martedì 18 dicembre 2007

L’indipendenza interna della magistratura


di Antonio Bevere
(Presidente di Sezione del Tribunale di Roma)


(questo scritto è la presentazione di un convegno tenutosi il 19 gennaio 2007, a Roma, nell’Aula delle Lauree della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza)

Le recenti elezioni per il rinnovo del Consiglio Superiore della Magistratura hanno riproposto alla nostra attenzione alcune riflessioni e alcuni interrogativi.

Come è noto,i componenti togati dell’organo di autogoverno sono eletti da tutti i magistrati ordinari “tra gli appartenenti alle varie categorie” (art.104 comma 4 Cost.): in base al principio di rappresentatività, la componente togata deve essere espressione di “gruppi che si differenziano per una specifica e sostanziale caratterizzazione alla stregua degli attuali ordinamenti processuali e giudiziari” (sentenza. Corte cost. 87/82).

La Corte ha inoltre escluso che “i suoi componenti possano considerarsi come veri e propri rappresentanti delle categorie di appartenenza”.

La componente togata è divenuta , nella quotidianità della sue espressioni di natura amministrativa, espressione, più che di categorie dei magistrati (merito, legittimità) di gruppi che si differenziano per radici storiche,per esperienze politiche e culturali dei maggiori esponenti, per interessi di politica giudiziaria.

Se la Corte ritiene – in base ai principi dell’ordinamento – “che ciascun eletto non deve sentirsi portatore e tutore degli interessi dei componenti dell’area di provenienza fissata e delimitata dalla Costituzione (la categoria) ma deve trattare tutti i governati nel pieno rispetto del principio di uguaglianza, a maggior ragione ciascun eletto non dovrebbe sentirsi e non dovrebbe agire come portatore o tutore degli interessi del gruppo di provenienza”.

Si pongono allora alcune questioni fondamentali,che riteniamo centrali ed essenziali.

I nuovi eletti in che misura si sentono rappresentanti della categoria correntizia a cui devono il prestigioso incarico di componente dell‘organo di autotutela della magistratura?

La linearità del loro lavoro sicuramente non è facilitata dall’esistenza di una debordante trama di regole, che sono tanto più contorte quanto più funzionali ad essere utilizzate come esclusivo parametro formale di giustificazione/motivazione apparente delle decisioni, prese sulla scorta di criteri “sostanziali” (politico-correntizio e addirittura di cordata interna alle stesse correnti).

Ciò genera procedure – basate su lunghe negoziazioni, assolutamente discrezionali, fatte di supervalutazioni e sottovalutazioni funzionali a favorire o danneggiare – che sono state recentemente oggetto della critica del Presidente della Repubblica Napolitano, secondo cui “le nomine debbono essere tempestive e non passare sotto le forche caudine di interminabili tentativi di mediazione, che espongono questo adempimento primario a polemiche sul condizionamento di visioni correntizie che travalicano i limiti della normale dialettica” e il 31 luglio il Vice Presidente uscente del Consiglio Superiore On. Rognoni, nel discorso di commiato, non ha mancato di sottolineare come occorrerà ben presto "superare le derive correntizie tra le varie posizioni dell'associazionismo dei magistrati" perché le divisioni in correnti della magistratura hanno "indiscutibili meriti, ma presentano inconvenienti quando non si riesce a tenere alto il dibattito” con conseguenti "remore e incrostazioni causate dal gioco correntizio dell’area dell’associazionismo della magistratura”.

E’ importante in questo momento sottolineare come, in attuazione del principio fondamentale dell’eguaglianza (art. 3 Cost.), l’elemento qualificante della cultura della giurisdizione sia soprattutto l’assenza di preconcetti e pregiudizi, l’indipendenza da vincoli di mandato così come da qualsiasi, diretta o indiretta, forma di condizionamento.

E’ importante porre una questione fondamentale di trasparenza e di coerenza, che impone l’unica aspettativa di metodi e criteri obiettivi di valutazione, che richiede attenzione e sensibilità.

