sabato 31 gennaio 2009

L’A.N.M. al tempo della restaurazione ovvero un tema da approfondire seriamente






di Stefano Racheli
(Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma)




Faccio appello alla pazienza dei lettori del blog: non solo infatti tornerò sul c.d. “caso Salerno/Catanzaro”, ma le mie osservazioni dovranno necessariamente essere lunghe.

La vicenda in questione – la cosa è sotto gli occhi di tutti – ha ormai assunto l’aspetto di una melassa che tutto lega e tutto nasconde: nessuno sa più individuare la fine e il principio della storia e, come nella più classica lite tra coniugi, alla fine, non si sa neppure perché il bisticcio sia mai cominciato.

Insomma, al di là delle intenzioni di questo o quello, la questione – come temevamo – è stata oggettivamente buttata in caciara, sì che quasi tutti, stringendosi nelle spalle, finiscono per tornarsene ai loro affari rinunziando a capire cosa sia accaduto o stia accadendo.

Tutti, tranne Apicella, Nuzzi e Verasani che non possono tornare ai loro affari.

Non solo non possono tornare ai loro affari, ma non c’è giorno che non vengano rosolati da questo o quell’intervento di autorevoli esponenti della magistratura associata.

E non si può pensare che si tratti di stupidità o di malvagità.

Che fare? Trattare il merito del processo non si può. Polemizzare neppure. D’altra parte tacere sarebbe vile (come si fa a non difendere chi non può rispondere?).

Proverò dunque a battere una via di mezzo la quale non soltanto suoni come difesa dei colleghi, ma soprattutto tenti di darsi conto del perché tutto ciò accada.

Per fare ciò partirò dall’intervista rilasciata il 27 gennaio scorso da Giuseppe Cascini che, oltre a esser un valente magistrato, è segretario generale dell’A.N.M. (l'intervista può essere letta integralmente a questo link).

Afferma Cascini: «Per quanto riguarda Salerno e Catanzaro non abbiamo chiesto sanzioni disciplinari né abbiamo espresso valutazioni sulle decisioni degli organi preposti a esaminare disciplinarmente queste condotte».

Non controbatto (potrebbe sembrare polemico), ma “contrappongo”. Cosa? Né più né meno quanto riportato dalla stampa nazionale.

«Non abbiamo chiesto» afferma Cascini. Scrive (prima della “condanna”) La Repubblica del 10.1.2009: «E’ stato un cortocircuito giudiziario che richiede rapide risposte» (dichiarazioni Palamara). «Abbiamo preso atto con soddisfazione della tempestiva iniziativa del C.S.M. prima e oggi del Ministro» (dichiarazioni Cascini).

«Non abbiamo espresso valutazioni sulle decisioni» afferma sempre Cascini. Riferisce (dopo la “condanna”) La Repubblica del 20.1.2009: «E’ una risposta sollecita a una pagina nera della giustizia. Il sistema ha dimostrato di avere gli anticorpi» (dichiarazioni Palamara).

Giudichi il lettore se ci sia stato auspicio prima della “condanna” e plauso dopo. Io non debbo aggiungere nulla.

Del resto a me sembra una costante dei pronunciamenti dell’A.N.M. quella di affermare di non dire mentre si dice.

Si prenda i comunicato dell’A.N.M. del 10.12.2008:
«(…) quello che è sconcertante in questa vicenda, che sconcerta noi come magistrati e come cittadini e che crediamo sconcerti l’opinione pubblica, è lo smarrimento completo e assoluto di ogni regola e di ogni ragione, di talché l’esercizio del potere giudiziario si presenta all’esterno come arbitrario, sganciato da regole, incomprensibile.
Non è nostra intenzione esprimere valutazioni sul merito del provvedimento di perquisizione e sequestro emesso dalla Procura di Salerno, sulle finalità o sulle modalità esecutive adottate.
(…) Anche in questo caso è evidente si sono smarrite regole e ragione. Un magistrato non deve mai allontanarsi dalla regola e dalla ragione: solo questi sono i fari e i punti di riferimento della sua azione»
.

Ora è del tutto evidente che ciascuno è libero di avere le sue opinioni sull’accaduto (ci mancherebbe!). Quel che suona strano è che, a un tempo, si censuri e si neghi di censurare l’operato di Apicella & C.

Dite voi che leggete se si può affermare che la vicenda sconcerta, che si sono smarrite regole e ragione, che il provvedimento si presenta come arbitrario e, al tempo stesso, proclamare che non si intendono esprimere valutazioni sul merito del provvedimento.

Apro una breve parentesi. E’ del tutto evidente che ogni provvedimento dovrebbe essere in accordo con le regole del diritto e con le regole della ragione. Ma non è questo il punto della questione.

Il punto è – deve essere – che, se non si vogliono consegnare i giudici, legati mani e piedi ai voleri della piazza o agli interessi della politica, occorre chiarire chi debba stabilire se le regole appena indicate siano state o meno osservate.

La risposta (e dunque la regola da osservare nel caso che ci occupa) è la seguente: l’inosservanza delle regole di diritto (violazione di legge) o della ragione (contraddittorietà o illogicità della motivazione) sono giudicate dal giudice dell’impugnazione e non danno luogo a responsabilità disciplinare.

La competenza del “giudice disciplinare” scatta solo nel caso di provvedimento abnorme e cioè di provvedimento del tutto al di fuori dei poteri del giudice e degli schemi del diritto. Chiusa parentesi.

Ma torniamo alla “illogicità” del comunicato dell’A.N.M..

Esso (emanato – si badi bene – ben prima della “condanna” di Apicella & C.) afferma:
«Riteniamo di dover ricordare che il dovere di motivazione dei provvedimenti giudiziari consiste nella chiara e analitica descrizione delle ragioni di fatto e di diritto sulle quali il provvedimento si fonda. E che la riproduzione integrale di atti di indagine, affastellati tra loro e non inquadrati all’interno di un percorso argomentativo logico-razionale, da un lato, non aiuta a comprendere le ragioni di fatto e di diritto su cui il provvedimento si fonda e, dall’altro, determina un’impropria diffusione del materiale investigativo. Tale materiale, peraltro, proprio perché non filtrato da un ragionamento di ricostruzione di fatti, si presta ad uso distorto da parte di mezzi di informazione, i quali, per l’autorevolezza della fonte da cui l’atto promana, amplificano la confusione tra farti accertati e mere ipotesi o allusioni. Né può sottacersi il fatto che tra il materiale riprodotto nel provvedimento vengono riportati fatti attinenti alla vita privata di persone estranee all’indagine e privi di alcuna rilevanza investigativa, così come vengono riportati sospetti, insinuazioni e accuse rivolte dal denunciante a persone estranee all’indagine e nei confronti delle quali non è stato elevato alcun addebito, e che pertanto non hanno alcuna possibilità di difendersi.
Si tratta di conseguenze dannose, estranee alla finalità dell’atto e che sarebbe stato agevole evitare.
L’ANM reputa legittimo domandarsi quale sia la finalità di un tale metodo di elaborazione dei provvedimenti giudiziari ed interrogarsi se, al di là delle intenzioni, la stessa non appaia estranea alle ragioni e alle regole del processo penale»
.

