di Stefano Rodotà
da La Repubblica del 3 luglio 2008
E’ un’amara estate per chi contempla il panorama costituzionale, sconvolto da iniziative, mosse, parole che ne stanno alterando la fisionomia.
La riforma del sistema politico, con il risultato delle elezioni, è stata compiuta senza atti formali, senza bisogno di cambiamenti della legge elettorale.
E mentre si discute di un dialogo bipartisan come condizione indispensabile della riforma costituzionale, questa viene implacabilmente realizzata da un quotidiano e unilaterale esercizio del potere.
La forza delle cose si impone, gli equilibri democratici vacillano.
Stanno cambiando gli assetti al vertice dello Stato, con una lotta tra poteri costituzionali che non ha precedenti nella storia della Repubblica.
Vengono travolti principi fondativi come quelli dell’eguaglianza e della solidarietà.
Cambia così l’assetto della società, non più fatta di liberi ed eguali, rispettati nella loro autonomia e nella loro dignità, ma di nuovo ordinata gerarchicamente, con gli ultimi, con i dannati della terra posti in fondo alla scala sociale, immigrati, rom, poveri.
Non è un fulmine a ciel sereno.
Da anni, molte forze lavoravano per questo risultato, molti apprendisti stregoni davano il loro contributo.
Si pubblicavano libelli contro la solidarietà; si ridimensionava, fin quasi ad azzerarla, la portata del principio di eguaglianza; si accettava senza batter ciglio che la Costituzione fosse definita “ferrovecchio” o “minestra riscaldata”; la difesa dei principi si faceva sempre più tiepida; si diffondeva in ambienti altrimenti insospettabili la convinzione che la logica del mercato imponesse la riscrittura dell’articolo 41 della Costituzione, apparendo evidentemente eccessivo che la libertà dell’iniziativa economica avesse un limite invalicabile addirittura nel rispetto della sicurezza (e le morti sul lavoro?), della libertà, della dignità umana.; si accettava che le commissioni bicamerali mettessero allegramente le mani sulla delicatissima materia della giustizia.
Gli anticorpi democratici si indebolivano e i difensori della logica complessiva della Costituzione venivano definiti “nobilmente conservatori”, con una formula apparentemente rispettosa, ma in realtà liquidatoria.
E’ una storia che comincia ai tempi della “Grande riforma” craxiana, e che oggi sembra giungere a compimento.
E’ come se si fosse aperta una voragine nella quale precipitano masse di detriti accumulate negli anni.
Tutta la Costituzione è sotto scacco, a cominciare proprio dalla sua prima parte, quella dei principi e dei diritti, che pure, a parole, si dichiara intoccabile.
Tutto è rimesso in discussione.
La dignità sociale e l’eguaglianza tra le persone, a cominciare da ogni forma di discriminazione fondata sulla razza e sulla condizione personale.
La libertà d’informazione, considerata non solo sul versante dei giornalisti, ma in primo luogo dalla parte dei cittadini, titolari del fonda-mentale diritto di controllare in modo capillare e diffuso tutti i detentori di poteri: “la luce del sole è il miglior disinfettante”, diceva un grande giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Louis Brandeis, riferendosi non solo alla corruzione, ma a tutti gli usi distorti del potere pubblico e privato.
La libertà personale e quella di circolazione, sulle quali incidono fortemente le diverse tecniche di sorveglianza.
La libertà di comunicazione, colpita non solo e non tanto dalle intercettazioni, per la cui diffusione lo scandalo è massimo, ma dalla implacabile, continua raccolta e conservazione per anni dei dati riguardanti telefonate, sms, accessi a internet, che davvero configurano una società del controllo e di cui nessuno sembra preoccuparsi.
Può una democrazia sopravvivere bordeggiando sempre più ai margini estremi della legalità costituzionale, sempre alla ricerca di qualche aggiustamento che non la maltratti troppo, e così perdendo progressivamente il senso stesso di quella legalità che dovrebbe da tutti essere vissuta come limite invalicabile?
Chi si prende cura di questa democrazia che, di giorno in giorno, si presenta con i tratti delle sue pericolose degenerazioni, che la fanno definire come autoritaria o plebiscitaria, che conosce quegli intrecci perversi tra politica e uso delle tecnologie della comunicazione che sono la versione più aggiornata del populismo?
Se facciamo un piccolo, e confortante, esercizio di memoria e riandiamo a due anni fa, al giugno del 2006, ci imbattiamo nel referendum con il quale i cittadini italiani respinsero una riforma costituzionale che andava proprio in quella direzione.
Rilegittimata dal voto popolare, la Costituzione del 1948 sembrava avviata al più ragionevole destino di una sua buona “manutenzione”.
Ma, da allora, sembra passato un secolo.
La Costituzione è stata messa in un angolo, le file dei suoi difensori si assottigliano e sono in difficoltà.
La legalità, costituzionale e ordinaria, non è più un valore in sé.
Viene ormai presentata come una variabile dipendente dal voto.
Le elezioni non sono più un esercizio di democrazia.
Diventano un lavacro, l’unto dal voto popolare deve essere considerato intoccabile.
Torna tra noi il principe sciolto dall’osservanza delle leggi, e quindi legittimato a liberarsi di quelle che contraddicono questa sua ritrovata natura.
E’ qui il vero senso del cambiamento: non nel fastidio per questo o quel tipo di controllo, ma nel radicale rifiuto di correre i rischi della democrazia.
Delle telefonate del Presidente del consiglio mi inquietano molte cose, ma soprattutto il fatto di essersi posto al centro di un sistema di feudalità dal quale nasce, quasi come una conseguenza inevitabile, la pretesa dell’immunità.
