mercoledì 25 febbraio 2009

Eluana Englaro

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Non abbiamo scritto nulla prima d’ora su Eluana Englaro, perché la sua dolorosa storia umana è stata oggetto di ogni genere di speculazione e, infine, anche di una orribile strumentalizzazione politica. E non ci sembrava giusto trattare Eluana così. Pubblichiamo adesso alcune riflessioni di Stefano Racheli, che si fanno carico della complessità del problema e che vogliono essere un invito a riflettere sui temi importanti che vengono in discussione in questa storia, temi che non possono essere affrontati con semplificazioni e strumentalizzazioni. La Redazione del blog non ha una “posizione politica” su questi temi. Ciascuno di noi ha proprie opinioni e, soprattutto, serie preoccupazioni e molti interrogativi, che poniamo alla nostra coscienza e affrontiamo con il nostro impegno di uomini e donne. Sarà bello parlarne insieme, ma, ve ne preghiamo, senza pregiudizi e senza barricate, perché la cosa da fare davvero e cercare “luci” e questo si può fare solo prestando attenzione a ogni aspetto del problema. Stefano ha volutamente lasciato il suo discorso aperto a ogni diversa opinione, non perché non ne abbia una sua, ma per lasciare chiaro che in questo momento, per potere sperare di trovare risposte, serve una grande capacità di farsi domande.
______________


di Stefano Racheli
(Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma)



Una premessa.

Cari amici del blog, chiedo venia, ma i tragici avvenimenti che sono andati sotto il nome di “caso Englaro”, mi spingono, sopite le polemiche, a scrivere qualcosa sul tema, ancorché di tutto avrei voglia meno che di imbarcarmi in siffatto genere di problemi.

Sento il bisogno di comunicare con voi; di avere uno scambio di vedute, senza alcuna pretesa di ammannire al prossimo la verità, ma semplicemente - come si addice tra amici che si rispettano - di provocare solitarie meditazioni e personali approfondimenti: meditazioni e approfondimenti del tutto necessari, visto che la discussione dal quesito iniziale - cos’è mai la vita? cos’è l’uomo? - è passata a toccare punti vitali della convivenza umana e del diritto.

Non deve dunque sorprendere l’estrema lunghezza di questo scritto e, qua e là, l’oggettiva complessità dell’esposizione: spero che tutto ciò mi verrà perdonato ove si consideri che ho cercato di seguire rigorosamente lo spirito del blog il quale, nella sua essenza, è desiderio di confronto aperto, sincero e approfondito, del tutto nemico di ogni spirito di “arruolamento”.

Quando vengono in discussione temi come quelli di cui stiamo trattando (e molti altri di simile o comunque apprezzabile complessità), l’U.S.A.C. (Ufficio Semplificazione Affari Complicati) si mette rapidamente all’opera, semplificando, emotivando, schematizzando: insomma, camminando esattamente nella direzione opposta a quella auspicata da Spinoza allorché ammoniva: “humanas actiones non ridere, non lugere neque detestari sed intelligere” (traduco liberamente: non ridete delle azioni umane, non piangete e neppure adiratevi a causa loro, ma cercate di capire cosa avete davanti agli occhi).

Il primo effetto dell’U.S.A.C. è quello di alimentare il fuoco delle passioni: di qui all’animosità e allo scontro il passo non solo è possibile, ma, purtroppo, è anche breve. Naturalmente nello “scontro” non vince chi ha ragione, ma chi ha più “armi” e dunque i “disarmati” devono condurre il confronto sul terreno loro favorevole (quello della ragione) e non su quello del “calor bianco” delle passioni.

Cerchiamo dunque di sottrarci all’atmosfera creata da chi (magari al di là delle sue intenzioni) suscita animosità.

Lo dobbiamo non solo per motivi, diciamo così, tattici, ma per l’affetto che portiamo a quel contenuto di nobili valori che chiamiamo Costituzione.

Difendere la Costituzione non è solo optare per un determinato assetto normativo: è - ben prima e ben di più - un professare e praticare valori ben individuati: un “uomo costituzionale” ha una precisa idea dell’uomo e della convivenza umana; egli rifiuta di imporre il suo modo di vedere le cose e si affida esclusivamente alla forza del dialogo.

Devo anche premettere alle argomentazioni che seguiranno alcune brevi considerazioni su un concetto che sembra espunto dalla cultura corrente: il concetto di “mistero”.

Intendo qui per mistero non già l’ineffabilità - o peggio l’esotericità - dell’oggetto del nostro conoscere: chiamo infatti “mistero” la distanza che corre tra l’oggetto della nostra conoscenza e la nostra capacità attuale di comprendere esaustivamente detto oggetto.

Tranne alcuni casi limite, dove l’oggetto del conoscere eccede per definizione le nostre capacità conoscitive, tutto il nostro conoscere ben difficilmente, al di là delle apparenze, è tale da esaurire completamente e definitivamente il suo oggetto.

Questa nostra naturale limitatezza non ha sempre eguale spessore: mentre essa è evidente in determinate materie, in altre è più nascosta.

Certo è che nella materia che andiamo a trattare occorre estrema prudenza ed è più saggio porre domande che sbandierare proclami: deve dunque essere chiaro che, anche là dove il mio dire non assumerà esplicitamente la forma di un interrogativo, dovrà essere pur sempre considerato tale: il lettore dovrà dunque avere sempre cura di tradurre in domande quelle che gli appaiono affermazioni.

Non sono infatti importanti le mie (provvisorie e limitate) convinzioni: la loro (eventuale) importanza consiste solo e unicamente nella loro idoneità a suscitare una personale ricerca.

L’unico scopo che cerco di perseguire con questo mio scritto è quello di rendere chi legge consapevole del fatto che la sua posizione finale è, di necessità, la risultante della soluzione di numerosi e ardui dilemmi. Come dire: ognuno di noi, nel pervenire ad una personale convinzione sul da farsi, deve prima saltare diversi ostacoli (e che ostacoli!).


Il primo ostacolo.

La prima asticella da saltare si chiama mind-body problem, problema che da decenni affatica psicologi e psichiatri (e ben prima di loro, nel corso dei secoli, i filosofi)

La formula mind-body problem nasce internamente alla scienza psicologica/psichiatrica nel tentativo di dare conto del rapporto che lega ciò che chiamiamo “mente” alla persona considerata nella sua interezza. Il problema è dunque l’uomo e la sua mente. Evidenzio la congiunzione “e”, per significare che già nel separare la “mente” dall’uomo, si compie un’operazione discutibile perché ben potrebbe sostenersi che l’uomo non è tale senza la sua “mente”. Virgoletto inoltre “mente” perché sia chiaro da subito che detto termine può indicare realtà assai diverse tra loro.

Nel pensiero contemporaneo (soprattutto anglosassone) il problema va appunto sotto il nome di M.B.P. (mind-body problem) e allude, per la precisione, alle questioni implicate dal seguente quesito: dove collocare il “mentale” con riferimento a quella specifica realtà che chiamiamo uomo?

Come è stato rilevato (S. Moravia) il “mentale” non si vede e nessuno si attende di vederlo. Ma quel “vedere” è ambiguo e invoca che si chiarisca se esso sia o meno usato nel senso di “constatabile” (tutto quello che si vede è constatabile, ma non viceversa).

Ne segue la necessità di: a) chiarire l’ulteriore ambiguità della natura e del luogo di quelli che sono stati chiamati i realia invisibilia; b) prendere atto che la problematica di cui trattasi costituisce risposta al quesito di fondo: chi sono realmente io (= cos’è che fa di me una realtà specifica)?

La necessità appena indicata pone, come è evidente, un ulteriore quesito (sul quale torneremo in seguito): quale è il metodo idoneo ad affrontare l’indagine invocata? Il metodo scientifico, quello filosofico, quello teologico, etc?

Il M.B.P. dunque più che “un” problema, è “il” problema: quello del significato e della “portata” di ciò che chiamiamo “natura dell’uomo”.

La questione è antica: “Nel dualismo delle età precedenti come in quello platonico, si assume che i corpi possano vivere solo se possiedono un’anima (…) ma per Cartesio, e per noi dopo di lui che abbiamo familiarità con una prospettiva meccanicistica riguardo alla natura, i corpi viventi sono tali solo grazie a meccanismi interamente fisici (…) La svolta decisiva impressa da Cartesio al problema mente-corpo è dunque la seguente: l’anima non può più essere considerata vita o fonte di vita, come in Platone e in Aristotele, perché vita è meccanismo. Si apre così la strada alla moderna e contemporanea accezione del termine “mente” e quindi a una reimpostazione del problema del rapporto mente-corpo: l’anima è privata delle funzioni vitali e ridotta a pensiero, a ragione, ad autocoscienza”.

Se si è accennato al mind-body problem, è stato solo per far comprendere la fondamentalità della questione.

Fondamentalità e – aggiungo – “misteriosità”: non a caso Griesinger (padre, con Kraepelin, del modello psichiatrico scientifico-materialistico) afferma che “neppure un angelo sceso dal cielo per spiegarci tutto” potrebbe rendere la nostra ragione capace di dare conto del perché e del percome “un processo organico (celebrale) si trasformi in un atto di coscienza (in atto psichico)” (cito da E. Borgna, Modelli teorici e questioni cliniche di psichiatria in Introduzione a A. Gaston, Genealogia dell’alienazione).

Ho sopra affermato che il termine “mente” può essere usato per indicare realtà molto differenti tra loro.

Può infatti designare sia ciò che è cultura, affettività, psicologicità.

Ma può anche designare qualcosa di ben più profondo e sostanziale: “sostanza è ciò che non viene predicato di alcun sostrato, ma è ciò di cui tutto viene predicato”.

Questo qualcosa di sostanziale – che possiamo chiamare mente o intelletto o anima – risplenderebbe, secondo i suoi sostenitori, nell’umano modo di conoscere (conoscenza intellettuale), il quale sarebbe determinato da un quid che, ad un tempo, costituisce causa (ma sulla specie e la portata di questa causalità dovremmo interrogarci a lungo, per non confonderla con la causalità efficiente) del vivere e del conoscere definibili come umani (su questo quid tornerò, sia pur brevemente, nelle pagine che seguono).


Il secondo ostacolo.

Saltata la prima asticella (per la qual cosa – sia ben chiaro ! – non è certo sufficiente leggere le righe che precedono!), occorre affrontare il secondo ostacolo che è intimamente connesso al primo.

Sgombro subito il campo da una questione. In nessun modo e sotto nessun profilo (salvo eccezioni del tutto rare) si è discusso se la vita fosse o meno da tutelare: sul punto infatti non sembra esserci disaccordo di rilievo.

Dico questo per rilevare come non sia in discussione il principio etico secondo cui la vita va rispettata in ogni sua forma: sulla intangibilità della vita “religiosi” e “laici” sono infatti del tutto d’accordo.

Dove dunque il dissidio? Semplicemente (si fa per dire) sul che cosa sia la vita; anzi, a essere precisi, sul cosa sia la via umana. Problema delicatissimo che, con buona pace dell’USAC, affascina l’umanità fin dalla notte dei tempi:

“(…) Possiamo ragionevolmente porre ai primi posti la ricerca sull’anima. Sembra inoltre che la conoscenza dell’anima contribuisca grandemente alla verità in tutti i campi e specialmente alla ricerca sulla natura, giacché l’anima è come il principio degli esseri viventi” (Aristotele, De Anima).

Vorrete prendere nota del fatto che ho evidenziato i termini anima (ψυχή), natura (φΰσις ), principio (αρχη), esseri viventi (ζώον): si tratta infatti di termini fondamentali al fine di comprendere di cosa andiamo parlando.

Esaminiamoli insieme.

“Anima” innanzitutto. Solo a proferire questo termine , si respira, nella nostra cultura, aria di sagrestia, ma in allora, il significato era (sulla base dell’originaria parola sumerica) tutt’altro: soffio vitale (da cui l’odierno “essere animato”, “animale” etc). Lo stesso può dirsi per il verbo ζωω e per il sostantivo ζωον.

Quanto al termine “natura”, esso significa ciò-che-fa-crescere, ciò-che-dà-luogo. Il suo significato profondo è dunque quello di scaturigine, di sorgente-causante (considerazioni analoghe possono farsi per il termine “principio”).

Dunque l’indagine che – or sono 2500 anni (davvero, come si vede, nulla di nuovo sotto il sole) – il buon Aristotele andava svolgendo era la seguente: “Cos’è che fondamentalmente ci rende viventi?”.

Vorrei sottolineare con forza quel “fondamentalmente”, il quale esclude tutto ciò che – pur conseguendo al vivere – non è in sé il vivere: ciò che cerchiamo, infatti, è qualcosa di radicale, di fondante: quasi le fondamenta su cui posa ciascuno di noi.

Vorrei anche far notare che “vivere” non equivale a “esistere”, dal momento che, se è vero che tutto ciò che è vivente esiste, non è vero anche il reciproco (infatti non tutto ciò che esiste – ad es una pietra – è vivente).

Ma – e qui la faccenda va facendosi “misteriosa” nel senso sopra indicato – per gli esseri animati/viventi l’esistere coincide con l’essere-viventi: infatti quando non viviamo più, non siamo più esistenti.

Dunque l’essere vivente non è una qualità del soggetto che – modificandosi o scomparendo – lasci persistere l’“essere-a-questo-mondo” del soggetto stesso.

La questione si ingarbuglia viepiù (non me ne vogliate!) ove si consideri che il vivere - o, il che è lo stesso, essere vivente - non si modula in modo sempre eguale, ma, per dir così, mostra facce diverse a seconda che a “vivere” sia una felce, un cane, un uomo. Dunque vivere, sembrerebbe equivalere, per noi, a esistere-come-uomo sì che il quesito “cosa è il mio vivere?” si allarga sino a ricomprendere l’ulteriore quesito “cos’è un uomo?”.

Come si vede, la problematica non è facile perché, se già a porre domande si corre il rischio di essere fuorvianti, a dare risposte il rischio aumenta dismisura, con la conseguenza di legittimare posizioni potenzialmente dirompenti. Basti fare alcuni esempi.

Se “essere in quanto uomo” dovesse comportare una mera compiutezza fisica, occorrerebbe ammettere che non siano uomini le persone affette da gravi o gravissime menomazioni fisiche.

Se invece “essere in quanto uomo” allude a qualcosa che va oltre la vita vegetativa e/o animale, occorrerà dire che la nostra umanità vive anche se deprivata dei “gradi” inferiori di vita.

Gradi, si badi bene, che è possibile definire “inferiori” solo pagando il prezzo di numerosi distinguo.

La loro “inferiorità” infatti è tale solo ad ammettere un livello fondante ulteriore (quello, per l’appunto, che ci specifica come uomini) rispetto ai detti “gradi” e – in ogni caso – con obbligo di tener presente che detta “inferiorità” non sembra assolutamente comportare una superfluità dei “gradi inferiori”.


Il terzo ostacolo.

Esaurito il secondo ostacolo il paziente lettore si troverà alle prese con il terzo ostacolo: se il “pianeta uomo” è così articolato e “misterioso”, quale è mai il “sapere” in grado di leggere detto pianeta?

Questo terzo ostacolo – al pari degli altri – fa sicuramente tremare le vene e i polsi.

Occorre infatti innanzitutto decidere di quanti “saperi” possano usufruire i mortali: se cioè l’unico sapere di cui possiamo disporre sia quello che chiamiamo scienza.

Ostacolo – dicevo – assai arduo dato che il “sapere” che chiamiamo scienza è un “sapere” difficile da identificare e con limiti ben precisi.

Al fine di abbozzare la portata e l’ambito del dibattito concernente la “scienza”, prendo qui quale paradigma la teoria di K.R.Popper, il più noto degli epistemologi contemporanei, la cui dottrina ha fatto scuola al di là dei confini del ristretto campo dei filosofi della scienza. Non a caso G. Jervis afferma: “La formulazione di Popper, del resto ben nota, è – nella sua semplicità – tuttora un punto di riferimento obbligato; secondo questa formulazione, un enunciato è scientifico quando accetta di rischiare la confutazione, indicando con chiarezza qual è l’evento che lo rende falso”.

Ed ancora “In psicologia come altrove gli enunciati sono scientifici non in quanto vanno presi per certi, ma proprio perché, al contrario, sono provvisori e esposti alle verifiche”.


Veniamo dunque a Popper. La scienza – egli afferma – prende avvio soltanto dai problemi: essa non descrive, non afferma, ma esterna congetture al fine di rendere conto di tali problemi.

Popper nega che la conoscenza possa derivare dalla mera osservazione, sostenendo che “il programma consistente nel ricondurre tutta la conoscenza alla sua fonte prima, l’osservazione, che è logicamente impossibile da eseguire, porta a un regresso all’infinito”.

Proprio per tale motivo Popper propone di sostituire al quesito circa le fonti della nostra conoscenza l’altro del tutto differente: “in che modo possiamo sperare di scoprire e di eliminare l’errore?”.

Popper, tra l’altro, condivide largamente l’impostazione kantiana secondo cui va abbandonata l’illusione di essere osservatori passivi sui quali la natura imprima la propria regolarità.

Ci si deve convincere – per Popper – che il “cosmo reca l’impronta della nostra mente”.

In altri termini “il mondo quale lo conosciamo è una nostra interpretazione dei fatti osservabili alla luce delle teorie che inventiamo noi stessi”; e ancora “le teorie non possono essere derivate logicamente dalle osservazioni”.

Per Popper la scienza è un progredire da problemi ad altri problemi, come un tentativo di risolvere problemi e non di descrivere la realtà.

Egli nega che l’osservazione ci fornisca una conoscenza dei fatti la quale giustifichi o consolidi la verità di un’asserzione.

Nega, per la precisione, che possa darsi una corrispondenza tra fatti ed enunciati sì da conferire fecondità scientifica alle definizioni.

Secondo Popper vanno accantonati, in quanto “metafisici”, i problemi relativi al “perché” il mondo si lasci leggere dal soggetto conoscente e al “che cosa” si legga del mondo mediante la scienza: occorre insomma prescindere (con Husserl) da che cosa sia il sapere e la verità.

Se qui si accenna al problema di cosa sia la scienza (empirica) è perché il mind-body problem non può essere affrontato se non si ha compiuta contezza dei limiti della “scienza”: “Io” afferma Toraldo di Francia “ho indubbiamente anche un concetto di bellezza e ne posso parlare; ma la bellezza non è una grandezza fisica perché non so misurarla”.

Infatti “una grandezza fisica è definita mediante le prescrizioni delle operazioni che si devono effettuare per misurarla”.

Il problema nasce dunque quando si voglia comprendere se il “pensare”, la “coscienza” si esaurisca in un venire a contatto della “fisicità” di cui l’uomo è portatore con la “fisicità” di cui è portatore il mondo che circonda l’uomo.

Nella misura in cui vogliamo sapere quali siano gli effetti di questo téte a téte, siamo in presenza di un legittimo e rilevante problema “fisico” che ha ogni diritto ad attirare la nostra attenzione.

A condizione che le sue soluzioni non vogliano rispondere, in modo neo-empedocleo, ad un problema in cui la fisicità, pur sicuramente implicata, non è decisiva.

Empedocle di Agrigento sosteneva che il simile conosce il simile (l’acqua conosce l’acqua, la terra la terra etc).

Nella nostra concezione (più raffinata) si verrebbe a stabilire che il fisico conosce il fisico.