Confesso di trovarmi nel più totale imbarazzo: per un verso infatti il comunicato ripete (o meglio anticipa) le accuse mosse dal P.G. presso la Cassazione e dal Ministro, sì che confutare il comunicato vorrebbe dire entrare, da parte mia, nel merito del procedimento; per altro verso se è corretto accettare rispettosamente le incolpazioni (salvo confutarle nel processo), non si vede perché si debbano accettare rispettosamente i documenti dell’A.N.M..

Non ho la minima idea se il fatto sia voluto o sia casuale. Certo è che le cose stanno così: l’A.N.M., dicendo di non affrontare il merito della vicenda, parla del merito e con questo espediente vorrebbe impedire che altri parlino del merito. Finisce, insomma, che del merito ne parla una parte sola e a senso unico, il che non mi sembra il massimo, se è il dialogo che si vuole.

Comunque stiano le cose, tenterò ancora una volta di tenermi nel mezzo e mi limiterò a evidenziare il parallelismo (cui sopra accennavo) tra documento dell’A.N.M. e incolpazioni mosse nella sede propria ad Apicella & C. (che si possono leggere a questo link) là dove si accusano questi ultimi:

- di aver adottato una motivazione costruita da riproduzione di atti di indagine, affastellati tra loro e non inquadrabili all’interno di un percorso argomentativo logico-razionale;

- di essersi così prestati a un uso distorto da parte dei mezzi di comunicazione;

- di aver riportato fatti attinenti alla vita privata di persone estranee all’indagine e privi di rilevanza investigativa;

- di aver comunque riportato accuse rivolte dal denunziante a persone estranee all’indagine;

- di aver causato un’impropria diffusione del materiale investigativo;

- di aver, in definitiva, redatto un provvedimento giudiziario abnorme.

Resisto stoicamente alla tentazione di confutare una per una le varie accuse, e mi limito a osservare quanto appresso.

Se le accuse mosse da PG e Ministro coincidono con quelle mosse dall’A.N.M., che senso ha affermare che «esiste la preoccupazione che il giudizio [della Sezione Disciplinare n.d.r.] entri nel merito dell’indagine» (intervista Cascini)?

Ma c’è un’altra contraddizione che merita di essere rilevata.

Afferma l’intervistato: «Non credo che ciò sia successo in questo caso [e cioè: non credo che il giudizio disciplinare sa entrato nel merito della giurisdizione. n.d.r.]: aspettiamo le motivazioni».

Sorge spontanea la domanda: «Come fai a credere che non sia successo se, per saperlo, occorre attendere la motivazione?»

Sembrerebbe che – a fronte di una oggettiva convergenza politica tra A.N.M., P.G. e Ministro – si senta il bisogno di prospettare l’accaduto come legittimo e comunque di rassicurare l’elettorato (si ricordi che le “correnti” che agiscono nell’A.N.M. sono le stesse che competono per la conquista del C.S.M.) mostrando che l’A.N.M. veglia in armi a tutela del costituzionale esercizio della giurisdizione.

Sembrerebbe – detto più chiaramente – che per un verso si senta il bisogno di rassicurare i magistrati che stia trionfando la legge e, per altro verso, questo trionfo dissimuli la vittoria non della giustizia, ma della “ragion di stato”: la magistratura – si dice – è debolissima a fronte dell’“attacco” politico; il clamore mediatico deformante dell’accaduto rende impossibile ogni difesa; si prospettano, all’orizzonte, terrificanti riforme del C.S.M., dunque – sembra si concluda – dobbiamo apparire decisi e non corporativi.

E infatti il Segretario generale dell’A.N.M. afferma, fuori dai denti: «Non siamo il sindacato di una corporazione (…) L’A.N.M. spinge per il rinnovamento. Una vecchia concezione corporativa tollerava opacità e collusioni».

A me sembra che non si possa parlare di “corporativismo-sì/corporativismo-no” se non esaminando attentamente le ragioni di Apicella & C.

Se infatti fossero assolti ovvero la condanna si rivelasse, ad un esame critico, del tutto illegittima (tesi da dibattere avanti al giudice disciplinare o dell’impugnazione) ci si dovrebbe interrogare (tesi da dibattere all’interno dell’A.N.M.) non solo e non tanto se la ragion di stato abbia prevalso sulla giustizia, ma, anche e soprattutto, se l’A.N.M. abbia adempiuto al suo compito o sia stata ancora una volta – e in un senso ben preciso – corporativa.

Mi spiego.

Ha ragione Cascini: “Una vecchia concezione corporativa tollerava opacità e collusioni” (il corsivo è mio).

Forse questo “vecchio” modo di essere corporativi, quando le correnti erano altra cosa, oggi non c’è più.

Ma – ed è questo uno dei risvolti politici della storia di Apicella & C. – può dirsi che non c’è più alcuna forma di corporativismo?

Il mondo post-comunista e globalizzato è veramente un altro pianeta: i governi “nazionali” si sono ridotti a governi “locali”, con incredibile accelerazione nei cambiamenti, con evidente caduta nel controllo del potere, con inevitabile dislocazione dei poteri politici fondamentali nei centri “tecnici internazionali”, con un corrosione del principio di legalità (nel senso che mentre esiste una società globalizzata, non esiste una corrispondente legalità globalizzata).

Nella notte della caduta delle ideologie, nella quale tutti i partiti sono bigi; nel mutarsi dello scenario ove si esercita il potere politico; nel costituirsi del potere politico sempre più come “potere” piuttosto che come “politico”, sono venute meno le assonanze ideologiche (salvo – qua e là – qualche onda lunga).

L’A.N.M. è divenuta a sua volta (come a suo tempo l’U.M.I. o la Consulta del Regno che ancora era operante negli anni ‘70) un’enclave dove si confrontano soggetti (le correnti) sorte in altra epoca, su altre problematiche, con altri fini: questi soggetti, come pugili suonati, seguitano a ripetere meccanicamente comportamenti e schemi di lotta che avevano significato sul ring di un’epoca tramontata.

La distinzione tra le correnti è oggi più formale che sostanziale se si assume come parametro quella della fuoriuscita da un sistema che in nulla produce giustizia.

Intendo dire che politicamente non c’è grande differenza tra le correnti perché esse rispondono in modo sostanzialmente identico al quesito di fondo: alla domanda “volete mantenere in vita l’attuale sistema?” esse, nei fatti, rispondono sì.

