di Nicola Saracino
(Magistrato)
Come annunciano le agenzie di stampa i colleghi Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi sono stati trasferiti rispettivamente al Tribunale di Cassino e al Tribunale di Latina; gli interessati avevano indicato sedi libere più vicine ai luoghi di residenza, come Napoli, Avellino o Benevento, in considerazione della circostanza che entrambi hanno figli, anche in tenerissima età.
Nell’esecuzione del trasferimento cautelare non si può trascurare che quello disposto dalla Sezione Disciplinare è un trasferimento provvisorio, caducabile in qualsiasi momento, la cui funzione è essenzialmente cautelare; esso è giustificato dalla sola esigenza di evitare la reiterazione delle condotte sanzionabili.
Incorrerebbe in evidente contraddizione chi, invece, affermasse che il trasferimento provvisorio costituisce un’anticipazione dell’esito finale del procedimento disciplinare, ciò essendo in aperto contrasto con la funzione cautelare che si dipana nell’ambito di un procedimento sanzionatorio.
Soltanto nella materia civile, infatti, ha senso discettare di provvedimenti cautelari anticipatori della sentenza; nel procedimento disciplinare, invece - sia per effetto del rinvio alle norme del codice di procedura penale, sia per l’ovvia operatività dei principi generali del diritto punitivo - la funzione delle misure cautelari è essenzialmente diversa, tendendo, per l’appunto, a prevenire il ripetersi di condotte disciplinarmente rilevanti ovvero a ripristinare l’equilibrio della funzione giudiziaria che s’ipotizza turbato da condotte disciplinari indiziariamente predicabili a carico del magistrato il quale, tuttavia, non è stato (ancora) riconosciuto colpevole e nei confronti del quale non si giustificherebbe l’anticipata esecuzione della condanna.
Solo liberandosi da questo preconcetto di fondo è possibile pervenire a soluzioni corrette anche in punto di esecuzione della misura cautelare.
Deve quindi essere evitato il fuorviante accostamento tra il trasferimento cautelare “provvisorio” (per definizione interinale ed instabile) e la sanzione accessoria del trasferimento d’ufficio: l’esecuzione del primo è regolata dal contemperamento tra le esigenze cautelari e la necessità di provocare il minore svantaggio al magistrato; l’esecuzione della seconda (cfr art. 13 comma 1 del Decreto Legislativo n. 109/2006), vera e propria sanzione, seppure accessoria, è collegata al pieno accertamento della responsabilità dell’incolpato e presuppone il passaggio in giudicato della condanna, che conferiscono al trasferimento il carattere della stabilità, il solo che consente di fare riferimento alla ordinaria disciplina del trasferimento del magistrato (a domanda, o d’ufficio per incompatibilità ambientale).
Ciò premesso, per non assegnare alle misure cautelari improprie finalità afflittive, è d’obbligo attenersi al dettato normativo evitando di introdurre sacrifici degli interessi e delle esigenze del magistrato ulteriori e diversi rispetto a quelli espressamente consentiti dalla legge, in una fase del procedimento disciplinare nella quale si è, per definizione, lontani dal pieno accertamento delle responsabilità dell’incolpato.
L’art. 13 comma 2 del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006 n. 109, nel prevedere il trasferimento di sede e/o di funzioni, non pone alcun vincolo di carattere “geografico” e, quindi, la cautela deve attuarsi col minor disagio per il magistrato che vi è sottoposto, compatibilmente con la disponibilità di posti vacanti.
L’art. 22 del citato Decreto (che non contempla il mutamento di funzioni ma solo il trasferimento di sede) dispone nella seconda parte del comma 1: “Nei casi di minore gravità il Ministro della giustizia o il Procuratore Generale possono chiedere alla sezione disciplinare il trasferimento provvisorio dell’incolpato ad altro ufficio di un distretto limitrofo, ma diverso da quello indicato nell’articolo 11 del codice di procedura penale”.
