di Marco Travaglio
(Giornalista)
da L’Unità del 23 luglio 2008 e da Voglioscendere
I politici devono rassegnarsi alle critiche, anche aspre.
E devono smetterla di considerarle “insulti” o “attacchi” e di denunciare chi le muove.
Mentre in Italia la Casta si blinda con scudi, immunità e bavagli alla stampa, da Strasburgo arriva un’altra fondamentale sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in difesa del quarto potere «cane da guardia della democrazia».
La sentenza condanna lo Stato italiano a risarcire il politologo Claudio Riolo, condannato a versare 80 milioni di lire (140 con gli interessi) al presidente forzista della provincia di Palermo, Francesco Musotto, per averlo criticato.
Nel novembre 1994 Riolo, che insegna all’Università di Palermo, pubblica su Narcomafie diretto da don Luigi Ciotti l’articolo «Mafia e diritto: la Provincia contro se stessa nel processo Falcone. Lo strano caso dell’avvocato Musotto e di Mister Hyde».
Riolo mette il dito nel conflitto d’interessi di Musotto, che in veste di avvocato difende un mafioso imputato per la strage di Capaci e in veste di presidente della Provincia è parte civile nello stesso processo.
Musotto denuncia Riolo (non la rivista) in sede civile, chiedendo 500 milioni di danno patrimoniale e 200 di danno morale.
Narcomafie ripubblica l’articolo con le firme di altre persone che si autodenunciano con lui. Tra questi, Castellina, Cazzola, Forgione, Lumia, Manconi, Alfredo Galasso, Giuseppina La Torre, Santino, Vendola, Folena, Di Lello.
Musotto non li denuncia. Anche perché intanto viene arrestato col fratello con l’accusa di aver ospitato nella sua villa al mare alcuni boss mafiosi latitanti.
Sarà assolto per insufficienza di prove: non è provato che fosse al corrente che i capimafia soggiornavano in casa sua, mentre è provato che lo sapesse suo fratello, condannato definitivamente per concorso esterno.
In compenso, nel 2000, il Tribunale civile di Palermo condanna Riolo: 80 milioni di danni morali al presidente della Provincia, rieletto trionfalmente alla presidenza della provincia dopo la disavventura giudiziaria.
Condanna confermata in appello e in Cassazione nel 2007.
Il professore si vede pignorare il quinto dello stipendio e della liquidazione.
Ma ricorre a Strasburgo tramite l’avvocato Alessandra Ballerini.
E l’altro giorno ha ottenuto ragione dalla Corte europea: la sua condanna viola l’articolo 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo, lo Stato italiano deve risarcirlo con 60 mila euro più 12 mila di spese legali.
La Corte, presieduta dalla giudice belga Francoise Tulkens, spiega che «l’articolo incriminato era fondato sulla situazione in cui si trovava Musotto all’epoca dei fatti»: il suo «doppio ruolo» di presidente della Provincia e di difensore di un mafioso «poteva dar luogo a dubbi sull’opportunità delle scelte di un alto rappresentante dell’amministrazione su un processo concernente fatti di estrema gravità» (la strage di Capaci).
L’articolo «s’inseriva in un dibattito di pubblico interesse generale»: Musotto è «uomo politico in un posto chiave nell’amministrazione», dunque «deve attendersi che i suoi atti siano sottoposti a una scrupolosa verifica della stampa». «Sapeva o avrebbe dovuto sapere che, continuando a difendere un accusato di mafia… si esponeva a severe critiche».
Riolo non ha scritto che Musotto abbia «commesso reati» o «protetto gli interessi della mafia»: ha solo osservato che «un eletto locale potrebbe essere influenzato, almeno in parte, dagli interessi di cui sono portatori i suoi elettori».
Un’«opinione che non travalica il limite della libertà di espressione in una società democratica».
Riolo l’ha pure sbeffeggiato con «espressioni ironiche».
Ma «la libertà giornalistica può contemplare il ricorso a una certa dose di provocazione», che non va confusa con «insulti e offese gratuite» se «si attiene alla situazione esaminata» e se «nessuno contesta la veridicità delle principali informazioni fattuali nell’articolo».
Nessun «attacco personale gratuito», allora, ma doverosa critica.
Guai a sanzionare le critiche con multe salate che «possono dissuadere» giornalisti e critici a «continuare a informare il pubblico su temi di interesse generale».
Insomma la condanna inflitta a Riolo è «un’ingerenza sproporzionata nel diritto di libertà di espressione» e va annullata col risarcimento.