Ma, per chi pensi che occorra indagare al di là della fisica (in senso metafisico), l’“anima” si pone come un alcunché di immateriale che, in quanto tale, è quodammodo omnia: è cioè capace di trascendere la fisicità dei singoli esistenti, “astraendo” da essi gli aspetti per dir così assimilabili allo spirito umano e gettando un ponte verso il mondo esterno, così rendendo possibile il sapere in generale.

Nell’ansia di tenerci stretto il “sapere scientifico” (“sapere”, s’intende, fondamentale), corriamo il rischio di abbandonare saperi altrettanto affascinanti e fondamentali, finendo per perdere di vista la trama che, nell’ordito del Sapere globale, distingue tra loro i vari saperi.

E si badi che il difensore, ad un tempo, della specificità del sapere scientifico e della maggiore ampiezza del più generale contesto costituito, per l’appunto, dalla trama del Sapere globale, fu proprio lui, Galileo Galilei, la vittima della più famosa delle lotte tra saperi, il quale afferma: “Mirabile e veramente angelica dottrina: alla quale molto concordemente corrisponde quell’altra, pur divina, la quale, mentre ci concede intorno alla costituzione del mondo, ci soggiunge (forse acciò che l’esercizio delle menti umane non si tronchi e anneghittisca) che non siamo per ritrovar l’opera fabbricata dalle Sue mani. Vagli dunque l’esercizio permessoci e ordinatoci da Dio per riconoscere e tanto maggiormente ammirare la grandezza Sua, quanto meno ci troviamo idonei a penetrare i profondi abissi della Sua divina sapienza”.


Il “sapere” – c’è dunque da chiedersi – è anzitutto ritenere per certo?

Si identifica con il poter dedurre sperimentalmente?

E’ un mero tangere o “percepire”?

Per poter “sapere” occorre, prima ancora (in senso non temporale) poter “conoscere”: necessità cioè il realizzarsi di una precondizione che consenta un qualsiasi sapere.

Ricapitolo. Chiunque si accosti al problema della “mente” dovrà dunque riflettere concretamente e seriamente sulla possibilità o meno di ridurre il sapere a quel tipo specifico di conoscenza che chiamiamo “scienza”.

Dovrà poi orientarsi nel ginepraio di teorie che tentano, con grande difficoltà, di stabilire quali siano i parametri che ci consentano di definire come “scientifica” una teoria e come “scientifico” il metodo a essa correlato.

Dovrà soprattutto vegliare perché nessun “sapere” invada il regno, per così dire, di altri saperi.

Personalmente sono convinto che ogni “sapere” sia un affaccio sul “mistero” del reale.

Non esistono “saperi” con diritto di esclusiva: tutti insieme possono apprendere assai di più di quanto non riescano a fare da soli.

Ogni sapere ha diritto di interpellare gli altri saperi conformemente al noto adagio secondo cui a chiedere non si fa peccato.


Il quarto ostacolo.

Gli ostacoli non sono finiti. Infatti dopo aver risposto ai quesiti sopra indicati, ci si imbatte in un nuovo e non facile quesito: quando c’è morte biologica?

Un tempo il quesito non aveva la stessa valenza di oggi, dato che il confine tra vita e morte era abbastanza netto, mentre oggi – con il progresso delle varie tecniche di assistenza medica – si è aperta una zona grigia non facilmente decifrabile.

Infatti il passaggio – se vogliamo chiamarlo così – dalla vita alla morte non sempre è rapido e improvviso, ma vengono spesso in essere zone grigie, non definibili chiaramente come vita o come morte, in cui si passa dallo stato di vita a quello di morte per fasi successive “non meglio identificate”.

Se si arresta il cuore e cessa la circolazione sanguigna, non c’è questione.

Quando invece vanno spegnendosi le funzioni cerebrali, si determina la perdita di funzioni essenziali per la “vita umana” senza che le “funzioni vitali” si arrestino.

Uso con prodigalità le virgolette, essendo ben evidente che la “vita umana” e le “funzioni vitali” (oltre a determinare i quesiti affrontati in precedenza) costituiscono proprio la realtà che stiamo indagando, sì che non possono essere ad un tempo oggetto dell’indagine e concetti su cui si fonda l’indagine.

Dunque “di vita umana” e di “funzioni vitali” sono – allo stato delle discussione – quasi delle metafore allusive che manifestano la limitatezza del nostro conoscere.

Che non ci sia identificazione tra “funzioni vitali” è attività cerebrale sembra dimostrato (ma è dimostrato?) dal fatto che è comunemente accettato che, in caso di morte cerebrale, venga interrotta la respirazione assistita e facciano finire le “funzioni vitali”, dato che il tessuto cerebrale è morto senza possibilità alcuna di ripresa.

Vi sono invece casi in cui solo alcune parti del cervello sono irrimediabilmente compromesse.

Nel caso in cui il danno riguarda la corteccia cerebrale, le funzioni vitali sono mantenute e può essere presente anche la respirazione spontanea, ma le funzioni cognitive sono irrimediabilmente perdute e non c’è speranza alcuna che il paziente possa riacquistare coscienza.

In questo caso non c’è morte cerebrale, ma l’individuo come tale sembra non esistere più.

Sorge a questo punto un duplice quesito: la “vita umana” si identifica con la “vita cognitiva”?

E – passando alla pratica – quand’è che, in assenza di morte cerebrale, si può stabilire in assoluto che non sia possibile ripresa alcuna delle facoltà cognitive?

Ma non basta rispondere a questi quesiti.

Infatti – dato e qui non concesso che possa dirsi umana anche una vita in cui sia compromessa la facoltà cognitiva e che non sia dimostrata in assoluto l’impossibilità di ripresa – quando le cure da prestare realizzano quello che chiamiamo “accanimento terapeutico”?

Nella terapia si affrontano infatti due problemi fondamentali: la quantità della vita e la qualità della vita.

E’ terapia ideale quella che aumenta la quantità della vita senza andare a discapito della qualità della vita.

Occorre dunque, nel caso che ci occupa, far uso di detti due parametri per stabilire se e quando ci sia accanimento terapeutico e dunque possa essere interrotta la terapia.

Come se non bastasse, si pone a questo punto un interrogativo non irrilevante: dovendo stabilire se vi sia o meno accanimento terapeutico, la nutrizione artificiale può essere considerata “terapia” e dunque, in caso di accanimento, essere interrotta?

Risposta non certo facile, ove si consideri che tanto l’intervento terapeutico quanto la nutrizione artificiale sono – al di là delle differenze lessicali – essenziali alla sopravvivenza del paziente, sì che riesce arduo dar conto e ragione del perché l’“accanimento” renda possibile eliminare solo uno dei due metodi di sopravvivenza.


Il quinto ostacolo.

Chiunque sia giunto pazientemente sin qui ed abbia, nel suo cuore, affrontato, esaminato e approfondito i temi da me sopra solamente abbozzati, dovrà a questo punto decidere se la sua soluzione sia indiscutibilmente certa o soltanto “opinabile” (nel senso più alto e nobile del termine): se cioè ammetta, qua e là, in occasione dell’uno o dell’altro dei vari ostacoli, posizioni diverse, opzioni diversificate, soluzioni diversamente calibrate.

La risposta a questo quesito non è acqua fresca, ma assai rilevante se la si coniuga con la problematica connessa al concetto di democrazia.

Se infatti – per poter definire democratico uno stato - fosse sufficiente accertare se in esso le decisioni siano prese in base al principio di maggioranza, non ci sarebbe questione.

Ma anche sul punto occorre formulare un interrogativo: siamo sicuri che sia così? Infatti il principio di maggioranza in nulla verrebbe ferito ove, in ipotesi, il 50% più uno degli elettori decidesse di privare gli altri del diritto di cittadinanza o della loro casa. Dunque la democraticità mentre invoca il principio di maggioranza, invoca anche, e prima ancora, dei limiti. Quali? Ancora una volta non voglio rispondere a interrogativi, ma porre interrogativi. Chiediamoci dunque: esistono dei limiti alla maggioranza (come la nostra costituzione, tra l’altro, statuisce parlando di diritti inviolabili da essa riconosciuti)? La legge penale, “democraticamente” emanata, può dirsi “democratica” anche quando obblighi i cittadini ad aderire, nei fatti, ad opinioni, credenze o tesi “opinabili”.


Il sesto ostacolo.

Non perdetevi d’animo, cari amici del blog, e fatevi forza: mi vergogno a dirlo, ma c’è un sesto ostacolo da saltare.

Come è noto, infatti, la Corte di Cassazione ha detto ultime e definitive parole (giuridicamente parlando) sulla drammatica vicenda dei Eluana Englaro.

Si chiede: deve essere rispettata questa sentenza?

Può il Parlamento metterla nel nulla con una “legge fotografia”?

Non fatevi trarre in inganno: di tutto si tratta meno che di interrogativi meramente tecnico-giuridici e, in quanto tali, esistenzialmente parlando, di serie B.

Infatti, a ben vedere, si tratta – niente di meno, niente di più – che della libertà delle coscienze rispetto al diritto e del principio della divisione di poteri (inteso come uno dei cardini su cui poggia il controllo del potere).

Libertà di coscienza, anzitutto.

E ci mancherebbe che così non fosse e che l’ordinamento giuridico pretendesse di vincolare le coscienze (a proposito: cos’è mai la “coscienza”? Bel problemino su cui sarebbe assai interessante intrattenersi) ad aderire ai valori quali emergono dagli atti dei vari Poteri pubblici.

Dunque la Magistratura non può vincolare le coscienze.

E neppure – aggiungo – il Parlamento e il Presidente della Repubblica o chiunque altro.

Ma può la coscienza, nel sentirsi o meno vincolata, prendere a parametro solo la condivisione dei valori praticati dalla Magistratura, dal Parlamento, etc.?

Se così fosse, ce ne dovremmo andare ognuno per la sua strada a ogni pie’ sospinto: quasi mai infatti i proclami del Potere coincidono con il nostro interno sentire.

Siamo qui nel pieno del problema affrontato da U. Scarpelli nel suo Cos’è il positivismo giuridico ? (un libro da leggere, se mai lo troviate !): il diritto positivo merita di essere seguito quando il sistema nel suo complesso meriti di essere condiviso per la sua democraticità, per il suo pluralismo, per il rispetto dei valori fondamentali, etc.

Che nel caso concreto questa condivisione debba darsi è la croce e delizia di cui ognuno di noi deve farsi carico.

Infatti poiché le coscienze sono tante, ognuna formata a suo modo e con i suoi valori, è necessario ammettere che, fino a un certo punto, i miei valori possano essere disattesi, così come capita per ogni cittadino: il prezzo del pluralismo è infatti ammettere che non sempre si può vincere e che, come ben si esprime il Concilio Vaticano II, “l’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà cui i nostri contemporanei, tanto tengono e ardentemente cercano e a ragione”.

Sembrerebbe dunque che l’interrogativo da porsi sia: “Il sistema consente reale libertà sì che i valori di ciascuno possano affermarsi, nel libero dibattito, come valori condivisi da tutti?”.


La divisione dei poteri.

Sulla importanza di tutelare siffatto principio (o, il che è lo stesso, evitare la concentrazione del potere) mi sono già espresso altrove e dunque non starò qui a ripetermi.

Merita però di chiedersi: che ne sarebbe del nostro convivere se i giudici pretendessero, sotto forma di sentenza, di emettere leggi o il Parlamento si sovrapponesse alle sentenze?

Meditate gente, meditate …


Tirate le somme.

Cari amici del blog siamo – anzi siete – giunti alla fine.

Rispondendo ai vari quesiti avete implicitamente risposto a tutte le questioni sollevate dal dibattito sul dramma di Eluana Englaro.

Sarete così maggiormente consapevoli del se, del quando e del come si possa o meno obbligare qualcuno a “rispettare” la vita.

Conservate nel vostro cuore la vostra opinione e confrontatela.

E, se mi è consentito un auspicio, siate pronti a difenderla così come a riconoscere le ragioni degli altri.

Perché mai, come in questo tipo di faccende è vero quello cha andava ripetendo il vecchio filosofo:
“E’ impossibile ad un uomo cogliere in modo adeguato la verità ed è altrettanto impossibile non coglierla del tutto: infatti, se ciascuno può dire qualcosa intorno alla realtà, e se, singolarmente preso, questo contributo aggiunge poco o nulla alla conoscenza della verità, tuttavia, dall’unione di tutti i singoli contributi deriva un risultato considerevole (…) Ora non solo è giusto essere grati a coloro dei quali condividiamo le opinioni, ma anche a coloro che hanno espresso opinioni piuttosto superficiali; anche costoro, infatti, hanno dato un certo contributo alla verità, in quanto hanno contribuito a formare il nostro abito speculativo”.




77 commenti:

Gennaro Giugliano ha detto...

Io non sono ne un giurista,ne un cattolico,ne uno specialista di nulla,sono semplicemente una persona con un alto pensiero sulla libertà individuale. Rispettando le idee ed i pensieri di tutti penso che in situazioni simili,laddove ovviamente non si hanno più facoltà cognitive e fisiche di nulla di non rimanere con tubi attaccati come un robot,insomma voglio andarmene a quel paese in santa pace,trovo solo aberrante che debba metterlo per iscritto,magari da un notaio,in non si sa quale periodo della vita,e poi magari dover ogni tot anni andare a rinnovare per iscritto questa tesi. A questo punto tanto vale fare una autocertificazione,un video,una registrazione audio, e dare mandato a chi si vuole ( parenti,amici,lo stesso medico che in quel momento è addetto al reparto ed al paziente stesso) di provvedere allo stacco delle macchine. Questo è il mio pensiero e non va assolutamente in contrasto con chi è di parere opposto,in quanto ognuno si deve sentire libero di decidere cosa fare della propria vita.Ma che venga qualsiasi governo o peggio ancora la chiesa ad impormi tramite un ddl o in virtu di chissà quale provvidenza di rimanere attaccato ai tubi io non lo accetto e mai lo avallerò.Anzi una volta che mi trovo prendete queste parole a mo di testimonianza cosi tra tanti magistrati,avvocati e chi più ne ha più ne metta mi sento più tranquillo in questa decisione,del resto ho già parlato dell'argomento nella mia famiglia e anche da questo punto di vista siamo tutti daccordo sulla mia scelta. Buon lavoro a tutti

Unknown ha detto...

Argomento delicatissimo.

Io vorrei provocatoriamente andare oltre i casi estremi come quelli di Eluana.
Qui appare evidente a chi ha cuore e occhi per guardare con giusta umanità che vivere 17 anni in quello stato non può essere chiamata vita.
Quelle bellissime foto sbandierate per difendere una fisica vitalità oramai inesistente, sono state un vero oltraggio alla realtà di una persona che già dopo due mesi di allettamento vive il dolore e la mortificazione delle piaghe da decupito.

Ma spingiamoci oltre, a casi come quello Welby o come quello, secondo me, descritto benissimo in un film che mi ha spaccato il cuore, ma che ho trovato indispensabile da vedere, come "Mare dentro"(storia vera di Ramón Samperdo).

Io sono convinta che chiunque debba essere libero e possa decidere della propria esistenza (e dico esistenza proprio in virtù del bellissimo post di Racheli, perché la vita forse è altro e di più, ma fermandoci al mondo visibile e materiale che viviamo e su cui dobbiamo decidere, è mera esistenza) ed essere rispettato per la sua consapevole e dolorosa scelta.

Non vi è legge che, se tento il suicidio e non mi riesce poi mi possa incriminare, giusto?!

Certo se sono cattolico la chiesa mi negherà il perdono.
Se muoio non avrò diritto ad un funerale religioso e se sopravviverò dovrò cospargermi il capo di cenere, pentirmi e invocare il perdono di Dio.

Ma se non sono cattolico?!
Non ho diritti?!
Non ho libertà, né scelta?!

C'è molta ipocrisia in molte delle nostre convinzioni buoniste, il nostro stesso senso della morte è spesso offuscato da un ipertrofismo della vita.
Abbiamo paura di morire e ancor più abbiamo paura di assumerci la responsabilità della nostra morte e di quella degli altri.

E tutto questo è davvero triste, molto più della morte stessa.

Anonimo ha detto...

Sono assolutamente contrario al relativismo, sia filosofico, sia morale, sia giuridico.

Nella vita, se non si vuol essere ignavi, occorre scegliere.

Hitler, a suo tempo, aveva scelto in favore dell'eutanasia, eliminando oltre 80.000 malati terminali, oltre agli handicappati fisici e mentali, dichiarando che la loro "non era vita". Appunto. Però, Hitler aveva avuto almeno il "coraggio" di far fare loro un'iniezione letale, senza ricorrere alla vile barbarie di far morire di sete e di fame una persona, ancorché incosciente.

Tutto va bene per le persone, se le si asseconda ruffianescamente nei loro istinti.

Oggi le si asseconda in tutto, al fine di prendere voti, tranne che per le tasse che devono pagare ... per quelle non è previsto alcun referendum abrogativo !

Che strano, no? Meditate.

salvatore d'urso ha detto...

Comincio subito col dire che la questione è di una delicatezza estrema. E che le considerazioni da farsi sono di vario genere in base ai tasti che si toccano.

Il caso Englaro è solo uno dei tanti, avendo le sue particolarità personalissime ma che comunque nella drammaticità dei fatti rispecchia la sofferenza e i drammi di centinaia di perosne che si trovano in situazioni analoghe.

Io di verità a riguardo non ne posso avere, anche se ho delle mie convinzioni personalissime. Credo che nessun uomo, che sia uno scienziato, un politico, un papa o anche un semplicissimo cittadino, possa avere la verità su casi così drammatici.

E proprio perchè la verità è fortemente in dubbio le soluzioni al caso non possono essere in alcun modo estreme ed univoche. Proprio perchè su casi del genere ognuno ha una sua personale convinzione non si può dare ad una sola persona il potere di poter scegliere per tutti.

Le persone di ieri, attraverso i loro scritti, partecipano anche se solo in parte a questa discussione sono comunque persone che hanno espresso la loro personale opinione seppure critica e criticabile riguardo alla vita, alla morte e all'essere umano arricchiscono i contenuti di un così difficile e complicato dibattito.

In questi giorni stiamo assistendo ancora alle conseguenze politiche su una legge che dovrebbe dare degli indirizzi di comportamento a riguardo. Difatti ci troviamo addirittura di fronte ad una crisi all'interno del PD dove su un tema così delicato si pongono dictat da una e dall'altra parte. Ma ciò avviene anche all'interno della maggioranza anche se vien poco risaltato dai media.

Fare un'analisi dettagliata è difficile e risulterebbe lunga e noiosa per alcuni. Vorrei richiamare alcuni articoli della Costituzione, fare raffronti con le disposizioni normative degli altri paesi occidentali dove la differenza tra quei paesi ed il nostro è abissale.

Ma richiamare all'attenzione esempi o dottrine credo che comunque non centri al cuore il problema o comunque farebbe scaturire ulteriori interrogativi procedendo all'infinito e rischiando di non trovare mai la verità assoluta poichè a mio avviso su questioni del genere non
esistono verità assolute.

Sono convinto invece che esistono verità relative, ognuno di noi ha una sua verità ed ogni verità nei piccoli come nei grandi particolari è diversa dalle verità degli altri.

Quindi se nessuno possiede la verità assoluta, ma solo verità relative nessuno può sognarsi di imporre la propria verità su quella degli altri.

