponevo proprio questo quesito: per quanti sforzi facciamo (e non è un segno d'arrendevolezza il mio, sia chiaro) non vinceremo mai. Perché per far vincere i nostri ideali di giustizia occorre far fatica, per ucciderli basta non fare niente. E la nostra storia lo ha dimostrato e dimostra tutt'ora che chi il pane non se lo guadagna da solo non l'apprezza, trova perfino faticoso masticarlo.

Silvia.

PS: proposte e soluzioni si accettano volentieri... :)

io che speravo che :( ha detto...

Ho appena letto la massima di una sentenza della Suprema Corte in materia penale.
Non ho a disposizione il testo integrale, ma se il principio di diritto riportato è fedele al contenuto della sentenza, penso che quest'ultima sia un esempio di quello che accade spesso nelle aule di giustizia. Un datore di lavoro sembra essere stato condannato perchè non aveva vigilato in modo "pressante" su un proprio dipendente allo scopo di evitare che lo stesso cadesse nella tentazione di eludere le norme sulla sicurezza ed a nulla sarebbe valso il fatto che il datore di lavoro avesse affiancato al dipendente un lavoratore più esperto.
La Corte ha ritenuto che il datore avrebbe dovuto essere più pressante nel controllo (come?) e lo ha condannato penalmente.
Di seguito quanto ho rinvenuto nel sito: Cassazione.net.
"In caso di infortunio, rischia il carcere il datore di lavoro che non ha vigilato in modo "pressante" su un dipendente, anche se affiancato da un operaio più esperto, tanto da farlo "sfuggire alla tentazione" di sottrarsi alle norme antinfortunistiche".
La norma antiinfortunistica afferma che il datore di lavoro deve assumere tutte le cautele atte ad evitare infortuni.
Come è ovvio gli obblighi del datore di lavoro, che non è un prestatore d'opera, si esauriscono nella organizzazione del cantiere, nell'impartire le istruzioni, nel fornire attrezzature adeguate, insomma deve fare, a livello di organizzazione, tutto quanto è nella sue possibilità per mettere in condizione i prestatori d'opera di giovarsi delle migliori condizioni possibili per evitare infortuni.
Se però un prestatore d'opera non ritiene di adeguarsi alle istruzioni e (ad esempio si toglie l'elmetto di sicurezza), il principio di diritto or ora riportato, al di là del suo contenuto oggettivo e limitato al caso di specie, potrà essere letto da qualche magistrato nel senso di ritenere che il datore di lavoro deve ritenersi comunque responsabile dovendo egli provare, non solo di avere impartito le istruzioni e di avere affiancato al giovane lavoratore, uno più anziano, ma anche che abbia “pressato adeguatamente” il lavoratore per non indurlo in tentazione.
Mi auguro che chi ha riportato la massima sopra riportata ne abbia stravolto il significato (l'ho rinvenuta dal sito Cassazione.net) e quindi spero che la Suprema Corte abbia enunciato un concetto diverso da quello che sembra a prima vista ricavabile dalla lettura del testo.
Ho tuttavia riportato quanto sopra per far capire, a chi non opera nel settore giustizia, come sia possibile che nel passaggio tra il diritto scritto (“il datore di lavoro deve adottare adeguate misure”) ed il diritto vivente (“il datore di lavoro deve pressare il dipendente per non farlo cadere in tentazione”) possa capitare che il concetto astratto espresso dal legislatore venga in concreto applicato secondo canoni personalissimi ed in modo tale da modificarne totalmente il significato.
Se i legislatore avesse espresso una norma nei termini in cui poi la Cassazione sembra averla interpretata, le associazioni di categoria si sarebbero attivate, si sarebbero aperti tavoli di discussione, insomma si sarebbe arrivati democraticamente ad una soluzione che avesse tenuto dell’apporto e del contributo al dibattito di ciascuna delle parti sociali.
Allorquando non è i legislatore ad affermare principi stravaganti, ma questi promanano dalla interpretazione delle norme, nella migliore delle ipotesi, la notizia appare un paio di volte nei TG nazionali, poi passa nel dimenticatoio ed il diritto vivente si arricchisce di un orpello di quelli che in concreto paralizza e rende vischioso l’andamento della giustizia.
Faccio questo discorso in termini generali. Spero che se ne comprenda il significato intrinseco e che i molti magistrati che partecipano a questo Blog non si sentano attaccati o messi in discussione. Il mio minuscolo intento è quello di evidenziare un problema che a mio avviso esiste, non è virtuale e che non potrebbe essere negato aprioristicamente.
Se invece dovesse trattarsi di una mia fissazione allora gradirei che almeno se ne parlasse, ci si confrontasse sul merito delle questioni, e non solo in termini generali sull’esistenza dei problemi e su come gli stessi debbano essere (sembra genericamente) risolti.
Se un esercito perde costantemente tutte le battaglie cui è chiamato a partecipare, se a nulla vale per anni ed anni cambiare le tecniche dell’ingaggio e studiare a tavolino nuove strategie, se qualunque soluzione si cerchi il risultato non cambia mai, anzi peggiora, se le cose stanno in questi termini penso che compito del generale a quel punto dovrebbe essere quello di verificare non più se le tecniche sono adeguate, quanto piuttosto la qualità e la composizione dell’esercito, ed eventualmente adottare degli strumenti di selezione diversi da quelli invalsi per secoli e mai modificati.
