di Roberto Scarpinato
(Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Palermo)
da Corriere Economia del 22 dicembre 2008
Il discorso pubblico sulla corruzione continua a restare arenato, tranne poche eccezioni, nelle secche dell’abusato clichè della questione morale e degli appelli a una volenterosa autocorrezione.
Eppure la storia mostra come la cosiddetta questione morale italiana si protragga ininterrottamente dagli albori dello Stato unitario.
Ben altri sono i rimedi necessari.
Nel 1893 il famoso crac della Banca romana che coinvolse circa 150 tra parlamentari, ministri, palazzinari, banchieri e giornalisti di grido, mise in luce come l’incapacità di autoregolazione della nomenclatura del tempo potesse innescare il rischio di default del Paese.
In quella circostanza fu necessario correre ai ripari mediante l’istituzione della Banca d’Italia, alla quale, con sano realismo fu assicurato nel tempo uno statuto di indipendenza dalla politica.
Allo stesso rischio il Paese fu esposto quando, dopo il crollo della prima Repubblica, ci si rese conto che la corruzione aveva generato un indebitamento tra i 150 mila e 250 mila miliardi, contribuendo a portare il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo dal 60% del 1980 al 118% del 1992, con un deficit di bilancio all’11 per cento.
Nella costante incapacità di autocorrezione del sistema, fu ancora una volta un’istituzione indipendente, la magistratura, a svolgere una funzione di salvaguardia interna, fermando la folle corsa alla vigilia di una deriva argentina, come attestò pubblicamente il governatore della Banca d’Italia.
In quel clima di emergenza democratica fu il governo tecnico Ciampi a porre le premesse per riagganciare il vagone Italia alla locomotiva Europa.
Tornando ad oggi, i più autorevoli studi economici hanno posto al centro delle loro analisi l’Italia come uno dei casi da analizzare per quantificare gli effetti distorsivi della corruzione sulle dinamiche macroeconomiche: divaricazione progressiva della forbice tra Nord e Sud in relazione al diverso tasso di corruttibilità della governance; percentuale degli interessi sul debito pubblico dovuti all’onere della corruzione; disaffezione di investitori stranieri per i titoli di Stato italiani; sperpero di fondi comunitari; effetto leva della forbice tra ricchi e poveri, tre volte superiore al resto d’Europa, e via di seguito.
Conclusione degli studiosi: nelle fasi di espansione del ciclo economico, il sistema è in grado di assorbire e metabolizzare tali oneri macroeconomici, così come avvenne negli anni del boom.
Nelle fasi di recessione come l’attuale, il costo globale della corruzione incrementa il rischio di collasso economico.
Se questo è il quadro globale, si può comprendere come quel che sta accadendo sia ben di più che una Caporetto dell’etica pubblica; è il segnale di un pericolo di cedimento strutturale della casa comune, che imporrebbe una brusca inversione di rotta rispetto al sistematico indebolimento di tutti gli argini che ha caratterizzato l’ultimo quindicennio della stagione politica, tornando a rafforzare tutti i meccanismi di controllo.
Purtroppo, è desolante dovere prendere atto che l’agenda politica è invece fitta di iniziative di segno contrario.
Basti ricordare, per citare solo quelle più eclatanti, la proposta di sottrarre alla magistratura il potere di avviare le indagini per riservarlo esclusivamente alle Forze di Polizia, la cui progressione in carriera, a differenza che per i magistrati, è sostanzialmente nelle mani di vertici governativi e, quindi, della politica.
Se si tiene conto che i procedimenti in materia di corruzione, come dimostrano anche i casi alla ribalta della cronaca, coinvolgono uomini molto potenti del mondo politico ed economico, si possono coltivare serie perplessità sul futuro riservato a tali indagini.
