sabato 12 luglio 2008

Se volessero veramente fare funzionare la giustizia, funzionerebbe


Dopo l’approvazione (sia pure al momento solo alla Camera) della legge che assicura l’impunità al Presidente del Consiglio, il Governo cambia la legge “blocca-processi”.

Le modifiche apportate costituiscono l’ennesima confessione che il Governo e chi – giornalisti, deputati, opinion makers – gli faceva da spalla mentiva quando sosteneva che la “blocca-processi” serviva a qualcos’altro che non fosse bloccare il processo di Silvio Berlusconi.

Si bloccavano centomila processi solo per fermarne uno.

Ora che quello è stato fermato in altro modo, la “blocca-processi” viene resa più logica.

Dunque, la pena edittale dei processi da bloccare non è più quella (assurda) di dieci anni, che serviva al Presidente del Consiglio, ma quella che consente di “fare dopo” i processi per reati già coperti dall’indulto.

Abbiamo già esposto le ragioni per le quali è evidente che il Governo ha mentito agli italiani, nel post “Dunque, il Governo ha mentito … e di brutto”.

Pubblichiamo qui di seguito un comunicato del “Movimento per la Giustizia – Articolo 3”, che è una corrente dell’Associazione Nazionale Magistrati.

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MOVIMENTO PER LA GIUSTIZIA – ARTICOLO 3


Le modifiche annunciate ieri all’emendamento che tutti denominano “blocca processi” dimostrano che le critiche della magistratura associata e del CSM, oggetto di accuse di arbitrio ed invasione di campo, erano fondate.

Di più: dimostrano che la magistratura associata è costretta ad esercitare il proprio diritto di critica e proposta proprio per salvaguardare l’interesse dei cittadini ad una giustizia che abbia ancora qualche speranza di funzionare.

Infatti gli interessi dei cittadini e quelli dei magistrati convergono in questo: che la giustizia possa funzionare con efficacia e secondo regole serie e ragionevoli.

Per i cittadini serve a garantire una corretta convivenza sociale, per i magistrati serve a conservare l’indipendenza voluta dalla Costituzione.

Devono però essere molto chiare due cose:

- la straordinaria efficienza che il Parlamento sta mostrando, nell’approvare in pochi giorni ed ore norme in materia di giustizia che interessano, dimostra che se vi fosse la reale volontà di intervenire per rendere efficace la giurisdizione questo potrebbe essere fatto in tempi brevi; se non lo si fa, è ipocrita indicare ai cittadini la magistratura come responsabile dell’insopportabile mal funzionamento della giurisdizione.

- noi magistrati vogliamo che ci sia la possibilità di fare, in tempi ragionevoli e bene, TUTTI i processi, ricorrere a sospensioni e rinvii è comunque strada perdente e sbagliata; per questo continuiamo a chiedere, inascoltati, semplificazione e razionalizzazione dei riti processuali, modifica della geografia degli uffici giudiziari, attribuzione di risorse indispensabili;

Rimane, sempre, il dubbio se davvero la politica dei partiti ha interesse al funzionamento efficace della giurisdizione.

Confidiamo che i fatti possano dimostrare l’infondatezza del dubbio.

Venezia-Roma, 12.7.08

Carlo Citterio
Segretario Generale del Movimento per la Giustizia



54 commenti:

La Redazione ha detto...