L’accesso alla professione di avvocato ed alla funzione di magistrato è davvero una garanzia di qualità per i cittadini cui comunque queste categorie dovrebbero garantire un servizio pubblico?
L’esame di abilitazione alla professione assicura un minimo di selezione, oppure alla lunga la semplice laurea in legge confluisce automaticamente nel superamento dell’esame.
E poiché così è, fatte salve rarissime eccezioni (ne ho conosciuto uno solo in vita mia che non è riuscito a superare l’esame e che poi ha abbandonato), è giusto e corretto consentire a tutti l’accesso a tutto? Non sarebbe meglio ipotizzare anche un diverso livello di esercizio della professione creando una sorta di piramide, anche in chiave specialistica, con diversi gradi di abilitazione all’esercizio della professione?
E’ ancora possibile pensare che il concorso in magistratura strutturato nei modi in cui lo è ancora oggi garantisca l’accesso alla funzione delle migliori menti, oppure l’attuale impostazione del concorso, meramente teorica e senza che sia richiesta alcuna pratica consapevolezza di quel che in linea astratta si è studiato, è in concreto garanzia di una selezione mirata.
Visto che fino ad oggi le abbiamo provate davvero tutte, ma davvero tutte (il rito civile negli ultimi cinque anni è stato modificato già due volte, con risultati obiettivamente risibili), non sarebbe il caso di provare a cambiare i criteri di selezione.
Se un magistrato in dieci giorni emette venti provvedimenti cervellotici e gestisce l’udienza in modo tale che se andasse a paperissima farebbe salire l’auditel alle stelle, è il caso che qualcuno si attivi, oppure, come oggi accade e come purtroppo sta accadendo, occorre attendere i tempi previsti dalla legge per la revisione dei provvedimenti sbagliati.
Questo magistrato è appena arrivato in un Tribunale trasferito da un altro per incompatibilità ambientale (che è una foglia di fico sotto la quale si possono nascondere anche condizioni che per un comune cittadino sarebbero annoverate con termini medici psichiatrici). E’ pensabile che una persona che è stata trasferita da un posto perché non era in condizione di interagire “non” con altre persone, ma con le funzioni che svolgeva, possa, cambiando luogo di lavoro, assicurare risultati diversi? Mentre tutto questo accede, in soli due mesi, si sono verificati guasti in singole cause (fino ad ora almeno una ventina) per i quali i poveri cittadini coinvolti dovranno attendere circa 5 anni per trovare rimedio.
I miei colleghi si inventano scuse per far rinviare le cause, in attesa che il ruolo trovi un altro istruttore.
E’ possibile che il principio che vuole che il giudice sia assoggettabile solo alla legge impedisca di porre termini a scempi come quello di cui sto parlando, oppure che li si possa risolvere mediante un semplice trasferimento ?
Che differenza c’è tra questo magistrato ed il dott. Pinatto (così mi pare che si chiamasse) che si è visto radiare dalla magistratura per avere atteso otto anni per il deposito di una sentenza. Quel poverino si imbattè nel clamore della opinione pubblica e ne subì le conseguenze, il collega che sta attualmente facendo sfaceli (all’inizio si rideva per le cose che fa, ma oggi si comincia ad averne un serio timore) nel silenzio del Tribunale e nel timore degli avvocati, continuerà a restare lì fino a quando qualcuno giunto all’esasperazione non deciderà di sollevare il polverone.
Ma è normale che questo possa accadere?
Non sarebbe più semplice, se proprio non si vuole togliere lo stipendio ad una famiglia, che i sistema si rendesse conto, senza le ipocrisie di cui si nutre costantemente, che il Dott. X non può svolgere funzioni giurisdizionali, e magari lo si assegna ad una attività nella PA che non abbia riflessi diretti sui diritti dei cittadini ?
Ha senso affermare che tutto questo è normale, e che il caso di un singolo non può essere preso a modello per modificare un sistema?
Se si risponde in questi termini, la risposta reale non è quella che appare dalla motivazione “è un caso isolato”, quanto piuttosto è la seguente: Il sistema di garanzie e di protettorati vale molto di più delle angosce che possono essere procurate a centinaia di cittadini le cui aspirazioni di giustizia sono lasciate nelle mani di una persona che – oggettivamente – non è in grado di svolgere le funzioni che è casualmente arrivato a ricoprire.
Non è vero che il problema è del “singolo”, e che si tratta di casi isolati. Anche i fatti socialmente più allarmanti sono il frutto di casi isolati, ma non per questo una società civile può porsi nella condizione di doverli sopportare.
Alcuni meccanismi di intangibilità consentono a molti singoli di fare quel che in un’altra pubblica amministrazione, nelle quale vige il criterio dirigenziale, verrebbe immediatamente paralizzato (sempre che la PA avesse dirigenti motivati dal buon andamento della macchina amministrativa e non da mille disparati e diversi condizionamenti).
E’ lecito auspicarsi che se ci si trova di fronte ad un magistrato “evidentemente” incapace di svolgere le funzioni che gli sono demandate ci si possa rivolgere a qualcuno chiedendogli di intervenire immediatamente, oppure occorre attendere che si metta in moto la macchina, lentissima e talvolta ipocritissima, del procedimento disciplinare?
Ed alla fine di questo quale sarà il risultato?
Il soggetto in questione verrà nuovamente trasferito? Così si comincerà un identico balletto in altro luogo?