A tale specifica previsione, dunque, occorre dare un senso logico, per spiegare la differenziazione della disciplina con particolare riferimento all’impossibilità di assegnare il magistrato ad un ufficio del distretto dove è ubicato quello competente ex art. 11 c.p.p.. Soccorrono, allora, i soliti criteri dell’interpretazione letterale e sistematica, anche a mente del fenomeno della successione delle leggi nel tempo.
Deve, infatti, rimarcarsi che la seconda parte del primo comma dell’art. 22, prevedente il trasferimento cautelare, è stata introdotta dall’art. 1, comma 3, lettera n), L. 24 ottobre 2006, n. 269; l’innesto è avvenuto nell’ambito di un articolo che, originariamente, non contemplava il trasferimento, riguardando soltanto la sospensione cautelare facoltativa, da applicarsi nelle due alternative ipotesi della sottoposizione del magistrato a procedimento penale, ovvero dell’ascrivibilità di fatti disciplinarmente rilevanti incompatibili con l’esercizio delle funzioni (di qualsiasi funzione).
L’assetto normativo delle misure cautelari, prima dell’innovazione, era il seguente: al magistrato al quale fossero stati ascritti solo illeciti disciplinari, non costituenti reato, era applicabile il trasferimento cautelare già previsto dall’art.13, ovvero la sospensione cautelare prevista dall’art. 22; al magistrato sottoposto a procedimento penale, invece, risultava applicabile esclusivamente la più grave misura della sospensione dal servizio.
Di qui l’interpolazione, testualmente riferita ai “casi di minore gravità” che consente, oggi, l’applicazione della più tenue misura del trasferimento cautelare, in luogo del sia pur temporaneo troncamento del rapporto di servizio anche nelle ipotesi di sottoposizione del magistrato a procedimento penale.
E’ agevole, a questo punto, cogliere che le ipotesi relative alla ascrivibilità di fatti disciplinarmente rilevanti risultavano, all’epoca dell’emanazione dell’art. 1, comma 3, lettera n), L. 24 ottobre 2006, n. 269, già espressamente contemplate dall’art. 13 del d. lgs. n. 109 del 2006 tra quelle legittimanti il trasferimento cautelare e provvisorio del magistrato e, pertanto, l’innovazione normativa risulterebbe priva di significato se correlata a questa categoria di presupposti.
Viceversa, l’aggiornamento normativo trae concreto e coerente significato solo se riferito alla diversa ed autonoma classe di fatti connessi alla pendenza di un procedimento penale a carico del magistrato, giacché solo per effetto dell’aggiunta apportata al testo originario, con un chiaro intento di favor, è divenuto possibile evitare la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, applicando il trasferimento cautelare; a ciò è collegato che il magistrato sottoposto a procedimento penale non possa essere assegnato ad un ufficio posto nel distretto nel quale si è già radicata la competenza a giudicarlo, ex art. 11 c.p.p..
Ne discende, allora, che tale limitazione territoriale, caratterizzante il trasferimento provvisorio dell’art. 22, opera solo quando il trasferimento sia determinato dalla pendenza di un procedimento penale contro il magistrato, sempre che il reato in concreto ascritto al giudicabile sia inseribile “nei casi di minore gravità”.
Risulta, al contrario, priva di ogni senso la stessa limitazione se rapportata alle ordinarie ipotesi di un procedimento disciplinare instaurato per fatti non costituenti reato.
Può, in definitiva, affermarsi che la modifica dell’art. 22 del d.lvo n. 109 del 2006 non ha affatto introdotto una nuova misura cautelare ma, più semplicemente, ha esteso l’operatività di quella già prevista dall’art. 13 comma 2 del Decreto legislativo n. 109/2006 ad ipotesi (sottoposizione a procedimento penale) originariamente escluse.