Sì, adesso il provvedimento risulta razionale e persino opportuno. Il sistema penale non poteva sopportare ulteriormente di girare a vuoto celebrando processi per reati coperti da indulto; certo, un'amnistia rivolta agli stessi reati coperti da indulto avrebbe risolto definitivamente e meglio il problema.
Per usare la solita metafora quanto stava accadendo era paragonabile ai medici di un ospedale autorizzati a porre solo le diagnosi, senza però poter praticare su alcuni pazienti le terapie necessarie. Ovvio che è meglio dedicarsi a curare chi ne ha effettivo bisogno.
Ciò posto va anche chiarito che lo sconfinamento di alcuni "consulenti" non concerneva il merito delle questioni - che già altri avevano posto - ma soltanto il metodo: una cosa è evidenziare le ricadute pratiche di una legge, altra cosa è avventurarsi in giudizi di costituzionalità che spettano ad altri, come aveva segnalato il Capo dello Stato.
La politica è fatta di mediazioni dalle quali la magistratura deve restare fuori; in questo caso sembra stiano funzionando favorendo il perseguimento dell'interesse generale.
Piuttosto resta da chiedersi se sia utile, alla luce delle modifiche apportate all'emendamento del decreto sicurezza, protrarre lo scontro sulla sua approvazione, una volta che il principale ostacolo (il cd. emendamento salvaprocessi) è stato rimosso. L'oggetto della contesa politica si è infatti spostato sul cd "lodo Alfano", che ha un iter del tutto separato ed autonomo dal decreto sicurezza.
Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

Personalmente non condivido affatto che i procedimenti penali, ai quali si possa eventualmente applicare l'indulto (considerando che nessuno è colpevole sino ad una sentenza di condanna passata in giudicato), possano essere sospesi secondo il criterio di un magistrato. Nè vedo opportuna un'altra amnistia. Resta il disagio del cittadino, imputato, parte offesa o parte civile, di vedere ancora una volta procrastinata una pronuncia giudiziale, quale essa sia....
Non vedo alcun programma che si accompagna per riformare l'amministrazione giustizia, nè di potenziamento degli organici. E allora? ancora una volta un apparente tappabuchi.....
E non vengano i magistrati (in generale) a dire di non avere responsabilità! Le responsabilità sono di tutti noi, senza scampo per nessuno!E la magistratura, come l'avvocatura e il più stretto sistema politico sono responsabili di questo scempio!
Mathilda

Anonimo ha detto...

Da un male può nascere un bene anche in tema di giustizia, dunque. Non riesco però a comprendere l'atteggiamento dell'opposizione (pregiudizialmente?) contraria alla norma: c'è qualcosa che non va nel meccanismo di scelta delle "corsie preferenziali" o è la consueta paura che si nutre ogni volta che un potere discrezionale viene attribuito ufficialmente e trasparentemente?
Saluti a tutti,
Pierfrancesco La Spina

La Redazione ha detto...

Per Mathilda delle 11,08.
L'indulto estingue la pena, vale a dire che si deve accertare con il processo la colpevolezza dell'imputato che però non verrà condannato.
L'amnistia estingue il reato, vale a dire che il processo proprio non si fa perché non serve accertare la colpevolezza.
Non si tratterebbe, quindi, di "un'altra" amnistia ma di abbinare all'estinzione della pena anche quella del reato, come del resto quasi sempre è avvenuto da quando quegli istituti esistono.
Si tratta di essere un tantino pratici e se le cose venissero ben spiegate l'opinione pubblica le comprenderebbe. Un'amnistia riguardante i soli reati già "indultati" non farebbe che del bene ...
Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

Egregio Sig. La Spina

Secondo me il problema è politico.

L'opposizione si rifiutta di votare il provvedimento perchè è memore della sua genesi e dei suoi scopi originari e vorrebbe che tale genesi non cadesse,come sta avvenendo, nell'oblio della memoria.

Il segnale che l'opposizione vuole mandare con questo comportamento,quindi, è politico.

Spero di essere stato chiaro.

Cordialmente

Pierluigi Fauzia

Anonimo ha detto...

ora che vi siete ricreduti su Berlusconi spero vivamente che mettiate da parte le ideologie massimaliste. mi aspetto un biglietto inviato a berlusconi con scritto "ubbidiamo".

Cinzia ha detto...