Una ultima notazione:
Una commissione del CSM ha deliberato l’apertura di una pratica sul problema della magistratura onoraria i cui organi rappresentativi hanno deliberato uno sciopero che a detta del CSM stesso paralizzerebbe il servizio giustizia, sicchè si è deciso di verificare cosa rispondere rispetto alle richieste degli onorari.

E’ normale?
E’ normale che il CSM si trovi nella condizione di dovere contare sulla magistratura onoraria per assicurare il servizio giustizia.
E’ normale che una “magistratura non professionale” arrivi al punto di costituirsi in categoria per reclamare diritti di natura economica ed addirittura di inquadramento definitivo in magistratura?

Non sarebbe auspicabile trasferire tutte le funzioni assegnate ai magistrati onorari a magistrati appartenenti ad una magistratura di ingresso, selezionati per concorso, da remunerare regolarmente e da assegnare a ruoli che potrebbero poi diventare dei trampolini per il passaggio alla magistratura ordinaria attraverso concorsi interni?
Non sarebbe auspicabile evitare che alcuni professionisti si trovino a svolgere il ruolo di giudice in un tribunale e quello di avvocato in un altro?
Non sarebbe meglio evitare che i cittadini che sanno che l’Avv. Tizio che lavora a Canicattì e fa il giudice a Gattocattì, si rivolgano ad un collega di studio del suddetto avvocato di Canicattì per farsi assistere, sotto falso nome, davanti al Tribunale di Gattocattì.
Negli ultimi anni si sta assistendo a degli strani sconfinamenti di foro, in occasione dei quali avvocati esercenti in un distretto si trovano stranamente appoggiati presso lo studio di avvocati esercenti in un altro distretto nel quale, un amico dei primi, guarda caso, svolge funzioni di magistrato onorario.