Quindi libertà di poter scegliere... di poter staccare la spina o rinunciare alla terapia quando il livello della qualità della vita è in continua caduta o rimane costante su livelli bassissimi (cioè le sofferenze sono insopportabili e continue nel tempo dove il ritorno ad una vita normale o in parte normale non sia possibile, cioè un degrado fisico e o psicologico incontrastabile che comunque porterà a morte certa), se lo stesso paziente così ha chiesto sia tramite un testamento biologico o per sua scelta diretta se cosciente.

Hanno speculato così tanto su delle questioni così delicate che barbaramente e stupidamente si è venuto a fare l'esempio del suicida se debba essere aiutato... la risposta è semplice e l'ho già data sopra... non rientra nei casi di degrado estremo della persona malata. Quindi il suicida va semplicemnte curato sia fisicamente che psicologicamente.

Avrei ancora altro da dire... ma per il momento penso che tali mie personalissime riflessioni possano bastare per poter contribuire al dibattito.

Grazie Nicola per il tuo post e per come lo hai esposto.

Vittorio Ferraro ha detto...

Mi è piaciuto l'approccio del dr. Racheli.

Aggiungo alcune riflessioni.

La storia del pensiero moderno (da Socrate in poi) è stata un lungo cammino alla ricerca della verità.
I filosofi si sono interrogati, da sempre, su quello che era (ed è) il grande mistero della vita. La filosofia ha avuto (ed ha)il grande merito di avere posto l'uomo di fronte al proprio limite: una piccola isola in un enorme oceano. Di fronte a questo mistero l'uomo ha iniziato ad interrogarsi alla ricerca di un senso.

Heidegger ha dato una forte scossa quando ha sostenuto che la filosofia ha compiuto il suo progetto: la fine della filosofia. Fine perchè sono venute meno le grandi domande della filosofia: il perchè della vita...
Lo stesso ha ben descritto il grande cambiamento: il passaggio dalla metafisica alle scienze moderne: la tecnica. L'occidentalizzazione del pianeta.

Come sosteneva Wittgenstein: la scienza viene praticata con uno spirito che esclude da sè lo stupore e la meraviglia. Stupore e meraviglia che debbono invece impadronirsi dell'uomo.

La pretesa della tecnica di tenere in vita a tutti i costi una persona è niente altro che il predominio della tecnica sull'uomo: prolungare fino all'impensabile l'esistenza di un soggetto.

Ma è questa una vita degna di essere vissuta? Può uno Stato imporre la vita a tutti i costi?

Nessuna ideologia dovrà imporsi ad un'altra.

L'ordinamento giuridico ha posto la persona al centro: prima di tutto viene il principio di autodeterminazione.
Questi principi sono stati cristallizzati nella nostra Carta Costituzionale (art. 2, 3, 13, 32).

Inoltre, la convenzione di Oviedo all'art. 5 parla di consenso informato.

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea parla di diritto alla vita e di diritto alla integrità della persona.

Il nostro codice civile è tutto improntato sul principio volontaristico.

Di fronte alla fine della vita l'uomo deve essere libero di scegliere e di decidere (dopo essere stato informato) se e quando porre fine alla sua vita.

Questi sono argomenti da far tremare i polsi. Ma come scriveva Hannah Arendt, richiamando Lessing, "la verità non può esistere se non là dove può essere umanizzata dal discorso, là dove ciascuno dice non ciò che gli viene in mente in quel momento, ma ciò che gli 'sembra verità' ".

Cinzia ha detto...

Lo sa caro Anonimo delle 13.24 che il suo commento m'ha fatto venire il mal di stomaco?! Non per colpa sua, sono io ad essere troppo sensibile.
Ho l'impressione che lei veda tutto in termini di profitto.
Vogliamo rendere merito all'onestà morale di Hitler o cosa?
Comunque per amor di chiarezza, io non mi sento di risponderle e lascio l'arduo compito a qualcun altro, ma ci tengo a precisare che il mio non è relativismo ma LIBERO ARBITRIO.
A casa mia però, magari a casa sua è altro.
La bellezza di non vivere insieme mi fa rifiatare anche se con-dividiamo lo stesso paese!!!

Anonimo ha detto...

L'Anonimo delle 13.24 mi sembra un tantino in contraddizione!
O, forse, quando parla della vile barbarie di far morire persone di fame e di sete, si riferisce a coloro che vivendo nell'abbondanza del benessere alimentare, e non solo, non riversano il ben che minimo pensiero verso l'elevato numero di bambini ed adulti che quotidianamente soccombono perché privi, proprio, appunto, del pane e dell'acqua?

Anonimo ha detto...

Sono il 17.20, non ero abituato ... scusate!

salvatore d'urso ha detto...

Mi scuso per la parte coclusiva del mio post... dove col ringraziare "Nicola" in realtà intendevo "Stefano". Errore derivante dalla fretta nello scrivere e postare il commento.

Anonimo ha detto...

"L'Anonimo delle 13.24 mi sembra un tantino in contraddizione!
O, forse, quando parla della vile barbarie di far morire persone di fame e di sete, si riferisce a coloro che vivendo nell'abbondanza del benessere alimentare, e non solo, non riversano il ben che minimo pensiero verso l'elevato numero di bambini ed adulti che quotidianamente soccombono perché privi, proprio, appunto, del pane e dell'acqua?"

Spostare l'argomento = eludere la risposta.

L'una barbarie non esclude l'altra, mio caro benpensante "politically correct" !

Ricorra ad altri artifizi retorici, "please".

Yours truly,

Anonymous.

Anonimo ha detto...

Cara Cinzia,

Spiacente per il suo mal di stomaco: provi con il bicarbonato ... lei che ancora può.

nanni64 ha detto...

Io credo che nel momento della morte ogni uomo sia solo. Solo davanti a Dio, se ci crede. Solo con se stesso, davanti al nulla, se non ci crede.

E’ un momento delicatissimo, il più delicato nella vita di un uomo, in cui nessuno, nessuno, per nessuna ragione deve intromettersi.

Il diritto alla vita é il primo dei diritti fondamentali della persona. Quello che l’ordinamento giuridico “trova”, non “crea” e sul quale, per stessa ammissione della Carta Costituzionale, non può intervenire per circoscriverlo, per limitarlo.

Quello che forse non si comprende é che nel diritto alla vita é compreso il diritto alla morte, come diritto di non vivere. Così per ogni diritto.

Infatti al momento attuale, in cui per fortuna, c’é ancora il riconoscimento di questo diritto, nessuno é punito per il tentativo di suicidio.

Il diritto é un diritto. Il dovere é un’altra cosa. E’ il contrario del diritto.

Ho letto quel disegno di legge. E’ orribile prima ancora che palesemente incostituzionale. Ci sono affermazioni di principio da brivido perché tendono a trasformare il diritto alla vita e alla salute del singolo in “interesse della collettività”.
Il che tradotto vuol dire che é la collettività a decidere come soddisfare quell’interesse, che non é più del singolo.
Il che vuol dire che può essere piegato, strumentalizzato per fini sociali, come avviene per la proprietà, che può essere espropriata.

In quel disegno di legge vivere non é più un diritto. E’ un dovere.
Mangiare e bere, come ipocritamente fanno credere alle persone meno colte, non é più un diritto. E’ un dovere, cui non ci si può sottrarre.

Le norme sul testamento biologico non sono finalizzate a garantire la possibilità di scelta del singolo, per il momento in cui non sarà più in grado di esternare la propria volontà, ma a limitarla il più possibile.

E’ necessario rivolgersi a un notaio, é previsto l’intervento di un medico che “informi”, non é vincolante, ed efficace solo per tre anni.

Ditemi: quanti riusciranno a fare questo testamento? E a ripeterlo. E non é vincolante. E comunque non può avere ad oggetto l’alimentazione e l’idratazione, che diviene così coatta.

Mi chiedo: ma viviamo ancora in un paese civile?

Anonimo ha detto...

L'argomento è delicato ma si può parlarne e si DEVE parlarne, visto l'indegno uso che ne è stato fatto per un motivo che con la pietà e il rispetto non ha niente a che vedere.

Credo di aver seguito quasi fin dall'inizio il caso Englaro.

Negli anni, ogni tanto in TV ho visto passare il volto di questo Uomo, gracile ma determinato, e mi sono sempre chiesta dove trovasse la forza per dire le cose che diceva, per rivendicare il diritto a lasciar morire l'amata figlia.

Forse i suoi accusatori non si rendono conto dell'immenso dolore che per 17 anni ha dovuto sopportare.

SPERO che non se ne rendano conto, altrimenti sarebbero davvero degli esseri inqualificabili.

Detto questo, posso solo dire come la penso in merito.

Credo che le persone convinte che la vita vada vissuta comunque, anche quando non si ha più nessun legame con il mondo che ci circonda, ecco, queste persone e le loro famiglie devono avere tutto l'appoggio possibile e tutte le garanzie che la loro volontà venga rispettata.

Spesso quello che manca loro è l'aiuto materiale, economico e anche psicologico.

Sono persone coraggiose perchè in certi casi davvero ci vuole più coraggio per restare che per andarsene.

Ciò non toglie che chi la pensa in modo diametralmente opposto abbia gli stessi diritti.

I diritti degli uni non devono diventare imposizioni per gli altri.

Credo invece che la legge che ci stanno per propinare sia un divieto all'autodeterminazione mascherato da regolamento.
Ma la cosa non mi sorprende, questo esecutivo fa le leggi in fotocopia: tutte inutili, anzi, dannose.

Scusate ma credo sia profondamente ipocrita il consentire di NON curarsi ad una persona con problemi mentali (potenzialmente pericolosa per se e per gli altri), e di contro rendere OBBLIGATORIO il trattamento sanitario a una persona che giace in un letto da anni senza nessuna speranza di recupero.

Soprattutto se quest'ultima aveva detto chiaro e tondo che MAI avrebbe voluto questo.

Luciana

nanni64 ha detto...

Appello per il diritto alla libertà di cura

Rispettiamo l'Articolo 32 della Costituzione

Il Parlamento, con molti anni di ritardo e sull'onda emotiva legata alla drammatica vicenda di Eluana Englaro, si prepara a discutere e votare una legge sul testamento biologico.

Dopo quasi 15 anni di discussioni, chiediamo che il Parlamento approvi questo importantissimo provvedimento che riguarda la vita di ciascun cittadino. Il Parlamento, dove siedono i rappresentanti del popolo, deve infatti tenere conto dell'orientamento generale degli italiani.

Rivendichiamo l'indipendenza dei cittadini nella scelta delle terapie, come scritto nella Costituzione.

Rivendichiamo tale diritto per tutte le persone, per coloro che possono parlare e decidere, e anche per chi ha perso l'integrità intellettiva e non può più comunicare, ma ha lasciato precise indicazioni sulle proprie volontà.

Chiediamo che la legge sul testamento biologico rispetti il diritto di ogni persona a poter scegliere.

Chiediamo una legge che dia a chi lo vuole, e solo a chi lo vuole, la possibilità di indicare, quando si è pienamente consapevoli e informati, le terapie alle quali si vuole essere sottoposti, così come quelle che si intendono rifiutare, se un giorno si perderà la coscienza e con essa la possibilità di esprimersi.

Chiediamo una legge che anche nel nostro Paese dia le giuste regole in questa materia, ma rifiutiamo che una qualunque terapia o trattamento medico siano imposti dallo Stato contro la volontà espressa del cittadino.

Vogliamo una legge che confermi il diritto alla salute ma non il dovere alle terapie.

Vogliamo una legge di libertà, che confermi ciò che è indicato nella Costituzione.


Primi Firmatari

Ignazio Marino, chirurgo e senatore
Giuliano Amato, ex Presidente del Consiglio
Corrado Augias, scrittore
Bianca Berlinguer, giornalista
Alessandro Cecchi Paone, conduttore televisivo
Maurizio Costanzo, giornalista
Guglielmo Epifani, Segretario Generale CGIL
Paolo Franchi, giornalista
Silvio Garattini, scienziato, farmacologo
Massimo Giannini, giornalista
Franzo Grande Stevens, avvocato
Marcello Lippi, Commissario tecnico della Nazionale italiana
Luciana Littizzetto, attrice e cabarettista
Alessandra Kustermann, medico, ginecologa
Miriam Mafai, giornalista e scrittrice
Vito Mancuso, teologo
Erminia Manfredi, regista
Simona Marchini, attrice e autrice
Rita Levi Montalcini, premio Nobel
Giuseppe Remuzzi, scienziato, immunologo
Stefano Rodotà, giurista
Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano La Repubblica
Umberto Veronesi, oncologo
Mina Welby, delegato municipale ai diritti civili
Gustavo Zagrebelsky, Presidente emerito della Corte Costituzionale

http://testamentobiologico.ilcannocchiale.it/

Anonimo ha detto...

Sicuramente non viviamo in un paese civile, se invochiamo il diritto alla morte ... per gli altri !

Il cane di Jack ha detto...

Nei giorni che hanno preceduto l'ultimo viaggio di Eluana mi sono lasciato ossessionare dai problemi che poneva la vicenda. Ovviamente avendo manifestato la mia opinione che bisognava lasciare andar via la ragazza, mi sono sentito dare anche io del nazista. Non mi sono offeso molto. Un pochino solamente, perché proprio non mi appartiene la concezione che debbano vivere solo i sani, alti, biondi e con gli occhi azzurri.
In preda all’ossessione, ho riletto una cosa che avevo trovato qualche tempo fa (http://www.zadig.it/speciali/ee/stud1.htm) e mi sono preso la briga di leggere il decreto della Corte d’Appello di Milano (ah quei giudici “omicidi” che hanno autorizzato la fine di Eluana…).
Intanto mi sono reso conto che diamo troppe cose per scontate. Gli stessi problemi che ci siamo posti per Eluana ce li potremmo porre per tutte quelle persone che definiamo in stato di morte cerebrale. Visto che oggi, a differenza di un tempo, potrebbero essere tenute in vita artificialmente per molto tempo, nulla ci autorizzerebbe, a ragionare in termini rigorosi, a staccare le macchine.
A questo punto la mia mente è quasi sopraffatta dall’immagine di un enorme, quasi infinito, stanzone in cui un’umanità completamente folle e rincitrullita manterrebbe in stato di vita assistita tutte queste persone dalle facoltà cognitive irrimediabilmente compromesse. La vita umana, dicono alcuni, deve essere preservata ad ogni costo, dall’inizio alla fine. Ma proprio dall’inizio inizio e per sicurezza da quando lo spermatozoo si trova a qualche millimetro dalla cellula uovo, fino a quando morirà l’ultimo meccanico in grado di aggiustare le macchine. Ma la tecnologia progredisce in fretta e domani potremmo trovarci di fronte a nuovi e imprevedibili metodi per prolungare la vita.
Il problema a mio modesto avviso non è capire quando c'è la vita o quando la morte. Piuttosto dobbiamo avere il coraggio di chiederci correttamente quando è lecito togliere la vita; perché non si tratta più di una persona ma di una “res” che non è lecito continuare a venerare come se si trattasse di un sepolcro a cielo aperto (“lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”).
Mi accorgo che questo discorso porterebbe via troppo tempo. Non me la sento di affrontarlo se non altro perché l’accusa di nazismo mi pesa ancora addosso come un macigno. Non voglio essere un nazista, né ora né mai, ma non vorrei mai lasciare mio padre, mia madre, mio fratello, mio figlio, in stato vegetativo persistente, se loro avessero espresso in vita la volontà di non essere mantenuti in quello stato. Sono così convinto di questo che sarei disposto a essere condannato da Dio insieme agli omicidi, nell’ultimo giorno. Ma il Dio in cui credo non ha creato i respiratori artificiali e gli altri attuali efficaci strumenti di rianimazione e non penso che mi condannerebbe per questo. Magari per la mia ignavia o per altri peccati di cui mi sono macchiato nel corso del tempo, ma non per questa mia convinzione.
Io ho assistito agli ultimi giorni di mio padre. E questa esperienza mi ha cambiato per sempre. Non ci posso fare niente. La sofferenza, anche quella altrui, ti cambia, ti spezza qualcosa dentro, ti rende capace di fare cose che non avevi mai fatto prima né mai più rifarai. Io ho assistito il mio papà fino all’ultimo giorno. Non penso che l’idratazione sia un accanimento terapeutico. Noi abbiamo continuato a idratarlo, anche dietro consiglio di un medico che ci fece notare che non era possibile sapere se e quanto soffrisse la sete. So che abbiamo fatto la cosa giusta, per noi. Ma il dubbio ti viene, quando vorresti aiutare qualcuno che non puoi più aiutare e ti chiedi se forse non potresti invece accompagnarlo e permettergli di ritrovare la pace.
Il caso di Eluana è diverso. La scienza e gli esami strumentali ci dicono che nei casi come quello di Eluana la corteccia cerebrale è definitivamente andata perduta. Eluana non esisteva più come persona da tantissimo tempo (invito a leggere il decreto della Corte di Appello di Milano e, in particolare le considerazioni svolte da quei giudici su questo punto).
Per finire vorrei riflettere su questo: “Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”. Questa mi è sembrata la posizione dell’Italia pseudo-clericale. Una mancanza di pietà che spinge a dare dell’assassino a chi mi ripugna chiamare assassino.
Chiedo perdono per quanto mi sono dilungato.
Saluti a tutti
I.

Anonimo ha detto...

Un mio gatto morso da un cane aveva le ossa rotte, la clavicola gli è stata ricostruita da un buon chirurgo veterinario, ma poi morì per complicazioni intestinali, molto lentamente con forti dolori.
Il mio ultimo cane, a cui ero molto affezionato, a 11 anni ormai anziano, era solito saltare un dirupo per uscire dal recinto e farsi la sua scampagnata. A forza di insaccate gli si ruppe la vertebra cervicale e rimase paralizzato completamente, ancora ricordo il suo sguardo cosciente e impotente, la pena era incolmabile e il mio dolore si univa a quello di mio figlio quando l'iniezione letale lo finì. Io non piansi perche' credevo di aver scelto giusto ma mio figlio di 30 anni lo accarezzava e piangeva a dirotto. Shaky era il suo beniamino, il cucciolo di 11 anni di affetto ora morente lo lasciava.
Ho un nipote, figlio di mio fratello gemello, a 20 anni per un incidente di motociclo, un banale inutile dosso sulla strada gli ha frantumato le vertebre cervicali con fuoriuscita di midollo, da subito, dopo l'incidente, era cosciente ma non muoveva più nulla e ormai da 5 anni è immobile in un letto, cosciente chiede la morte come una salvezza. Aveva una fidanzata e si amavano, ora non più, aveva un bel lavoro, ora non più, la bellezza di un viso gioioso, la dinamicità di un giovane a cui piaceva vivere, ora non più. Dopo innumerevoli operazioni per respirare autonomamente aveva rischiato di andarsene, ora respira ma ha sempre freddo, anche d'estate.
Il decupito non lo ha mai lasciato e ogni giorno gli infermieri a casa gli puliscono le ferite ormai profonde fino all'osso. La mamma deve assisterlo di notte e poi a lavorare per mantenere le spese di una famiglia distrutta dal dolore, lei Luciana conosce il dramma delle ferite per incidente d'auto, investita da una BMW era stata in coma per lungo tempo, ritornata alla vita dopo una difficile riabilitazione ha ripreso le funzioni normali e aveva dato alla luce appunto questo suo figlio che ora giace in un lettino. Quei pochi euro al mese dell'assistenza della ASL, il solo sostegno di invalidità, ma dopo 4 anni per non aver riempito un modulo gli sono stati tolti, come se un tetraplegico, per grazia ricevuta, se non fa domanda della pensione di invalidità permanente riacquisti la piena salute. E ora con le 700 euro dell'unica lavoratrice in casa, da un anno deve andare avanti, soli e col gozzo pieno di bile.
Quale giustizia invocano le istituzioni, il vaticano, i benpensanti, gli speculatori del male altrui. Eutanasia? è quella che facciamo alla mente di chi soffre salvando retoricamente la facciata del sepolcro imbiancato ma poi non entriamo dentro per vedere, per sentire quanto puzziamo di lercio con i nostri proclami rivendicando il giusto pensiero.
Eugenio vive? Si respira autonomamente, eppure lo imboccano per mangiare e per bere ma lui dimagrisce, non ha molto appetito, le ossa gli bucano la carne ma lui non sente nulla, il dolore è solo li nella sua mente e quando riesce a non pensare e a sognare, mentre accompagnava la sua bella a scuola con la moto fiammante e poi di corsa al lavoro, in quel brutto giorno che lui ricorda ancora bello.
No! Non c'è più nemmeno la pensione, quei quattro soldi sono sospesi, è dovuto andare a perizia medico-legale a dimostrare che i miracoli non avvengono sempre.
La burocrazia e le belle parole non servono, questa è la realtà!
E vogliamo parlare di Eluana? Ma che riposi in pace.
Vulca

Luciana ha detto...