Un corteo lo accompagna nel tradurre in fatti questa sua pretesa.
Scompare il governo, integralmente sostituito dagli scatti d’umore del suo Presidente, che ne muta le deliberazioni a suo piacimento, che lo vede come puro luogo di registrazione.
La tanto pubblicizzata approvazione in soli 9 minuti dell’intera manovra economico-finanziaria del prossimo triennio è stata presentata come un miracolo di efficienza, mentre era la prova della scomparsa della collegialità della decisione, della discussione come sale della democrazia: non un segno di vitalità, ma di morte, come i 21 grammi che si perdono appunto nel morire, raccontati nel film di Alejandro Gonzalez Inarritu.
Il Parlamento ha clamorosamente rinunciato ad esercitare la sua funzione di controllo e di filtro, sembra ignorare il fatto che il procedimento legislativo non è cosa di cui il Presidente del consiglio possa disporre secondo la sua volontà.
I controlli scompaiono.
Vecchia aspirazione d’ogni potere.
La magistratura non deve essere liberata dai suoi problemi, responsabilizzata nel modo giusto.
Deve essere presentata come il vero demone che attenta alla democrazia, aggressiva e inefficiente, quasi che i suoi molti limiti non dipendessero da una lunghissima disattenzione del potere politico che l’ha fatta marcire nelle sue obiettive difficoltà, che ha progressivamente azzerato la propria responsabilità appunto politica e ha preteso di sciogliersi dal controllo di legalità in quanto tale. Gli anni di Mani pulite sono rappresentati come un golpe, azzerando la memoria degli abissi di illegalità che furono disvelati.
E’ la totale normalizzazione della magistratura diventa la via attraverso la quale passa, con la minacciata disciplina autoritaria della diffusione delle intercettazioni, anche la normalizzazione del sistema della comunicazione.
Poco e male informati, i cittadini sono pronti ad essere usati come docile “carne da sondaggio”, per applaudire le decisioni del principe secondo la più classica delle tecniche plebiscitarie.
A custodire Costituzione e legalità rimangono il presidente della Repubblica e la Corte costituzionale.
Ma questo non è un residuo segno di buona salute, è anch’esso il sintomo d’una patologia.
La democrazia non può ritirarsi dal sistema in generale, rifugiandosi in alcuni luoghi soltanto.
Ma da qui si può e si deve comunque ripartire, soprattutto se la voce dei cittadini e dell’opposizione riuscirà a trovare i toni forti e giusti di cui abbiamo bisogno.
7 commenti:
Sono un giovane cittadino, sono figlio di benestanti, provinciali, nemmeno troppo acculturati; credo dovremmo essere adatti al bacino elettorale che ci ha trascinato nella notte della ragione.
La mia famiglia s'è salvata dalla colpa grazie ad un bel legame con la storia dei nonni, i quali hanno sofferto la guerra ed il regime.
Mi sembra anacronistico, irragionevole, quasi letterario, eppure sento in cuor mio che è davvero giunto il momento "di trovare i toni forti e giusti di cui abbiamo bisogno".
Ho l'impressione che il soggetto "lotta" sia pronto a riaffermarsi come imperativo morale.
So che sarà difficile muovere me e i tanti come me dalla nostra inerzia, sintomo del benessere economico.
Ho paura ma sono carico di buone speranze.
Per Anonimo delle 19.34.
Gentile Lettore,
grazie di cuore per questa Sua bellissima testimonianza.
Continui a leggere il nostro blog e a scriverci su.
Ci aiuteremo insieme.
Il Suo intervento ci ha fatto pensare a una cosa che abbiamo trovato su internet qualche tempo fa e che nei prossimi giorni pubblicheremo come post.
E' a questo link. Provi a dargli un'occhiata.
Un caro saluto.
La Redazione
E' un'analisi che fa riflettere molto, soprattutto per le motivazioni sulle quali è articolata e l'autorevolezza di chi l'ha proposta.
In risposta alla Redazione di "Uguale per tutti", dall' "Anonimo delle 19.34" ;)
Mi scuso per l'anonimato: sono Davide e sono felice dell'ottimo consiglio che mi avete dato. Ho letto il documento ed ho sfogliato con curiosità il sito da cui esso è tratto. Confesso che l'epistemologia da homo oeconomicus, che ho percepito, un poco mi turba ma, forse, è l'inevitabile conseguenza della realizzazione del nostro mondo, frenetico, globalizzato, in eterna crescita, lo specchio di una "visione" vincente e oramai egemone a livello globale. Però mi rendo anche conto che per cambiare davvero le cose, per migliorarle, se non altro per provarci, bisogna sporcarsi le mani.
Vi leggo regolarmente già da diverso tempo e continuerò a farlo con il medesimo interesse.
Il vostro Blog è un esempio di "equilibrio ad occhi scoperti": coloro che informano sono troppo spesso "equivicini" ai poteri schierati, in questa sede invece, benché la gestione sia palesemente di categoria, si sente lo sforzo verso una sana obiettività...mi pare la giustizia possa esser proprio questo.
Grazie.
Davide
con la scuola in via di smobilitazione, con la televisione in mano al potere, con la grande stampa (corriere della sera!) dominata dalla P2...ci spetta un futuro sciagurato.
ho inviato un commento verso le 6 ma non lo vedo. peccato. spero sia stato un problema tecnico.
Per Anonimo delle 9.47.
Gentile Lettore,
non abbiamo pubblicato il Suo commento, perchè contiene espressioni sostanzialmente insultanti all'indirizzo di terze persone.
Se lo riscrive senza le espressioni offensive, lo pubblicheremo con piacere.
Se vuole interloquire su quei contentui, ci invii, per favore, una mail al nostro indirizzo della Redazione.
La Redazione
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