Una volta si faceva il V. Pretore per imparare il mestiere di avvocato. Oggi si fa il magistrato onorario con la pretesa di essere riconosciuti quali magistrati a tutti gli effetti.
Ho rispetto per i colleghi che svolgono funzioni di magistrato onorario, e non voglio fare di tutt’erba un fascio, ma penso che ciascuno di loro debba rendersi conto dei limiti che derivano alla loro aspettative da un meccanismo di accesso che era stato ideato per selezionare persone in grado di puntellare temporaneamente e con funzioni assai limitate il servizio giustizia, e che siccome utilizzate invece a tempo pieno e con vere e proprie assegnazione di ruoli, si trovano oggi nella condizione di poter reclamare delle “utilità” economiche e di carriera che forse sarebbe meglio destinare a chi si assoggetti ad una selezione democratica e che passi per un libero concorso.

Mi fermo qui, forse ho usato toni eccessivamente polemici e se è accaduto me ne scuso, indosso l’elmetto ed attendo di essere massacrato, anche se in cuor mio “IO speriamo che” non succede :)

Anonimo ha detto...

Io speriamo che... succeda, invece!
Su questa questione non intervengo per mancanza di competenza, ma spero che la Redazione (non li conosco, ma ricordo tra i commenti il giudice "Lima" e "Achille" per lo meno) intervenga. Sono un po' preoccupata per la loro lunga assenza (anche se continuano a farsi un mazzo così per leggere e postare i nostri commenti)... e per la lunga mancanza di nuovi post... avete bisogno di una mano? Non credo di potervi essere d'aiuto ma se serve sono qui, siamo in tanti credo, a sostenere questo blog!
Immagino che siate occupatissimi, più che augurarvi di cuore di poter trovare ancora il tempo per "illuminarci" non posso fare...
A presto!

Silvia.

Anonimo ha detto...

Carissimo avvocato, è pur vero che 10 mesi addietro (dalla tragedia alla Tyssen Krupp) alcuni polititici si accorgono di operai che s'arrampicano sui ponteggi o che si fermano sul ciglio di un cornicione (ad Adornato gli son venuti i "brividi"...) senza la protezione...entre G. Paolo Pansa affermava che gli imprenditori non sono "all'altezza" e che non hanno capito che gli operai vanno meglio retribuiti...
Ma che giudici della Cassazione entrassero nel merito delle insidie che persistono nei cantieri... che detengono il primato d'incidenti mortali, nonostante si avvalgano di addetti alla sicurezza altamente scolarizzati per far rispettare la rigorosa - forse famosa o fumosa? - legge 626/96.
Epperò nel 98 l'edilizia si confermava settore "killer" con il 32% di infortuni mortali sul lavoro; e il Durc (Documento Unico di Regolarità Contribuitivo) che puntava su 3 obiettivi:semplificazione burocratica...; affermazione della cultura della legalità che si traduce in maggiore prevenzione e lotta al lavoro sommerso; certificazione degli obblighi contribuitivi?
Si disse: il primo atto verso un nuovo sistema di riqualificazione delle imprese edili...Di tutto ciò credo che, tranne l'obbligo - sotto minacce di multe salate - del cartellino d'identificazione (che nemmeno negli uffici di agenzie del lavoro portano), non si riscontrano i risultati prefissati...in ambienti che anziché produrre creatività ed economia diventano sempre più terreno di scontro tra datore e occupato, laddove non regna un'intesa collaborativa ma "l'uso e getta" da una parte e il diritto sindacale mancante di educazione: alla responsabilità dall'altra.
Ma ciò che vedo è un certo meccani(ci)smo perverso, un circolo vizioso; come nella scuola, allo studente... così all'operaio piace il capo che non rompe e al "padrone" il dipendente che accetta tutto senza discutere.
Le imprese serie , professionali e di rigore rischiano di restare "sole" (non solo nel "cantiere" giustizia) fuori mercato e di indebitarsi; così per il dipendente che denuncia... rischia di essere isolato persino dai pari se non anche dal sindacato.
Imprenditori improvvisati, operai saltuari e non qualificati, la massa del nero (40%) ricattabile... producono prodotti scadenti e incidenti! Cultura, formazione e lavoro (di qualità), dove e "quando...mai"?