Se è unica la misura cautelare, unica ne è anche la disciplina, e quindi se all’interessato il trasferimento cautelare è stato applicato per ipotesi disciplinari diverse ed autonome rispetto alla sottoposizione a procedimento penale, ne deriva che non può trovare applicazione alcun “divieto” al trasferimento presso un ufficio di un distretto limitrofo, seppure astrattamente competente ex art. 11 c.p.p. rispetto ai procedimenti penali riguardanti i magistrati in servizio presso la sede a quo del trasferibile.
Se le notazioni che precedono sono plausibili, non si comprende quali siano le ragioni che hanno condotto il CSM ad imporre ai colleghi un disagio maggiore di quello necessario, e quindi a connotare la cautela come afflizione, costringendoli ad un trasferimento in sedi lontane (Cassino e Latina) dai rispettivi luoghi di residenza e questo sebbene vi fossero molti posti vacanti nei tribunali limitrofi a quello di Salerno.
18 commenti:
"Non si comprende, pertanto, quali siano le ragioni che hanno condotto il CSM ad imporre ai colleghi un disagio maggiore di quello necessario"
Oh si che si capisce, eccome se si capisce.
Luciana
si comprende... si comprende...
e poi qualcuno, di tutta questa dissertazione inappuntabile sotto il profilo tecnico, penserà (sotto metaforici baffi stalinistico-littori) che infondo Cassino è più limitrofa di Carbonia e Latina è più vicina de La Maddalena. O no? Certa gente non fa altro che lamentarsi... eh, hai miei tempi... quando i treni arrivavano in orario... allora si, caro lei :-]
Apicella luigi, Verasani e Nuzzi, martiri della ingiustizia Italiana, De Magistris e Genchi, perseguitati politici, Bruni esautorato.
La ragion di stato quando non uccide ma evita di far luce sulla criminalità e gli intrecci della corruzione istituzionale, non difende più i cittadini che sono al di sopra dello stato ma soltanto il potere di continuare a nascondere un sistema criminale.
Dopo l'uccisione di Borsellino e Falcone, ora il tiro è più raffinato e incisivo ma molto più pericoloso, è chiaro che la cancrena è arrivata al midollo e le metastasi stanno attaccando il cervello.
L'unica cura è una una operazione chirurgica.
Sono d'accordo con Nicola Saracino.
In particolare, ritengo che, ad interpretare diversamente le norme in questione, vi sarebbe una chiara incostituzionalità legata all'uguale trattamento riservato a chi è sottoposto a procedimento penale (e quindi non può essere trasferito nello stesso luogo in cui deve essere giudicato, con ulteriori problemi di competenza) e chi non lo è, e per il quale quindi non vi è alcuna ragione di imporre un sacrificio così rilevante.
Cara Cinzia,
in altre parole io direi molto chiaramente "muss es sein, es muss sein"( traducendo reversibilmente da destra a sinistra così è, così deve essere)... Vuoi mettere la coerenza di tale assunto contro tutte le eventuali disquisizioni di principio,di manifestazioni di senso comune? Queste sono vecchi arnesi da credenti e da idealisti ormai superati dai tempi o che vanno oltre il tempo!
Al prossimo incontro di noi "marziani" davanti al CSM.
C'è rimasto qualcuno altro da incolpare? Forse la Corte dei Conti che ha ufficialmente denunziato il dissipamento dei fondi!
Raffaele Zenardi
Spero sia stato notato che per l'A.N.M. parla sempre e solo Cascini e quasi mai Palamara.
Un motivo ci sarà.
Il C.S.M. poi è ormai condizionato da ciò che ha iniziato a fare (e magari adesso i togati non ne sono più tanto convinti) e che deve portare a compimento per la maledetta coerenza, che non sempre è una virtù.
Grazie dott. Saracino per aver precisato il concetto di trasferimento cautelare che, devo ammettere, non mi era molto chiaro. Non vorrei rubarle del tempo prezioso, ma mi piacerebbe porle una domanda (anzi 2) che forse sembrerà banale, ma per me non lo è.