Le correnti hanno dato vita a un sistema che le rende diversissime da quelle di un tempo: un sistema (che ho osato chiamare “regime” in un articolo che si può leggere a questo link, non volendo offendere nessuno ma cercando di individuare le sue caratteristiche oggettive) che, tra l’altro, rende gli apparati del tutto prevalenti sugli appartenenti.

Un tempo le correnti avevano tra loro idee diverse sulla magistratura e sul suo ruolo, ma tutte cercavano di difendere l’indipendenza in iudicando dei magistrati.

Oggi sembrerebbe che le correnti abbiano un’idea comune della magistratura e del suo ruolo, ma – questo è il tema che pongo nel modo più cortese possibile – sembra che considerino il ruolo dell’attuale C.S.M. e degli apparati ad esso collegati un bene più grande dell’indipendenza di chi è chiamato a giudicare (o a indagare).

Sembrerebbe dunque (vorrete prendere nota del garbo insito sia nell’uso del verbo “sembrare” sia nell’uso del modo condizionale) che si ammicchi al potere politico dicendo “Che bisogno c’è di cambiare, ci sono qui io a garantire il minimo di sudditanza necessario”.

Il Segretario generale è, sul punto, inequivoco.

A domanda («Il vicepresidente Mancino ha proposto una diversa composizione del C.S.M.») risponde: «Si può ragionare sulle modifiche della legge elettorale, ma ferma restando la composizione. Non siamo favorevoli alle proposte che diminuiscono il numero dei membri eletti dai magistrati».

Intendiamoci: puntualizzo e affermo di essere contrarissimo a un “nuovo” C.S.M. che, abdicando ai valori attualmente riconosciuti dalla Costituzione, costituisca un guinzaglio al collo della magistratura.

Affermo però che non sarà evitata alcuna abdicazione se il “vecchio” C.S.M. dovesse iniziare a fare quello che si vorrebbe facesse il “nuovo” C.S.M..

Detto brutalmente: se devo essere fucilato da magistrati che si dicono imparziali e dietro i quali si nasconde un potere politico ignoto, preferisco essere fucilato dal Ministro che è noto e se ne assume la responsabilità politica.

Confrontarsi su questi temi “laicamente” (senza stracciarsi le vesti perché si parla male di Garibaldi, senza sentirsi offesi, senza sentire messa in dubbio la propria buona fede, etc etc) credo possa giovare non poco al corretto assetto della magistratura e dunque la Paese.

Parlarne però non all’insegna del generalia non sunt appiccicatoria, ma alla luce del caso Apicella & C, nel concretissimo dell’esercizio del potere disciplinare che, come è noto, può, in astratto, costituire strumento di auspicabile bonifica ma anche bavaglio inaccettabile: dunque va esaminato nel concreto, con la massima attenzione e vedendo se le incolpazioni si prestino ad essere “massimate” sì da non costituire pericolo per il futuro.

Un’ultima osservazione cui non posso sottrarmi perché ce l’ho di traverso nella strozza.

Si parla, ad un certo punto dell’intervista, della necessità di recuperare immagine anche colpendo i «magistrati che non agiscono o, peggio, i magistrati collegati o collusi con ambienti di potere».

Chiede l’intervistatore: «E’ accaduto in passato?» Risponde il Segretario generale: «Mi viene in mente una vicenda collegata al procuratore Apicella. Nel 2004 fu avviato un procedimento per trasferimento di Ufficio per incompatibilità ambientale. Il fratello del procuratore era stato indagato, dal suo stesso ufficio, per appartenenza ad organizzazione criminale di stampo camorristico. Il fratello del procuratore poi fu assolto, ma il procuratore Apicella non fu mai trasferito. Il C.S.M. decise a maggioranza. Per un voto».

Ma tu guarda combinazione! Tra tanti possibili esempi – zacchete! – cosa ti ripesca la memoria? Il caso Apicella (conclusosi felicemente) di quattro anni or sono,dato che altri esempi proprio non ce n’erano!

Mica si è voluto alludere al fatto che Apicella è un tipaccio; mica si è voluto sottolineare che se non son buone le ragioni di oggi, per trasferirlo, erano buone le ragioni di ieri; mica per dire che il C.S.M. è come il vino, col tempo migliora: ieri mancò il colpo per un voto, ma vedi un po’ oggi come sono perfezionati i metodi!; mica perché l’A.N.M. “vuole morto” Apicella.

Ci mancherebbe altro. Si è parlato così tanto per fare un esempio.

Dopo tutto se al Segretario generale dell’A.N.M. fanno una domanda, dovrà ben rispondere (beninteso, senza entrare nel merito). O no?



18 commenti:

Anonimo ha detto...

Garbato, leggero nella forma: ma ironico e pure non poco micidiale nella sostanza. Penso però che sia difficile perforare la pelle di certi elefanti.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Ho letto attentamente, ritornando più volte sui passi letti per megiio comprenderli e devo amaramente concludere che l'autorevolezza e il prestigio non sono più appannaggio della magistratura, come un tempo e da tempo immemorabile si è pensato.
E' drammaticamente attuale il dramma teatrale di Ugo Betti, scritto nel 1944, in cui il giudice Bata dice all'inizio "Il Palazzo poi è la miniera, è il pozzo, è il nido, del malcontento, dei sussurri. Comincia uno a spargere calunnie, l’altro seguita, il giorno dopo sono dieci, venti e poi… E’ come una cancrena che si allarga".
Ho visto sia la riduzione televisiva in bianco e nero di tanti anni fa che il film del 1974.
Quel clima morale sembra tornato, magistrati che meritano stima ed approvazione sono massacrati sistematicamente sia da loro colleghi che da un potere politico che sta rinnovando l'autoritarismo del fascismo ma sotto mentite spoglie.
La magistratura è ormai al "Si salvi chi può "?

Anonimo ha detto...

" In particolare, anche in quanto titolare dell’ufficio che è per legge investito del delicato compito di raccogliere le informazioni degli organi distrettuali di vigilanza sul corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale e sul rispetto delle norme sul giusto processo, ritengo che, allo stato della legislazione, a talune deprecabili anomalie nella conduzione di indagini si possa rimediare con un equilibrato esercizio delle funzioni di controllo e di direzione dei capi degli uffici, ovvero, se si rivelano insufficienti, avvalendosi delle competenze in ambito disciplinare che sono assegnate alla Procura generale della Cassazione e al Ministro della Giustizia; competenze, che, peraltro, ineriscono a momenti patologici del sistema.Questa osservazione ne porta con sé un’altra: sulla base del vigente ordinamento giudiziario l’ufficio che ho l’onore di dirigere – mediante la valorizzazione, da un lato, del ruolo assegnato dall’art. 6 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, sulla riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero, dall’altro, dell’intervento disciplinare in termini di garanzie di sostanza e non di carattere burocratico – può contribuire in maniera essenziale all’attuazione di ciò che si compendia nella formula del giusto processo, attivando l’iniziativa di coordinamento, o se necessario disciplinare, là dove la condotta del magistrato si pone in conflitto con i caratteri fondanti dell’esercizio della funzione giudiziaria.Ne sono esempi, recenti, le iniziative che ho ritenuto di dovere assumere a fronte di talune vicende che hanno destato clamore e sconcerto.E’ proprio la competenza nella materia disciplinare, assieme alla regola di obbligatorietà dell’azione, a far svolgere alla Procura generale un compito cruciale, totalmente rispettoso della autonomia della funzione giudiziaria, ma al tempo stesso orientato a difenderne le caratteristiche essenziali.
Si fa strada l’idea di una magistratura che traduca le formule, tradizionali, dell’equilibrio, del riserbo e della diligenza in comportamenti coerenti con ciò che è richiesto dal quadro costituzionale.