Dopo il grave incidente alla ThyssenKrupp, ho sentito un magistrato in televisione dire queste testuali parole: «Vi sono degli ispettori del lavoro che fanno i consulenti per le stesse aziende che ispezionano, e questo non è ammesso dalla legge». Penso sia poi inutile parlare di cultura del lavoro e di sicurezza.

Anni addietro i controlli in genere avvenivano sotto segnalazioni di "delatori" (poco accreditati) spesso parte interessata (consulenti,...); sovente l'ispettore passava davanti a cantieri visibilmente non in regola ma tirava dritto verso la vittima designata. Non traspariva un metodo razionale, a ruota... .
Mi dice un amico che per una scala in legno, robusta e sicura, che era del committente (c'era a fianco quella in ferro, a norma Enpi...), £ 33mila, nel 1964!...nell' 81, per un operaio (furbetto) al 1° giorno senza tesserino...£ 333mila e in più il marchio nel casellario giudiziale: "...per aver assunto un operaio non per il tramite dell'Uff. del lavoro".
Eppure non mai denunciato un infortunio.
1986, verbale per i libri paga da tenere sul cantiere(?)..., per la cassetta di medicazione e sciocchezze varie, lo stesso ispettore (un ingegnere) che aveva obbligato a versare, prima, £ 800mila per il collaudo di 2 ascensori, mai effettuati; le competenze passate alle Asl (e/o Ispesl) che non erano attrezzate; e così perdura l'escamotage di affidare la manutezione alla stessa ditta che aveva effettuato l'impianto:ilcontrollato/controllore. Al solito!
E nelle piccole ditte, succede che il titolare che partecipa ai lavori adotta i dovuti accorgimenti di prevezione e sicurezza mentre il dipendete non lo fa! Ma i Supremi Giudici lo sanno?

P.S. Sui Got ho una chicca da raccontare...ma solo se mi dà "l'autorizzazione a procedere".
Non vorrei apparire troppo invasivo. Anche se come ha detto ieri al Tg 3 la scrittrice (magistrato) iraniana, Shirin Ebadi, "Se non potete togliere l'ingiustizia, almeno raccontatela", Mauro C.

Anonimo ha detto...

