Riportiamo alcuni stralci del discorso del Consigliere del C.S.M. Giuseppe Maria Berruti all’inaugurazione dell’anno giudiziario presso la Corte d’Appello di Roma.
L’intervento integrale può ascoltarsi a questo link.
Il discorso offre, infatti, un interessante spunto per alcune riflessioni sulla difesa dell’indipendenza del magistrato.
“L’effetto più rilevante, che richiederà tempo, riflessione ed attenzione, da parte di chiunque ha a cuore il permanere di una giurisdizione non politica ma egualmente democratica, è l’inizio della messa a punto di un nuovo modello deontologico del giudice.
Le volute abnormità processuali, i gravi errori nella condotta del processo, la erronea valutazione della funzione giudiziaria e le invasioni di campo istituzionali ... rivelano la necessità di ribadire e di ragionare sulla attualità costituzionale della dipendenza del giudice dalla legge.
...
Perciò il giudice deve rammentare a se stesso, alle parti ed alle altre istituzioni, che il suo provvedimento non un atto della sua volontà: è un atto di cognizione. Egli dice cosa è la legge, applicandola, con l’arricchimento adeguatore della interpretazione, alla realtà che muta. Ma resta anzitutto atto di cognizione, perchè, ratio, valori ispiratori, logica di sistema, che il giudice deve ricostruire con la sua lettura della norma scritta, sono voluti da altri.
E’ il processo che condanna o assolve. E’ la prova che decide. Il giudice deve cercarla, accertarla o escluderla, applicando regole fatte da altri.
Dunque il C.S.M. deve poter accertare la adeguatezza della professionalità del giudice, unico strumento capace di fargli distinguere la legittima, per quanto opinabile soluzione del caso concreto, dall’invasione del campo che spetta ad altri poteri, o peggio, dall’arbitrario esercizio della forza dello Stato”.
E’ raro, e per questo prezioso, imbattersi direttamente nel pensiero di chi oggi ha il compito di giudicare disciplinarmente i magistrati.
Non mi faccio sfuggire l’occasione, quindi, per “sovvertire” gli enunciati del Consigliere Berruti.
Muovo, prima di ogni altra cosa, da una forte e sincera condivisione: “... il giudice deve rammentare a se stesso, alle parti ed alle altre istituzioni, che il suo provvedimento non un atto della sua volontà: è un atto di cognizione. Egli dice cosa è la legge, applicandola ...”.
Tanto sono convinto della forza e della validità di questa affermazione che ho l’ardire di pretendere che ad essa si uniformi anche il Giudice Disciplinare, al quale è richiesto di applicare la legge, mediante la sussunzione del fatto in una norma disciplinare, e di rassegnarsi alla propria impotenza se quella operazione non risulti plausibile, alla luce del dato normativo.
Se, invece, come sembra, il Giudice Disciplinare si assume il compito di mettere a punto “un nuovo modello deontologico del giudice”, egli a mio avviso supera quello stesso limite il cui rispetto esige dagli altri.
E così facendo esercita il suo potere al di fuori di ogni possibilità di controllo operando come un giudice politico, che propugna ed impone i “suoi” valori, al di là della stretta osservanza della legge.
Quei valori non sono immutabili. Dipenderanno dal momento, dagli umori, dalla volontà politica dominante.
Ed un solo giudice (perché uno solo è il giudice disciplinare) se ne farà interprete, condizionando, volutamente o meno poco conta, l’indipendenza dei magistrati italiani.
E’, quella per il rispetto della legge, oggi che la legge disciplinare è scritta, una battaglia contro i mulini a vento se la maggior parte dei colleghi si mostra insensibile al rispetto dell’autonomia del singolo magistrato, difesa che opportunisticamente denunciano come corporativa, quando sono proprio loro a seguire la logica del branco, di chi cioè si fa forte del numero degli aderenti e non delle personali qualità di indipendenza di ciascuno degli individui.
Quegli stessi colleghi, in realtà, fanno inconsapevolmente parte di un gregge perché come le pecore saranno divorati uno alla volta, dato che il Lupo è scaltro e non ha alcun interesse a spaventare l’intero gregge, che anzi blandirà.
La Costituzione ha voluto il giudice – inteso come persona – soggetto soltanto alla legge (art. 101) e l’ordine giudiziario autonomo da ogni altro potere (art. 104). L’indipendenza è qualità personale e valore individuale e come tale va difesa. Sacrificarla in nome della forza del gruppo non è operazione utile, né opportuna, perché un pusillanime resterà tale anche se inserito nel più potente degli schieramenti.
