venerdì 9 luglio 2021

Meglio la nebbia del sole ?


di Rosario Russo - Magistrato in quiescenza

Come Giano, l’affaire Palamara ha due fronti. Il primo è quello delle conversazioni–cospirazioni svoltesi tra i commensali, riuniti all’Hotel Campagne, per incidere sulla nomina del Procuratore della Repubblica di Roma (e non solo). 

Il secondo fronte è costituto dai messaggi (chat), estratti dal telefonino del dott. P., con cui tantissimi magistrati si rivolgevano a lui, allora potente membro del Consiglio superiore della Magistratura, per raccomandare altri o raccomandarsi. 

In entrambi i casi sono coinvolti magistrati ordinari.

In entrambi i casi sono noti i loro nomi perché i giornali hanno pubblicato testualmente le raccomandazioni dei magistrati, in parte riprodotte perfino in due volumi, accolti con grande favore dal vasto pubblico, che si ostina a credere nella verità e nella giustizia. In entrambi i casi viene in rilievo, a carico dei magistrati coinvolti, la fattispecie disciplinare della scorrettezza reiterata o grave (art. 2, 1°, lett. d del D. lgs. n. 109 del 2006). 

Tuttavia, mentre sono sette i (‘magnifici’) magistrati coinvolti nella cena svoltasi nella notte tra l'8 e il 9 maggio 2019 presso l'Hotel Champagne di Roma (la «Notte della Magistratura»), decine e decine sono quelli che invocavano dal dott. P. illegittimi favori per sé o per altri colleghi.

Dopo due anni, la situazione è allarmante.

Soltanto il dott. P. è stato espulso dall’A.N.M. e radiato (con sentenza non passata in giudicato) dalla Magistratura, ma non per la pletora di raccomandazioni cui ha dato seguito, infatti neppure menzionate nei capi di imputazione contestatigli. Piuttosto, secondo la Sezione Disciplinare, nella «Notte della Magistratura» si sarebbe consumata un’illecita cospirazione istituzionale con il concorso anche di parlamentari, assai più inquietante di una mera raccomandazione.  Con riferimento alla copertura delle Procure di Roma, Perugia e Firenze, gli intercettati loquentes non screditavano i candidati invisi, ma – peggio - ordivano fatti ed atti idonei a farli denigrare, intimorire o condannare.

D’altra parte, a causa degli ostacoli (interni ed esterni) frapposti, soltanto di recente l’A.N.M, ha ricevuto dalla Procura di Perugia le chat e quindi il collegio dei Probiviri, competente a chiedere le sanzioni disciplinari, non ha avuto ancora la possibilità di attivarsi per far rispettare l’art. 10 dello statuto, che punisce qualunque raccomandazione o autopromozione dei magistrati. 

Frattanto molti di essi, coinvolti nelle chat, si sono disinvoltamente dimessi dall’associazione, al solo scopo d’evitare l’immancabile sanzione, conservando così - paradossalmente - la facoltà di riscriversi. In una drammatica riunione, di recente il Comitato direttivo centrale dell’associazione non è riuscito a coagulare alcuna decisione sulle predette dimissioni, sebbene l’art. 7 dello statuto preveda espressamente la facoltà di sospendere l’operatività delle dimissioni fino al completamento del procedimento disciplinare. Si ha notizia che, essendosi dimesso  il Presidente della Giunta dei Probiviri il C.D.C  lo ha sostituito qualche giorno fa; il che rallenterà ulteriormente le procedure sanzionatorie dell’A.N.M., che comunque non potranno attingere i soci astutamente frattanto dimessisi.

Una prima conclusione è inevitabile: dopo circa due anni non si ha notizia che taluno dei tantissimi magistrati implicati nelle raccomandazioni sia stato in qualche modo sanzionato, nonostante lo sdegno fondatamente provocato negli Utenti finali della Giustizia, coloro cioè in nome dei quali decidono i magistrati.