Questo è il passaggio del Procuratore Geenerale in cui si ribadisce il "modello del magistrato" adeguato alla Costituzione.

E' difficile capire che così facendo si abdica di fronte all'invadenza dei mezzi di comunicazione di massa che, evidentemente, possono, anche del tutto legittimamente, creare scalpore o clamore al fine di deligittimare l'azione del Magistrato.

Unica considerazione sullo scritto del dott. Racheli: dove è inziata la storia?
La storia è inziata sulla maggiore entrata che le Regioni c.d. obiettivo 1 hanno per ancora 8 o 9 anni ( somme che smuovono le montagne) tutto il resto è stata una derivazione

In questo senso, posso affermare che le ragioni dell’efficienza e quelle della garanzia, qui, si saldano e coesistono, appunto perché l’esercizio della funzione disciplinare, oltre che essere sanzione del caso singolo, svolge il ruolo di orientamento sul modo di esercizio dell’attività giudiziaria, in termini direttamente conformi alla Costituzione e alla Convenzione europea, ai cui principi ogni magistrato deve improntare la propria attività, prestandovi adesione.
Meglio anonimo stavolta non vorrei essere travolto da una montagna

Anonimo ha detto...

mah, se le sentenze sono strampalate saranno fatte a fette dalla Cassazione a SSUU...

l'ANM dovrebbe battersi per creare sezioni disciplinari presso le Corti d'Appello, composte ad giudici professionali.

coscienza critica ha detto...

Ebbene, non entro nel merito specifico dell'articolo, ma lo utilizzo per una riflessione del tutto personale. Già l'amico Carlo Vulpio aveva invitato la rete a considerare Cascini e l'ANM un tema da affrontare con serietà (post). Ma alla luce di tutto quello che sta succedendo, la mia riflessione riguarda la possibilità di una sorta di 'secessione giuridico-corporativa'. Osservando dall'esterno i fatti, le dichiarazioni, i veleni che ammorbano il 'caso giustizia' in Italia, non posso non lasciarmi andare in un 'ma perché i magistrati onesti non disertano le aule di tribunale e si dissociano dall'ordine'? Questo è l'impeto, certo. Poi sopraggiunge l'illuminista che è in me e penso, organizzando l'impeto di prima, che una cosa ragionevole da fare (ripeto, sempre vedendo la cosa dall'esterno e da profano) sia quella di prendere davvero le distanze dai corrotti e isolarli. Perché vi ostinate a rimanere tra le mele bacate? Io sono sicuro che una forte presa di posizione, da parte vostra, possa sbaragliare tutto e rimettere le bocce in gioco o, quantomeno, discernere le bocce bianche da quelle nere. Sono anche sicuro che la maggior parte dei magistrati vi seguirebbe, lasciando i corrotti da soli. Mi sto sbilanciando troppo? Ma d'altra parte, mi attengo al carattere del titolo del tuo post: occorre una restaurazione e, per far ciò, occorre prima smantellare, smontare, pulire e poi, tolte le magagne, ricostruire, restaurare. Occorre a mio avviso un atto di coraggio da parte vostra e io so che ne avete. Un'azione di gruppo, inoltre, vi renderà più forti; nessuno di voi dovrà più sentirsi isolato e vulnerabile (come succede adesso ed evito volontariamente i casi tristemente esemplari...). Create un'altra associazione, utilizzate gli articoli della Costituzione e dei codici di cui siete fieri paladini, protestate nelle piazze, organizzatevi e noi vi seguiremo. Isolate il male.
Gli italiani onesti sono ancora la maggioranza e da troppo tempo attendono invano un segnale forte dalle istituzioni, dalla politica. E se lo deste voi, questo segnale?
Saluti cordiali

Anonimo ha detto...

Contraddizioni?

Mirabili sintonie, piuttosto.

Sconcerto? O concerto?

Anonimo ha detto...

Per la cronaca, l'odierno intervento del Presidente della Gunta ANM di Salerno alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario:

"Avrei voluto parlare solo delle necessarie ed urgenti riforme della giustizia, dirette ad assicurare funzionalità ed efficacia al sistema giudiziario nell'esclusivo interesse dei cittadini, riforme che l'Associazione Nazionale Magistrati ha più volte chiesto alla classe politica nell’ultimo anno, e cioè:
- la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, con l'accorpamento degli uffici più piccoli, sulla base di dati e parametri oggettivi, e tenendo conto delle peculiarità del territorio;

- la riforma del processo civile, strumento fondamentale di tutela dei diritti lesi dei cittadini e punto chiave per lo sviluppo economico e per gli investimenti, da attuare attraverso lo sfoltimento e la razionalizzazione dei riti, l’abrogazione del rito societario, la tempestiva adozione dei decreti legislativi sulla mediazione e conciliazione in ambito civile e commerciale;

- l’attuazione del processo civile telematico, con investimenti adeguati (dotazioni informatiche, costruzione dei software, adeguamenti normativi, formazione degli operatori coinvolti), inconciliabile con i tagli effettuati alle risorse della giustizia;

- la riforma del processo penale, attraverso alcuni interventi prioritari: notificazione degli atti con la posta elettronica certificata, depenalizzazione dei reati minori, archiviazione per irrilevanza del fatto, abolizione dell'avviso di conclusione delle indagini, revisione del processo in contumacia; riforma della prescrizione e della recidiva;

- l’adeguamento di strutture, organici e risorse, anche attraverso il recupero delle risorse tagliate dall'ultima legislazione finanziaria, essendo altrimenti compromessa la dignità della funzione, intesa non come valore autoreferenziale dei magistrati ma come contrassegno della giurisdizione;

- abolizione del divieto, per i magistrati di prima nomina, di assumere le funzioni monocratiche e requirenti di primo grado, per evitare un "disastro" imminente, ampiamente preannunciato dall'A.N.M., e cioè la "desertificazione" di alcune sedi giudiziarie del meridione, atteso che il decreto legge 143/2008 sugli incentivi per le sedi disagiate rappresenta un rimedio insufficiente.
Avrei voluto limitarmi a ribadire l’allarme dell'Associazione Nazionale Magistrati per le proposte di modifica della disciplina delle intercettazioni, che indebolirebbero uno strumento investigativo indispensabile per individuare i responsabili di gravi delitti, e che rafforzerebbero forme di illegalità sempre più diffuse nel paese; e a ribadire l’allarme per le proposte dirette a sottrarre poteri investigativi all'ufficio del pubblico ministero, per affidarli all'iniziativa autonoma della polizia giudiziaria.