Quanto tempo ha la Cassazione per esaminare il ricorso?
Qual è la relazione tra la pronuncia della Cassazione sul ricorso contro il provvedimento della Sezione Disciplinare del C.S.M. sul trasferimento cautelare ed il procedimento disciplinare vero e proprio? Mi spiego (se riesco): una pronuncia favorevole o sfavorevole della Cassazione, influenzerà il procedimento disciplinare? In che modo?
Per Annalisa.
Il termine per l'esame del ricorso da parte della cassazione è solitamente di sei mesi.
L'influenza della decisione della Corte sul procedimento disciplinare dipende dal suo concreto contenuto (se è rilevata una semplice anomalia processuale, l'annullamento dell'ordinanza nulla direbbe sul merito; sarebbe diverso se accogliendo il ricorso negasse l'applicabilità ai fatti esaminati di una norma disciplinare vera propria, di quelle che dicono cosa è punibile e cosa no.
Nicola Saracino
che vergogna...mi dispiace molto per questi magistrati, che hanno pagato a caro prezzo la loro dedizione alla verità.
Irene
Per Nicola Saracino: grazie mille per la pronta risposta.
Certo… sei mesi sono tanti per pronunciarsi su una misura “cautelare e provvisoria”….
Può accadere, per esempio, che il procedimento disciplinare si concluda prima della decisione della Cassazione? E in questo caso, che succede se la Cassazione nega “l'applicabilità ai fatti esaminati di una norma disciplinare”?
(Giuro che, dopo queste, non faccio altre domande...)
Processo ai magistrati
di Gianluca Di Feo
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/processo-ai-magistrati/2069228&ref=hpsp
Marco Travaglio su riforma Alfano della giustizia
http://www.youtube.com/watch?v=ZWE4vqzfF10&feature=related
Berlino: premio a Marco Travaglio per la libertà di stampa
http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/2009/02/26/berlino_premio_a_marco_travagl.html
Luigi De Magistris sulla riforma della Giustizia
http://www.youtube.com/watch?v=8ZHFMKnG1Pk&feature=related
Ascoltate Genchi, intervista, blog Beppe Grillo.
No comment.
segnalo anche
Eclissi della democrazia in Venezuela e Italia. Come la Spagna vede i due Paesi
http://www.sconfini.eu/Approfondimenti/eclissi-della-democrazia
Dopo avere ascoltato Genchi sul blog di Grillo (in particolare quello che dice sulla Procura di Roma) leggete questo articolo: i nodi vengono al pettine.
Così hanno salvato il Cavaliere
di Marco Lillo
Gli incredibili salti mortali della procura di Roma per archiviare il caso Berlusconi-Saccà. Con motivazioni smentite dai fatti
E ora chi lo va a dire ad Agostino Saccà? Per archiviare il procedimento contro il presidente del consiglio e l'ex manager di Rai Fiction, la Procura di Roma è stata costretta a smentire le affermazioni, la filosofia e la stessa ragione di vita del suo indagato. Uno dei pilastri sul quale poggia l'atto che chiede il proscioglimento per Berlusconi e per il manager Rai è infatti la mancanza della qualifica di "incaricato di pubblico servizio" per Saccà (l'altra è la mancanza della prova dello scambio, del do ut des, tra il manager e il premier). Per i pm di Roma Saccà non può essere corrotto, né da Berlusconi né da altri, perché la fiction Rai, il suo regno incontrastato fino al dicembre scorso, non è vero servizio pubblico. Esattamente il contrario di quello che il manager diceva in ogni conferenza stampa o intervista. Quando c'era da presentare l'ennesima soap sull'anoressia o sul a mafia, quando c'erano da difendere gli investimenti miliardari per produrre serie dalla durata sterminata, il manager Rai ha sempre detto con orgoglio: «Questo è il servizio pubblico». Siamo noi, spiegava Saccà ai giornalisti, che abbiamo raccontato agli italiani il romanzo popolare del '900. Siamo noi che abbiamo affrontato le vicende spinose della Seconda guerra mondiale e la storia dei Corleonesi. Saccà rivendicava con fierezza il suo ruolo di civil servant. Proprio quello che i pm romani gli hanno tolto per salvare lui e il premier.
