sabato 9 maggio 2009

“Ho eseguito gli ordini ma mi vergogno. Quei disperati ci chiedevano aiuto”




di Francesco Viviano
(Giornalista)




da Repubblica.it del 9 maggio 2009


Lampedusa - “È l’ordine più infame che abbia mai eseguito. Non ci ho dormito, al solo pensiero di quei disgraziati”, dice uno degli esecutori del “respingimento”.

“Dopo aver capito di essere stati riportati in Libia - aggiunge - ci urlavano: “Fratelli aiutateci”. Ma non potevamo fare nulla, gli ordini erano quelli di accompagnarli in Libia e l’abbiamo fatto. Non racconterò ai miei figli quello che ho fatto, me ne vergogno”.

Parlano i militari delle motovedette italiane - quella della Guardia di Finanza, la “Gf 106” e quella della Capitaneria di porto, la “Cpp 282” - appena rientrati dalla missione rimpatrio.

Sono stati loro a riportare in Libia oltre 200 extracomunitari, tra i quali 40 donne (3 incinte) e 3 bambini, dopo averli soccorsi mercoledì scorso nel Canale di Sicilia.

Un “successo”, lo ha definito il ministro Maroni, che finanzieri e marinai delle due motovedette non condividono anche se hanno eseguito quegli ordini.

Niente nomi naturalmente, i marinai delle due motovedette rischierebbero quanto meno una punizione se non peggio.

Ma molti non nascondono il loro sdegno per quello che hanno vissuto e dovuto fare.

“Eravamo impegnati in altre operazioni - dicono fiamme gialle e marinai della capitaneria - poi improvvisamente è arrivato l’ordine di andare a soccorrere quelle tre imbarcazioni, di trasbordarli sulle nostre motovedette e di riportarli in Libia”.

Non è stato facile, a bordo di quelle carrette del mare c’erano donne incinte, tre bambini e tutti gli altri che avevano tentato di raggiungere Lampedusa.

“Molti stavano male, alcuni avevano delle gravi ustioni, le donne incinte erano quelle che ci preoccupavano di più, ma non potevamo fare nulla, gli ordini erano quelli e li abbiamo eseguiti. Quando li abbiamo presi a bordo dai tre barconi ci hanno ringraziato per averli salvati. In quel momento, sapendo che dovevamo respingerli, il cuore mi è diventato piccolo piccolo. Non potevo dirgli che li stavamo portando di nuovo nell’inferno dal quale erano scappatati a rischio della vita”.

A bordo hanno anche pregato Dio ed Allah che li aveva risparmiati dal deserto, dalle torture e dalla difficile navigazione verso Lampedusa.

Ma si sbagliavano, Roma aveva deciso che dovevano essere rispediti in Libia. “Nessuno di loro lo aveva capito, ci chiedevano come mai impiegavamo tanto tempo per arrivare a Lampedusa, rispondevamo dicendo bugie, rassicurandoli”.

La bugia non è durata molto, poco prima dell’alba qualcuno ha notato che le luci che vedevano da lontano non erano quelle di Lampedusa ma quelle di Tripoli. Alla fine i marinai italiani sono stati costretti a spiegare: “Non è stato facile dire a tutta quella gente che li avevamo riportati da dove erano partiti. Erano stanchi, avevano navigato con i barconi per cinque giorni, senza cibo e senza acqua. Non hanno avuto la forza di ribellarsi, piangevano, le donne si stringevano i loro figli al petto e dai loro occhi uscivano lacrime di disperazione”.

Lo sbarco a Tripoli è avvenuto poco dopo le sette del mattino: “Vederli scendere ci ha ferito tantissimo. Ci gridavano: “Fratelli italiani aiutateci, non ci abbandonate””.

Li hanno dovuti abbandonare, invece, li hanno lasciati al porto di Tripoli dove c’erano i militari libici che li aspettavano.

Sulla banchina c’erano anche i volontari delle organizzazioni umanitarie del Cir e dell’Onu, ma non hanno potuto far nulla, si sono limitati a contare quei disperati che a fatica, scendevano dalla passerelle delle motovedette per tornare nell’inferno dal quale erano scappati.

Le donne sono state separate dagli uomini e portati in “centri d’accoglienza” vicino Tripoli.

Non si sa che fine faranno.

Solo uno è riuscito a sfuggire al rimpatrio. Un ventenne del Mali che aveva intuito cosa stava succedendo a bordo e si era nascosto sotto un telone. Ha messo la testa fuori solo quando la motovedetta della Finanza è attraccata a Lampedusa, ha aspettato che a bordo non ci fosse più nessuno e poi è sceso anche lui. È stato rintracciato mentre passeggiava nelle strade dell’isola ed ha subito confessato. Adesso si trova nel centro della base Loran di Lampedusa. Un miracolato.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

che vergogna...che orrore...mi dio dovre andremo a finire....

Mauro C. ha detto...

Stamattina,del 9/05, il responsabile del Cir ha telefonato a Prima Pagina e ha chiarito a G.A. Stella (anche lui aveva creduto a Maroni...) che loro possono fare ben poco se non nulla - come in questo caso - in quel contesto.
In sostanza si tratta di una vera deportazione "legalizzata" dagli esultanti invasati leghisti,che andrebbero denunciati alla Corte dell' Aia. O quantomeno, civilmente, per attività pericolosa (all'umanità) come da art. 2050.
Ai militare, meri esecutori, va detto che esiste l'obiezione di coscienza: io non ho mai eseguito ordini (o lavori/opere)sbagliati. Alcuni militari israeliani, persino riservisti, si son rifiutati di "combattere" o di bombardare in zone con presenza di civili...anche se poi non ha cambiato nulla dei devastanti effetti. Il fatto più inqiuetante è che il capo - affetto e frastornato dalla sindrome Ve...ronica - abbia avallato il tutto; nessun "velino" di pietismo?