Mentre in Italia con la confusione fra critiche e «insulti», si tenta di soffocare la libera stampa, dall’Europa arriva una boccata d’ossigeno.
C’è un giudice, almeno a Strasburgo.
12 commenti:
Come mai il Giudice del Tribunale Civile di Palermo, che ha condannato il Prof. Riolo, non ha contemplato le chiare ed esaurienti movazioni fornite dal Giudice della Corte Europea Francoise Tulkens?
In Italia non valgono i contenuti della Carta fondamentale dei Diritti dell'Uomo?
Esiste ancora il Diritto ad esprimere una propria opinione?
E se ancora esiste chi deve difenderlo e garantirlo, ... forse un Giudice?
E' una bella vittoria per tutti. Peccato essere sempre costretti a ricorrere al "difensore esterno", quando, se in Italia vi fosse una democrazia compiuta, questa sarebbe la quotidiana normalità.
C'è anche da notare che tutto questo livore nei confronti di chi esercita il diritto di cronaca e di critica denota la pochezza dei personaggi. E questa, al di là di tutte le giuste sentenze europee, è l'unica cosa che fa ben sperare :-)
Saluti a tutti
I.
Mi chiedo, come già fatto peraltro dai commenti degli amici che mi hanno preceduto: è possibile che sulle questioni relative all'esercizio della critica a mezzo stampa (per quanto riguarda la critica attraverso la televisione vige la più odiosa censura preventiva)ci si debba sempre rivolgere alla corte di giustizia?
E' così difficile per i nostri tribunali difendere persone, non coinvolte in sistemi di potere, che per fini evidentemente sociali esercitano la loro critica su fatti poco chiari in cui risulta evidente l'intreccio tra poteri legali e criminali?
E allora chiedo a chi ne sa più di me, in forza di un' esperienza empirica nonché di una conoscenza teorica, dov'è l'errore: il Giudice impreparato (primo grado, appello e cassazione)? Oppure il sistema del diritto su tale materia è così lacunoso da indurre il giudice a favorire le posizioni di rendita piuttosto che quelle di critica?
La domanda cerca una risposta che possa infine spiegare perché molte delle sentenze del nostro sistema giudiziario, relative a materie riguardanti il libero esercizio della critica, sono puntualmente sconfessate dalla corte,appunto, di giustizia. La Giustizia italiana è minus, rispetto a quella europea? Perchè se errore non c'è (di quelli sopra ipotizzati) quest'ultima ipotesi sarebbe calzante.
Un saluto
Silvio
Le domande che ponete sono oltremodo pertinenti.
Per meglio comprendere Vi invito a leggere l'interessante dibattito innescato da alcune riflessioni di Francesco Messina sotto il post "Giustizia. Malcontento diffuso, rammarico, rabbia".
Si discute di norme e di valori e della tendenziale "politicità" dell'attività interpretativa, giacché le norme sono poste dal Legislatore a tutela di valori.
Talvolta i valori sono tra oro confliggenti, come nel caso della libertà di stampa o di manifestazione del pensiero che possono aggredire diritti individuali.
In questi casi è necessario individuare il "punto di equilibrio" tra opposte esigenze.
E' il compito del giudice.
Per tornare al tema che ci interessa possiamo azzardare questa ipotesi: la sensibilità che si registra a livello continentale tende a spostare verso il libero esercizio del diritto di cronaca quel "punto di equilibrio", mentre in Italia alcune sensibilità politiche vorrebbero ricondurlo verso la tutela dei diritti individuali.
Essendo l'Italia saldamente inserita nei contesti internazionali l'eventuale frizione tra queste diverse impostazioni condurrebbe a questo apparente contrasto tra giudicati.
E' un contrasto apparente, e non reale, perché la pronuncia europea si rivolge direttamente allo Stato italiano (che subisce condanna) e non priva di effetti la sentenza nezionale resa tra parti private.
In sostanza l'attività della Corte europea svolge una funzione di "moral suasion" nei confronti dei Legislatori nazionali affinché essi armonizzino la normativa ai valori propugnati a livello continentale.