Nei concorsi a posti in Cassazione sembra avere prevalente rilievo l’anomala stratificazione della magistratura in due ceti: quello aristocratico, esterno al lavorìo quotidiano (composto da segretari, addetti all’ufficio studi, ex componenti del C.S.M., da addetti al massimario, alla Corte costituzionale, al Tribunale di prima istanza presso la C.E., alla Corte di Giustizia presso la C.E., alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo); quello popolare, immerso nella giurisdizione, fatta di sentenze piccole e grandi, di ordinanze, di turni, di termini, di rinvii, di polemiche degli avvocati, di rivendicazioni dei cancellieri.

Si è sviluppato un “senso comune” che percepisce l’esistenza di un percorso separato, di alta velocità, che consente ai fruitori di accedere a tutti i vertici con priorità assoluta con l’anomala creazione di vere e proprie “carriere parallele”, (tanto più criticabili, in un momento di mobilitazione generale della categoria contro la separazione di inquirenti e giudicanti e contro la generale delegittimazione di ogni funzione giudiziaria).

Immaginiamo un passo indietro degli apparati di corrente, divenuti ogni giorno più incomprensibili alla società civile, e una completa revisione delle dinamiche che hanno spesso caratterizzato le attività consiliari, fino a confermare all’opinione pubblica l’esistenza di una preponderante partitocrazia interna “riservata” alla magistratura ordinaria, ogni giorno più emarginata però e incompresa, prigioniera delle etichette e degli schieramenti e forse perciò non in grado di far percepire alla società civile le legittime ed urgenti esigenze di salvaguardia di garanzie di indipendenza e di autonomia che riguardano diritti e libertà di ogni cittadino.


4 commenti:

Anonimo ha detto...