Avrei voluto limitarmi a ricordare ancora una volta che l'Associazione Nazionale Magistrati ritiene che non sarebbero utili al funzionamento della giustizia e all'interesse dei cittadini ad ottenere decisioni rapide riforme costituzionali che alterino i principi di indipendenza e autonomia della magistratura, come delineati nell'attuale assetto costituzionale.

Solo di queste cose avrei voluto parlare, perché solo queste cose stanno veramente a cuore ai cittadini italiani, nel cui nome pronunciamo quotidianamente le nostre sentenze.

Con profonda amarezza devo invece necessariamente parlare anche dell’incredibile vicenda che ha sconvolto gli uffici giudiziari di Salerno e Catanzaro.

Deve essere ben chiaro a tutti che su questa dolorosa vicenda la posizione della Giunta Esecutiva Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati (di cui faccio parte dal novembre del 2007) e della Giunta Distrettuale dell’A.N.M. di Salerno (che presiedo da quattro anni) è stata fin dall’inizio assolutamente inequivocabile.

Salerno non è Catanzaro.

Invero, in relazione ai magistrati di Salerno si è sempre discusso soltanto del metodo di elaborazione del provvedimento giudiziario adottato, mentre per quelli di Catanzaro si è ipotizzata la ben più grave violazione di specifiche disposizioni normative.

Fin dall’inizio di questa vicenda la Giunta Esecutiva Centrale non ha avuto esitazione a fare anche autocritica e ad affermare, in relazione al contesto calabrese, che per troppi anni si é consentito che la direzione di uffici giudiziari delicatissimi fosse affidata per decenni a magistrati spesso professionalmente squalificati, a volte addirittura collusi con i potentati locali (il che ha indubbiamente contribuito a quella crisi di legalità che, purtroppo, è il connotato più preoccupante di quella regione) e che su questi magistrati non si è intervenuti con tempestivo ed adeguato rigore da parte degli organi disciplinari, lasciando nell’opinione pubblica e nei colleghi un senso di insoddisfazione e di incompiutezza, ove si consideri, ad esempio, che un’indagine giudiziaria è stata prima ostacolata dal dirigente dell’ufficio e poi illegittimamente avocata dal Procuratore Generale.

Ma la Giunta Esecutiva Centrale non ha avuto esitazione anche ad affermare che il dovere del magistrato non é quello di “combattere il male” con qualunque mezzo, bensì di applicare la legge.

La magistratura è, e pretende di essere, custode della legalità. Ed è giusto che a noi si possa e si debba richiedere rispetto assoluto delle regole, di tutte le regole, processuali, etiche e deontologiche.

Invero, la soggezione del magistrato alla legge non è solo la garanzia della sua indipendenza, ma anche il limite del suo potere, che si giustifica solo se esercitato nel rigoroso rispetto delle regole.

Sulla vicenda che ha coinvolto gli uffici giudiziari di Salerno e Catanzaro è intervenuta la decisione della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura.

A noi non interessano né una difesa aprioristica del C.S.M. né una difesa corporativa dei colleghi sanzionati.

Attendiamo di leggere la motivazione per comprendere perché si è ritenuto necessario adottare urgenti provvedimenti cautelari, perché si è ritenuto necessario sanzionare più gravemente il Procuratore della Repubblica di Salerno e perché si è ritenuto non necessario sanzionare due dei quattro magistrati calabresi incolpati.

Solo in tal modo potremo capire le ragioni di questa decisione e solo in tal modo i colleghi sanzionati così gravemente potranno attivare i rimedi previsti dall’ordinamento per la tutela dei loro diritti.

Perché il magistrato è Istituzione e rispetta le altre Istituzioni. Quando è incolpato si difende nel processo e non dal processo, perché sa bene che è soggetto alla legge come tutti i cittadini e che le decisioni sfavorevoli si impugnano senza delegittimare l’organo che le ha adottate.

Questa vicenda offre comunque l’occasione per una seria riflessione culturale sul nuovo procedimento disciplinare introdotto dalla recente legge di riforma dell’ordinamento giudiziario.

Occorre infatti interrogarsi sulle possibili interferenze tra azione disciplinare e indagini in corso e sulle possibili ricadute di tali interferenze sull’indipendenza del magistrato.

Ecco perché l’A.N.M. di Salerno terrà un’assemblea il 5 febbraio e organizzerà nel mese di marzo un convegno di respiro nazionale dal titolo “L’indipendenza del magistrato tra azione penale e azione disciplinare”.

Rompendo una consolidata tradizione, l’A.N.M. ha scelto di esprimere con chiarezza il proprio punto di vista su questa vicenda senza precedenti nella storia giudiziaria di questo paese.

Siamo infatti convinti che tra i doveri dell’associazione vi sia certamente la difesa dell’indipendenza del magistrato, ma senza rinunciare al fondamentale compito di promuovere sul piano culturale un modello di magistrato adeguato al suo ruolo costituzionale e alla rilevanza degli interessi coinvolti nell’esercizio della giurisdizione.

L’A.N.M. si è trovata di fronte a che quello che il Presidente della Repubblica ha recentemente definito “un vero e proprio cortocircuito istituzionale e giudiziario”, che ha immediatamente offerto alla classe politica, tutta intera, l’occasione per regolare definitivamente i conti con la magistratura, e per mettere fine all’indipendenza del pubblico ministero e all’autogoverno della magistratura, commissariando di fatto l’unico potere rimasto ancora veramente libero in questo paese.

L’Associazione Nazionale Magistrati sarà impegnata nei prossimi mesi a difendere l’attuale assetto costituzionale della magistratura, nell’esclusivo interesse dei cittadini italiani e della democrazia in questo paese.

Sono sicuro che, superata la comprensibile amarezza di questi giorni, continueranno ad essere al nostro fianco anche Luigi Apicella, Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi.

Salerno, 31 gennaio 2009

Il Presidente

Gaetano Sgroia"

nanni64 ha detto...

Susate se é fuori tema. Ma voglio condividere la mia tristezza con voi.

