venerdì 4 febbraio 2011

In nome di quale Popolo (Prima parte)





di Felice Lima
(Giudice del Tribunale di Catania)






da Il Fatto Quotidiano online del 3 febbraio 2011


Voglio trattare, in due post successivi, dei rapporti fra il processo penale e la civiltà di un popolo.

In questi giorni, come accade sempre ormai da moltissimi anni quando il Presidente del Consiglio o qualcuno dei suoi amici risulta coinvolto in fatti gravemente deplorevoli, loro e tutto il nugolo di deputati, avvocati, giornalisti, intellettuali che hanno deciso di asservire se stessi al potere senza se e senza ma si affannano a ripetere che questa o quella condotta di questo o quel padrone del Paese “non è penalmente rilevante”. Non è reato, insomma.

Questa propaganda – spudorata come tutte le propagande, da Stalin a Goebels – è deplorevole per un duplice ordine di considerazioni.

Sotto un primo profilo, lo è perché fa violenza alla verità.

E ciò perché in molti dei casi in questione i fatti SONO penalmente rilevanti (per lo meno fino a quando una legge ad personam non li depenalizza).

Sotto un secondo profilo, lo è perché diffonde l’idea che il criterio di riferimento della accettabilità o no di una condotta debba essere il codice penale. Cosa paradossale, peraltro, se detta da chi sembra non avere del codice penale alcun rispetto e da chi ha via via modificato il codice penale per adattarlo alle sue personali esigenze (nei giorni scorsi dei deputati hanno parlato di una proposta di legge per abbassare il limite della maggiore età a sedici anni: se il Presidente del Consiglio la settimana prossima deciderà di farsi bello con una bambina di nove anni, invitandola a cena a casa sua e trattenendovela per la notte, avremo bimbi maggiorenni alle scuole elementari).

Ma dovrebbe apparire ovvio a tutti che il codice penale costituisce una sorta di minimo etico assoluto e non uno standard di condotta accettabile e sufficiente a dar vita a una società decente.

Un popolo che vivesse ai limiti del codice penale (e noi viviamo ampiamente al di sotto di quel limite), un popolo che ritenesse socialmente, moralmente e politicamente accettabile tutto ciò che non è reato sarebbe un popolo di bruti votati all’autodistruzione. E a una cosa del genere noi italiani siamo davvero molto ma molto vicini.

Per fare un esempio fra i mille possibili, affidereste la vostra bimba di otto anni a una maestra che assume cocaina, ma solo per uso personale (dunque, senza commettere reati), che si prostituisce (la prostituzione in sé non è reato), che commette ripetuti abusi d’ufficio, ma non a fini patrimoniali (alcuni anni fa i nostri deputati, di tutti i colori politici, hanno concordemente depenalizzato l’abuso d’ufficio per fini non patrimoniali), che si fa comprare case da unmilione di euro a sua insaputa, che si assenta abitualmente dal posto di lavoro, che rende dichiarazioni alla stampa violentemente offensive della polizia e di altre istituzioni, che fa sesso con minorenni e si giustifica dicendo che non sapeva che lo erano?

Non affidereste a lei la vostra bimba, perché per essere una brava maestra o anche solo una maestra decente non basta non commettere reati.

E questo vale per tutto. Per essere un marito decente, un giudice decente, un avvocato decente, un calciatore decente, un Presidente del Consiglio decente, qualunque cosa decente non basta non commettere reati.

Quando un popolo arriva a un punto in cui i titolari di cariche pubbliche importantissime possono mantenere condotte assolutamente vergognose, non solo senza vergognarsene, ma addirittura difendendole e vantandosene, sostenendo che tanto non costituiscono reato, nel mentre approfittano del loro potere per cambiare la legge in modo da depenalizzare le loro condotte criminali, quel popolo è perduto.

Ed è bassa propaganda anche il continuo riferimento alla presunzione di non colpevolezza.

La presunzione di non colpevolezza fa sì che nessuno possa subire le conseguenze di una condanna fin quando essa non è contenuta in una sentenza definitiva, ma non comporta sotto alcun profilo che taluno possa continuare a mantenere cariche e incarichi dei quali non risulta degno e per i quali non risulta idoneo fino a che non giunga una sentenza definitiva.