Caro "io speriamo che.."innanzitutto grazie per il tempo che ci ha dedicato . Personalmente ritengo che le risposte da lei date ai problemi del difficile rapporto avvocato -cliente sono sicuramente le più approfondite ed autorevoli che ho fin'ora potuto leggere( sopratutto il suo secondo intervento è davvero prezioso).
Risponderò innanzitutto al suo primo post.
La prima osservazione riguarda le modalità di percezione del rapporto avvocato -cliente :esse sono radicalmente diverse a seconda che ci si ponga dal punto di vista dell'avvocato o del cliente dell'avvocato e ancora ,a seconda del "tipo" di cliente e della tipologia della causa che deve essere trattata.
Ciò che io sostengo è che allo stato attuale le motivazioni comportamentali dell'avvocato nei confronti del cliente appartengono ad una sfera relazionale pre-moderna, quasi arcaica, e non soggiaciono ad alcuna disciplina contrattualistica che salvaguardi i diritti e doveri delle parti ,in particolare laddove più forte è l'esigenza di salvaguardia ,cioè nel caso in cui il problema del cliente sia la difesa del suo diritto reale da prevaricazioni ed abusi e non la difesa da reati di cui egli sa di essere "colpevole".
"Io speriamo che.." mi deve dare atto che il coinvolgimento nelle esigenze dei propri clienti "assumendo comportamenti e decisioni non proprio legali"non si da certo senza contropartite e che queste contropartite si riassumono in vantaggi economici e in "moneta sonante".
Facciamo l'ipotesi che l'avvocato "coinvolto dal cliente"molto facoltoso o con molto potere si spinga fino ad ingaggiare o condizionare gli avvocati della controparte ,i quali stanno al gioco di farsi credere patrocinatori dell'interesse della "controparte dell'uomo di potere",mentre in realtà sono al soldo dell'unico vero cliente dell'intera operazione giudiziaria . Questo è sicuramente un'agire illegale da parte di tutti gli avvocati coinvolti -che in realtà patrocinano gli interessi di un solo cliente ,quello dotato di potere e forza finanziaria,danneggiando gravemente la controparte-,tuttavia di certo è un comportamento che "paga".Questo è in realtà ciò che accade quando un "centro di potere "gestito da qualche "signorotto" più o meno "mafioso" vuole a tutti i costi impedire che un "sopruso" vanga impedito e bloccato ,consentendo alla controparte lo svolgimento di una normale battaglia legale.
Assistiamo in questo caso ad uno sbilanciamento assoluto della possibilità di difesa legale da parte di uno dei due contendenti, poichè un solo cliente gestisce sia il proprio avvocato che l'avvocato della controparte. Io dico che ciò accade perchè i rapporti che la controparte del "signorotto "ha con quello che crede essere il proprio avvocato non sono regolati da una moderna disciplina contrattuale che contenga norme contro l'infedele patrocinio egli abusi professionali,a cui corrispondano sanzioni stringenti.Quelle norme che attualmente sussistono per regolare il rapporto tra avvocato e cliente, sono troppo deboli e troppo a vantaggio dell'avvocato.
Ed è verissimo :se taluni comportamenti pagano ,vengono ripetuti su scala geometrica.
Potrei citarle un altro gravissimo abuso.
La legge prevede l'istituto de "gratuito patrocinio " per i non abbienti. Ma non prevede che, se il tutelato invece di essere lealmente e con competenza assistito dall'avvocato scelto viene "abusato"e reso oggetto di azioni di infedele patrocinio o colpa professionale ,possa "opinare "la parcella che lo Stato anticipa all'avvocato per conto del suo cliente-cittadino ammesso al beneficio del "gratuito patrocinio". Questo gravissimo (a mio parere)deficit normativo ha aperto la strada a modalità perverse di gestione lucrativa degli ammessi al "gratuito patrocinio" a tutto detrimento di una effettiva tutela legale del patrocinato e delle casse dell'erario.Perchè mai un cliente ammesso al gratuito patrocinio non può ,come qualsisi altro cliente opinare la parcella dell'avvocato ?
Questa è un'altra grave disfunzione ,sempre legata all'assenza di una vera disciplina e normativa contrattuale che tuteli seriamente il partocinio legale del cittadino.
In un simile sottobosco di interazioni illegali e di abusi possibili ,anche l'identificazione con gli interessi del cliente ,che è ovvia nell'esercizio dell'avvocatura soggiace a contropartite che violano sistematicamente il Diritto ,sia del colpevole del reato che della persona offesa. Per ora mi fermo qui ,domani riprenderò il filo del discorso rispondendo anche al suo secondo post. Maria Cristina

Anonimo ha detto...