E ancora si ponga mente alla proposta di vietare le intercettazioni per tutti i reati con pena inferiore ai dieci anni, tra i quali rientrano tutti i casi di corruzione, le truffe ai danni dello Stato e la stragrande maggioranza dei reati di colletti bianchi che determinano gravi ricadute economiche e sociali collettive.
Poiché l’esperienza sul campo dimostra come solo le intercettazioni riescano a penetrare l’omertà blindata e trasversale che permea il mondo della corruzione, si può ben comprendere che rinunciare a tale insostituibile strumento di indagine contribuirebbe al disarmo pressoché totale dello Stato e ad affievolire la speranza che dopo la disfatta di Caporetto vi possa essere la rivincita di Vittorio Veneto.
3 commenti:
Questo sì che è parlar chiaro, ma temo che non sortirà effetto alcuno sulla volontà politica, totalmente determinata a spuntare gli artigli al Pubblico Accusatore.
D'altra parte, la magistratura sta facendo del suo meglio per farsi del male, sia nell'esercizio della giurisdizione sia nella gestione della propria autoregolamentazione, per cui non è difficile prevedere che l'anno 2009 sarà l'"annus horribilis" che vedrà la carriere di P.M. e giudici separate, la possibilità di intercettare bloccata quasi per intero, il CSM riformato con il raddoppio dei consiglieri c.d. "laici": non sono belle prospettative e non mi sembra che la magistratura abbia in sè la forza di ribellarsi ed opporsi efficacemente, di far proprio il proverbio "a mali estremi, estremi rimedi"!
L'intervento del dr.Scarpinato è ampiamente condivisibile. E' sotto gli occhi di tutti l'attacco che la politica sta portando alla magistratura, quasi fosse quastione di pura sopravvivenza.Tuttavia in tutti questi commenti non trovo mai una seria critica verso quei magistrati (non pochi) che ben poco onorano la loro professione quanto a capacità, dedizione, risultati e via dicendo fino a tante (piccole ?)forme di -chiamiamola- mancanza di limpidezza. Tenuto conto dell'enorme potere che un magistrato ha nei confronti del semplice cittadino ed essendo egli pur sempre un dipendente pubblico molto ben pagato per i suoi servigi, ci sarà pure qualche proposta in merito?
Come può la Magistratura avere la forza di ribellarsi quando le si tolgono i mezzi per esercitare autonomamente il suo compito (è questo infatti che chiede di fare, niente di più)? Non capisco quel "a mali estremi, estremi rimedi"; la Magistratura non può esercitare prepotenza - ed è un po' triste pensare che dovrebbe farsi arrogante per riprendersi cert "poteri" (che tali non sono, caro Anonimo!). Abbiamo, potenzialmente, tutte le garanzie per una perfetta macchina di giustizia; se certi disgraziati fanno di tutti per renderla fallibile, viene a mancare persino la voglia di combattere...
Caro anonimo, la frase "Tenuto conto dell'enorme potere che un magistrato ha nei confronti del semplice cittadino" è piuttosto qualunquista e priva di ogni analisi. Credo che un magistrato abbia soprattutto molti doveri, che in maniera sacrosanta dovrebbero quasi "obbligarlo" a fare al meglio il suo lavoro.. Ma si sta facendo tutto il possibile - e l'impossibile! - per guastare anche questo.
Io avrei un po' più di rispetto per un sistema giudiziario che gli altri Stati ci invidiano per la sua potenziale perfezione. E me la prenderei piuttosto con chi continuamente e senza vergogna (che faccia tosta ci vuole!) tenta di stravolgere la nostra meravigliosa Costituzione..
Sto leggendo, dopo averne seguito una presentazione nel programma di Augias 'Diario Italiano', il libro "La questione immorale", di Bruno Tinti; ringrazio l'autore per il lavoro che ha fatto - anche per me.
Al dr. Scarpinato va la mia più completa stima e solidarietà, ed anche a lui la mia gratitudine per il suo lavoro.
Luigi P. - Torino
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