E' morto stamattina Giuseppe Gatì, il coraggioso ragazzo che ha gridato 'viva Caselli' e contestato il “pregiudicato Sgarbi”.
Il popolo della rete lo conosce, conosce il suo coraggio, la sua libertà, la sua voglia di legalità, di pulizia. Il suo video é stato visto da moltissime persone. 20 anni e la grinta di non farsi strappare impunemente il futuro, di cercare di fare qualcosa, di gridare la propria indignazione, a costo di farsi perquisire ripetutamente, di farsi sequestrare in una stanzetta, senza difensore, senza reato. Ha difeso la sua denuncia.

Che il suo coraggio e la sua determinazione possa gridare ancora con la nostra voce.

Riposa in pace, ora, ragazzo mio !!

Riporto le sue parole, lasciate sul blog di Piero Ricca : www.pieroricca.org
“sono Giuseppe Gati’, 22 anni, il contestatore di Vittorio Sgarbi ad Agrigento. Vi allego un breve resoconto della serata.
Con alcuni amici l’altro giorno mi sono recato presso la biblioteca comunale di Agrigento per contestare con volantini e videocamera Vittorio Sgarbi. Ci siamo soffermati su due punti in particolare: la condanna in via definitiva per truffa aggravata ai danni dello stato, e quella in primo e secondo grado, poi andata prescritta, per diffamazione del giudice Caselli. Dopo quasi due ore di ritardo ecco che arriva, in sala la gente rumoreggia e fischia. Subito dopo aver preso la parola, naturalmente con qualche volgarità annessa, inizia la nostra contestazione. Nel video non si vedono o sentono certe cose. Sono stato subito preso e spintonato da un vigile, mentre qualcuno tra la folla mi rifilava calci e insulti. Sgarbi, prima chiedeva che venisse sottratta la videcamera alla mia amica, e dopo cercava lui stesso di impossessarsene.
Ma è importante sapere cosa succede dopo. I miei amici vanno via perchè impauriti, mentre io vengo trattenuto dai vigili. Si avvicina un uomo in borghese, che dice di appartenere alle forze dell’ordine e cerca di perquisirmi perchè vuole la videocamera (che ha portato via la mia amica). Io dico che non puo’ farlo e lui mi minaccia e mi mette le mani addosso. Arriva un altro personaggio, e minaccia di farmela pagare, ma i vigili lo tengono lontano. Dopo vengo preso e portato in una sala appartata della biblioteca, dove la polizia prende i miei documenti e il telefonino. Chiedo di vedere un avvocato (ce n’era addirittura uno in sala che voleva difendermi), per conoscere i miei diritti, ma mi rispondono di no.
Mi identificano piu volte e mi perquisiscono. Poi mi intimano di chiamare i miei amici, per farsi consegnare la videocamera, ma io mi rifiuto. Arriva di nuovo il presunto appartenente alle forze dell’ordine in borghese e mi dice sottovoce che lui dirà di esser stato aggredito e minacciato da me. Non mi fanno parlare, non mi posso difendere. Dopo oltre un’ora e mezza mi dicono che non ci sono elementi per essere trattenuto ulteriormente, mi fanno fermare il verbale di perquisizione e mi congedano con una frase che non posso dimenticare: “Devi capire che ti sei messo contro Sgarbi, che è stato onorevole e ministro…”.

La Redazione ha detto...

Sgroia sa che i colleghi non devono difendersi solo nel processo. Sgroia sa che ormai i colleghi si devono difendere da comunicati della loro Associazione e da interventi dei suoi dirigenti che aizzano il Ministro contro di loro. E plaudono a condanna sommaria avvenuta.
Sgroia sa che l'autorevolezza il giudice se la conquista con la bontà giuridica delle sue decisioni e non con l'autoritarismo.
Quello che noi ancora non sappiamo è cosa Sgroia pensi della condanna disciplinare di Luigi De Magistris.
Sappiamo solo che, molto probabilmente, Sgroia chiederà i voti per andare al CSM proprio ai colleghi del distretto di Salerno.
Sappia Sgroia che quelli disciplinari contro i magistrati sono processi di rango costituzionale e che i cittadini saranno costantemente informati di come i magistrati della Repubblica vengono trasferiti e puniti.
Nessuno conti sul silenzio, qui non si tace.
Nicola Saracino

nanni64 ha detto...

Per Gabriele Di Maio.
Ho letto: che vuole dire ? E' l'ennesima conferma della scelta del male minore ?

"L’Associazione Nazionale Magistrati sarà impegnata nei prossimi mesi a difendere l’attuale assetto costituzionale della magistratura, nell’esclusivo interesse dei cittadini italiani e della democrazia in questo paese":

Come?

Dimostrando che il CSM é in grado di eliminare gli "anticorpi" pericolosi per i politici senza bisogno che lo riformino ?

"Sono sicuro che, superata la comprensibile amarezza di questi giorni, continueranno ad essere al nostro fianco anche Luigi Apicella, Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi":

Cos'é ?
E' una provocazione ulteriore e terribile ?

Gabriele Di Maio, mi dica: leggo male ?

Mi dica, se ho letto male: cosa avrebbe inteso dire il dott. Sgroia ????????

nanni64 ha detto...

Scusate: ancora non era pubblicato il commento di Nicola Saracino.

Non chiedo più risposte: ho letto benissimo !

Anonimo ha detto...

Caso Ustica e caso marcucci
www.strageustica.altervista.org
www.mariociancarella.altervista.org
www.usticaemafie.splinder.com

Se volete leggete il materiale in esso contenuto e fateci sapere la vostra opinione. laura picchi

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Grazie @ Nanni64, sono andato a leggere (la notizia è passata quasi sotto silenzio) e dico che mi sembra una morte molto sospetta.
Condivido la tua tristezza.

Anonimo ha detto...

“La Grande Bugia è una bugia così enorme da far credere alla gente che nessuno potrebbe avere l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame” - (Adolf Hitler, “Mein Kampf”) .

carissimo dottor Racheli e carissimi bloggers di uguale per tutti, ho fatto caso al cambio nella testatina superiore all'articolo..se nn ricordo male il precedente era quello del grande verbitsky

quel pensiero di hitler è nella nostra dimensione ,progressivamente da anni e almeno decenni, il nostro fornetto di sterminio ..

siamo come in un reality..se lo vedessimo, io ne vedo alcuni spezzoni in blob di ghezzi, ne proveremmo orrore , per le contraddizioni evidenti, per il modo di calpestare il vero con il finto..e l'articolo del dottor Racheli,ricchissimo di tutte le evidenze che hanno reso deforme ogni verità fino ai volti da dottor Jekyll e del signor Hyde,nei comportamenti di chi non avrei mai creduto potesse essere così ,il dottor Cascini..