Grazie molte per la risposta interessante,
ma se la sentenza della corte di giustizia non annulla gli effetti del giudicato dei tribunali italiani il Riolo continua ad essere condannato a versare 80 milioni di lire (140 con gli interessi) al presidente forzista della provincia di Palermo, Francesco Musotto, per averlo criticato. Mentre lo Stato italiano deve risarcire il Riolo con 60 mila euro più 12 mila di spese legali. Se così fosse il politologo continuerebbe a subire un danno considerevole da una sentenza che comunque viola l’articolo 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo. E lo Stato, cioè noi, in quanto il Musotto ha vinto la causa, deve sborsare 72 mila euro al Riolo. Se così fosse si capirebbe perché abbiamo un comico come leader politico. In quanto la cosa potrebbe sembrare davvero ridicola. Infatti insieme al Riolo soccombe il diritto individuale all’espressione delle opinioni e quello collettivo all’informazione, ovvero soccombiamo pure noi cittadini e soccombiamo la seconda volta perché lo Stato deve mettere mano al portafogli e pagare. L’unico che vince è il Musotto.
Considerazione: se comunque è facile comprendere la necessità di trovare un “punto di equilibrio” che in Italia si avvicina più ai diritti dell’individuo, rimane aperto il problema della mancanza di tutela adeguata del “diritto collettivo” all’informazione senza il quale la mobilitazione sociale, vista come momento di crescita civile, divento in sostanza impossibile. Peraltro mi chiedo se non sia un diritto individuale la libera espressione delle proprie opinioni. Infatti all’art. 19 C: Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
Un’ultima considerazione e finisco di molestare. Oggi ci si chiede se il “popolo” sta dalla parte dei magistrati o dalla parte dei politici. Semplifico molto, ma la sostanza dei fatti rimane comunque questa: le persone stanno con i magistrati o con i politici? A tale proposito oggi è stato pubblicato un interessante rapport(in)o di demos dal titolo Magistratura e Politica che ancora non ho letto, ma che, come solitamente accade per i rapporti demos, potrebbe essere interessante http://www.demos.it/2008/pdf/atlante_politico_18_magistratura_politica.pdf.
Relativamente al caso che l’attuale post mette in evidenza la gente comune coglie un senso di ingiustizia in quanto da una parte vi è un politico (con i propri diritti individuali) che viene attaccato in quanto soggetto politico e dall’altro un cittadino, ancorché politologo, (con i propri diritti individuali) che tutela con la propria libera espressione di cronaca , critica e pensiero il diritto collettivo all’informazione. Il giudice con la propria interpretazione “politica “, (si intenda in senso giuridico), riconosce ragione all’interesse individuale del politico. E potrebbe non essere la prima volta. Spesso accade, quindi, che in situazioni in cui l’interpretazione della norma non è univoca e c’è di mezzo un politico da una parte ed un cittadino comune dall’altra, chi soccombe in giudizio è spesso quet’ultimo. Alla fine quindi succede che i politici criticano aspramente i magistrati perché vogliono l’impunità di diritto ed opponibile erga omnes (con la conseguenza che la folla viene aizzata contro i magistrati); la gente comune critica i magistrati perché nota una certa soggezione di fatto del singolo magistrato (giudice o procuratore) nei confronti dei politici (lasciamo perdere l’associazione che poco ci interessa, stiamo infatti parlando di diritto non vedo come ci possa entrare l’ANM, quando parleremo di politica la faremo rientrare). Succede alla fine che tutti ce l’hanno con i magistrati e questi finiscono con carriere separate e si giunge al controllo governativo dell’azione penale. Se invece il magistrato fosse più attento a contemperare diritti individuali e diritti della collettività, sulla base della legge, piuttosto che su qualche forma di soggezione di fatto, forse la parte civile della cittadinanza rimarrebbe al proprio fianco, non certo per portare al seguito la ghigliottina, ma per vivere in uno stato di diritto.
rettifica:
l'art. 19 si riferisce alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948. La nostra costituzione fa riferimento alla libertà di manifestare il proprio pensiero all'ormai famosissimo articolo 21.
A Caesare, delle 16,58 sono dovuti alcuni chiarimenti, necessari a causa della complessità della materia.
Sia la legge italiana che la CEDU (Convenzione europea dei diritti dell'uomo) riconoscono, oltre al diritto all'informazione, anche quello della tutela della vita privata.
I giudici italiani che hanno esaminato il caso non hanno mostrato "soggezione" rispetto all'uomo politico coinvolto nel processo, bensì alla legge italiana.
La giurisprudenza, infatti, ha elaborato nel corso degli anni alcuni "paletti" che circoscrivono il diritto di cronaca: oltre al controllo sulla veridicità dei fatti narrati, ed al loro interesse pubblico, esiste un limite detto della "continenza" verbale. Vale a dire che c'è modo e modo di dire la stessa cosa e, fermo il diritto di critica, non si deve eccedere nei toni.