X Anonimo delle 20.00

"Sicuramente non viviamo in un paese civile, se invochiamo il diritto alla morte ... per gli altri !"


NESSUNO di noi invoca la morte degli altri.

Qui tutti stanno cercando di far capire (mi rendo conto che si tratta di impresa ardua...) che se una persona VUOLE andarsene, DEVE poterlo fare.

Così come se una persona VUOLE rimanere, DEVE poterlo fare.

E' la base dello stato di diritto.

Luciana

Anonimo ha detto...

Per Anonymous.
Invece di fare il bullo sulla sofferenza altrui, perché non vieni a fare un poco di volontariato nelle strutture dove le persone sono nello stato in cui Vulca racconta di suo nipote? Se non vieni, come credo, ricordati che sono le persone come Cinzia che continuano a fargli le carezze fino all'ultimo respiro; quelle come te, girano al largo per poi andare nei salotti a raccontare che la vita è sacra e non di rado ad offendere!
p.s.
Per la Redazione.
non riesco... ... come mai pur.
essendomi registrato i commenti mi escono anonimo? con quello dove ho scritto sono il 17.20 credevo di aver risolto avendo segnato la posizione nome/URL
Grazie bartolo iamonte

"Uguale per tutti" ha detto...

Per Bartolo (commento delle 9.18).

Caro Bartolo, perchè il tuo commento risulti provenire da te, quando lo "spedisci" devi fare quanto segue.

Sotto la finestra dove lo scrivi c'è un'area che si chiama "Scegli un'identità".

Devi selezionare "Google/Blogger" e devi inserire il tuo nome utente e la tua password (quelli del tuo account Google con il quale ti sei registrato).

In questo modo i commenti risulteranno provenire da te e, se li si legge nella pagina dei commenti, si vedrà anche la tua foto che hai messo nell'account (a proposito: complimenti, è molto carina).

La Redazione

bartolo ha detto...

GRAZIE!!!
Siete dei Santi senza portafoglio, come dire: non abilitati soltanto a fare miracoli!

Anonimo ha detto...

Quando mi è stato detto quanto costava giornalmente (considerando solo la spesa dei flaconi necessari per l'alimentazione artificiale) l'accanimento nei confronti di mio nonno ho pensato che gli unici a guadagnarci dalla situazione erano proprio le case farmaceutiche.
Scusate il cinismo ma...quanto fatturano le case farmaceutiche con il "business" dell'alimentazione artificiale?
Marco

Vincenzo Scavello ha detto...

Non è affatto facile rispondere a tutti i quesiti posti dal Dott. RACHELI; non è facile, però, nemmeno non provarci. Ecco una prima contraddizione! E una contraddizione -nei termini e di fatto- è l'estremo dibattere sul mistero della vita e della morte.
Non esauriremo mai le nostre discussione sul tema, perchè la sofistica, in ogni ambito, ha segnato -profondamente- il nostro modo di approcciare le cose ma, di contro, non può giungere in nostro soccorso il pragmatismo di Hitler, quando scelse la morte per migliaia di ammalati terminali o diversamente abili.

Nè l'uno nè l'altro! Eppure, quotidianamente, ci scontriamo e agiamo grazie alle nostre individualistiche vedute.

Escludo la CHIESA dal dibattito perchè - Essa - nel momento in cui scatena l'ennesima Crociata per la vita sul caso Englaro, si schiera contro la moratoria della pena di morte per gli omosessuali.

Escludo anche gli ATEI NATURALISTI, e, tra questi, coloro che predicano l'inviolabilità dei processi naturali, dimenticando che anche la più banale pasticca, assunta per un banale raffreddore, è, di fatto, un'impedimento ad un normale processo o evento NATURALE.

Il caso Eluana c'interroga, e per molti aspetti c'inquieta. Molti ci sospingono su temi cui, almeno per me, non è facile rispondere. Temi che non prescindono da una dotta conoscenza che affonda le sue radici nel mondo Classico, luogo, haimè, non per scelta, lontano dalle mie visitazioni culturali. Ho capito, però una cosa: la Vita e la Morte, relativamente ai casi di cui si discute, non sono nella disponibilità di nessuno. Soltanto chi vive sulla propria pelle la prospettiva drammatica di decorsi devastanti, può invocare, chiedere e dichiarare il proprio declino a cure "inutili" e lasciarsi andare tra le braccia dell'"Eu-Tanasia". E la "Dolce Morte", anche se consensuale, mi fa orrore, ma non per questo mi ergo a giudice di chi, oggi, non trova sintonia con il mio pensiero.

Non troveremo mai unanimità di pensiero sui casi di COSCIENZA, perchè ancora, viva Dio, non siamo plasmati da un "pensiero unico" globale.

Non saranno una Sentenza, una Legge o una posizione Dogmatica, a risolvere definitivamente la questione. La MIA COSCIENZA ed anche quella di quanti la pensano DIVERSAMENTE da ME, non potranno mai essere soggette a qualsivoglia vincolo Normativo, a meno che non si voglia imporre la volontà altrui sulla mia o la mia sugli altri.

Nei giorni precedenti la Morte di Eluana il Medico che ha deciso di "accompagnarla" ha più volte ripetuto che la giovane donna era morta da 17 anni. Queste dichiarazioni avevano in qualche modo rassicurato quanti nutrivano dei dubbi, perchè parole pronunciate da un uomo di Scienza. Ma quelle parole, a molti, si sono rivelate un inganno nel momento in cui, lo stesso uomo di Scienza, ha rivelato che Eluana sarebbe stata sedata prima della sospensione dell'alimentazione assistita. Semplice precauzione o l'atroce DUBBIO che il "trattamento" poteva procurare sofferenza?

Precauzione e dubbio sono termini che cancellano le certezze da tanti sbandierate.

Di sicuro c'è la solitudine di un nucleo familiare e la determinazione di un padre nel tentare, disperatamente, restando negli angusti spazi della Legge, di porre fine ad una "vita" che non "valeva" essere "vissuta".

Da altre parti ci sono migliaia di famiglie che si prodigano in un sofferto cammino, che sono vicine ai loro cari 24h al giorno e che portano sulle loro spalle, in assoluta solitudine, il "peso", anche in questo caso, di una difficile scelta.

Ci sono madri che avrebbero bisogno, per i loro figli disabili, almeno 10-12 ore al giorno di assistenza domiciliare, alle quali viene offerto soltanto il tempo di 20 minuti. (Caso denunciato a Sanremo da Bonolis).

Quante contraddizioni sul DIRITTO alla SALUTE E alla VITA!

baron litron ha detto...

ogni sofferenza è privata, racchiusa nel dolore di chi soffre e di chi gli sta vicino.
difficilissimo esprimersi su quest'argomento, che secondo me non deve essere regolato per legge, proprio perché la legge deve limitarsi a porre dei limiti (vivo-non vivo) entro i quali esprimere liberamente la propria volontà.

meno di due anni fa mio padre (profondamente credente E scienziato piuttosto noto) si trovò costretto a letto da infezioni conseguenti la dialisi.
dopo un mense di ospedale riuscì a tornare a casa, ben sapendo che l'attendeva la morte.
due volte la settimana doveva andare in ospedale per la dialisi, che odiava con tutto il cuore e che lo sfiniva nel corpo e nello spirito, ma lo manteneva in vita.

uscendo dall'ospedale i medici mi dissero che ne aveva per due settimane. alla fine del secondo mese in casa, ormai molto dimagrito e debilitato, le sue condizioni lo misero in pericolo di morte per il semplice fatto di andare a fare la dialisi.

messo davanti alla scelta se rischiare la morte in ambulanza per continuare la terapia, o rinunciarvi e morire per il blocco renale, finché ebbe coscienza scelse la terapia, anche se tutto il tempo che stava a casa non faceva che ripetere "basta, basta, non ne posso più, non ce la faccio più". soffriva, tanto, e non poteva certo dire che la sua fosse una vita degna di questo nome. e però ci restava attaccato come una tellina allo scoglio, pur soffrendo, pur detestando la sofferenza, pur sapendo di non avere speranza di miglioramento o di guarigione.

anni prima, dopo che mia madre s'ammalò e morì in breve tempo, un giorno ci chiedevamo se avessimo fatto il possibile per evitarlo. lui disse, con grande fredezza e compassione, ceh non avevamo fatto tutto il possibile, ma tutto ciò che potesse essere utile, e le due cose non sempre corrispondono.

quando infine, debolissimo e febbricitante, dovette per l'ennesima volta decidere se andare in ospedale per la dialisi, o rinunciarvi, seppe soltanto dirmi (con infinita tristezza): "non lo so, non lo so".

(dovetti decidere io, e decisi per lasciarlo a casa, sapendo che non voleva morire in ospedale)

ancora non so se feci la cosa giusta, lui però si spense serenamente in una settimana, nel suo letto, in pace col mondo.

cosa volevo dire, con questo? "non lo so, non lo so!"
ecco cosa volevo dire: una persona credente, e al contempo abituata per formazione a ragionare su dati di misura, obiettivi. una persona cui ho sempre riconosciuto una grande indipendenza di giudizio, dalle scelte sempre fondate e motivate, impegnato nel suo lavoro in infinite discussioni e decisioni su questioni di principio, di metodo, di valutazione, posto davanti alla propria vita, a una decisione profondamente intima e unicamente personale, da prendere in assoluta autonomia e in base a valutazioni e dati di misura inequivocabili NON SAPEVA.

e come allora si può legiferare, e soprattutto PERCHE' si dovrebbe farlo, e con quali criteri? per un caso finito in un certo modo? e gli altri 3500 chi sono, marziani? animali da pelliccia? e se per caso io decidessi per l'interruzione delle cure, e per la mia soppressione "in caso di", quale motivo etico potrebbe impedire di utilizzare il mio corpo, ancora vivo ma incosciente, al posto dei manichini per i crash test? in fondo, dando mandato PREVENTIVO ad altri di disporre del mio corpo in determinate condizioni (all'interno delle quali io NON POTREI dimostrare di aver cambiato idea), io in effetti rinuncio alla mia (presunta) libertà di scelta, e con una firma in apparenza indice di libertà butto invece nella spazzatura il MIO libero arbitrio.....

opinione personale, beninteso.

Cinzia ha detto...

Per Vulca.
Grazie.Grazie.Grazie.
La sua testimonianza è come un coltello che taglia il velo.
Meno male che ci si esprime scrivendo, in questo momento ho un tale magone sul plesso solare che non potrei farmi uscire un fiato dalla bocca. Grazie.

Cinzia ha detto...

Per Bartolo.
Non giudicarlo troppo male l'Anonimo,
infondo se vomita tanto veleno addosso agli altri, da qualche parte glielo avranno pur fatto ingoiare, non credi?!

salvatore d'urso ha detto...

Io credo prima di tutto che si debba discutere in modo civile e senza lasciarsi trasportare troopo da emozioni particolari... quali l'odio o l'intolleranza verso chi la pensa diversamente. Questo vale per i laici, pei i cattolici, per gli atei, ecc...

Siamo persone adulte che stanno opinando su questioni di una estrema delicatezza e non credo faccia bene alzare i toni per far valere le proprie ragioni...

Riguardo alla legge sul testamento biologico penso che debba essere redatta a grandi linee in questo modo.

Il testamento biologico può avere valenza solo nei casi dove la malattia non è + curabile e la qualità della vita è a livelli intollerabili (enorme sofferenza fisica e o mentale del paziente) e si è in stato di incoscienza. Quindi nel testamento verrà espressa la volontà del paziente se ci si trova in quei casi di vivere o morire.

Nel caso in cui si è coscienti ma la gravità del male è quella medesima su esposta allora il testamento biologico non ha alcuna valenza ma conta la volontà del paziente che cosciente decide cosa fare.

Per tutti gli altri casi di mali dove la qualità della vita è + o - tollerabile o anche intollerabile ma non eccessivamente il malato non ha possibilità di scelta... deve vivere.

In tutto questo non c'è nessun omicidio, assassinio o suicidio... ci troviamo di fronte a casi assai drammatici dove la morte è ormai prossima e si vuol dare la possibilità di poter scegliere al paziente stesso come ritiene più dignitosamente morire.

Allestire il confronto con accuse estremiste non aiuta di certo a ragionare pacificamente su questi casi in cerca di una soluzione equa e valida per tutti. Anche perchè se ad esempio il 70% degli italiani pensa che sia stato giusto il fatto che ad Eluana fosse staccato il sondino non di certo possiamo pensare che quel 70% fossero assassini o nazisti... Come pure non penso sia corretto dire che l'altro 30% sia succube totalmente della volontà papale...

E se nasce una discussione è per confrontare le diverse idee ed opinioni che si hanno in merito poichè pensarla tutti già allo stesso modo renderebbe inutile discutere.

graziella ha detto...

La vita è il più prezioso dei tesori e su questo siamo tutti d'accordo.Ma proprio perchè preziosa ed unica credo meriti profondo rispetto.Da buddista considero la morte il momento più sacro della vita ed è per questo che nutro lo stesso rispetto per essa.Ogni giorno in più di vita è importante per ogni essere umano ma non è lo è ogni giorno in più di morte.Siamo tutti d'accordo sul fatto che la vita deve avere la sua dignità?E allora perchè non vogliamo la stessa dignità per la morte? Penso che sia questa l'unica semplice domanda a cui dobbiamo trovare risposta,l'unica domanda che dobbiamo porci per poi ascoltare profondamente il nostro cuore che non deve essere il luogo dei pregiudizi e degli stereotipi ma solo della compassione.
E se poi vogliamo farne un'occasione di rispetto per l'altro e di rispetto dei nostri diritti fondamentali,,lasciamo a ognuno di noi la libertà di scegliere quando porre fine all'accanimento terapeutico che ci priva di qualunque,se pur minima, dignità umana. Non invadere la libertà dell'altro,compatire la sofferenza e soprattutto non ergersi a "GIUDICI" è un modo che tutti noi abbiamo per rispettare la vita e la morte.
Graziella

bartolo ha detto...

Cinzia, i miei genitori sono semianalfabeti; e pure io, un ignorante!
Sono certo, però, che nessuno ha obbligato l'anonimo a bere veleno: esso sgorga liberamente dalle fontane pubbliche. Incolore, inodore, insapore, limpido come l'acqua!

Anonimo ha detto...

"Per Bartolo.
Non giudicarlo troppo male l'Anonimo,
infondo se vomita tanto veleno addosso agli altri, da qualche parte glielo avranno pur fatto ingoiare, non credi?!"

Se "vomito" veleno, come dice lei, è probabilmente perché colgo nel segno, visto che si arrabbia sempre così tanto! Si arrabbia, mia cara, perché "oso" porre in discussione tutte le certezze dogmatiche alle quale lei si appiglia. Sì, ha letto bene, ho scritto proprio "certezze dogmatiche", perché altro non sono se non "atti di fede" quelli che lei ostenta come "valori" di libertà.

Se poi non riesce a "tollerare" che anche sul sito dove ha tanti amici, magistrati e non, vi sia una persona che la pensa diversamente da lei e che non si scherma pavidamente dietro a "forse" e "però", non posso farci niente. Provi ad ignorarmi e a bearsi nella sua laica e relativa certezza dell'incertezza: nessuno le impone di cambiare opinione.

Ma usi almeno un poco di rispetto, un poco di tolleranza, altrimenti farà la fine di quegli pseudo intellettuali radical-chic (come diceva Montanelli) che si credono tanto superiori al "volgo" da lodarlo in pubblico ma da disprezzarlo nel profondo del loro - arido - cuore.

Il cane di Jack ha detto...

Vorrei intervenire ancora con due note.
La prima è che penso che una legge ci voglia e sia più che necessaria. Una legge molto rigorosa regola la dichiarazione di morte cerebrale che consente il distacco delle macchine e l'espianto degli organi. Se non vi fosse tale legge, non sarebbe lecito interrompere il funzionamento delle macchine che tengono in VITA un organismo vivente. E poi se non vi è una legge che metta dei paletti in una zona di confine molto ampia e indefinità, si può sconfinare nell'abuso. Personalmente penso che il valore della sacralità della vita umana non debba mai essere abbandonato o perso di vista. Solo che si tratta di un valore e non di un principio da portare avanti in maniera acritica e intrisa di fanatismo.
D'altra parte una legge costituisce anche un'assunzione di responsabilità della società nei confronti dei propri componenti.
Lo Stato si deve assumere una parte delle enormi responsabilità (troppe per un uomo) che ha chi deve assumere decisioni per un proprio caro privo della capacità di intendere e di volere.
La seconda nota su cui vorrei insistere è che bisogna trovare non un criterio che ci consenta di decidere con assoluta certezza quando c'è vita e quando c'è morte, perché tanto non lo troveremo mai. Occorre trovare un criterio che secondo la "migliore scienza ed esperienza" ci consenta di andare a dormire la notte sapendo di aver fatto tutto quello che è utile alla persona interessata (il padre di baron litron doveva essere un grand uomo e voglio rendergli omaggio).
Secondo me i migliori criteri sono la distinzione tra morte della persona e morte dell'organismo oppure quello della irrimediabile compromissione della corteccia cerebrale che (anima o non anima), allo stato attuale delle conoscenze è da considerare la parte del cervello che ci individua come persone e ci tiene in contatto con il mondo.
I dubbi rimarranno sempre e a tutti. Ma come riusciamo a convivere con la consapevolezza che migliaia di bambini muoiono di fame ogni giorno, bisogna che troviamo come individui e come società, la forza di assumerci la responsabilità di scegliere nel modo meno arbitrario possibile, con l'umiltà di chi sa di non sapere moltissime più cose di quelle che sa.
Cari saluti a tutti
I.

salvatore d'urso ha detto...

X Il cane di Jack...

credo di aver intuito che la pensiamo + o - allo stesso modo...

Solo che riguardo ai paletti... beh credo debbano essere messi in questo modo...

Si deve tener presente di alcuni fattori:

1) La volontà del paziente di staccare la spina...

2) Nessuna cura è in grado di salvare il paziente da morte certa o dallo stato di coma o vegetativo nel quale si trova...

3) Il continuo ed estremo degrado della qualità della vita del malato il quale è sottoposto ad atroci sofferenze fisiche e mentali continue nel tempo...