Nicola Saracino
12 commenti:
"Le volute abnormità processuali, i gravi errori nella condotta del processo, la erronea valutazione della funzione giudiziaria e le invasioni di campo istituzionali ... rivelano la necessità di ribadire e di ragionare sulla attualità costituzionale della dipendenza del giudice dalla legge"
Questo è, a mio avviso, il passo più inquietante, che getta un'ombra sulla sua serenità di giudice disciplinare. Quest'ultimo, come giustamente ha osservato lei, dott. Saracino, deve dare per primo il buon esempio, non entrando nel merito delle decisioni dei giudici, cosa che non è in suo potere fare, e rispettando, ad esempio, le prerogative e funzioni del tribunale del riesame di Salerno, che ha sancito la legittimità del provvedimento di sequestro operato dalla procura di Salerno. Né è giusta una giustizia sommaria, che decide le sorti di un Magistrato (quindi di un cittadino) in tempi rapidissimi, con effetto immediato, per accondiscendere alle indicazioni del potere politico. E' questo il vero sconfinamento di poteri, la vera "invasione di campo istituzionale",la vera anomalia. Mi pare incredibile che proprio gli alti magistrati che dovrebbero difendere il principio costituzionale dell'indipendenza della magistratura da ogni ingerenza politica siano i primi a perorare la causa di una riforma costituzionale per limitarla.
Con stima,
Irene
Sagge parole... che il gregge conosce già molto bene... ma che pur sempre di pecore pare si tratti... poichè gli uomini in questi giorni li abbiamo visti in azione... mentre le pecore le abbiamo continuate sentire ancora belare in coro.
Continuo il mio intervento, credo sia incompleto...
In questo dannato paese quindi non abbiamo bisogno di greggi di pecore... ma di più uomini...
Il mondo della magistratura in questo momento ha il DOVERE di far sentire la propria voce in difesa del principale principio su cui si fondano le normali democrazie occidentali.
Così come han deciso migliaia di cittadini di ergersi da pecore ad uomini così anche quella parte nobile della magistratura, che sono convinto ancora esiste e numerosa, deve attuare questa decisa trasformazione da pecore, quali sono state fino ad oggi, ad uomini... al modello di magistrato così come descritto dalla nostra carta costituzionale... indipendente da qualsiasi tipo di potere.
In questi anni hanno dimostrato soprattutto il contrario... fino ad arrivare agli ultimi giorni dove le pecore hanno incominciato ad azzannare gli uomini... per paura del lupo.
Che senso ha parlare di coprporazioni o corporativismo quando in realtà il Giudice Disciplinare sembra riecheggiare la vera funzione delle corporazioni?
Spiego meglio la domanda.
Ho fatto un piccola ricerca sul termine corporazione e, in prima battuta, parlo dell'età medievale esso è definito così: "Indipendentemente dalle diversità e dal coinvolgimento politico più o meno profondo, il compito primario di ogni corporazione era la difesa del monopolio dell’esercizio del proprio mestiere e chi lo praticava pur non essendovi iscritto veniva considerato, dalla corporazione, un lavoratore che costituiva un potenziale pericolo verso gli iscritti" se questa è la funzione della corporazione abbastanza ovvia appare la considerazione che non può essere corporativa la difesa da qualoosa che è dentro la corporazione ciò perchè corporativa, nel senso appena evidenziato, sarebbe la difesa non dall'esterno ma dalla possibilit che un non iscritto (rectius: Magistrato) eserciti lo stesso mestiere pur non essendo iscitto.
In realtà ai nostri fini più illuminante sembra essere quanto segue: "La Carta del lavoro"-
Le Corporazioni costituiscono l'organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi
1. Quali rappresentanti degli interessi unitari della produzione, le Corporazioni possono dettar norme obbligatorie sulla disciplina dei rapporti di lavoro e anche sul coordinamento della produzione tutte le volte che ne abbiano avuto i necessari poteri dalle associazioni collegate.