io non sono del mondo e delel strutture e comptenze giuridiche , ma il mio amore per la verità mi fà vedere i segni di chi la deforma anche semplicemnte dalla stessa scatoletta tv..non si può presentare in un modo e poi in un altro il dottor cascini, non può andare ad anno zero con la faccia e le parole da mostro e poi di fianco alla dandini, parlare con noi , di fronte a noi trasformato da hide..mentre di palamara che dire!vogliamo ricordare il suo impegno come magistrato cioè le cronache prima della carica ANM cosa riportano di lui?
è stato come de magistris? beh il triste è che qualche giudice della cassazione potrebbe dire di lui che è stato bravo, ha fatto il suo mestiere,mentre de magistris si è spinto oltre,e la passione per la verità a un buon magistrato non serve..la verità non è nè un artenè una virtù..è terribile!

io ho visto il tremore delle mani innocenti a qualsiasi truman show in cui ci troviamo, nelle mani del dottor Apicella che sembrava quasi sofferente di incapacità a proferire parola perchè ne aveva dentro e nei suoi un orizzonte pieno di verità,sempre così lontana da cio' che riprendono le telecamere,che sono cosi utili solo quando a questo punto se le installano in banca o ce le installiamo nei condomini

è molto molto vero il suo articolo dottor Racheli. è così vero che lo capirebbero anche i bambini se nn li avessero sterminati con il fornetto mediatico

ieri ho visto con orrore le riprese dellapertura dell'anno giudiziario a catanzaro..sembrava un film horror made in italy drammi italiani ,stile bellocchio o rosi o sorrentino..mi ha fatto solo sollievo sentire invce l'apertura di quello di palermo e un'intervista successiva al giudice Ingroia..che forse per non saper più come dire i veri problemi di cui soffre la giustizia italiana, ha parlat delle vostre fabbriche "veline", non quelle del consenso , anzi assenso, quelle di come siete messi con gli strumenti di lavoro fin dalle macchine fotocopiatrici..altro che parlare quando fà comodo degli arresti domiciliari per lo stupratore delle fiere di roma, tutto un altro parlare, come il suo di questo articolo,grazie dottor Racheli e speriamo /lavoriamo perche le verità negateci, il passato mai risolto,nel presente in cui continuano a incombere e svilupparsi,finisca prima possibile per voi e tutti noi..scusate se ho scritto troppo,era da un po' che vi leggevo senza scrivervi..e lascio scritti anche i miei piu cari saluti,vicini e accorati a tutti i magistrati costretti a vivere senza verità come noi e che per giunta devono lavorarci senza mezzi e fondi e con continue riforme urlate che mai arriveranno anche quando arriverrano,al nucleo della verità..quella vera ,nn quella spacciata per vera,
che dando soluzioni PER TUTTI,nel rispetto della costituzione sana dei padri e dei figli,risolve-
lupo pasolinante

Gennaro Giugliano ha detto...

Mi domando se arrivati a questo punto è sufficiente l'indignazione della opinione pubblica oppure è tempo di rispolverare questi : http://it.wikipedia.org/wiki/Carboneria
Buon lavoro a tutti

Silvio Liotta ha detto...

Caro dott. Racheli,
vorrei innanzitutto farle sapere che qualora intendesse nuovamente illustrarci, peraltro così pregevolmente, le sue lucide impressioni e considerazioni sui fatti collegati al processo disciplinare nei confronti dei procuratori di Salerno, avrà tutta l’attenzione di cui sono capace.

Questo perché ritengo sia uno di quei fatti storici da cui se ne esce con un sostanziale cambiamento, un’evoluzione del preesistente.

Io non so dire se condurre una battaglia a difesa di procuratori che hanno semplicemente svolto il proprio ruolo in ambiti di indagine connotati da forti pressioni interne ed esterne possa avere, nell’attuale situazione politica, una seppur flebile speranza di vittoria. Ma ciò che è peggio, non saprei quale evento auspicabile possa essere definito una vittoria.

Tuttavia, di fronte a un così eclatante atto di intromissione, in danno del prevalente diritto costituzionalmente garantito del naturale esercizio della giurisdizione, in procedimenti giudiziari significativamente impattanti sulla tenuta degli attuali equilibri politico istituzionali, penso ci si debba schierare indefettibilmente sulla linea del cambiamento e non della restaurazione.

La corruzione sistemica, e quindi sistematica, del nostro ordinamento politico-istituzionale ha dimostrato di essere così pervasiva (appunto da poterla definire sistemica) da riuscire a controllare leve importanti, in grado di promuovere una strenua difesa della propria esistenza e di attivare attacchi efficaci, condotti con mezzi legittimi e illegittimi. Ciò che oggi sembra più preoccupare la classe dirigente, spiace enormemente doverlo pensare, sono le persone che svolgono con onestà e capacità il proprio lavoro ed in particolare la preoccupazione cresce smisuratamente se agli attributi “onesto e capace” si aggiunge il sostantivo: pubblico ministero.

Molti analisti che si occupano delle derive criminogene del nostro paese hanno ben chiarito la diffuse corresponsabilità (politici, magistrati, professionisti e cittadini in genere) nel processo di allontanamento del nostro agire sociale e politico dalle regole che fin qui ci siamo date. Per stabilizzare questo “stato di fatto”, non più rispondente alla “stato di diritto”, oggi si intende far passare una linea molto discutibile, ovvero che le regole sono di volta in volta quelle che fanno più comodo ai detentori del potere politico. E per questa ragione il ruolo del Pubblico ministero deve necessariamente cambiare, in modo da garantire la sostanziale improcedibilità nei confronti delle oligarchie governanti. Dando a queste ultime la possibilità di soverchiare a propria utilità e necessità i governati.

Probabilmente si tratta di una forma sofisticata di particolarismo giuridico, dove l’elite governante gode di una particolare irresponsabilità penale.

Personalmente ritengo che, da un punto di vista politico, l’attuale vicenda sollevata dalle inchieste condotte da De Magistris, nonché le sue evoluzioni che hanno determinato la condanna dei Pubblici Ministeri che indagavano su fatti di reato connessi a quelle indagine, costituisca un banco di prova per la realizzazione del progetto politico illustrato.

Perché il disegno quindi possa concretizzarsi, sembra necessario si verifichi almeno una delle seguenti due condizioni: (i) riforma della giustizia che renda inefficace la sanzione penale per i detentori del potere politico; (ii) stringente capacità di controllo politico (attraverso l’azione disciplinare) sui titolari dell’azione penale.

Il sindacato dei magistrati, da quanto è possibile leggere e capire, non è per nulla disponibile a che il parlamento metta le mani sulla giustizia. D’altronde, i vertici dell’attuale maggioranza politica non hanno mai nascosto le loro preferenze in ordine ad un de-potenziamento del Pubblico Ministero ed in generale ad un maggiore controllo politico sulla magistratura. Non penso sia errato affermare che le attuali posizione di governo e maggioranza politica rispetto ad un eventuale riforma della giustizia siano molto più vicine all’Unione Camere Penali che non all’Associazione Nazionale Magistrati.