Per tornare all’esempio di prima, si immagini che una maestra uccida la propria figlia tagliandole la gola e, sorpresa con il coltello il mano, si difenda dicendo di avere agito “senza rendersene conto”, “a sua insaputa”.

La presunzione di non colpevolezza farà sì che non dichiareremo la maestra colpevole fino a una sentenza definitiva.

Ma la domanda è: nell’attesa dei tre gradi di giudizio, ai quali la maestra ha sacrosanto diritto, noi continueremo ad affidarle i nostri bambini? Oppure, come lei ha diritto ai suoi gradi di giudizio, noi abbiamo diritto a una maestra non solo formalmente incensurata, ma anche concretamente degna e adeguata?

____


P.S. – Alcuni lettori hanno commentato il mio precedente scritto su “L’inevitabile punizione della storia” ritenendo il mio approccio alle cose “pessimista”. In un prossimo scritto proverò a convincervi che non è così.



(La seconda parte)


7 commenti:

menici60d15 ha detto...

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La fallacia delle regole

http://menici60d15.wordpress.com/

Unknown ha detto...

Grande Felice, come sempre!!!
Un abbraccio!!

baron litron ha detto...

bellissimo - come sempre - commento, in entrambe le sue parti.

e tuttavia, l'affermazione seguente: "Un popolo che vivesse ai limiti del codice penale (...), un popolo che ritenesse socialmente, moralmente e politicamente accettabile tutto ciò che non è reato sarebbe un popolo di bruti votati all’autodistruzione.", a me personalmente mette i brividi.

pur conoscendo la limpida fonte da cui scaturisce, rimane una presa di posizione che in menti meno equilibrate può diventare pesante, pesantissima.

e lo dico perché vi intravedo un principio ricorrente nell'atteggiamento generale italiano, frutto senza dubbio della sua storia e della sua cultura, ma non per questo per me accettabile.

vale a dire, "tutto ciò che non è reato è socialmente, moralmente e politicamente accettabile" tinge il reato (fatto criminoso che non ha valenza morale propria, ma unicamente in rapporto alla sopraffazione dei diritti individuali della vittima, o generali della collettività) dell'ambigua luce del peccato: contro la società, contro la morale, contro la politica.

a mio modestissimo avviso, in una società libera e liberale vale esattamente il contrario: "tutto ciò che non è reato è lecito", e se è lecito è lecito e basta. se lo si considera socialmente scorretto, lo si combatta sul piano SOCIALE, se non è moralmente corretto si faccia prevalere quella che si ritiene la corretta impostazione MORALE, se non è accettabile politicamente, lo si combatta sul piano POLITICO.

ma se riguarda la vita privata E non costituisce reato, deve, e sottolineo DEVE rimanere tale, chiunque ne sia protagonista, e anzi, prima ancora di essere in qualsiasi modo giudicato deve essere ignorato, e punito il "guardone", perché ha violato la persona nella sfera più intima e indifesa, vale a dire quando è nudo, quando dorme, quando mangia, quando sta "per i fatti suoi", quando vive la propria esistenza personale.

(segue, abbiate misericordia...)

baron litron ha detto...

(continua da sopra)


perché la riservatezza dei privati mores deve essere garantita per tutti, quando non siano in piazza, e se può non esserlo per uno (quale che sia il motivo che autorizza a sbirciare sotto le lenzuola, e a ritrarsi sdegnati) NON C'E' alcun freno logico alla possibilità della totale abolizione della vita privata DI TUTTI, cosa peraltro già accaduta in diversi tempi e luoghi, nessuno dei quali ha lasciato un buon sapore a chi ne è sopravvissuto.

per fare un paragone del tutto fuori luogo, ma equivalente sul piano logico, se si permettono esperimenti sulle cellule dei feti, in quanto non li si vuole considerare persone vive, non ci dovrebbero essere freni all'utilizzo di pakistani o molisani nei crash test delle automobili. esagerato, ma.