2. Lo Stato corporativo considera l'iniziativa nel campo della produzione come lo strumento pi efficace e più utile nell'interesse della Nazione
In defintiva la corporazione aveva lo scopo primario di comporre pacificamente le vertenze fra le parti sociali, assumendo la nazione e il suo rafforzamento come criteri di azione. All'atto pratico poiché le maestranze erano rappresentate solo dal sindacato fascista e questo, a sua volta, era controllato dallo stato, i lavoratori non ebbero più alcuna possibilità di esprimere liberamente la propria voce e le proprie rivendicazioni: le corporazioni, di fatto, furono unicamente l'organismo di collegamento tra il governo e i grandi gruppi economici del paese, il luogo in cui questi due protagonisti (ormai rimasti soli sulla scena, dopo la cancellazione di ogni potere contrattuale effettivo dei lavoratori) cercavano di conciliare i rispettivi interessi. Il corporativismo divenne un aspetto caratterizzante del fascismo, al punto che nel 1939 la Camera dei deputati (eletta per l'ultima volta nel 1929), fu sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni. l'Italia fascista continuò ad essere uno stato capitalista, con l'unica significativa differenza (rispetto ai regimi liberali e democratici) che le organizzazioni sindacali erano state completamente imbavagliate. Così ogni decisione concernente i problemi dei lavoratori (salario, orario di lavoro, condizioni di vita sul luogo di impiego ecc.) poteva essere presa d'intesa fra il governo fascista e gli imprenditori, senza paura di proteste o di rimostranze.
Questo il quadro della funzione delle corporazioni.
A questo punto la domanda è corporativismo la difesa disciplinare del Magistrato o è coprorativismo ( funzione delle corporazioni) la sostanziale inutilità delle lamentele del Magistrato rispetto alle sue prerogative e alle previsioni di legge di fronte al CSM?
Francesco Siciliano
La parola ai Magistrati.
Alessandra
Intercettazioni, Di Pietro a Napolitano
"Valuti bene e non firmi la legge"
http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/politica/giustizia-9/giustizia-4feb/giustizia-4feb.html
Una riflessione come sempre acuta e condivisibile.
Mi unisco alla supplica di Di Pietro al presidente.
Trascrivo:
Mi unisco alla supplica.
Prima di cominciare a supplicare gli americani per una nuova liberazione supplico il nostro Presidente.
E supplico anche i miei concittadini dormienti.
Questa dittatura é subdola. Non appare. Non si fa notare.
E’ come l’acqua che riscalda piano piano.
E quando diventa troppo calda non ti dà più il tempo di saltare fuori dalla pentola.
Al mio paese dicono: meglio dire “che sacciu, ca chi sapia”, ossia “meglio sbagliarsi per troppa prudenza che scoprire dopo di essere stati troppo poco prudenti”. Perché scoprirlo dopo non serve a niente, se non a piangere.
C’é un punto di non ritorno.
E noi lo stiamo raggiungendo a grandi falcate. Silenziose. Sembra quasi che stiamo fermi.
Io credo che sia un grosso guaio dare per scontato che siamo una democrazia. Niente é scontato. E le cose si perdono proprio perché si ritiene che non si debba combattere per mantenerle.
Onorevole, mi consenta di abbracciarla.
E consentitemi anche voi amici del blog di abbracciarvi tutti. A lungo.
Quando tutto sembra perso, a volte ci si salva.
Mettiamocela tutta.
Coraggio!!!!
Scusate, credo di avere omesso un passaggio:
mi unisco alla supplica al nostro Presidente fatta dall'on. Di Pietro, sul suo blog.
Abbraccio a lungo anche voi tutti.
Nanni.
x Nanni 64:
"Quando tutto sembra perso, a volte ci si salva.
Mettiamocela tutta.
Coraggio!!!!"
Il guaio è che "loro", i miserabili al potere, non vogliono perdere nulla! E tutto, informazione inclusa, è nelle loro mani!
b
ps
mi unisco alla Tua implorazione: CORAGGIO!!!
Posso chiederle, dr. Lima, cosa nel mio commento non andava, per cui non l'ha pubblicato ?
Sa, a futura memoria, non si finisce mai di imparare.
Grazie.
Per Luigi Morsello (commento delle 12.41).
Gentile dott. Morsello,
grazie infinite sempre della Sua preziosa presenza nel nostro blog.
Approfitto della Sua cortese richiesta per chiarire che la "moderazione" dei commenti è compito che non svolgo da solo, ma insieme ad altri colleghi, con i quali ci turniamo.
Approfitto anche per segnalare che, come scritto sopra la finestra per l'invio dei commenti, chi voglia notizie della mancata pubblicazione di un suo commento può scrivere all'indirizzo della Redazione così che gli si possa dare notizia diretta delle ragioni della eventuale non pubblicazione.
Grazie a Lei dr Morsello e a tutti per la pazienza e cortesia che avete con noi.
Un caro saluto.
Felice Lima
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