Caro "io speriamo che...",riprendo il filo del discorso interrotto ieri. Il suo secondo intervento del 28 ottobre ore 12,58 è molto più "autorevole"del primo nella parte in cui stigmatizza i "vizi" e l'utilizzo di modalità "scorrette" nella gestione delle cause da parte di molti avvocati. Però in ciò che lei scrive c'è un aspetto che rimane in ombra e che attiene la "sfera motivazionale" che induce l'avvocato a tali comportamenti:spesso ,sempre più spesso l'assunzione del patrocinio è la modalità con cui si perseguono iteressi" privati" o pseudo-privati ,in cui l'interesse oggettivo del cliente entra solo se può venire "sussunto" nell'interesse cercato in proprio. Questa è la vera innominabile ragione per cui "lo scaltro esercizio dell professione" invece di penalizzare il cliente nella realtà lo favorisce :perchè spesso non ci sono due clienti,ma un solo cliente ,a turno ,per due avvocati!
Una volta riscontrato che questo è un comportamento che"paga", viene ripetuto su scala geometrica ,con effetti devastanti per la società civile che è costretta a rivolgersi al professionista non potendo costituirsi in giudizio direttamente. Come si spiega l'ostruzionismo verso la riforma Bersani che timidamente cominciava a prevedere l'applicazione di una normativa più equa nel rapporto cliente -avvocato ,come il cosiddetto "patto quota lite"?
L'avvocatura italiana ,da sempre arroccata nella sua presunzione corporativista ,si sta involvendo anche nella difesa spudorata di pratiche illecite spacciate per furbizia e scaltrezza .Concordo pienamente con lei quando afferma che "tali abusi hanno assunto nel tempo una maggiore consistenza a ragione della condizione premiante che il diritto vivente attribuisce alla scaltrezza piuttosto che al corretto atteggiarsi dei vari compartecipi della giustizia".
Scaltrezza non significa nè intelligenza nè abilità professionale ,è piuttosto un atteggiarsi mentale e psicologico in cui si cerca la conferma ,spesso ridicola e presuntuosa, di essere "superiori"al mondo perchè ci si trova nella posizione di utilizzare impunemente tecniche illecite e anche illegali facendo credere di essere "bravi" professionisti.Si pensi a quel medico del Santa Rita di Milano che si gratificava identificandosi ad Arsenio Lupin (" sono L'Arsenio Lupin della medicina"),essendo nella realtà solo l'utile tirapiedi del notaio Pipitone ,padrone della clinica in cui si dovevano fare "affari" sulla pelle e a costo della vita dei malcapitati pazienti.
Nulla da eccepire,visto che uno è libero di comportarsi come meglio ritiene, ma dove sono le sanzioni per l'avvocato ,se viene preso con le mani nel sacco"? Un avvocatura di tale pasta etico-morale è infida sia per l'avversario che per il proprio cliente e apporta un contributo ingente al degrado civile e antropologico di cui non sentiamo affatto l'esigenza. Che mi dice? Maria Cristina

Anonimo ha detto...

Carissimo "io speriamo che.." devo pensare che è sparito all'improvviso ,che è arrabbiato per le considerazioni espresse nei post di cui sopra, che non sa cosa rispondere perchè l'ho messa in inbarazzo o che al contrario sta seriamente riflettendo sulle mie osservazioni ? qualunque sia la ragione del suo silenzio ,compreso il fatto che forse non ha letto i post, debbo ringraziarla di cuore perchè lei mi ha davvero svelato un segreto riguardante le ragione più profonda della "problematicità" (voglio essere diplomatica) con cui vengono attualmente svolte le "prestazioni d'opera intellettuale" da parte dell'avvocatura ,e cioè : la carente preparazione giuridica e il fatto che se un comportamento ,per quanto scorretto "paga" ,viene ripetuto su scala geometrica è imitato da tutti i colleghi che non vogliono considerarsi "ciucci"! .Questo è precisamente il motivo per cui tali comportamente scorretti e truffaldini dovrebbero ,se denunciati,essere immediatamente -e con estremo rigore -stroncati e sanzionati .
La malattia e l'infezione invece, per l'assenza di anticorpi (le sanzioni)si è enormemente estesa ,infettando anche giudici e magistrati.Spero presto di leggere ancora qualcosa di suo a riguardo. Non me ne voglia , sono un gatto scottato .Maria Cristina

io che speravo che :( ha detto...