Ecco in assenza di questi tre fattori non è possibile staccare in alcun modo la spina... è possibile invece solo se così è stato disposto dal malato tramite testamento biologico o se cosciente su sua scelta spontanea...

Se cosciente il testamento non ha alcun valore...

Cinzia ha detto...

Eluana, indagato Beppino Englaro
Altri 13 nel registro Procura Udine

La Procura della Repubblica di Udine ha iscritto nel registro degli indagati 14 persone per l'ipotesi di reato di omicidio volontario aggravato per la morte di Eluana Englaro avvenuta il 9 febbraio alla casa di cura "La Quiete". Tra gli indagati figura anche Beppino Englaro, padre di Eluana. "Era un atto atteso - ha detto Giuseppe Campeis, legale degli Englaro - solo che, forse, doveva giungere il giorno stesso della morte della donna".

Secondo l'avvocato udinese, tuttavia, la Procura della Repubblica di Udine non ha ancora risolto il dubbio "se quanto avvenuto alla Quiete sia stato legittimo oppure no. Per questo che il Procuratore sta lavorando su due fronti".

Il fascicolo nato come atti non costituenti notizia di reato, perciò senza indagati, è stato iscritto con l'ipotesi dell'omicidio volontario aggravato e la rosa degli indagati è individuata nelle persone che hanno voluto, disposto e messo in pratica il protocollo per "accompagnare" Eluana Englaro verso la morte.

Così, oltre a Beppino Englaro e al primario anestesista Amato De Monte, sono stati iscritti nel registro degli indagati gli altri componenti l'equipe. Nessuno di questi è stato finora raggiunto da informazioni di garanzia, perché al momento per l'inchiesta non si sono resi necessari atti esterni che comportassero le garanzie difensive.

Verità e Vita: "Denuncia di 13 pagine"
"Nel nostro esposto alla Procura di Udine denunciamo per omicidio volontario persone con nomi e cognomi": lo ha reso noto il Comitato Verità e Vita precisando che la denuncia si articola in 13 pagine. "Si tratta di una vera e propria relazione dettagliata - ha detto Mario Palmaro, presidente del Comitato - nella quale chiamiamo in causa Beppino Englaro, il personale medico e infermieristico, nonché i dirigenti responsabili della casa di riposo".

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Che tristezza...
e questi si chiamano con arroganza e presunzione "verità e vita", ma quale verità e la vita di chi?
Per fortuna che non sono cattolica e senza nessun senso di colpa posso tranquillamente augurargli che il loro dio non li perdoni e li mandi dritti all'inferno. Come fece Dante, che ce li mise persino ancora in vita. Gente senza alcuna pietà, peggio dei gesuiti al tempo delle conquiste coloniali.

nanni64 ha detto...

Per liberamente: concordo in tutto.
Anche io voglio scendere.

E voglio che chiunque sia libero di scegliere se rimanere attaccato a tutti costi al tram, oppure, a un certo punto, quando ritiene che sia giunta la sua ora, di scendere.

P.s. Antonello Piroso, cattolico, Niente di Personale, puntata subito dopo il caso Englaro, ha letto il suo testamento biologico: da scaricare e metterci una bella firma su. A futura memoria.

Gennaro Giugliano ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=LbkUw0Bopmw

Scusate ma mi sembra estremamente importante questo video dell dott genchi che ho appena vicionato dal blog di grillo,forse è il caso di dare un serio sguardo anche per tutelare la incolumità del dott Genchi e della sua famiglia. grazie

Anonimo ha detto...

"Nessuna opinione contraria all’opinione dominante e generale, si è mai stabilita nel mondo istantaneamente e in forza d’una dimostrazione lucida e palpabile, ma a forza di ripetizioni e quindi di assuefazione." (Giacomo Leopardi)

Grande verità. E' così, semplicemente ripetendo, ripetendo, ripetendo, che hanno sovvertito gli usi e i costumi degli italiani, e non solo, dagli anni '60 ad oggi.

Basta ripetere con sufficiente insistenza qualsiasi cosa, e la maggior parte della gente finirà per crederci.

Provare ... per credere.

Anonimo ha detto...

@ Cinzia

"questi si chiamano con arroganza e presunzione "verità e vita", ma quale verità e la vita di chi?
Per fortuna che non sono cattolica e senza nessun senso di colpa posso tranquillamente augurargli che il loro dio non li perdoni e li mandi dritti all'inferno"


Cara Cinzia, per favore non pensare che i cattolici siano tutti uguali e soprattutto non confondere certi atteggiamenti erronei con il Cristianesimo. Il Cristianesimo qui non c'entra nulla. Sei troppo intelligente e simpatica per macchiarti anche tu di intolleranza e mancanza di carità nei confronti di chi la pensa diversamente da te.
Io, ad esempio, ti confesso che non ho compreso e non posso accettare che in uno Stato civile si possa far morire una persona di fame e di sete, fatta salva, naturalmente, la sua libera scelta di porre termine a una vita di orribili sofferenze. In questa vicenda mi sono trovata in grave stato di incertezza, avendo trovato ugualmente barbariche sia le posizioni di certi oltranzisti cattolici urlanti davanti a un luogo di dolore, sia la disgustosa strumentalizzazione da parte della politica, sia le modalità (il cosiddetto "protocollo", l'orrenda burocrazia della morte...) per porre termine alla vita della malata. Non vedo dove risieda il Cristianesimo in tutto questo.
Spero che accetterai queste mie osservazioni con l'apertura mentale e l'intelligenza che ti hanno sempre contraddistinta.Il loro Dio li perdonerà, perdonerà forse tutti, proprio perché sono (siamo) indegni e miserabili.Con un gran finale a sorpresa.Vedrai. Proprio perché assurdo.

Con stima e simpatia,

Irene

Anonimo ha detto...

Non si può disciplinare per legge una materia tanto delicata, che attiene alla sfera personale. Arriverei (forse ) al punto di giustificare il suicidio solo se fosse la persona stessa a decidere per sé, nel momento della sua massima, immane sofferenza, non con molto anticipo come si vorrebbe prevedere per legge. Come giustamente ha osservato Baron Litron, il cui intervento condivido, vorrei avere il libero arbitrio, la possibilità di decidere all'ultimo momento, di essere incerta, di non sapere, di affidare tutto nelle mani di quel Dio che ricerco. Arriverei al punto di giustificare per pura carità, e sono sicura che ogni genuino cristiano dovrebbe, forse...ma forse nessuno potrebbe, stretto dalla più atroce sofferenza, giudicare razionalmente della propria morte...pare che Cesare Pavese si sia pentito del proprio gesto all'ultimo minuto, che abbia cercato di chiamare aiuto...a me pare proprio che, in linea di principio, nessuno possa esercitare la scelta per un altro essere umano, proprio perché personale...ho sentito che il signor Englaro ha trovato la freddezza per far fare fotografie alla figlia morente, in modo da cautelarsi dal punto di vista giuridico...spero che questa notizia non sia confermata, c'è qualcosa di tremendamente logico, razionale, in questa vicenda, che mi turba profondamente...ho vissuto la tragedia di vedere una persona amatissima in coma irreversibile, senza alcuna speranza di riprendersi. Ho persino commesso il delitto di invocare presso il medico la morte per lui, per farne cessare le atroci sofferenze. E forse i medici, con l'intervento per l'alimentazione forzata, ne hanno provocato la morte perché da quel momento è entrato in coma irreversibile. Un po' come Ivan e Smerdjakov ne i Fratelli Karamazov...l'assassina sono io, anche se materialmente non ho commesso il delitto...Mi sento responsabile, non ne avevo il diritto, anche se, come scrisse Bernanos, non bisogna ascoltare le parole espresse in stato di sofferenza, in quei momenti si arriva anche a bestemmiare Dio ma non bisogna ascoltare, imputare a colpa, bisogna a maggior ragione usare misericordia...no, credo che nessuno abbia il diritto di decidere per un altro, soprattutto se esiste la seppur remota possibilità scientifica che quella persona senta, soffra, viva in un suo misterioso mondo a parte, a noi sconosciuto...se esiste questa possibilità, che la scienza non può negare, io non credo che sia giusto porre fine alla vita di un altro.
Perdonate il susseguirsi disordinato di pensieri. Scusate.

I.

Gennaro Giugliano ha detto...

Consiglio ( almeno per chi ne fosse interessato) a scaricarvi il video da youtube delle dichiarazioni del dott Genchi che è stato postato sul blog di Grillo. Io sento puzza di bruciato ad un miglio di distanza e fino a questo preciso momento che sono le 19.00 oltre a non vedersi come notizia pubblicata da nessuna altra testata giornalistica o blog in rete le visualizzazioni del video stesso sono bloccate a 210 e non penso sia dovuto ad una anomalia tecnica del server di Youtube.Mi sembra sia più plausibile che si voglia bloccare o peggio ancora rimuovere il video dal server,quindi scaricate ed usate i canali p2p e torrent per eventuali condivisioni dello stesso. Penso a livello di contenuti che questa testimonianza video del dott Genchi sia molto grave nei contenuti e quindi vada assolutamente protetta e divulgata con ogni mezzo

Anonimo ha detto...

Nonostante la convinzione che ad un Anonimo irriguardoso, come quello del 25 febbraio 2009 13.24, non si debba dare eccessiva importanza, provo a formulare alcune considerazioni:

a) I commenti che compaiono sul sito, sono soggetti a verifica preventiva della Redazione.

Ovvero se la Redazione ha ritenuto opportuno pubblicare quel commento, penso sia stata mossa dall'intenzione di dare forma anche alla non-cultura più retriva, in modo che non ci sentissimo troppo soli.

b) Occorre prenderne atto che il distacco siderale della prosa e del sentire manifesto dell'anonimo, dalla prosa e dal sentire dall'articolo pubblicato dal Professore Stefano Racheli, qualifica il redattore dell'intervento citato.

Probabilmnte ha letto solo il titolo ed ha trascurato tutto il resto, o forse non è stato in grado di leggerlo (non ardisco pensare che riuscendo a leggerlo, sarebbe stato in grado di capirlo).

c) Comunque se la Redazione ha accolto l'anonimo del 25 febbraio 2009 13.24, ha fatto bene a dargli questa opportunità, poché anche questo é un modo per confrontarci con il mondo che ci circonda senza sentirci elittari del bel pensiero.

Irriguardoso Anonimo del 25 febbraio 2009 13.24 Ti prego di accetta il mio benvenuto nella comunità di questo Blog che generosamente accoglie anche i miei strafalcioni.

Un caro saluto

Anonimo ha detto...

Sono felice d'essermi imbattuta casualmente in un blog gestito da Uomini di legge, era da tanto che desideravo che qualche gestore della legalità s'avvicinasse a Noi, cittadini comuni,per farci capire meglio il Loro operato.Ho letto con molta attenzione le considerazioni a vari ostacoli del Sostituto Procuratore Stefano Racheli....Confesso che: più andavo avanti più le mie certezze vacillavano.
Non so il perchè ma c'era stranamente una frase, detta spesso da mio Padre, che risuonava nella mia mente man mano che andavo avanti....."non è il corpo che muore, esso può sopravvivere, anche tramite l'imbalsamazione, ma è lo spirito. Spento quello l'Uomo non c'è più"...che avesse ragione Lui?
Ci sono cose che mi chiedo continuamente dopo il caso Englaro:
è giusto che l'intimità di una famiglia, davanti ad una tragedia come questa, venga sbandierata a destra e a manca da chiunque? E' giusto che le persone che ci amano possono trovarsi, Nostro malgrado, nell'occhio del ciclone perchè portati a prendere una drastica decisione sulla Nostra vita?
Scienze, religione e filosofia hanno la prerogativa di rendere nullo quel sacrosanto diritto chiamato amore, che da ad ogni essere umano la certezza assoluta d'essere sempre e comunque importante per chi lo ama?
Chi siamo tutti quanti Noi per dire la Nostra, calpestando ulteriormente i sentimenti di chi ha tanto amato Eluana?
Giù i riflettori sulla mia vita e basta con le persecuzioni nei confronti delle persone che io amo...
Questo mi sentirei d'urlare se io fossi Eluana!!!!

Anonimo ha detto...

Al gentile "besugo": ammetto volentieri la mia ignoranza e accetto di buon grado i Suoi illuminati consigli, certo che la Sua cultura sarà quantomeno degna del suo soprannome, come del resto già appare evidente dal tenore della Sua prosa.

Cinzia ha detto...

Carissima Irene,
non era mia intenzione né generalizzare né tanto meno confondere cattolici e cristiani che so bene anche io non sono affatto la stessa cosa anche se hanno le stesse radici culturali/religiose.
So bene anche che non tutti i cattolici sono uguali, ma così come i cristiani.
Ho delle riserve sui cattolici perché non riesco proprio a capire come si possa accettare l'autorità di una chiesa che non dimostra nessuna compassione.
Ma normalmente sono dubbi che non esprimo se non in sede privata. Proprio perché non amo generalizzare faccio i nomi e i cognomi di coloro che deploro.
Questa associazione(?) "verità e vita", con tutti i suoi appartenenti, si assume la responsabilità della propria azione legale mossa contro il padre di Eluana ed io sono perfettamente d'accordo con Francesca G. su questo punto: spegnere i riflettori.
Io non ho detto una parola né mosso un passo finora, sia a favore sia contro, proprio perché credo nel rispetto del dolore altrui e delle scelte.
Non ho appoggiato la strumentalizzazione politica fatta da alcuni soggetti (vedi Micromedia), per quanto portasse avanti idee che condivido.
Ma continuare a constatare l'accanimento di alcuni sullo strazio che vive questo povero uomo mi fa davvero male.
Io non ci credo alle voci che ha sentito I. delle foto fatte ad Eluana in punto di morte, ho sentito persino qualcuno che lo criticava perché il giorno della morte di sua figlia lui non era lì.
A me fa persino orrore scriverle queste cose.
Non ci credo e non ci voglio credere e penso che qui non dovremmo affatto parlare di questo, ma semmai del testamento biologico, di cui purtroppo c'è bisogno proprio perché c'è gente che non accetta l'idea di rispettare gli altri, ma vuole imporre le proprie convinzioni a tutti i costi.
Ideologiche o religiose che siano.
Resto sempre dell'idea che se ci fosse un po' più di amore, comprensione e buon senso, tutto questo delirio ce lo potremmo anche risparmiare e soprattutto risparmiarlo a tutte quelle persone che, nel silenzio, soffrono.

Con la stessa stima e simpatia con cui mi scrivi io ti rispondo e con affetto ti saluto.

Maria Teresa ha detto...

Beppino Englaro sotto inchiesta per omicidio ...
Non entro nel merito della vicenda: sono stati già scritti fiumi di inchiostro.
Una sola riflessione: se Beppino Englaro è sotto inchiesta per omicidio, dovremmo essere in migliaia ad essere accusati di omicidio, ad essere additati come assassini … perché quello che è accaduto a me è accaduto (in forma uguale o simile) anche a tantissime altre persone.

Nell’ultimo periodo della sua vita mio padre è stato alimentato artificialmente. Non con un sondino ma con le flebo. Ad un certo punto, però, ha cominciato a non tollerarle più. E quello che avrebbe dovuto essere un aiuto alle sue sofferenze è diventato una sofferenza in più. Le vene erano ormai tutte rovinate ed ogni volta era sempre più difficile trovarne una da poter “utilizzare”. Urlava per tutto il tempo della flebo e noi gli tenevamo le mani e le braccia e cercavamo di distrarlo per impedire che si strappasse l’ago da solo.
“Ti fa bene” gli dicevamo con tutto il nostro amore.
“Non mi importa, non la voglio!” continuava ad urlare lui.
Il cuore di noi tutti, che lo vegliavamo giorno e notte, era pieno di incommensurabile dolore per il suo dolore e perché non volevamo che se ne andasse. Ma quando assistevamo a quelle scene strazianti in cui faceva di tutto per togliersi la flebo, il cuore si spezzava e nel più profondo del nostro animo gli auguravamo di lasciarci presto per porre fine alla sua pena.
“Gli stiamo allungando la vita di qualche giorno … ma gli stiamo anche aumentando la sofferenza che ogni giorno che passa diventa sempre più insopportabile”. Queste parole del medico mi colpirono come un violentissimo pugno allo stomaco e capii che bisognava decidere se continuare l’alimentazione artificiale oppure lasciarlo andare tranquillamente in pace … e il mondo mi crollò addosso perché non ero pronta a dirgli addio. Sono rimasta in silenzio per un po’ … attimi intensi in cui ho cercato dentro di me la risposta “giusta” … attimi intensi in cui ho “rivissuto” la mia vita con mio padre. Poi mi sono rivolta a mia sorella e le ho detto “per me possiamo fermarci qui, se sei d’accordo anche tu”. Lei ha annuito con un lieve cenno della testa mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
Mio padre è deceduto dopo pochi giorni. Non ha sofferto né la fame né la sete perché non ne avvertiva lo stimolo (al massimo mandava giù un cucchiaino di ciò che gli preparavamo o un piccolissimo sorso di acqua) ed ha vissuto quel breve periodo con maggiore serenità.
Non mi sono mai sentita un’assassina e, se potessi tornare indietro, mi comporterei allo stesso modo. A mio padre, che ci ha amato moltissimo, quell’atto di amore noi glielo dovevamo. Glielo dovevamo anche se è stato un atto profondamente sofferto che ci ha separato definitivamente da lui prima di quanto sarebbe accaduto se avessimo continuato ad alimentarlo artificialmente. Lo riaccompagnerei allo stesso modo al suo ultimo istante, anche se qualcuno pensasse di accusarmi di omicidio.

"Non c'è momento più personale, intimo, segreto direi sacro dell'uomo davanti alla sua morte" ha detto Camilleri nel corso della manifestazione del 22 febbraio … una grande verità.
E penso che difficilmente una legge possa “regolamentare” in modo “giusto” ed esauriente questa materia perché siamo davanti, come ha scritto baron litron nel suo commento (che fa molto riflettere), a decisioni “profondamente intime ed unicamente personali”.
Invece di entrare con violenza in questa nostra profonda e personalissima intimità, il mondo politico dovrebbe pensare ad aiutare a vivere (con strutture e risorse finanziarie adeguate) i portatori di handicap gravi – abbandonati completamente alle proprie famiglie, come sottolineato da Vulca – e tutte quelle persone (bambini compresi) che vogliono vivere ma che si trovano in uno stato di povertà tale da non avere i mezzi per vivere … e muoiono ogni giorno (loro sì di fame e di sete) nell’indifferenza più assoluta …

PS per Marco:
Hai ragione, esiste anche il "business" dell'alimentazione artificiale

PS per Gennaro:
Grazie per la segnalazione del video

Anonimo ha detto...

Ciao Maria Teresa...
hai descritto ciò che sto vivendo anch'io.Mio Padre ridotto ad uno "scrigno di medicine".....Lui che ci prega di lasciarlo stare e Noi, mia madre, mia sorella ed io, non riusciamo a cogliere questa Sua supplica.
Come Te e Tua sorella siamo convinte di migliorare le Sue condizioni di vita ma so, dentro di me, che così non è....Intorno mi girano a vortice "affaristi" della sanità che tutto hanno a cuore tranne la salute di mio Padre.
I Nostri politici con orgoglio ci urlano che la vita media si è allungata.....ma nessuno osa dire che tutto è a discapito dell'umana dignità, e che gli ospedali sono lazzaretti dove, ammalati e familiari, giriamo come "criceti impazziti" senza trovare nessun sollievo fisico e morale.Il tutto per ingrassare "parassiti obesi".
Questa giostra illogica che è l'Italia porta chiunque,indistintamente, ad essere dei Beppino Englaro...prima o poi.
Un abbraccio

Mimma ha detto...