Ora, che il Giudice europeo usi un metro diverso dal giudice italiano è un fatto plausibile, ma non misurabile scientificamente, essendo rimessa alla specifica sensibilità l'individuazione della "misura" del diritto di critica.
Il diritto, in generale, è una scienza umana nella quale è usuale il ricorso a concetti necessariamente imprecisi, i cui limiti vengono in concreto dettati dalla prassi giurisprudenziale.
Si pensi, a titolo di ulteriore esempio, al concetto di "gravi indizi di colpevolezza", che domina la materia delle misure cautelari penali: la giurisprudenza si impegna per delineare e riempire di contenuti queta formula che, tuttavia, denoterà sempre una certa percentuale di vaghezza.
Non vi è dubbio, comunque, che le indicazioni della Corte europea siano utili non solo al Legisaltore nazionale che intenda adeguarvisi, ma anche ai giudici nazionali che dispongono di un parametro in più per regolarsi nell'intepretazione delle norme da applicare ai casi concreti.
Giustizia e abuso?
Ascoltiamo anche le voci che ai media non arriveranno mai.
http://www.reset-italia.net/2008/07/24/usi-e-abusi-romani/
Finchè c'è Rete c'è Speranza (...e Lotta aggiugerei, con il permesso di tutti)
Per Trarco Mavaglio (il cui post non è stato - ancora - pubblicato).
Gentile Trarco, parlavamo or ora della "continenza" che deve caratterizzare la critica.
Attendiamo, ansiosi, una versione del Suo intervento che risulti pubblicabile.
Ringrazio Cinzia per il prezioso ed interessante link e mi unisco all’ansiosa attesa della Redazione. Spero che Mavaglio abbia avuto modo di “contenere” la sua rabbia avverso le “in-giustizie” che il post mette in lucene.
Infatti un Presidente di Giunta Provinciale che, in qualità di avvocato penalista, difende un imputato nel processo sulla strage di Capaci nel momento in cui la stessa Provincia si costituisce, insieme allo Stato e alle altre istituzioni locali, parte civile, è cosa bene strana. E sapere che chi ha criticato la mancanza di trasparenza istituzionale richiesta ad un Presidente di Giunta, da un giornale – Narcomafie – il cui direttore è Luigi Ciotti è oggi condannato da un tribunale italiano ad uno spaventoso risarcimento che eroderà per tutta la vita del reo (compreso TFR) 1/5 del proprio stipendio (professore all’Università di Palermo), è cosa che fa davvero rabbia e la rabbia come ben si sa ci induce alla “incontinenza”. Tuttavia la rabbia è questione da poco, non ci permette di cambiare le cose. Occorre mantenere lucidità, sempre, e cercare i giusti modi per esprimere le idee, la critica evitando di venire strozzati dai lacci e laccioli che il nostro sistema giudiziario pone a presidio dell’onorabilità delle persone serie (vedere post “Politica, informazione, magistratura e principi costituzionali” 21 luglio), anche a dispetto di interpretazioni politologiche che si basano su fatti e costituiscono di questi ultimi una chiave di lettura.
La questione che la sentenza della Corte di Giustizia pone in evidenza ha una valenza di grande importanza in quanto con queste regole poste a presidio dell’onorabilità e con la giurisprudenza maturata, rischiamo di fare un favore alla criminalità organizzata, appunto all’onorata società. Abbiamo tutti sentito Salvatore Borsellino nella sua testimonianza, che rimarrà storica per pathos, coraggio e chiarezza dell’analisi; ma fino a quando Salvatore potrà continuare a dire le cose che dice? Con le regole di oggi, che hanno colpito duramente anche familiari di vittime della mafia, continueremo ad essere il paese della mafia: pasta, pizza, mandolino e zu’ Turi.
Tuttavia è bene sempre contenersi e cercare strumenti più efficaci del semplice insulto e metodi più costanti che la rabbia.
Un saluto in attesa di conoscere il punto di vista di Mavaglio
c'è un'interessante lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica su l'Espresso. inviterei tutti sistematicamente a partecipare... affinchè le voci si uniscano contro le ingiustizie e non rimangano confinate ognuno nei propri spazi....
con stima a tutti i partecipanti di questo interessantissimo blog,
francesca cenerelli
per Francesca Cenerelli
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