Gentile Maria Cristina, non "gliene voglio affatto" e se fino ad oggi non Le ho risposto è solo per mancanza di tempo. Purtroppo il nostro lavoro arriva ad ondate e ci sono periodi nei quali i frangenti sono alti e pericolosi. Ho letto le sue argomentazioni e di fronte a tanto materiale non avevo ritenuto di rivolgerLe una risposta frettolosa.
Ci sono molti aspetti del Suo dire che non condivido e che traggono ispirazione (probabilmente) da una visione particolare dei fenomeni sui quali si è intrattenuta.
Non Le prometto una risposta a breve, e spero che Lei non se la prenda. Per il momento mi limito solo a dirLe che su un aspetto davvero non condordo con Lei.
Nella premessa del Suo discorso mi ha attribuito i commenti più autorevoli sul problema oggetto del topic.
Non sono d'accordo.
Gli argomenti di cui discustiamo sono stati sviscerati in maniera eccellente dal collega Bàrbera con un intervento la cui completezza e profondità era assolutamente indiscutibile.
Io mi sono intrattenuto su aspetti meta giuridici e di contorno ed i miei rilievi avevano il grosso limite costituito da una limitata angolazione delle esperienze da cui traevano origine le (mie) argomentazioni.
Mai una singola esperienza (e la mia è "singola" almeno quanto la Sua) può spostare anche di poco l'analisi di un problema che invece il collega Barbèra ha sviluppato in maniera assolutamente ortodossa e sistematica.
Per quel po' che ho potuto sperimentare sulla mia pelle, posso dirLe di non avere mai incontrato un solo avvocato che si è "venduto" il cliente mentre ho incontrato tanti colleghi che, pur di raggiungere un risultato per il proprio assistito, hanno fatto un uso delle regole (di diritto, deontologiche e comportamentali) assolutamente disinvolto.
La mia però è l'esperienza di un singolo, sicchè non posso affatto escludere che ci siano fenomeni simili a quelli da Lei evidenziati
La prego di scusarmi per la mia latitanza, ma purtroppo il tempo a disposizione è sempre di meno ... il lavoro si accumula e le scadenze (letali) affliggono.
Un caro saluto

Anonimo ha detto...

Attenderò pazientemente il suo intervento , purchè le risposte siano davvero sincere e meditate; ancora grazie per l'attenzione, Maria Cristina

Anonimo ha detto...

Eccomi, come promesso rispondo.
Anche se io parlo per deduzioni e ragionamenti praticamente privi di esperienza (anche singola), pertanto mantengo fede all'impegno ma penso che sia più utile una risposta della Redazione o di "Io speriamo che..." rispetto a quanto posso esprimere io.

Naturalmente rimango nel solco già tracciato, della mancanza normativa o della poca aderenza del diritto vigente a principi di effettiva uguaglianza tra i cittadin e tra le parti. Come la cosa vale per il rapporto tra avvocato difensore e imputato colpevole immagino possa valere anche per gli altri tipi di rapporti inerenti. Purtroppo Maria Cristina sembra avere un'esperienza, a darle voce, che io non ho.

Mi permetto solo di dire a "Io speriamo che..." che il dott. Barbera ha sicuramente fatto un'analisi corretta, approfondita ed ortodossa, ma non ha sviscerato affatti gli argomenti più "importanti" (a mio modestissimo avviso) di cui si è discusso e per cui si erano richiesti interventi "autorevoli", in quanto è partito da un punto di vista diverso, che li bolla automaticamente come qualcosa al di fuori del possibile "sarebbe bello ma il diritto è questo, pertanto è inutile chiedersi come sarebbe se non lo fosse". Mentre ciò su cui ci siamo focalizzati un po' tutti in questa discussione era "dato che così com'è il diritto comporta grossolane ingiustizie sistematiche, come dovrebbe essere innovato per portare ad una giustizia che cerchi sul serio la verità, piuttosto che una bella partita?".

Mi scuso se non so dire di più ma da perfetta estranea alla questione sollevata da Cristina non riesco ad aggiungere altro che un ovvio accordo con le sue conclusioni, maturato sulla base di un ragionamento per similitudini con il problema da cui aveva preso avvio la discussione.
Spiegarlo credo sarebbe un'inutile ripetizione, ma se volete qualcosa di più chiedete pure che ci proverò.

Silvia.