Beppino Englaro
21 febbraio 2009
http://www.chetempochefa.rai.it/TE_videoteca/1,10916,,00.html

Vorrei solo dire che concordo pienamente con il Sig. Englaro! Ogni caso e` personale e la legge dovrebbe solo salvaguardare la liberta` individuale. Nella situazione, a dirla con un eufemismo, "particolare" dell'Italia in questo momento, meno leggi si fanno e meglio e`!

E. Clarke

Anonimo ha detto...

Le considerazioni di Besugo del 27 febbraio 2009 19.04 credo siano importanti, assomigliano comunque molto a quelle che anch'io mi sono trovata a fare, in occasione di alcuni commenti ai più svariati argomenti proposti dalla Redazione: commenti in se stessi espressione, come dice lui, della non-cultura più retriva; a volte, aggiungo io, di una grettezza e superficialità da far paura. Con l'aggravante, in qualche caso, di un certo odore -secondo me- di malafede. Immediata, comunque, l'evidenza di una distanza stridente, un "distacco siderale", come lo chiama Besugo, rispetto sia al post di partenza, sia al tenore medio dei commenti di chi abitualmente partecipa al blog.
Ora, dare alla Redazione qualsiasi tipo di consiglio rispetto alla scelta se pubblicarli o no credo sia assai arduo, e probabilmente neanche ci spetta, visto che in definitiva resterà comunque (purtroppo!) una sua gatta da pelare, di volta in volta: questione ardua, delicata e dalle non trascurabili implicazioni.
Quello che però posso dire di aver trovato a volte fuori luogo, nel senso di degno davvero di miglior causa, è stato un dispendio di argomentazioni, da parte della Redazione, in definitiva credo del tutto sprecato, nel voler tener aperto, con encomiabile e incrollabile tenacia e approfondendolo fino all'inverosimile, un discorso con chi probabilmente non poteva, e ancor meno voleva capirlo.
Altre volte ho avuto un'impressione simile di fronte ad interventi da parte di utenti del blog, ugualmente preparati, volonterosi e ammirevoli, in risposta ai soliti commenti che (è sempre un parere opinabilissimo e del tutto personale) si commentavano da soli, e secondo me erano semplicemente da lasciar cadere: l'isolamento al quale loro stessi, in sostanza, si votavano ritengo che sarebbe stato più eloquente dei tanti ragionamenti, sforzi e parole destinati purtroppo fin dall'inizio a non produrre alcun effetto.
Affinchè uno scambio sia autentico, e perciò
-inevitabilmente- efficace e utile, credo sia necessario non solo essere in due, ma anche parlare la stessa lingua. Che vuol dire condividere alcuni presupposti, con la testa, e col cuore. Condividere forse anche, se non qualcosa della propria storia personale, almeno qualcosa dell'atteggiamento, dello sguardo con cui la si sta vivendo.
Dopo di che essere anche molto diversi, e magari pure in contrasto, può diventare, e quasi sempre diventa, motivo di arricchimento reciproco.
Ma se manca quel terreno umano comune, culturale e affettivo insieme, che si traduce nel capirsi e volersi capire, le parole, anche a tonnellate, non chiariscono, non smuovono e non producono nulla; non arricchiscono nessuno. Stancano soltanto.
Così, almeno, mi sembra; ma siccome sono abbastanza vecchia, un po' stufa e probabilmente insofferente, non mi dispiacerebbe sentire qualche altra opinione in merito.
Anche perchè comunicare è sempre un'ottima cosa, ma osservare e discutere ogni tanto un po' dal di fuori l'ambito, i meccanismi e le caratteristiche della nostra comunicazione forse può servire a renderla più utile ed efficace.
In questo caso, chissà, magari anche più stringata ed... economica (io personalmente non sempre ce la faccio neanche solo a leggere tutto, e so di non essere l'unica).
Tra l'altro non ho dubbi che la Redazione sarebbe, anche in questo senso... Felice di accogliere i nostri spunti e le nostre riflessioni.
Ancora una volta grazie (anche della pazienza...), e un caro saluto a tutti.
siu

Cinzia ha detto...

Perfettamente d'accordo con siù.
Giuro solennemente che dovranno cadermi le mani se sprecherò ancora una sola lettera della mia tastiera a rispondere a commenti che, come dice lei, si commentano da soli.
Di fronte a certe occasioni mi comporto con stupida istintività e mi pento quasi subito, ma intanto la fesseria è fatta e le reazioni a catena innescate. D'ora in poi conterò almeno fino a dieci e se non basta fino cento e anche mille prima di ricadere nella trappola... perché di quello si tratta.

Anonimo ha detto...

Questa sera, mentre passeggiavo in solitudine con il cane "Pi" nella piccola insenatura del golfo di Boccadasse ripensavo all'ultimo "post" letto, cioé qello dell'Anonimo del 28 febbraio 2009 17.08.
Questo scorcio di mare, visto innumerevoli volte e in tutte le stagioni della mia via, é il luogo ove "mi é dolce naufragare" nel mare dei ricordi. Il mio "tempo" sta volgendo al tramonto e questa sera di Liguria porge le parole del poeta da offrire molto sommessamente a "siu".

Lenta e rosata sale su dal mare
la sera di Liguria, perdizione
di cuori amanti e di cose lontane.

Indugiano le coppie nei giardini,
s'accendon le finestre ad una ad una come tanti teatri.

Sepolto nella bruma il mare odora.
Le chiese sulla riva paion navi che stanno per salpare.


Il poeta disse:"La vita io l'ho castigata vivendola"

Annalisa ha detto...

Leggo le tante testimonianze con un nodo in gola. E ringrazio tutti quelli che ce le hanno regalate.

Il dolore, la malattia, la morte, il distacco, fanno paura a tutti noi.

Ripensando a tutta questa situazione, riflettevo sul fatto che la nostra cultura occidentale, scientista, ha completamente rimosso il senso del limite umano, il senso della morte. Le altre culture, chiamiamole non occidentali, sono molto più vicine a cogliere questo mistero, ad accettare il limite umano come parte integrante della vita. Noi invece siamo la cultura del dominio. Dominio sulla natura, sulla vita, sulla morte, sull’uomo. Ci hanno fatto credere che possiamo sconfiggere la vecchiaia con i lifting, che possiamo sconfiggere la malattia con la scienza. Che il progresso possa allontanare il dolore, possa dare una risposta alle nostre paure.

Ma queste sono menzogne. La scienza e la tecnica possono certo migliorare la nostra vita, migliorare le cure, e non sempre lo fanno davvero, ma non possono farci diventare eterni, non possono sconfiggere la morte. Qualsiasi tecnica anche avanzatissima, alla fine, deve fare i conti con la natura.

È l’uomo che deve essere al centro del nostro vivere e agire, non un concetto astratto di “vita” che qualcuno vorrebbe propinarci. La vita non è un mero fatto biologico, da preservare il più possibile a qualsiasi prezzo. La vita è quella che si consuma tutti i giorni, sotto questo cielo.

Credo che ognuno di noi sappia bene cosa è “vita”. Credo che solo chi ama possa decidere ciò che è giusto. Credo che la coscienza di ognuno di noi sia la più grande fonte di discernimento. Non quello che dicono gli altri. Non quello che dice la Chiesa e i suoi accoliti, che hanno dato in questa occasione, lasciatemelo dire, il peggiore spettacolo di spudoratezza, mancanza di rispetto, ignoranza (intesa come mancanza di sapienza), che si sia mai visto.

La Chiesa, che va predicando l’accettazione del dolore, della morte, in altre parole l’accettazione del limite umano, in realtà idolatra insensatamente la vita, intesa solo come esistenza materiale.

Questa non è fede, è ideologia.

Il problema è che alcuni vogliono decidere per tutti, solo perché pensano che il loro credo sia superiore a quello degli altri. Pensano di essere i Giusti.

Una piccola chiosa a quello che diceva Irene sul far morire le persone di fame e di sete. L’alimentazione artificiale non è mangiare un panino e bere un bicchiere d’acqua. E’ un insieme di sostanza chimiche, medicinali e quant’altro consenta alla persona di sopravvivere. E’ una vera e propria terapia, un trattamento medico, questo lo dicono gli scienziati unanimemente. Privare una persona dell’alimentazione artificiale non significa farla morire di fame e di sete tra atroci sofferenze, come pensano quelli che hanno portato i panini sotto la clinica dove era in cura Eluana. Significa sospendere una terapia finalizzata al mantenimento delle caratteristiche biochimiche e molecolari di un organismo. Quindi la sospensione di tale terapia non deve essere confusa col “far morire di fame e di sete”.Tra l’altro non si muore di fame e di sete, come se si fosse nel deserto. Posto che in mancanza di cibo e di acqua si muore sempre di “sete”, Eluana non è morta di sete, non poteva sentire sete, è morta disidrata. In quanto una volta tolte le medicine per l’idratazione, il suo sistema biologico completamente dipendente dalle molecole somministrate è collassato per mancanza di quelle sostanze.

Riporto un link ad un video tratto dal film Mare Dentro in cui, forse, si medita sul senso della vita…

http://www.youtube.com/watch?v=Dy5r1b_aFXE

siu ha detto...

Ringrazio Cinzia per la fiducia, anche se la sua istintività non credo sia mai stata stupida... magari solo controproducente, quando finisce per mandare i nostri sforzi in direzione opposta rispetto alle intenzioni, se queste di fatto non sono condivise; vale a dire verso un sovrappiù di complicazioni a vuoto, anzichè verso l'auspicato chiarimento/approfondimento.
Ma, ripeto, a me viene facile e quasi automatico (e forse non è neanche troppo onorevole...) semplicemente per stanchezza, perchè proprio "gn'a fo". Gn'a fo più....

....con un'ombra di malinconia -peraltro serena se pure un po' crepuscolare- che a quanto pare mi accomuna a Besugo.
I suoi pensieri mi hanno colpita, dolcemente, in pieno, e gliene sono profondamente grata.
Conosco Boccadasse, uno straordinario e selvaggio gioello, uno di quei luoghi in cui ho subito sentito che stavo bene, che avrei potuto e forse voluto viverci... e del resto il mare, quel tipo di mare, fa parte di me.
I sette versi -di Cardarelli ho scoperto- riescono a dire l'incanto di un momento in cui percezioni dei sensi, moti dell'animo e spunti di riflessione giocano di rimando tra loro; e lo stesso fa quel presente, così densamente vissuto, col tempo che non c'è più, o non c'è ancora, mentre la vita oscilla come sempre tra concretezza e astrazione, possibilità e disincanto, consapevolezza e oblio...
Una buona poesia, dai colori intensi, che conserverò insieme ad altri scritti preziosi.
Quanto a castigare la vita, vivendola, spero che continueremo a cercare di farlo, un po' anche grazie a questo blog. Del quale peraltro mi sa che sto spudoratamente facendo un uso improprio! Ma finchè la Redazione non mi bacchetta...
Un abbraccio, e un saluto a "Pi".
siu

Anonimo ha detto...

Cari amici,
io non credo che sia opportuno censurare l'anonimo con etichette quali "grettezza" e "superficialità". Personalmente, lo ringrazio per aver posto la questione della morte per fame e per sete, che sicuramente meritava di essere esaminata. L'argomento discusso è indubbiamente spinoso, e credo che si debba tenere conto, come giustamente ha osservato il dott. Racheli, anche degli argomenti dissonanti dal sentire prevalmente. Apprezzamenti morali sulle sue idee e sulla sua persona mi sembrano poco accoglienti.
Con immutata simpatia per tutti coloro che contribuiscono con i loro scritti a questo dibattito e per i gentili padroni di casa.
Un saluto cordiale e affettuoso anche a Cinzia, che ha avuto la cortesia di rispondermi,

Irene

Anonimo ha detto...

Cara Annalisa,
ti ringrazio della tua risposta, che ho letto con grande attenzione.
Alcune osservazioni su quanto ha scritto, ossia che:

" Privare una persona dell’alimentazione artificiale non significa farla morire di fame e di sete tra atroci sofferenze, come pensano quelli che hanno portato i panini sotto la clinica dove era in cura Eluana. Significa sospendere una terapia finalizzata al mantenimento delle caratteristiche biochimiche e molecolari di un organismo. Quindi la sospensione di tale terapia non deve essere confusa col “far morire di fame e di sete”.Tra l’altro non si muore di fame e di sete, come se si fosse nel deserto. Posto che in mancanza di cibo e di acqua si muore sempre di “sete”, Eluana non è morta di sete, non poteva sentire sete, è morta disidrata"

ecco, la mia opinione è che non si può affermare ciò con assoluta e matematica certezza, non ho letto (sarò lieta se qualcuno potrà apportare ulteriori contributi per approfondire l'argomento e accetterò volentieri di ricredermi)alcun contributo scientifico che possa affermare ciò in maniera inoppugnabile.
La mente umana rimane un mistero e, nonostante i progressi della scienza ancora, a mio avviso, dobbiamo ammettere di sapere ancora poco sulla vita delle persone in coma.
Pertanto, se anche esistesse una pur remotissima possibilità che la persona possa soffrire, ciò varrebbe a indurmi a una seria riflessione e, forse, (ma dovrei trovarmi in un'analoga situazione per poter giudicare) a farmi desistere.

cari saluti,
Irene

siu ha detto...

Per Irene.
Io non credo che sia opportuno, e neanche corretto, leggere lucciole per lanterne e poi biasimare le lanterne.
Nel mio commento (28 febbraio 2009 17.08) le parole "grettezza e superficialità" seguono "a volte, aggiungo io", e continuano a riferirsi ad "alcuni commenti ai più svariati argomenti proposti dalla Redazione", in occasione dei quali mi ero trovata a fare considerazioni simili ecc.
Non infatti dell'Anonimo in questione, m'interessava parlare e ho parlato, ma di un tema più generale, cioè l'opportunità o meno, in alcuni casi, di lunghe e articolate risposte: quelle che -appunto in passato- hanno a volte secondo me inutilmente appesantito questo blog.
"censurare l'anonimo con etichette quali "grettezza" e "superficialità" è proprio un altro film, ma lo hai visto solo tu.
Sorry.
siu

Anonimo ha detto...

Grazie a Irene, che ha ricordato un fatto: che, grazie a Dio, esistono ancora punti di netto conflitto morale. Ho detto "grazie a Dio", perché questo non è né può essere un "tentativo di conciliazione": su determinati argomenti non si può esser concilianti, pur nel rispetto delle persone, né si può essere "ignavi", cercando sempre un compromesso, pur senza arrivare a dire, come San Paolo: "Non sei né carne né pesce. Mi fai talmente schifo che preferisco vomitarti dalla mia bocca" o come Dante, che pose gli ignavi nell'Antiferno, giacché non erano neppure degni di essere dannati quelli che sempre cercavano un compromesso, anche con la propria coscienza.

Sulla vita e sulla morte no, non mi piacciono i compromessi.

Noi non siamo politici, non dobbiamo sempre e comunque "mediare" tra le posizioni morali di ciascuno.

Possiamo soltanto rispettare le persone e il loro foro interno, ma non necessariamente anche le loro dichiarate opinioni, se confliggono aspramente con il nostro modo di vedere il mondo.

Annalisa ha detto...

Cara Irene, "se anche esistesse una pur remotissima possibilità che la persona possa soffrire", 17 anni in un letto sarebbero la più atroce sofferenza, una tortura.
Se si accettasse questo principio alla base di una decisione, il voler evitare la sofferenza della fame e della sete sarebbe tremendamente contraddittorio con la volontà di protrarre la sofferenza ad libitum.
Ma non credo che ci sia la sofferenza alla base di tutta questa discussione, bensì l’idea di permettere che la natura faccia il proprio corso, lasciando da parte la supponenza scientista umana e affidando a Dio il destino degli uomini, e non a tubicini di gomma e a medicinali.
Se non tutti ritengono di voler esercitare questa libertà di scelta, bene. Ma non si può e non si deve criticare la gente per le proprie scelte, accusandola, come è stato fatto, di essere assassina, e soprattutto, non si deve assolutamente pensare di fare leggi in base a precetti morali, restrittivi della libertà, nei quali si riconosce solo una parte della popolazione.

Per l’anonimo (17,58): lei probabilmente è un Giusto. Probabilmente tutte le decisioni che lei ha preso nella sua vita sono giuste, perché ispirate a un Libro o a qualche dogma. Per lei le scelte in coscienza sono un “compromesso con la propria coscienza”. State rinchiusi nella vostra torre d’avorio, siete certo migliori degli altri. Da ogni vostra parola non esce che disprezzo, senso di superiorità ed esclusivismo.
Il vero rispetto per la persona, siete voi che non lo conoscete perché siete portatori solo di idee dogmatiche, totalmente disincarnate. E per queste idee siete capaci di far pagare all’uomo il prezzo più alto.

baron litron ha detto...

si dice che non si possa conoscere la natura dell'uomo finché questo non è messo alla prova. credo sia giusto, credo impossibile giudicare da sani, da comodi, da sicuri e nutriti come si comportano, cosa decidono gli storpi, i malati, gli affamati, i disperati.
e proprio perché non si possono giudicare senza aver provato almeno un po' della loro medicina, allo stesso tempo non si può sapere, da fuori, cosa succede dentro al malato, al sofferente, allo storpio, al comatoso, e che cosa gli sibila all'orecchio il dolore, e con quali parole lo tiene lontano, lo tiene a bada, lo tiene stretto perché gli conferma di essere ancora vivo.

a chi aveva (anche in questi ultimi commenti) dei dubbi su cosa potesse provare tota Englaro, consiglio la lettura di questo articolo , che se i dubbi non li toglie (anzi, potrebbe anche farli aumentare), ha perlomeno il pregio di essere stato scritto da un medico, da una persona abituata al contatto quotidiano col dolore, la sofferenza, la morte, la speranza, la fiducia, la tenacia, le luci insomma che illuminano ogni giorno, ora crudamente ora dolcemente, il mondo dei vivi.

Anonimo ha detto...

Continui pure, cara Annalisa, a pensarla come crede. Ma non mi attribuisca cose che non ho detto, cosa che appare ormai un'abitudine da parte di taluni, quasi uno "stile", come quei politici che invece di controbattere sorridono sempre, celando male la loro intima superbia, e pertanto la loro profonda insicurezza, dietro il disprezzo di chi si ritiene "superiore" ... finendo magari per credervi davvero !

E anche se non porta rispetto per le opinioni altrui, cosa lecita, almeno porti rispetto per le persone, tenendo per Lei le lezioni di sarcasmo, che nessuno Le ha chiesto.

Grazie.

Anonimo ha detto...