PUBBLICO O PRIVATO?
Se la Rai con i suoi sceneggiati facesse servizio pubblico, Saccà sarebbe un incaricato di pubblico servizio soggetto (in caso) ai reati di corruzione e concussione. Per questa ragione i pm per prosciogliere Berlusconi e Saccà sono costretti a "degradare" la sua attività culturale. Per i pm romani solo la fase della trasmissione rientra nel servizio pubblico, non quella della produzione dei contenuti. Saccà quindi è un semplice manager "privato". Alle sue eventuali malefatte si applicano le blande norme riservate ai dirigenti di Mediaset, non quelle rigide che disciplinano l'attività dei capi dei ministeri dell'Anas o dell'Enel. Saccà, dicono i pm, può fare quello che vuole quando sceglie le attrici pagate con il canone degli italiani. Può privilegiare le protette del Cavaliere e sacrificare quelle considerate dagli altri più brave. Non c'è nessun problema. In fondo nessun pm contesterebbe un simile comportamento a Piersilvio Berlusconi e ora, se la giurisprudenza elaborata a Roma prenderà piede, nessuno potrà contestarlo non solo a Saccà ma anche a Fabrizio Del Noce (Rai uno) o Giancarlo Leone (Rai cinema) e così via. Per tenere fuori Berlusconi e Saccà dal ginepraio nel quale si erano cacciati con le loro incaute conversazioni, la Procura di Roma ha fatto davvero i salti mortali. Le cinque paginette dell'archiviazione prontamente distribuite ai cronisti (dovrebbero essere segrete, ma evidentemente a Roma il segreto non tutela le indagini bensì gli indagati eccellenti) cancellano le massime della Cassazione e numerosi pronunciamenti di altri magistrati.
A partire dalla sentenza della Suprema Corte del 1996 sul caso Baudo-Lambertucci-Venier. Quando i presentatori televisivi furono accusati di concussione per i compensi extra richiesti agli sponsor per i loro show, si difesero negando la loro qualifica di incaricati di pubblico servizio. Ma, prima i pm poi i giudici e infine la Cassazione, stabilirono il principio in base al quale al di là della qualifica privata della società Rai e al di là del contratto privato delle star, rileva il fatto che in ballo ci sono soldi pubblici. Una massima che valeva quando si sottraevano risorse pubblicitarie alla Rai facendo la cresta sugli sponsor e a maggior ragione dovrebbe valere oggi con Saccà che - a differenza di Baudo e amici - non maneggia denari privati ma pubblici.
La procura di Napoli, forte di questo precedente, ma consapevole della delicatezza della questione, aveva blindato sul punto l'indagine chiedendo addirittura un parere a un luminare del diritto costituzionale, Michela Manetti, professore ordinario a Siena. La professoressa, al termine di un lungo studio della legislazione vigente, aveva concluso che Saccà è un incaricato di pubblico servizio. Da quello che è dato leggere nelle pagine distribuite ai cronisti, la Procura di Roma non ha degnato il parere
"La procura di Napoli, forte di questo precedente, ma consapevole della delicatezza della questione, aveva blindato sul punto l'indagine chiedendo addirittura un parere a un luminare del diritto costituzionale, Michela Manetti, professore ordinario a Siena. La professoressa, al termine di un lungo studio della legislazione vigente, aveva concluso che Saccà è un incaricato di pubblico servizio. Da quello che è dato leggere nelle pagine distribuite ai cronisti, la Procura di Roma non ha degnato il parere"
E' vero quanto scrive Marco Lillo?
una procura può chiedere pareri o consulenze giuridiche? non è come subappaltare il proprio lavoro di magistrati?
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