e questo anche per un altro motivo, a mio avviso fondamentale nelle società evolute: i tempi sono mutati, e se è vero che un tempo alcune categorie sociali, in quanto PRIVILEGIATE per nascita o per cooptazione (aristocratici, preti, militari) erano tenute a dare il buon esempio alle masse incolte, da un po' di tempo queste categorie non esistono più, e se ancora esistono, il loro ruolo sociale è stato fortemente ridimensionato.

di conseguenza, a mio avviso un politico NON E' tenuto a dare alcun pubblico esempio di virtù, anche perché personalmente non ne vedo la necessità, né vedo splendere l'intelligenza di chi vota il tal nome per il tal specchiato comportamento.
un politico, in un paese democratico, deve saper promettere e deve saper mantenere, deve saper amministrare i denari a lui affidati dal pubblico erario e deve rendere conto di come e perché siano stati o meno utilizzati. lo si deve votare in base alle aspettative che sa generare, e confermare, o ripudiare in base agli obiettivi che ha saputo o non saputo raggiungere. il resto non è nient'altro che sciocca propaganda, sciocca per chi la usa e sciocca per chi ne è schiavo (e valeva già per Machiavelli, il cui principe non doveva nemmeno far la fatica di una campagna elettorale ogni 5 anni).

è chiaro che il mio atteggiamento è forse altrettanto utopistico di quello di chi si augura che castigando in pubblico i costumi privati si possano migliorare i pubblici comportamenti, ma perlomeno non mi arrogo il diritto di giudicare comportamenti estranei alla funzione, e ho il sacro rispetto dell'individuo in quanto tale, e della tutela dei suoi diritti fondamentali. anche perché riconosco l'idea del diritto legata indissolubilmente a quella della persona, della sua libertà di fare e non fare, e della sua responsabilità nell'assumere le conseguenze di azioni e omissioni, cosa che purtroppo non fa parte della struttura ideologica delle maggiori correnti politiche e sociali italiane (e non solo).

un caro saluto al giudice Lima, che stimo e leggo sempre col massimo rispetto.

Anonimo ha detto...

Fini a sbagliato a costruito un suo
partito Futuro e libertà, nel Governo B
a lavorato per lui, e non per la popola
ma contro la popolazione, coi voti di
B.Fini è fuori fase peciò a perso la
fiducia di tutti. B è uomo giusto per
Governare, sebbene anche chi non lovuole.

Anonimo ha detto...

Non sono daccordo con lei, col rummoregiare con la contraversa di B.
Tutto ciò bisognia vedere con i propi occhi con testmonio del fatto.Detto da
altri con desiderato odio, non sipuò
credere, una persona cossiente non può
credere se direttamente non vede lei
stessa.Detto da altri confezinando bugie
nn sono valide per nissuno. Il nostro
Presidene deve rimanere al suo posto
fine Legislatura. Volontà di Popolo.

Panda ha detto...

@baron litro: secondo me sbagli, baron, proprio in riferimento al pensiero liberale. Non mi riesce di capire in particolare questo passaggio: ""tutto ciò che non è reato è lecito", e se è lecito è lecito e basta". Come giustamente dici, se è lecito non è reato e basta; ma per poter sopravvivere una società liberale ha bisogno di una struttura morale, come diceva Popper, cioè di un'etica pubblica. Ora, visto che non stiamo ragionando sulla luna, mi piacerebbe che spiegassi quali sarebbero le lenzuola sotto cui si è guardato recentemente e le violazioni della vita privata che si sarebbero verificate (che sono accuse gravi, anche se purtroppo vengono spese spensieratamente); in secondo luogo tutto questo dispendio di difesa dei "sacri diritti individuali" quando si parla di uomini *potenti* trasforma il diritto al libertinismo dell'individuo in quello del potere che è esattamente *il contrario* di ciò che il pensiero liberale ha sempre sostenuto. Forse sarebbe il caso di riscoprire la centralità liberale del concetto di *dovere*; intanto ti consiglio di leggere questa efficace riflessione: http://salon-voltaire.blogspot.com/. Buona giornata.