La bioetica è fossilizzata sulla pre-vita (embrionale) e la pre-morte (stato vegeta(tivo)le.
"La vita va protetta sempre"? Certo, un corpo più è martoriato e più acquista punti per... gli "assolutisti" radical/fondamentalisti simil-talebani, è vita umana lo stato embrionale (vita in potenza, e non essere umano...cosciente) o in condizioni comatose. E per il resto? (solo un sadico/cinico può accanirsi per tenere in vita vegetativa i Welby...le Terry Schiavo secondo “NATURA"? Con aria e alimentazione artificiali e accanimento terapeutico cui i medici timorati...(tutti?) non fanno obiezione di coscienza e SCIENZA? Se si intende vita umana ciò che dipende dal controllo di una qualche forma di attività cerebrale, allora un embrione umano nelle prime settimane non è vita... un ovulo fecondato nelle prime due settimane e privo di qualunque afferenza nervosa...quindi in caso di aborto non è "un assassinio". La natura ha alterato il Dna durante l’evoluzione della specie e l’influenza ambientale ha fatto il resto. Per esempio, appaiono incoerenti i proclami religiosi a difesa della vita di quei capi di Stato che osteggiano il Protocollo di Kyoto, poiché l’inquinamento è una delle cause principali di patologie (mortali, di sterilità e aborti spontanei!) derivate da modifiche aberranti del patrimonio genetico. La natura talora è matrigna e la scienza opera per dominarla positivamente, cercando di migliorare la qualità della vita. Sorge il dubbio che gli integralisti della difesa della vita finiscano per diventare gli integralisti della difesa della MORTE. “...non piangete per me: è nulla il morire, doloroso è il non vivere”, sospirava Jean Valjean sul letto di morte.
Stanco di essere martoriato...dalla vita! Mentre i "Javert" si moltiplicano e organizzano l'accanimento persecutorio di massa?

Anonimo ha detto...

per Siu
con riferimento alle sue parole:

“Le considerazioni di Besugo del 27 febbraio 2009 19.04 credo siano importanti, assomigliano comunque molto a quelle che anch'io mi sono trovata a fare, in occasione di alcuni commenti ai più svariati argomenti proposti dalla Redazione: commenti in se stessi espressione, come dice lui, della non-cultura più retriva; a volte, aggiungo io, di una grettezza e superficialità da far paura. Con l'aggravante, in qualche caso, di un certo odore -secondo me- di malafede”

“stato un dispendio di argomentazioni, da parte della Redazione, in definitiva credo del tutto sprecato, nel voler tener aperto, con encomiabile e incrollabile tenacia e approfondendolo fino all'inverosimile, un discorso con chi probabilmente non poteva, e ancor meno voleva capirlo”

ed ecco le considerazioni di Besugo che lei reputa "importanti" e che sono riferite proprio all'Anonimo:

“Irriguardoso”
“Occorre prenderne atto che il distacco siderale della prosa e del sentire manifesto dell'anonimo, dalla prosa e dal sentire dall'articolo pubblicato dal Professore Stefano Racheli, qualifica il redattore dell'intervento citato”

“Probabilmnte ha letto solo il titolo ed ha trascurato tutto il resto, o forse non è stato in grado di leggerlo (non ardisco pensare che riuscendo a leggerlo, sarebbe stato in grado di capirlo)” Besugo, 27 febbraio 2009 ore 19.04


Ora, sia chiaro che se mi permetto di dissentire non è per un fatto personale, bensì per dare un contributo costruttivo (così almeno spero) a questa interessante discussione. Non a caso avevo iniziato il mio scritto con l'espressione "cari amici". E sia chiaro, la mia argomentazione non è ad personam, bensì vuole essere (almeno, spero di riuscire) una critica del modo, del grado di accoglienza del diverso da parte di noi tutti. Non posso essere d'accordo con il proposito di ignorare chi propone una visione differente della questione, seppure lo fa in maniera giudicata un po' ruvida e antipatica. E' proprio grazie alle risposte di Cinzia all'Anonimo che questi ha potuto precisare meglio il suo pensiero, portando argomenti tutt'altro che disprezzabili. Come ad esempio quando dice che vi è nell'atteggiamento di alcuni di noi (mi metto anch'io nel novero di quelli che inizialmente non lo hanno compreso)un che di "razzistico", per usare una bella espressione di Pasolini, che la riferiva proprio all'incapacità di certi intellettuali del suo tempo di ascoltare, discutere, confrontarsi con i giovani, il che conferiva loro una maggiore responsabilità. Sempre Pasolini,nelle lettere Luterane, definisce "razzistica" anche certa modalità di critica dei suoi articoli, mossa alla sua vita, alle sue attitudini, alla sua persona, e non alle sue idee. L'anonimo mi trova d'accordo anche quando afferma che ciò che dà fastidio in un altro è degno di essere attentamente esaminato, perché è proprio in relazione all'antagonista che si evidenziano certe ombre, rigidezze del proprio carattere di cui non è facile accorgersi. Ecco perché, come diceva nel suo scritto il dott. Racheli, bisognerebbe ringraziare e incoraggiare soprattutto chi la pensa diversamente da noi e ci urta (basta che argomenti in maniera civile e rispettosa)seppure a nostro avviso "superficiale", perché ci aiuta a vedere meglio. E prego tutti coloro che scrivono in questo blog di continuare a rispondere puntualmente alle critiche di chi dissente, senza considerarla affatto una perdita di tempo. In caso contrario, non avremmo avuto il piacere di leggere questo splendido dibattito, di cui dobbiamo essere grati al dott. Racheli e a tutti coloro che vi hanno contribuito, anche l'anonimo.
Se ho visto "un altro film", come dice lei, signora Siu, non so.Chiunque leggerà potrà formarsi un parere sul grado di tolleranza espresso dalle sue parole o quelle di altri (comprese le mie). Vede, non ho problemi ad ammettere che potrei sbagliare e non ho certezze. E ciò è per me maledettamente faticoso.

Irene

Anonimo ha detto...

Cara Annalisa,
certo, è giusto che nessuno si permetta di giudicare un padre definendolo "assassino", ma la critica civile e documentata, senza estremismi, dovrebbe essere accettata e incoraggiata, seppure avanzata in un momento opportuno come ha fatto il dott. Racheli. Quel che mi premeva maggiormente esprimere è che non ci sono evidenze scientifiche che la persona cui venga interrotta l'alimentazione e idratazione artificiale non soffra orrendamente, perché come dicevi tu "non può sentire". Io discutevo del modo che lo Stato in questo caso ha usato per porre fine alla vita di un essere umano. Al limite, come dice l'autrice del bell'articolo indicato da Baron Litron, forse mi assumerei la responsabilità di fare un'iniezione di morfina e ne affronterei tutte le conseguenze, anche se non so cosa potrei fare in un simile frangente, dopo 17 anni di sofferenza, come giustamente hai fatto notare. Quel che personalmente non posso accettare è che si ponga fine alla vita di un essere umano per fame e sete (l'effetto dell'interruzione dell'alimentazione artificiale è sempre quello...), sulla base di certezze che, sottoposte al vaglio della scienza, non hanno alcun riscontro certo. Non riesco proprio, per quanto mi sforzi, a ritenerlo civile.

Irene

Vittorio Ferraro ha detto...

Rispetto al mio precedente commento del 25/02, ore 15,35voglio solo riportare un piccolo passo di un articolo che ho letto ieri. L'articolo in questione è stato scritto dal prof. Roberto Escobar.

"E' la razza, è l'assoluto extragiuridico e sovragiuridico della razza, che fonda e legittima il sistematico sterminio nazista dei malati di mente, e più tardi degli 'asociali'. In questa prospettiva, il singolo e la sua vita - dunque anche la sua morte - non hanno alcun valore, se posti a confronto con la 'vita del popolo'. Non è del singolo la coscienza, non è sua la volontà, non è sua la decisione, ma di chi conosce e garantisce quell'assoluto, e dunque lo governa e lo amministra. Attraversi i suoi burocrati, è Hitler che decide chi DEVE morire."

"L'eutanasia nazista scende come un pumbleo dovere dall'alto dal Cielo dei principi (per quanto orridi siano), e si abbatte sulla dignità e sulla libertà del singolo, oltre che sul suo corpo. La 'libertà di lasiarsi morire' affermata dalla Cassazione (il richiamo è alla sentenza n. 21748/07) e difesa dalla Corte costituzionale va in direzione opposta: sale dalla dignità, dalla libertà, dal corpo del singolo su su, fino a dar la scalata al Cielo del potere e dell'istituzione. E là, al cospetto di ogni pretesa d'assoluto, afferma il primato del singolo, del dolore che brucia nell'abisso della sua carne e del suo sangue..."

In fondo è un problema di difesa della(e)libertà.

Anonimo ha detto...

"La 'libertà di lasiarsi morire' affermata dalla Cassazione (il richiamo è alla sentenza n. 21748/07) e difesa dalla Corte costituzionale va in direzione opposta: sale dalla dignità, dalla libertà, dal corpo del singolo su su, fino a dar la scalata al Cielo del potere e dell'istituzione. E là, al cospetto di ogni pretesa d'assoluto, afferma il primato del singolo, del dolore che brucia nell'abisso della sua carne e del suo sangue...

In fondo è un problema di difesa della(e)libertà".

In fondo, invertendo l'ordine dei fattori ... IL RISULTATO NON CAMBIA.

nanni64 ha detto...

@ tutti.

Il diritto alla vita e alla salute sono diritti dell'individuo.

Non spetta allo Stato disporne. Non spetta alla collettività.

Se poi vogliamo discutere di ciò che ciascuno sceglierebbe sulla sua vita, della sua vita facciamolo. Ma per favore: non mettiamo in discussione che la scelta spetti a quello della cui vita o salute si discute.

Sono due prospettive diverse.

C'é qualcuno che riterrebbe di imporrebbe la sua scelta, la sua visione della vita e della morte ad un altro? Che riterrebbe di imporre a qualcuno il sondino coatto?

Questa é la reale questione collettiva.

Dopodiche, purtroppo, ciascuno resta solo nella sua scelta dolorosa. Sempre che non prevalga l'opinione che lo Stato debba scegliere al posto tuo.

Ma allora sarebbe veramente l'orrore.

siu ha detto...

Avrei preferito tacermi per sempre, ma l'accenno finale di Irene alle sue fatiche fa sorgere un dubbio e azzardare, se posso permettermi, un'ipotesi: che forse non sempre sono focalizzate in modo da centrare l'obiettivo...
Ad esempio, tutto si potrà dire, ma non che Besugo, nell'evidenziare il 27 febbraio 2009 19.04 le sue considerazioni, quelle che mi erano sembrate importanti, non fosse stato chiaro. Ci aveva messo pure le lettere: a), b) e c).
Geniale.
E grande ingenuità, devo riconoscerlo, da parte mia, credere che i riferimenti, cioè 'ste benedette considerazioni da cui ero partita, si capissero al volo semplicemente dal (senso del) mio commento (28 febbraio 2009 17.08).

Allora, eccole qua (versione originale):

"a) I commenti che compaiono sul sito, sono soggetti a verifica preventiva della Redazione.

b) Occorre prenderne atto che il distacco siderale della prosa e del sentire manifesto dell'anonimo, dalla prosa e dal sentire dall'articolo pubblicato dal Professore Stefano Racheli, qualifica il redattore dell'intervento citato.

c) Comunque se la Redazione ha accolto l'anonimo del 25 febbraio 2009 13.24, ha fatto bene a dargli questa opportunità, poché anche questo é un modo per confrontarci con il mondo che ci circonda senza sentirci elittari del bel pensiero."

Tanti saluti...
siu

Anonimo ha detto...

Signora Siu,
il tono dell'intervento di Besugo era evidentemente ironico...ma anche questo, a quento pare, nelle sue granitiche certezze, le è sfuggito. L'intolleranza e la mancanza di rispetto ammantate da tolleranza non sono, a mio avviso, da incoraggiare. E il senso del suo intervento sarà chiaro a chiunque vorrà rileggerlo. E' scritto nero su bianco. Ho concluso il mio intervento con quell'umiltà e disponibilità, oltre che cortesia che a quanto pare, a lei, mancano.
E con ciò considero conclusa questa spiacevole discussione, scusandomi con Besugo per averlo coinvolto.

Irene

Anonimo ha detto...

la signora Siu,nella sua correttezza e infallibilità, ha "dimenticato" di citare il passo finale dell'intervento che lei reputava "importante":

"Irriguardoso Anonimo del 25 febbraio 2009 13.24 Ti prego di accetta il mio benvenuto nella comunità di questo Blog che generosamente accoglie anche i miei strafalcioni"

saluti, sorry anche a lei

Irene

Annalisa ha detto...

Cara Irene,

ho capito bene quello che intendi e ti ringrazio per averlo espresso con chiarezza. Il problema è che quella per me non è vita, quella è una persona morta che è tenuta in vita artificialmente. E questo è un punto molto delicato, perché con le tecniche che abbiamo e che avanzano, potremo arrivare a tenere in “vita” artificialmente per decine di anni le persone. Si tratta di accettare che a un certo punto è la natura a decidere e non la tecnica.


Ci sono infinite cose che non sappiamo, che non capiamo, e che non possiamo governare.
Ma nella vita, la cosa più preziosa che abbiamo è la libertà di coscienza, il libero pensiero, il libero arbitrio. Ciascuno di noi ha questa libertà che però è anche un fardello, una responsabilità.
Infatti molti preferiscono affidarsi a verità preconfezionate e farsi dire da altri in che cosa credere. Conserviamo sempre la nostra autonomia di giudizio, assumendoci la responsabilità delle nostre scelte e delle nostre azioni.
E’ un esercizio davvero molto difficile, ma è l’unica cosa che rende la nostra esistenza degna di essere vissuta.

Besugo ha detto...

Nell'intento di fare chiarezza, ritengo sia necessario precisare che:

Il besugo o occhialone, è un pesce tipico ligure dalle carni squisite. Il termine, in dialetto genovese, viene usato anche nell'intercalare tipico in varie forme : quella semplice "t'è in besugo", quella più decisa "t'è proprio in besugo" o quella più colorita "belinun d'un besugo che nu t'è atru".

Generalmente viene utilizzato nei confronti di quella persona un po' fessacchiotta che resta stupita di fronte ai casi della vita quasi non vivesse nel mondo reale.

Vi garantisco che nel mare e non solo, siamo proprio tanni.

Besughi intendo.

Saluti
Stefano

siu ha detto...

...non sono una signooraaaa....

Anonimo ha detto...

Io che sono una foglia d'argento
Nata da un albero abbattuto qua
E che vorrebbe inseguire il vento
Ma che non ce la fa
Oh ma che brutta fatica
Cadere qualche metro in là
Dalla mia sventura
Dalla mia paura
E' un volo a planare
Per esser ricordati qui
Per non saper volare
Ma come ricordarlo ora...
Non sono una signora
Una con tutte stelle nella vita
Non sono una signora
Ma una per cui la guerra
Non è mai finita
Non sono una signora
Una con troppi segni nella vita
Oh no, oh no...
Non sono una signora

Anonimo ha detto...

Forse arrivo un po' tardi ma guardate cosa ho trovato...

“L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati ottenuti può essere legittima. Si rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni spettano al paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o altrimenti a coloro che ne hanno legalmente diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.”

Cardinal Joseph Ratzinger, catechismo della Chiesa cattolica, 1994, par. 2278.

Come si sposano queste parole con quello che sta succedendo nel nostro paese? Ha cambiato idea? E' stato frainteso? Si usa la religione come paravento per nascondere altro?
Buona riflessione.

Ben ritrovati a tutti
Consuelo

menici60d15 ha detto...

Questionario immaginario ai magistrati sul testamento biologico

Con le sentenze, come quella che ha permesso la morte di Eluana Englaro, e con gli interventi informali i magistrati stanno avendo un ruolo importante nel processo che sta portando all’introduzione del testamento biologico. Un processo culturale e legislativo che forse non è stato ben definito, nonostante abbia occupato tanto spazio sui media e sui blog. Il presente questionario, che si immagina distribuito a tutti i magistrati, è rivolto a illuminare alcuni dei tanti, troppi, aspetti lasciati in ombra (o attivamente soppressi) dalle forze che hanno animato il dibattito.

1) Il testamento biologico sta venendo trattato sotto l’aspetto bioetico, giuridico, religioso, filosofico. Ritiene che tale approccio sia completo, che non sia eccessivamente astratto, e che non tralasci aspetti fondamentali?

2) Si è scritto che il “diritto a morire” potrebbe divenire un “dovere di morire”. Di recente un’importante bioeticista britannica, baroness Warnock, ha sostenuto apertamente proprio questo: che i soggetti con l’Alzheimer hanno un dovere di morire, dato il peso che costituiscono per i familiari e per il sistema sanitario nazionale. La possibilità di restare più a lungo biologicamente in vita è dovuta solo in parte a tecnologie mediche, e non coincide con la distribuzione dei consumi medici ottimale per gli investitori. Considera plausibile che crudi calcoli contabili, legati agli enormi interessi sulla spesa medica, e all’invecchiamento della popolazione, abbiano un peso nella questione del testamento biologico ? Le risulta che il motivo economico sia stato adeguatamente preso in considerazione, valutato e discusso, o anche solo sfiorato, dai magistrati che si sono interessati al problema? Ritiene possibile che un movente puramente economico possa essere alla base dell’esplosione mediatica del caso Englaro e dei casi analoghi che sono sorti in altri paesi; ritiene possibile che gli aspetti etici, giuridici, filosofici, religiosi e sociologici mentre occupano tutta la scena non abbiano che un carattere strumentale, o quanto meno derivato (“sovrastrutturale” direbbero i marxisti)?

3) Ogni anno muoiono in Italia circa 550.000 persone, delle quali oltre 120.000 per tumore. Nel 2004 circa il 51% dei decessi ha riguardato ultraottantenni. Le persone in stato vegetativo sono circa 1.500. I casi di SLA sono circa 5.000. Il dibattito riguarda il cosiddetto “testamento biologico”, che è di interesse generale. I casi pubblici sulla volontà del paziente a fine vita, come Welby ed Englaro, riguardano però le forme estreme di condizioni patologiche particolari, che sono statisticamente poco frequenti, particolarmente innaturali sul piano clinico, altamente impegnative sul piano bioetico, impressionanti su quello emotivo: la crudele dissociazione totale tra mente e corpo della sclerosi laterale amiotrofica per Welby, che ricorda l’angosciante film “E Johnny prese il fucile”; le persone giovani che sopravvivono a lungo in uno stato vegetativo, come trasformate in piante per una maledizione mitologica o fiabesca, per Eluana. In realtà la grande maggioranza dei testamenti biologici riguarderà non queste singolari lungodegenze, ma i comuni malati terminali e le Rianimazioni, come già avviene da anni in USA. Riguarderà principalmente la durata e la velocità del comune decorso in discesa verso la morte; e solo secondariamente i casi di “agonia statica” come Welby e Englaro; che sono casi molto diversi, sotto tutti gli aspetti, dal comune modo di morire, e dal frequente attardarsi sulla soglia della fine. Non ritiene che un approccio razionale e onesto prima punterebbe a risolvere i problemi di fine vita per la massa dei casi comuni, la routine; e dopo, avendo una base, passerebbe ai casi più rari e difficili, i casi di scuola? Ritiene che sia corretto generalizzare, sul piano logico, etico, legislativo e giudiziario da questi casi particolarissimi ed estremi alla popolazione generale, che nella maggior parte dei casi muore in un ospedale per acuti, in genere in età avanzata, a seguito del precipitare di condizioni legate alle comuni patologie croniche? Non ritiene che stavolta l’espressione tanto abusata “non fare di tutta l’erba un fascio” sarebbe invece pertinente, e che non distinguere in base alla condizione del paziente possa portare a conseguenze inattese? Ritiene che tale generalizzazione sia un caso? Il suo fiuto di inquirente o di giudice le dice qualcosa riguardo alla possibile presenza di una regìa, di intenzioni e interessi non necessariamente leciti che pilotano il dibattito?