Stante quanto sopra argomentato, sembra proprio che l’ANM, nel tentativo di scongiurare una riforma sulla giustizia che non a torto potrebbe essere immaginata come una “controriforma”, stia cercando di compiacere il potere politico (nel quale, ricordiamolo sempre, la magistratura è coinvolta, con le sue “transumanze” verso questo o quel ruolo politico o amministrativo) attraverso gli strumenti di cui dispone.

Un tentativo disperato, privo di ancoraggio ai i principi costituzionali, e finalizzato al mantenimento del peso specifico della magistratura nell’architettura istituzionale attuale.

In una notizia del 30 gennaio si apprende che il CSM ha trasmesso fascicoli ai titolari dell’azione disciplinare, senza che ci fosse alcune richiesta da parte loro, per avviare nuove azioni disciplinari contro De Magistris. E’ legittimo pensare che De Magistris possa finire come Apicella: giudicato dalla sezione disciplinare del CSM, dal plenum del quale è stata decisa la trasmissione ai titolari dell’azione disciplinare dei fascicoli raccolti in prima commissione.

E’ di tutta evidenza quale pressione interdittiva tale comportamento del CSM possa esercitare sull’indipendenza dell’azione penale (come da molti rilevato).

Certo non voglio fare il gufo, pensando alla sospensione di De Magistris o a foschi scenari di gretta restaurazione. Anche se ricordo un mio amico gesuita che raccontava di come spesso i fedeli lo considerassero un gufo per via delle sue considerazioni sulla gravità dei problemi sociali ed economici verso cui ci stiamo inesorabilmente avviando. Sosteneva che per nulla era in disaccordo con chi lo immaginava come un gufo: difatti il gufo ha la facoltà di vedere nel buio.

Silvio Liotta

nanni64 ha detto...

Per Silvio Liotta:

Grazie del suo prezioso contributo.

Sono troppo triste ed amareggiata per aggiungere altro.

io che speravo che :( ha detto...

Dott. Racheli, il tempo è tiranno e le scadenze incombono sicchè non sono in grado di commentare costruttivamente il suo intervento (ammesso che ad esso si possa aggiungere anche il minimo contributo).
Volevo solo dirle che leggere le sue parole e ritrovare un minimo di fiducia nella capacità della magistratura di modificarsi dall'interno, è stato un tutt'uno.
Ma il mio impeto di speranza è durato il tempo che ho impiegato a leggere il suo scritto e quelli successivi.
Poi ho fatto la conta dei presenti e sono tornato alla realtà.
Chi scrive svolge umilmente la funzione di "avvocato", ed in venti anni di esercizio della professione altro ha fatto se non arrivare al punto di dire ai propri assistiti che la soluzione peggiore ai loro problemi è quella di portare le loro legittime aspettative alla "attenzione del giudice" (nella sostanza: “fare causa”, che poi altro sarebbe non svolgere il mio lavoro).
Spero un giorno di poter iniziare una causa senza avere chiara la sensazione di avere gettato i miei assistiti in un buco nero senza uscita.
Purtroppo non è da tutti avere la lucidità e le capacità di analisi di cui il suo intervento è testimonianza assoluta.
Alla magistratura, generalmente intesa, non mi sento di richiedere altrettante capacità espositive e di ragionamento.
La capacità tuttavia di comprendere il senso delle cose da Lei scritte, quella si, mi sento di poterla richiedere: anzi me la aspetterei.
Ed invece avverto forte la sensazione che il suo dire, in una pubblica assemblea della magistratura associata (alla quale ho avuto la sfortuna di assistere) cadrebbe inascoltata in un'aula semivuota, nel mentre la maggior parte dei partecipanti sarebbe, come in quella occasione accadeva costantemente, assorta in insulsi convenevoli nelle stanze adiacenti, fatti di : oh caro come ti trovo bene … oh cara, ma come stai, che piacere vederti
Purtroppo anche in magistratura, al pari di un qualsiasi consesso associativo (dal circolo del tennis, ai partiti politici, alle pubbliche elezioni) il sistema delle rappresentanze funziona alla italiana.
Non si viene eletti per quel che si dice o per quel che si è, o per quel che si vorrebbe fare, ma per chi si conosce e per come si è lavorato fuori dai luoghi in cui il consenso si dovrebbe formare: nelle buie stanze degli intrighi, frequentate da chi ha molto tempo a disposizione e da chi molto tempo sottrae sistematicamente al lavoro.
Dott. Racheli se vuole che la sua voce possa essere ascoltata da qualcuno, eviti di dire le cose che dice, sono troppo scomode e troppo intelligenti: scenda al livello di quelli che frequentano le stanze adiacenti alle assemblee e cominci a fare questo esercizio: ripeta più volte: “oh cara ma come ti trovo bene”.
Scusi il sarcasmo, forse mi sono fatto influenzare un po’ troppo da esperienze dirette e non ripetute (io ero seduto nell’aula a sentire i relatori che parlavano da soli, ed i magistrati accorsi al convegno, erano nell’atrio a dirsi “ma quanto siamo belli, ma quanto siamo bravi”).
Mi pare fosse il 1993, o giù di lì.
Tornai a casa con una sola certezza: altro che nuovi codici e nuove procedure (si era nella fase calda delle modifiche al c.p.c. e si era da poco modificato il c.p.p.), in ben altra direzione si dovrebbe incidere.
Dal 1993 l’ANM ha subito una involuzione straordinaria, anche nella sola rappresentatività di chi la ha governata.
Il cambiamento che tutti si auspicano non può riguardare il contenitore (codici e codicilli vari), se il contenuto resta immutato.
In questi giorni ho sentito la voce di diversi suoi colleghi, sul caso Salerno / Catanzaro, e per pudore evito di riportare il loro pensiero.
Più che enti autonomi pensati, mi sembravano “dischi” privi persino di un minimo di qualità espositiva.
IL CSM ha fatto benissimo: “non si era ai visto un provvedimento così lungo”.
Del contenuto del provvedimento non sapevano nulla. Però il messaggio che è filtrato dalle stanze del “ma come siamo belli ma come siamo bravi” era quello: la lunghezza insopportabile ma punita. Ma va là: in altre occasioni (in tutte) si sono perdonati errore madornali, perché si è sempre detto che lo iurisdicere è insindacabile, e che le censure agli atti del magistrato devono seguire le regole delle impugnazioni.
Da oggi in poi occorrerà stare a attenti a iurisdicere brevemente con evidenti riflessi sugli atti connessi, dipendenti e conseguenti.
Nei miei atti difensivi ho il vizio di scrivere molto: prima temevo solo di non essere letto. Da oggi devo assolutamente controllarmi: rischio di essere radiato dall’albo (mi si passi l’esemplificazione del problema, ma, meglio di Lei, sullo stesso non è il caso di intervenire).

Con sincera stima

IO speriamo che