Con molti che oggi vestono la toga di magistrato siamo stati e siamo amici, spesso fraterni, da ragazzi abbiamo suonato chitarra basso e batteria in cantine improvvisate a studi di registrazione, abbiamo litigato per chi dovesse tirare un calcio di rigore nella finale del campionato scolastico, abbiamo in qualche caso lealmente corteggiato la medesima ragazza.
Insomma, siamo stati e siamo persone come tutte le altre, che ad un certo punto della nostra evoluzione hanno preso delle decisioni, imboccato una strada oppure in alternativa, a volerla guardare dal lato del bicchiere mezzo vuoto, abbiamo abbandonato tutte le altre strade per concentrarci su una soltanto.
Questo secondo tratto del cammino non lo abbiamo però potuto interamente condividere : riconosco infatti che con tutti loro, ed ancor più con quello tra loro che considero (ricambiato) un mio terzo fratello, allorquando la conversazione scivola su argomenti legati a processi o riforme o politica giudiziaria, un istintivo riserbo induce entrambi a parlare sempre e soltanto di meccanismi di ordine generale senza mai entrare nel caso concreto, quasi come se una forza invisibile volesse ricordarci che di fronte alla collettività, prima e più che fratelli, siamo giudici e avvocati, e dunque anche una confidenza profonda come quella che condividiamo (per noi del tutto naturale dopo quasi 30 anni di amicizia) potrebbe indurre a “sospetto” chi ci osservasse o ci ascoltasse.
Nonostante questo spontaneo e quasi istintivo riserbo, tuttavia, qualcosa ugualmente trapela, una sensazione corroborata da indizi chiari univoci e concordanti : la sensazione che quel corpo separato ed autonomo che secondo l’architettura costituzionale dovrebbe essere la magistratura, si va in realtà sempre più frazionando al proprio interno, e da certi accadimenti deduco che spesso le pastoie politiche in cui essa s’arena hanno ben poco di diverso da quanto accade nella politica cosiddetta ufficiale o nelle beghe che caratterizzano, anche qui indecorosamente, le condotte “politiche” delle diverse componenti dell’avvocatura, che negli ultimi anni sono state capaci di portare all’interno del Consiglio Forense (cioè in quella che dovrebbe essere la “crema” dell’Avvocatura) ben due avvocati condannati per gravi episodi di violenza fisica, procurando così gravissimo disagio anche ai nostri interlocutori istituzionali, tra cui anche quei magistrati che, in cerimonie ufficiali, si trovano nel gravissimo imbarazzo di dovere interloquire id politica giudiziaria con un avvocato che magari hanno personalmente dovuto condannare poco tempo prima.
Tornando alla magistratura, potrei citare il caso Forleo per rimanere in attualità, ma in fondo esso costituisce solo l’ultimo dei casi che un’opinione pubblica distratta e male informata dalla stampa ha potuto più o meno osservare e capire.
Ve ne sono molti altri, più o meno noti, e devo dire che da cittadino mi aspetterei dall’Ordine Giudiziario (già, è un Ordine, non un Potere, il che teoricamente dovrebbe assicurare ancora più garanzie di equidistanza ed imparzialità) una maggiore uniformità di intenti e di linearità quanto meno sulle questioni essenziali.
Osservo invece una Corte di Cassazione che ormai, a detta degli stessi giudici di merito, emette decisioni oggi basate su un determinato un principio di diritto e domani su quello opposto, o che addirittura rischia di dichiarare inammissibile un ricorso per un errato conteggio dei termini di impugnazione (errore poi prevenuto grazie al sottoscritto Difensore); osservo una guerra fratricida tra correnti elettorali e, persino, tra sezioni o finanche giudici monocratici di uno stesso Tribunale; osservo ed ascolto, nell’attività quotidiana, spaccature profonde tali da rendere troppo importante l’auspicio che una causa su una certa materia civile finisca assegnata ad un giudice di una certa corrente piuttosto che di un’altra (esempio tipico : la giurisprudenza di merito isterica che si era a suo tempo creata sulla cura DI Bella); insomma osservo un disordine che nuoce prima di tutto al cittadino, ma anche e soprattutto a quel bisogno che noi tutti abbiamo di poterci sentire rassicurati, e non minacciati, dentro ad un Aula di Giustizia.
Il disordine dunque parte dal vertice ma penetra nel sistema fino ad ogni singola aula di udienza, ove ormai capita di dover discutere con il giudice, invece che con l’avversario, su quale sia il termine stabilito dal codice per la denunzia di nuova opera (a fronte di una norma secca e chiarissima).
Per converso si ammirano magistrati instancabili, composti e pazienti che, ingiustamente gravati dall’onere di riparare errori altrui e mossi unicamente dal proprio senso di responsabilità finiscono per diventare, nella loro umile e paziente saggezza, i riferimenti unici di certezza del diritto da invitare a convegni o con i quali confrontarsi auspicando che chi li circonda capisca quanto sia importante dedicarsi ad apprendere dal loro esempio.
Se il correntismo facesse quel tanto agognato passo indietro che coraggiosamente viene auspicato dal Presidente Bevere nel suo intervento, probabilmente l’intero sistema, così depurato, funzionerebbe a regime riuscendo a valorizzare, invece che a disperdere o mortificare come oggi avviene, le singole specifiche preziose risorse di ciascun magistrato, mandando magari chi non è ferrato in una certa materia a trattarne un’altra che gli è più congeniale, esattamente come fanno certi avvocati quando scelgono di definirsi “specialisti in…”.
So bene che anche questo è da parte mia, come in altri casi, un commento duro : devo perciò precisare che anche in questo caso, per i singoli episodi citati, dispongo dei documenti.
Ma non riesco a tacere, perché credo che un vero dibattito debba passare anche per argomenti “scomodi”, ed in questo senso principalmente ringrazio il Presidente Bevere per la sua coraggiosa e composta denunzia.

Cordialmente

Andrea Falcetta

Anonimo ha detto...

Caro Avvocato,

Se Lei ritiene "duro" il Suo commento, c'è poco da stare allegri per il futuro della giustizia in Italia !

Sarebbero ben altre le cose da dire... ma mi fermo qui, come ha fatto Lei, per gli stessi Suoi motivi, immagino !

Anonimo ha detto...