Le Autorità che avrebbero potuto attivarsi, avendo acquisito subito le chat, sono almeno due: obbligatoriamente, il Procuratore Generale presso la Suprema Corte e, facoltativamente, il Ministro della Giustizia, in quanto contitolari del potere di esperire, davanti all’apposita Sezione del Consiglio superiore, l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati coinvolti nelle raccomandazioni.

Sulla possibile inerzia dei Ministri della Giustizia, succedutisi nel tempo, il giudizio non può essere che politico.

A lei, Signor Procuratore Generale, se me lo consenta, vorrei proporre i seguenti quesiti giuridici, auspicando che lei voglia serenamente rispondere, nell’interesse dei cittadini: 

- Perché, con apposito ‘editto’ del 22 giugno 2020, ella ha proclamato, in via generale e preventiva, che non merita sanzione la condotta del magistrato che, dopo avere chiesto l’assegnazione di un ufficio, segretamente esalti le proprie qualità professionali al Consigliere del C.S.M. tenuto a giudicare (nella specie, il dott. P., onnipotente signore di una corrente associativa), al di fuori delle forme procedurali previste dalla legge e all’insaputa dei concorrenti? 

Una tale ‘autopromozione’ o ‘autoraccomandazione’ (che lei considera «libera manifestazione di pensiero») non turba gravemente la corretta e imparziale valutazione del C.S.M.? Non favorisce illegittimamente i magistrati che promettano o vantino meriti correntizi, a danno dell’ignaro concorrente dott. ‘Nessuno’, che ha ‘fatto’ il magistrato senza cercare appoggi correntizi, confidando (da Giudice) soltanto nella correttezza ed imparzialità dei propri Giudici? 

Quante e quali archiviazioni lei ha emesso, con il tacito consenso del Guardasigilli, in conformità al suo stesso ‘editto’? 

 Perché non ha contestato anche al dott. P. di avere consentita - e sistematicamente coltivata - la pratica dell’autopromozione (e della raccomandazione), per trarne sicuro vantaggio correntizio e spartitorio?  Il suo orientamento assolutorio in tema di autopromozione è stato confutato dalle Sezioni Unite (sent. n. 741/ 2020) e dal Consiglio Superiore della Magistratura (Sezione Disciplinare, sent. n. 139/ 2020)? 

Quante e quali azioni disciplinari ha avviato per sanzionare gli autori (non di autopromozioni, ma di) raccomandazioni di magistrati in favore di altri magistrati, non scagionate perciò neppure alla stregua del predetto suo ‘editto’? 

Perché con altro suo ‘editto’ n. 44 del 2019 lei ha deciso di negare in ogni caso a colui (in ipotesi, proprio il predetto dott. Nessuno, danneggiato dall’autopromozione) che abbia denunciato un illecito disciplinare (in ipotesi, proprio l’autopromozione subita ad opera di altro magistrato sodale del dott. P.), e al suo Avvocato, la copia del provvedimento di archiviazione? 

E perché si è riservato il potere insindacabile di rilasciare o non copia di qualsiasi archiviazione, qualora sia chiesta perfino dal Consiglio Superiore della Magistratura, dai Consigli Giudiziari, da altre istituzioni pubbliche oppure dall’Associazione Nazionale Magistrati? 

Perché tanta segretezza a fronte perfino dell’archiviazione penale, accessibile invece a chiunque ne abbia interesse? 

Perché condannare all’oblio tombale le migliaia di archiviazioni che lei emette ogni anno, che potrebbero consentire all’Utente finale della Giustizia di apprezzare il modo con cui ella gestisce sapientemente il potere disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari? 

Perché il principio fondamentale della trasparenza - da tempo introdotto nel nostro ordinamento - si arresta soltanto di fronte alle archiviazioni disciplinari da lei emesse, mentre (per esempio) le archiviazioni emesse dai competenti Ordini nei confronti degli Avvocati sono comunicate d’ufficio ai clienti denuncianti? 

