martedì 10 febbraio 2009

Sotto il tiro delle armi bianche – Intervista a Gabriella Nuzzi



Intervista al Sostituto Procuratore di Salerno Gabriella Nuzzi a cura di Monica Centofante


da Antimafiaduemila


Lo scorso 22 gennaio la dott.ssa Gabriella Nuzzi, sostituto procuratore di Salerno (insieme ai dottori Apicella e Verasani condannata dal Csm alla pena del trasferimento di sede e funzione), si è dimessa dall’Associazione Nazionale Magistrati con una coraggiosa lettera, che è anche un atto di forte denuncia.

La denuncia contro quella magistratura che per ragioni corporative spesso sacrifica la ricerca di verità e giustizia nel quadro di un sistema asservito agli interessi del potere e al mantenimento della sua impunità.

A farne le spese sono i sacri principi dell’autonomia e dell’indipendenza della Giurisdizione e quindi la nostra stessa Democrazia e la nostra libertà.

Un concetto del quale sono permeate le indagini effettuate dalla Procura di Salerno sul cosiddetto “Caso De Magistris” e che, proprio per questo, hanno portato alle sanzioni disciplinari contro i giudici Apicella, Verasani e Nuzzi.

Per meglio analizzare la delicatezza e la gravità della situazione abbiamo contattato la dott.ssa Nuzzi e le abbiamo chiesto di rispondere ad alcune nostre domande.

Quanto sta avvenendo in questi ultimi mesi o meglio nell’ultimo anno, a partire dal trasferimento del giudice Luigi de Magistris in poi, denota una pericolosa ingerenza del potere politico su quello giudiziario. Ma soprattutto, ed è ciò che impressiona di più, una condiscendenza del Csm e dell’Anm ai desiderata della politica in violazione del principio costituzionale secondo cui la legge è uguale per tutti. E, ovviamente, a discapito dell’indipendenza della magistratura. Dott.ssa Nuzzi, cosa sta accadendo ai vertici del potere giudiziario?

«Le vicende che hanno riguardato il giudice Luigi de Magistris prima, i magistrati di Salerno poi, sono emblematiche dell’evoluzione delle strategie di contrasto ed annientamento dell’attività giudiziaria, ed inquirente in particolare, allorquando essa giunga a lambire sfere intoccabili del potere.

L’eliminazione fisica, che rende il Giudice eroe, conferendo immortalità al ricordo della sua persona e del suo operato, cede il passo alla soppressione morale e professionale, attuata con le armi “bianche”, meno cruente ma altrettanto letali, dell’insinuazione, del dubbio, della denigrazione che oltraggiano l’onore del Magistrato, privandolo del prestigio e dell’autorevolezza del suo ruolo istituzionale, rendendolo abietto e negletto, dunque, da ripudiare.

Ma il giudizio di delegittimazione, che ha come obiettivo l’emarginazione del Magistrato sino al limite del suo allontanamento dall’Ordine Giudiziario, è generalmente accettabile solo se consacrato in pronunciati autorevoli, tanto più credibili ed incisivi in quanto promananti dagli organi istituzionali preposti al controllo, al governo, alla tutela dello stesso corpo magistratuale.

L’indebita strumentalizzazione del piano delle responsabilità del Magistrato può, dunque, progressivamente condurre alla distruzione della sua immagine professionale e, ancor più gravemente, all’annientamento dell’attività in cui egli è impegnato.

Contro simili armi la Magistratura e la comunità, in nome della quale essa quotidianamente è chiamata ad amministrare Giustizia, non dispongono di adeguati mezzi di difesa e di contrasto.

Il caso “Salerno-Catanzaro” evidenzia come anche il nuovo sistema disciplinare possa, nell’applicazione concreta, prestare il fianco a pericolose intromissioni nell’esercizio dell’attività giudiziaria, incidendo pericolosamente sui principi costituzionali di autonomia ed indipendenza della Giurisdizione e, dunque, di eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla Legge.