Il modo in cui viene eletto oggi il CSM è degno di un regime sovietico.
Liste quasi bloccate, sempre le stesse persone o quasi che si interscambiano i ruoli tra componenti del CSM e dirigenti dell'ANM, con brevissime pause di esercizio dell'attività giudiziaria (e poi pretendono di poter prendere provvedimenti sulla pelle dei magistrati quando ne ignorano i problemi reali), rappresentatività reale del "ventre molle" della magistratura impegnata in trincea, zero.
Di fatto oggi a una ristretta oligarchia è concesso di animare un organo di rango costituzionale.
E le voci dissenzienti all'interno della "corporazione" vengono messe a tacere in modo vessatorio: i casi di De Magistris e Forleo, entrambi lontani dalle logiche dell'ANM, ne sono l'esempio.
Ci dobbiamo stupire poi se magistrati "scomodi" vengono emarginati con l'espediente di rimproverare loro di non aver rispettato la "forma" o ipotizzando inesistenti incompatibilità ambientali o illeciti disciplinari, mentre ai magistrati che sono nelle grazie di questo odioso potere viene perdonato di tutto di più?
Se il "popolo sovrano" sapesse veramente come è eletto e gestito l'organo che in ultima istanza decide sul destino di chi commina condanne ed assoluzioni, avrebbe di che ribellarsi seriamente ... peccato che le continue strumentalizzazioni di Berlusconi offuschino una questione che è davvero seria e fondata.

Anonimo ha detto...

32 CSM: MANCINO, RISCHIO IMPASSE SU CASI FORLEO-DE MAGISTRIS (AGI) - Roma, 19 dic. - Il Csm potrebbe andare incontro a un'impasse sui casi Forleo-De Magistris, proprio per le diverse questioni di cui sono investite la Prima Commissione e la sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli. Lo rileva il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, osservando, pur senza parlare esplicitamente delle inchieste riguardanti le due toghe ("sono sempre muto e sordo", ripete ai cronisti che lo sollecitano in merito), che il problema potrebbe rivelarsi "serio", se si dovesse arrivare in plenum con una proposta di trasferimento d'ufficio da parte della prima Commissione poiche' "chi si pronuncia sull'eventuale incompatibilita' di natura amministrativa apre qualche problema sul versante disciplinare": per condotta incolpevole un giudice puo' essere trasferito con provvedimento amministrativo e chi ha concorso a deliberare il trasferimento, secondo Mancino, puo' avere qualche problema a giudicare lo stesso magistrato per responsabilita' disciplinare e non potrebbero cosi' votare in plenum "ne' i componenti effettivi ne' i supplenti", in totale 16 consiglieri, del 'tribunale' delle toghe. Sia per il gip di Milano che per De Magistris, infatti, e' stata avviata l'azione disciplinare (nel caso del pm di Catanzaro il procuratore generale della Cassazione Mario delli Priscoli ha gia' chiesto il rinvio a giudizio), mentre in Prima Commissione si e' gia' aperta la procedura di trasferimento per la Forleo, e l'istruttoria e' ancora in corso per il magistrato dell'ufficio calabrese. Il vicepresidente Mancino, dunque, durante lo scambio di auguri con i cronisti, torna ad auspicare una riforma della sezione disciplinare, poiche' e' necessario "diversificare le attivita' amministrative e quelle giurisdizionale" del Consiglio. Una sezione disciplinare fuori dal Csm, dunque? gli viene chiesto. "Si', ne ho parlato, e da qualche anno - risponde il vicepresidente del Csm - mantenendo la proporzione tra laici e togati prevista dalla Costituzione, si puo' anche pensare a istituire un organismo disciplinare apposito. Intanto, fino a quando cio' non avverra', dobbiamo agire a legislazione vigente". Un comportamento "disciplinarmente rilevante - osserva Mancino - va tenuto distinto da una condotta incolpevole del magistrato", quale e' quella che riguarda le competenze della prima Commissione, e le istituzioni, secondo il vicepresidente del Csm, "devono poter collaborare tra loro per risolvere questo problema". Il numero due dell'organo di autogoverno della magistratura ricorda anche l'intenso lavoro che il Consiglio ha portato avanti negli ultimi mesi, dopo l'approvazione della riforma dell'ordinamento giudiziario, sulla quale ribadisce che "poteva uscire meglio dalle Camere, nella sostanza e nella forma". In particolare, Mancino sottolinea l'impegno del Csm dopo l'introduzione della temporaneita' degli incarichi direttivi: "e' una lavoro che non termina il 27 gennaio (termine previsto dalla riforma per la decadenza degli incarichi, ndr), sono stati banditi i concorsi, ora dovremo valutare le domande presentate". (AGI)