4) “La questione della “living will” [l’omologo del testamento biologico] non sarebbe mai sorta se le cure terminali non fossero state trasferite negli ospedali e medicalizzate”. Questa elementare affermazione di un medico anglosassone appare essere considerata superflua nell’attuale dibattito. Ritiene che come magistrato, che deve solo applicare la legge, Lei è esentato dal considerarla? La gente, che sul piano epidemiologico nella storia non è mai stata mediamente tanto in salute, visti i casi Welby ed Englaro si sta orientando in direzione di forme di eutanasia; addirittura alcuni stanno pubblicando il proprio testamento biologico con un video su Youtube. Sembra che molti ora temano non più solo la morte, ma temano di fare la morte del sorcio; di finire come quei marinai bloccati in sommergibili che non potevano più risalire, che preferirono suicidarsi. Ritiene come magistrato che ai cittadini stia venendo presentata una scelta equa? Che siano stati correttamente informati sui termini della questione e su tutte le possibili opzioni? Che stiano venendo spaventati e diseducati per poi forse essere frodati? Davanti ad un esposto per la pubblicazione di notizie tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico, o per il pericolo di istigazione al suicidio, avrebbe qualche esitazione, qualche commento non negativo prima di farlo archiviare?

5) Ritiene che i magistrati abbiano tenuto sufficiente conto degli effetti mediatici e culturali delle loro decisioni? Che abbiano tenuto in dovuto conto le conseguenze delle loro prese di posizione pubbliche rispetto a fattori economici nascosti, rispetto alla attuale condizione di medicalizzazione delle fasi terminali, e riguardo agli effetti della generalizzazione da casi limite?

6) Ritiene che i magistrati abbiano ben impiegato sull’argomento il loro patrimonio di conoscenze dottrinali ed empiriche? Date le sue conoscenze giuridiche, le pare limpida l’espressione “testamento biologico” per delle volontà da assolvere quando il testante è ancora in vita, almeno biologicamente? Ritiene utile e appropriato considerare sul piano giuridico il testamento biologico come una specie di liberatoria (ciò che in pratica è il consenso informato); o provare a vederlo, in una simulazione teorica, come un contratto a titolo oneroso, nel quale gli interessi non sono solo quelli del paziente, ma vi è uno scambio? Come esperto in contratti, non ritiene che possano esserci condizionamenti e interessi nascosti che danneggiano il contraente debole, tanto da rendere il contratto nullo?

7) Ritiene che i magistrati abbiano applicato il loro potere istituzionale con pari attenzione sulla tematica del fine vita al di fuori dei casi mediatici come Welby e Englaro? Le risultano indagini sulla qualità delle cure ospedaliere per i pazienti terminali? Crede che tutti i morenti vengano trattati coi guanti come Eluana? Che nella realtà non accada che si muoia negli ospedali in condizioni banalmente terribili?

8) Il dibattito è stato rappresentato come uno scontro tra posizioni “laiche” (favorevoli al testamento biologico) e cattoliche (contrarie, o restie). Ritiene che tale dualismo sia esaustivo delle posizioni possibili sul piano teoretico? Ritiene che il dibattito in corso sia realmente rappresentativo di posizioni dottrinali che si rifanno alla cultura laica alta e agli insegnamenti del Vangelo? Immagini una tabella 2x2 sul testamento biologico (o sull’eutanasia), che abbia come intestazione delle 2 colonne “favorevole”e ”contrario”, e come intestazione delle 2 righe “buone ragioni”e ”ragioni immorali”. Saprebbe riempire con delle spiegazioni le 4 caselle “favorevole per buone ragioni”; “contrario per buone ragioni“; “favorevole per ragioni immorali”; “contrario per ragioni immorali” ?

9) Ritiene che tutte le 4 possibilità descritte sopra siano state sufficientemente esaminate? Che si possano ridurre alla semplice dicotomia laici/cattolici? Ritiene che ci sia stato un appiattimento su posizioni convenzionali a scapito di altri punti di vista, sgraditi alle parti forti, ma forse non meno importanti e utili per i pazienti? Non ritiene intellettualmente codardo, e poco laico, propugnare la morte per inedia e allo stesso tempo ignorare i temi, più vasti e ben più antichi, dell’eutanasia e del suicidio quando la malattia fa sì che la vita venga percepita come inaccettabile o non più degna di essere vissuta? Forse esiste oggi una patologia iatrogena del fine vita, alla quale è limitato il dibattito in atto: la “agonia statica indotta artificialmente”. “L’incrodato” è l’alpinista fermo su una parete, che non riesce né a salire né a scendere. E’ davvero un sistema civile quello che provoca tali casi di “incrodati” e poi, ritirando le cure, si allontana e li lascia lì? Abbiamo creato un generatore di mostruosità prevedibili, che conferiscono all’eutanasia valore terapeutico? Non ritiene d’altro canto sventato e irresponsabile, soprattutto nel nostro sistema economico “senza pietà e senza sogni” (W. Benjamin), che si tralasci il principio aconfessionale della sacralità del corpo umano, baluardo contro le mai spente pulsioni discriminatorie e omicide della nostra specie (es. le soppressioni a fini eugenetici)?

10) Le posizioni laiche hanno per araldi figure come Umberto Veronesi, che dirige istituti clinici e di ricerca strettamente legati alla grande finanza e al profitto; e Ignazio Marino, grande sostenitore degli espianti a cuore battente. Le posizioni cattoliche corrispondono ad un’istituzione, la Chiesa cattolica, che ha anch’essa grandi interessi materiali sul tema, date le migliaia di ospedali cattolici. Ritiene che i due contendenti siano liberi da conflitti d’interesse? Ritiene che ciò che viene presentato come un dualismo insanabile laici/cattolici sia veramente tale sul piano pratico?

11) Nella ridda di pareri, vi è qualche flebile voce che se potesse farsi sentire sosterrebbe che il caso Englaro è un altro esempio di un teatrino laici-cattolici che è ormai consueto su temi di bioetica, e che ricorda i finti litigi che alcuni imbonitori inscenano tra loro per attirare l’attenzione del pubblico e convincerlo ad acquistare un prodotto. Ritiene che dietro le quinte possa esservi una vicinanza tra le forze “laiche” e quelle “cattoliche”, e una convergenza di interessi nell’introdurre presso l’opinione pubblica l’idea della necessità di accorciare le fasi terminali, in una forma più dipendente dai loro interessi che da quelli dei pazienti? Ritiene possibile che entrambi, con stili e accenti diversi, siano interessati ad un controllo di tipo “biopolitico” sulle ultime fasi della vita, e che la scelta tra le due posizioni ufficiali sia in realtà una falsa scelta, con un esito finale simile per il paziente nella gran parte dei casi?

12) “Paura di finire come Welby o Eluana, eh? Bene, quando arrivi vicino alla morte se vuoi ti stacco la spina; sempre che io dia l’OK dichiarando le tue condizioni tali da rendere applicabile il testamento biologico [dipende da quanto mi rendi nei due casi]”; “Sacrilego! Non puoi scegliere di morire [ergo sei in mio potere; e ti uso come supporto per lucrose terapie mediche quanto mi pare, in nome della difesa della vita; e siccome dopo il dibattito sul testamento biologico si sa che l’accanimento terapeutico è una brutta cosa, e anch’io lo considero immorale, se - come al mio concorrente laico - mi conviene liberare il tuo posto letto ci vorrà davvero poco, ridotto come sei]. Ritiene che tali posizioni abbiano alcunché a che fare con la trasposizione delle posizioni “laiche” e “cattoliche” nella realtà pratica?

13) E’ noto che in medicina non sempre gli interessi del paziente vengono al primo posto. I magistrati favorevoli alle rigide tesi cattoliche ritengono che la medicina praticata nell’ospedalità cattolica si distingua sostanzialmente da quella laica, e che tale differenza comporti una maggiore carità per il paziente, e un maggior rispetto per la persona? Ritengono che le cure negli ambulatori e nei reparti degli ospedali cattolici sono riconoscibilmente diverse da quelli laici, sacrificando vantaggi economici a favore di principi etici e religiosi, e fornendo quindi un fondamento tangibile e universale, nelle opere e non nella fede, alla pretesa della Chiesa di essere guida morale su questi temi? Le risulta una tendenza del clero a esercitare un controllo fine a sé stesso sulle persone, in particolare su quelle istituzionalizzate o in stato di dipendenza?

14) La magistratura appare orientata in buona parte sulla posizione “laica”. In un convegno di Magistratura democratica sui casi Welby ed Englaro tenuto presso l’aula magna del palazzo di giustizia di Milano il 16 feb 07 Veronesi ha sostenuto che i laici e i cattolici non sono dotati allo stesso modo, e che i medici “colti e consapevoli” andrebbero dalla sua parte. In effetti “cretino” viene da “chretienne”; molti cristiani appaiono come dei creduloni manovrati da un clero scaltro che mentre si dice portavoce del messaggio di Cristo prospera nel fango di questa terra. Condivide tale giudizio sulla superiorità dei laici? Questo aggregarsi sotto la bandiera di Veronesi è vera laicità o si tratta di posizioni “midcult”, di adepti guadagnati alla causa con la lusinga del titolo chic di “laico”? Ritiene che i “chretiennes” siano solo cattolici, o che ce ne siano tanti anche tra i laici, incantati dalle nuove imposture dei nuovi maghi col camice bianco, e seguaci dei sacerdoti della nuova risplendente religione scientista?

15) In USA l’avere compilato un ordine DNR (Do not resuscitate) risulta associato a povertà e ridotta possibilità di accedere alle cure terminali. I magistrati progressisti sono sicuri di stare dalla parte giusta stando dalla parte di Veronesi, cioè di Capitalia, Unicredit, Italcementi etc. ? Sono sicuri di non essere affetti dalla tendenza della sinistra italiana a farsi alfiere degli interessi del grande capitale ? Di non praticare la fine arte degli ex-PCI di cavalcare temi all’apparenza progressisti che in realtà servono interessi reazionari?

16) Le capita mai di avvertire una netta differenza e un ampio scollamento tra il dibattito in corso su Eluana Englaro e i sottostanti problemi etici del fine vita? Di provare un senso di nausea per il contenuto e i toni del dibattito, per le fiaccolate pro morte per sete e fame da un lato e i rosari a favore del dominio su un corpo senza persona dall’altro ? Ha l’impressione che i problemi etici reali del fine vita nonostante il gran parlare vengano poco sviluppati, e che anzi siano schiacciati da un dibattito artificioso e grottesco, sostanzialmente rozzo e primitivo, nel quale prendere posizione è ingannevolmente facile? In tal caso, si sente personalmente impreparato sulla soluzione dei formidabili problemi etici reali del fine vita che vengono alla luce una volta rimosso il cumulo costituito dal dibattito mediatico sul caso Englaro?

La redazione di “Uguale per tutti”, nell’introdurre l’editoriale sotto il quale il presente questionario è stato inserito come commento, fa appello alla capacità di farsi domande sul caso Englaro. L’autore del questionario, che risponderebbe affermativamente al punto 16, dispone di un surplus di dozzine di domande sul tema. Ai magistrati che rispondessero al presente questionario verrà inviato su richiesta un questionario omaggio, meno blando, con altre domande sulle responsabilità e gli interessi della magistratura nell’appoggiare l’introduzione del testamento biologico. All’occorrenza si possono preparare questionari con domande specifiche per il pubblico, per gli intellettuali e i bioeticisti, e per i giornalisti e i bloggers che discutono del testamento biologico.

Besugo ha detto...

Fango e grida davanti alla morte è un' italia che non mi appartiene

Besugo ha detto...

Eluana è morta, Eluana ora vive (libera parafrasi di Isaia 53)

"Laudato sie, mi signore, per sora nostra morte corporale"

Besugo ha detto...

Eluana, don Franco Barbero: “Una Chiesa disumana”

Anonimo ha detto...

menici60d15 ha detto...(9 marzo 21.10
"Questionario immaginario ai magistrati sul testamento biologico"
Quello di replicare, in un confronto/dibattito e non solo, con un solerte (non questa volta ) e chilometrico sermone è un classico dei tanti predicatori della chiesa vaticana. Che appunto deve prevaricare, anche quantitativamente, con precetti antichi e anacronistici, datati (dopo "secoli...rizzati"). Per la verità anche alcuni magistrati, piuttosto suscettibili (diciamo anche permalosi e/o insofferenti... vedi quelli di Catanzaro o quelli finiti nel mirino del sarcastico PG Dragotto, seppur nel totale anonimato: possibile che non abbiano compreso che l'ironico PG l'abbia fatto per l'interesse della categoria?)sono dalla risposta pronta, scattante, anche quando umilmente dovrebbero zittirsi. La laicità è una sorta di "sdoppiamento" della persona, un dover uscire dall'ego (sum), dal corpo come pare succeda ai soggetti in stato di coma REVERSIBILE, come un giudice terzo, che sentenzia con distacco , senza fede...di parte; è "laico" mons Fisichella sul Brasile e gli ispani sull'aborto ...? non lo è stato, un anno fa, neppure sulla tanto discussa presenza in tv, che di fatto dava ragione a Pannella: "La Stampa ha anticipato di due giorni, rispetto alla conferenza di presentazione di sabato, i dati del Centro d'Ascolto dell'Informazione Radiotelevisiva, in base ai quali dall'elezione di Joseph Ratzinger (19 aprile 2005) il tempo dedicato dal Tg1 al Vaticano è secondo solo a quello dedicato al governo e precede i minuti riservati al presidente del Consiglio e al Capo dello Stato. Tali dati, assoluti e relativi, riguardano le presenze in voce e notizie che hanno per oggetto interventi e spazi del Papa e di autorità vaticane dal 19 aprile 2005 al 14 gennaio 2008. Il confronto viene fatto con i dati delle presenze di altri soggetti istituzionali, quali la Presidenza del Consiglio e la Presidenza della Repubblica. Le diverse statistiche citate dal Tg1 riguardano, invece, esclusivamente il periodo dal 1° gennaio al 30 giugno 2007, cioè sono relative al tempo dedicato alle «religioni e alle questioni religiose» nei primi sei mesi del 2007. Mancando sia il periodo dal 19 aprile 2005, sia l’ultimo semestre non smentiscono, dunque, i dati del Centro d’Ascolto, secondo i quali in quattro tg su sei (incluso il Tg1) Benedetto XVI ha avuto più interventi in voce del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano". [GIA. GAL.]-------- Ma il tam tam dei giornalisti per amplificare il messaggio della Cei non è nuovo. Anzi...circa 10 anni fa , Lucio Colletti, parlamentare di Forza Italia (ex Pci) esprimeva pessimismo sulla laicità dello Stato che, se "fagocitato dalla Chiesa", rischiava d'implodere per la gara fra partiti "a candidarsi come la voce del Papa"; "Il laicismo è al collasso"..."anche per l'ambiguità della sinistra che partecipa all'inseguimento della Chiesa...che finisce per incombere come una presenza massiccia e forte"; "...i laici non avranno più voce". Dopo qualche anno è venuto a mancare (?)...
Due anni dopo...il timbro di voce naturale di protesta degli abitanti di Cesano, per le onde elettromagnetiche di Radio Vaticana, che Bordon voleva ridimensionare, non ottenne nessuna cassa di risonanza da parte del Csx al governo (?): silenzio assordante.
Utopie da Don Chisciotte, si disse a Palazzo Chigi...salvo Salvi; persino il "verde" Chicco Testa (o testa di Chicco, per Sgarbi) si dissocia da Bordon, l'atea Margherita Hack lo sostiene...a differenza di Veronesi (che lascia il dicastero della Sanità) che si "converte" per guadagnarsi il "purgatorio" dopo lo scontro con la Santa Sede sugli embrioni e il loro utilizzo; mentre Mirabella per aver parlato di "onde malefiche" fu redarguito da un mezzo prete al servizio del mandante occultato tra le alte gerarchie curiali.
In sostanza alla Chiesa non interessa il corpo (danneggiato dalla onde...) ma l'anima e il Dio...denaro-mediatico.
E così (sia?) ai primi d'agosto del 2005, il presidente (ora portavoce del Papa)e il direttore generale di Radio Vaticana vengono condannati a 10 giorni di arresto per "getto pericoloso" ("molestie, disturbi e disagi , giuridicamente rilevanti per la propagazione di onde elettromagnetiche)!-----------
i Biffi, i Ruini, i papi sbagliano anche quando pretendono "reciprocità" da parte di...popoli per loro (con l'alleato politico Berlusconi di "civiltà superiore"??!! costretto ipocritamente a sostenere il caso Eluana con basso profilo etico, e morale!) ritenuti inferiori (infatti vengono trucidati... nel Ruanda 36 preti cattolici furono accusati di genocidio: alcuni rifugiatosi in Italia). Il V/s "errore originario" o "peccato originale" sta nel termine, nella parola cattolico/a (universale?), sta il peccato di presunzione, di depositari (con arroganza) della verità ASSOLUTA, non negoziabile! Sia nello "stesso" contesto del cristianesimo (il cattolicesimo è una delle tante confessioni, la catechesi di una dottrina, di un dogma) che all'interno delle sagrestie,...e quando qualcuno, fuori dal coro, osa denunciare... con un libro ("Via col Vento in Vaticano" 1999, firmato "I millenari" con a capo mons.Luigi Marinelli, in pensione) la sete di potere di alcuni della Curia, viene processato dalla Rota Romana previo sequestro del libro.
Più giusto e razionale il "relativismo etico", la relatività che mi ricorda la teoria del grande Einstein...che l'ha dimostrata e trasmessa senza imporla.
Mi parve "provvidenziale" l' aiutino (dall'"alto") del DIONESALVI (?), autore della rubrica "Sombrero" su di un quotidiano che il 28/02/08 intitolava "Tutto è relativo". Parla di Ferrara, "ateo molto devoto...che ha baciato l'anello del papa" e del "relativismo... come uno dei mali del nostro tempo", ma che lui... e afferma: "è una delle conquiste del pensiero più importanti degli ultimi secoli", continua: "la tua idea non è uguale alla mia, ma io mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerla". E chiosa: "Le parole sono importanti. E bisogna ricordare quella che si oppone perfettamente al relativismo. Si chiama assolutismo".---------------- Nessuno scandalo...se il relativismo fosse inteso a 360° e non a corrente alternata e/o double-face! (mentre scrivo ascolto padre Thomas Reeve, che - appunto - la sa lunga in diplomazia...in collegamento con "In 1/2 ora").
Io mi scandalizzo per i soldi "sottratti" in vario modo dai partiti ma anche, o di più, se il 35% su l'8x1.000 versato per scelta alla Chiesa poi con un calcolo (diabolico) del tipo "asso pigliatutto" o "moltiplicazione...)si trsformi di fatto nell' 89,6%!
Questa è (toria)"quantistica"... RELATIVA ai quanti, però.
PS Ipocritamete ci si preoccupa (del corpo) in punto di morte e qualora dignitosamente voglia farla finita (raramente); mentre nessuno muove un dito per le migliaia persone (corpi sani!)sulle strade e sul lavoro; si è indifferenti anche verso i suicidi annunziati. Ma guai a chi , umiliato da una condizione vegetativa, vuol "staccare la spina": all'accanimento terapeutico segue il monito della bioetica (troppi, da "grasso che cola", dei tanti Sgreccia), ci si ricorda del valore della vita alla fine (?!) con sentenze severe in nome dei "diritti umani"?; cui non mancano giudiza moralistici della società opulenta e spietata. Il tutto anche ad uso e consumo della scienza applicata (tecnologie!) che ti "uccide da vivo" e che "ti tiene in vita da morto". Con il placet dei Pilati: terreni e dell'Aldilà.