Gli organi istituzionalmente preposti al controllo, al governo, alla tutela della Magistratura sono chiamati ad assicurare che il Magistrato mai possa sottrarsi all’imperio della Legge; ma anche doverosamente ad impedire che, proprio attraverso distorsioni applicative delle norme disciplinari, si possa giungere a consacrare un ingiusto annichilimento di professionalità, garantendo dall’interno rigorose e approfondite verifiche giurisdizionali – cui lo stesso Magistrato chiede di sottoporsi – unico baluardo contro indebite strumentalizzazioni o ingerenze.

Purtroppo, però, non è quanto si è verificato per la vicenda “Salerno-Catanzaro”».

Insieme ai dottori Apicella e Verasani lei ha svolto indagini sull’operato del dott. de Magistris, partendo dalle denunce formulate da quel giudice e contro quel giudice. Al termine di quelle indagini, insieme ai colleghi, ha dimostrato la fondatezza delle prime e l’inconsistenza delle seconde, sottolineando la necessità di svolgere ulteriori accertamenti giudiziari, chiaramente espressa sia nella richiesta di archiviazione che nel discusso decreto di sequestro probatorio. Dalla lettura di quelle carte e da quanto è accaduto e sta accadendo intorno alla vicenda sembra esservi una sorta di convergenza di interessi tra diverse forze politico-istituzionali, e anche interne alla magistratura, che sono state toccate da quelle indagini e che in qualche modo vorrebbero frenarle. Ci troviamo di fronte, ancora una volta, a soggetti appartenenti alle istituzioni che tentano di difendersi dal processo e non nel processo? O ad un sistema asservito agli interessi del potere, come lei lo ha definito nella sua lettera di dimissioni dall’Anm?

«In mesi di approfondite verifiche, la Procura di Salerno è riuscita a porre in luce che le inchieste Poseidone e Why Not furono illegalmente sottratte al Pubblico Ministero titolare dott. de Magistris, mentre erano in pieno svolgimento; le ipotesi accusatorie hanno superato il vaglio giurisdizionale di G.I.P. e Tribunale del Riesame e nonostante, sin dai primi di gennaio 2008, siano state oggetto di comunicazione agli organi istituzionali preposti al controllo e al governo della Magistratura, ad oggi, non si ha ancora notizia di alcuna concreta iniziativa disciplinare o paradisciplinare a carico dei Magistrati di Catanzaro indagati.

Il cuore delle indagini è nel “sistema” di rapporti tra settori della politica-imprenditoria-magistratura-informazione in grado di condizionare illecitamente la gestione delle erogazioni pubbliche in settori fondamentali per la vita della comunità.

Il caso, montato ad arte, della “guerra tra procure”, poteva costituire l’unico perverso espediente in grado di bloccare l’inchiesta salernitana e conseguire, per effetto dell’invocato intervento immediato di tutte le forze istituzionali competenti, nonostante l’eccezionale gravità delle vicende oggetto di investigazione e l’intreccio di interessi sottostanti, il risultato di allontanare repentinamente i Pubblici Ministeri titolari, neutralizzandoli definitivamente con lo “strappo” delle funzioni».

Il trasferimento di sede e funzione del dott. de Magistris e le modalità con le quali è avvenuto sembrano aver creato in Italia una sorta di precedente storico. Ora, come sta accadendo con lei e con i suoi colleghi, appare più facile strappare le indagini a un magistrato. Quali ripercussioni potrebbe avere tutto questo sul sistema della Giustizia?

«Mi auguro che le vicende che hanno riguardato il dott. de Magistris, noi magistrati di Salerno, ma anche altri “servitori dello stato” non assurgano a “precedenti storici”, restando al contrario relegati a casi del tutto eccezionali e irripetibili, ad “esempio” di come l’autonomia e l’indipendenza della Giurisdizione sia oggi pericolosamente esposta all’ingerenza politica, esterna ed interna alla magistratura e, talvolta, purtroppo, anche gravemente compromessa.

Mi avvarrò fiduciosamente degli strumenti previsti dall’ordinamento per dimostrare la correttezza del mio operato.

Ma credo anche che sia utile aprire un dibattito generale sulla conformazione dell’attuale sistema disciplinare, sugli effetti negativi di talune sue applicazioni sulle garanzie costituzionali poste a presidio della Giurisdizione».

Teme che le vostre indagini, anche per questioni burocratiche, possano subire ora un rallentamento?