Condivide il principio per cui «La luce del sole è il miglior disinfettante», soprattutto in tempi di pandemia?

Domandare è lecito, rispondere è cortesia.

5 commenti:

Unknown ha detto...


Gent.mo dott.Rosario Russo

meglio il SOLE della Trasparenza, della Correttezza, dell'Autonomia, dell'Imparzialità dei Giudici, ma il "SISTEMA" non si rende conto che prima o poi navigare a vista nella Nebbia, si rischia di finire in un burrone.

Felice Basile 05/07/2021 Altamura (BA) IL GIORNO DELLA VERGOGNA DELLA GIUSTIZIA

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2953956944855562&id=1362357779

bartolo ha detto...

Nel tresette quando il giocatore di mano riesce a indovinare il seme di cui è debole o privo l’avversario, che gioca solo, si dice che l’ha bucato. Credo che la magistratura, con l’immissione in ruolo di operatori indegni della toga, o per distorsione del suo corretto esercizio, sia stata bucata più volte. Il guaio, a differenza del gioco ove perde il bucato, è che in questo caso sono trafitti gli italiani.

francesco Grasso ha detto...

PERCHE' ? perché siamo in Italia e questa è una storia italiana.

bartolo ha detto...

Gentili componenti Redazione,
Luca Palamara ha iniziato la carriera di magistrato (pm della DDA) a Reggio Calabria, Piero Amara quella di avvocato (e direttore Osservatorio permanente sulla criminalità organizzata e le mafie) a Siracusa. Nessuno dei due, però, pur avendo varcato le soglie di tutti i palazzi fino a quello di Roma che governa la magistratura italiana, può essere assimilabile a coloro che fino agli anni 90 s. s. hanno perso la vita nel vano tentativo di indirizzare l'azione giudiziaria, del medesimo Palazzo, contro le mafie. Questo non significa che Palamara e Amara, pur tirando le fila della magistratura italiana, non abbiano fatto antimafia. Dopo tutto, nonostante indagati, le più importanti procure d'Italia le devono gratitudine: hanno operato esattamente come pupi e aspettano di incassare la parcella. Intanto si avvicina il 19 luglio e, in Via D'Amelio, a Palermo vi è un presidio di scorta civica che impedisce agli uomini di Stato di commemorare Paolo Borsellino. Si può (e si deve) non essere d'accordo con i familiari che hanno negli anni, dopo 4 e più processi senza verità su quell'eccidio, preso tale decisione. Non si può, però, negare che l'intera Italia è oramai intrisa di un pessimo "puzzo". È quello del compromesso (mafioso) che si oppone al fresco profumo di libertà di cui parlava, appunto, Paolo Borsellino?
Cari Saluti. E viva l'Italia campione d'Europa.

bartolo ha detto...

L’ottusità di un popolo intero, per un determinato periodo di tempo, sarà rilevata dalla ricerca storica a cominciare subito dopo il rovinoso cataclisma della medesima era. Il crollo dopo la “guerra dei trent’anni”, come è stata definita da un senatore l’attività giudiziaria post novanta, è stato provocato dalla Corte di giustizia europea che ha condannato più volte l’Italia in tema di gestione delle carceri e garanzie processuali di moltissimi cittadini comuni. Ora, a scanso di equivoci, la mia recondita opinione sulle mafie è identica a quella di un signore che tempo fa mi ha detto: “hanno sbagliato tutto, i servizi segreti dovevano essere impiegati per l’abbattimento delle bestie mafiose, e non già per il loro calcolato controllo”. Quindi, sentire ancora importanti magistrati, dopo aver toccato con mano i fili dell’alta tensione (oramai senza più corrente), che invocano il perdurare delle torture nelle carceri e vedono la dissociazione dei mafiosi come un modo per poter meglio mafiare, significa che la storia sull’ottusità forse è meglio che la scrivano le prossime generazioni.