«Il rallentamento dell’inchiesta è inevitabile, tenuto conto che il patrimonio conoscitivo dei Pubblici Ministeri di Salerno originari titolari si è formato in un anno di intensissimo lavoro investigativo, attraverso lo studio di migliaia di atti e documenti, l’assunzione di centinaia di testi, l’acquisizione e l’analisi di una mole notevole di dati tecnici.

Una scrupolosa attività di verifica, che le Istituzioni però hanno manifestato di non voler apprezzare e tutelare».

In quel sistema a cui accennavamo prima qual è, secondo lei, il ruolo dell’informazione? In seguito alle perquisizioni dello scorso 2 dicembre i principali media non hanno fatto altro che alimentare le polemiche sulla fantomatica guerra tra procure, con il risultato che tali polemiche potranno essere strumentalizzate, anche in vista delle riforme in corso sulla Giustizia.

«Nella vicenda “Salerno-Catanzaro” una parte dell’informazione ha dimostrato di aver abdicato al proprio ruolo, che è – o dovrebbe essere – quello di orientare il libero pensiero sulla base di rappresentazioni obiettive degli eventi, nella loro effettiva storicità e non delle variabili dipendenti di questo o di quel gradimento politico.

Tacere la verità tradisce la libertà di stampa.

Quanto alla possibile strumentalizzazione delle polemiche alimentate dai media, ritengo un grave errore sottovalutare l’opinione della gente comune, il desiderio che essa ha di conoscenza ed approfondimento sulle questioni vitali per il futuro democratico del Paese, un desiderio che oltrepassa le “pillole indorate” dell’informazione guidata.

Per affrontare e risolvere i nodi cruciali del “sistema” giustizia, la magistratura associata deve abbandonare la logica del compromesso, deve capire che le riforme vere, quelle che i cittadini invocano, non possono “barattarsi” voltando lo sguardo dall’altra parte e calpestando la dignità di chi adempie il proprio dovere.

L’intera magistratura oggi appare più debole e condizionabile».

Quanto è accaduto in questi mesi non può che creare un clima di confusione, di incertezza e quindi di pericolosa sfiducia nei confronti delle istituzioni. Per questo è necessario mantenere vivo l’alto valore dello Stato con azioni concrete, come l’educazione alla legalità. Cosa si sente di dire oggi ai giovani, a quei figli ai quali accenna, ancora, nella lettera di dimissioni dall’Associazione Nazionale Magistrati?

«La legalità non è un valore imposto dall’alto.

Essa esiste dentro di noi, è sangue e carne che ci rende vivi, è l’essenza stessa dell’umanità.
Affermare la legalità nei piccoli gesti quotidiani significa affermare la propria dignità di esseri umani, che, sempre ed ovunque, è pari a quella degli altri.

Il nostro Paese è pieno di risorse, uomini e donne dagli occhi trasparenti, il cuore forte e pulito, colmo di speranza.

L’integrità morale è la forza irresistibile delle coscienze, il pilastro del vero rinnovamento».


1 commenti:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

La circostanza che i concetti espressi dalla dr.ssa Nuzzi nel corso dell'intervista attivino sentimenti di ammirazione e di rispetto per magistrati così coraggiosi (soprattutto dopo ciò che li ha travolti) è la dimostrazione di come la magistratura in Italia, certa magistratura italiana abbia deragliato imboccando un deriva che sembra inarrestabile, per gretti motivi di potere e di stipendi.
Ciò affermo in quanto la dr.ssa Nuzzi si comporta come ogni magistrato si dovrebbe comportare, almeno sotto il profilo etico-morale, la sua posizione attuale appare ed è eroica (anche se poco conosciuta) proprio in funzione del poco coraggio di suoi colleghi.
Tale non apparirebbe se il comportamento della media dei magistrati fosse allineato con quello di De Magistris, Apicella, Nuzzi e Verasani, per restare nell'episodio specifico.
Se non dico il 100% dei magistrati si comportasse così, ma quasi, allora sarebbe praticamente impossibile controllare per bloccare l'attività giurisdizionale del requirente e del giudicante.
Ma è pura utopia.
Io amo l'utopia, chi non nutre ideali e si abbassa ai desideri e alle necessità del più puro egoismo, non è un vivente, ma uno zombie, privo di volontà propria.