Scusate se disturbo la discussione, ma voi questa notizia l'avevate letta? Qui ormai la deriva mi sembra senza speranza di approdo, che dire...

http://www.articolo21.info/editoriale.php?id=3924

tutto ciò che all'inizio ci appare simbolicamente grave poi si trasforma in prassi costituita, riconosciuta e rispettata!
Senza repliche.

Anonimo ha detto...

Per Nicola
Conosco bene gli istituti dell'indulto e dell'amnistia.
La mia frase: "Nè vedo opportuna un'altra amnistia." non si riferisce all'indulto, ma alla voce diffusa della necessità di un provvedimento di amnistia, OLTRE a quello già esistente dell'indulto (L.241/06). La ringrazio per le precisazioni, per me superflue, e non condivido affatto che un'amnistia possa far del bene alla giustizia poichè colpirebbe i reati già coperti da indulto. Lei dimentica che l'amnistia estingue i reati a differenza dell'indulto che estingue la pena, con tutte le ovvie conseguenze ai fini di recidiva, sospensione della pena, tendenza a delinquere, professionalità nel reato. E non mi soffermo a parlare degli effetti civili di tutto questo.....Ma tanto l'individuo è sempre sacrificabile, non fa nulla se va in depressione, se non riesce a lavorare, se non ottiene il giusto risarcimento per i danni subiti.....quisquilie di fronte alle esigenze generali....non ho compreso bene di chi!
Mathilda

La Redazione ha detto...

Gentile Mathilda, è evidente che ciò che è superfluo per lei può essere utile ad altri che intendano comprendere le questioni.
Anche le Sue precisazioni sugli effetti, diversi, di amnistia ed indulto, saranno di sicura utilità a chi non è un tecnico della materia.
Resta il fatto hce l'indulto sollevò critiche proprio perché non accompagnato dall'amnistia, ed io, pur rispettando la scelta politica, condividevo quelle perplessità perché tendo ad essere realista: non si può destinare al funzionamento della Giustizia una frazione infinitesimale del bilancio e pretendere che quel servizio assicuri lo smaltimento dell'enorme (sovrac)carico penale.
Sono i limiti pratici del teorico principio dell'obbligatorietà dell'azione penale ...
Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

Visto che il POTERE ha il potere di partorire questi compromessi, per una volta apprezzati negli aggiustamenti anche dai magistrati, perchè l'opposizione, che dopo le elezioni aveva annunciato un'opposizione "costruttiva" se ne duole? Si dia invece una smossa a sollecitare TUTTE le altre condizioni per risolvere il pantano giustizia e tribunali.
Noi cittadini stiamo aspettando!
Se vuol far sapere che tutto questo è servito per salvarne uno, non si preoccupi, l'avevamo capito bene anche da soli.
Alessandra

Anonimo ha detto...

Buongiorno a tutti e un saluto alla redazione.
Scusatemi, ma io penso che, in concreto, non accadrà proprio alcunchè di diverso rispetto all'oggi.
Si proseguirà esattamente come adesso nel fare udienza.
Accertare la responsabilità penale di una persona, anche può essere concesso il beneficio dell'indulto, è comunque rilevante. E questo perchè ove la sentenza passi un giudicato, l'indulto potrebbe non essere sarebbe concesso in una successiva (e magari vicina) occasione (infatti l'indulto può essere concesso, anche per più processi, nella misura massima di tre anni per la pena detentiva e 10.000,00 euro per quella pecuniaria).
Ma vi è di più.
Una eventuale sentenza di condanna dell'imputato consente alla persona offesa -costituitasi parte civile- di ottenere il risarcimento del danno.
E su questo non incide il beneficio dell'indulto.
Per cui non vedo il motivo di posticipare il riconoscimento del diritto di un soggetto che attende giustizia anche sotto il profilo economico.
E poi l'indulto non si applica alle pene accessorie che hanno anche un loro significato sociale.

Francesco Messina, giudice Tribunale Trani

La Redazione ha detto...

Replico al collega Francesco Messina, suggerendo questa prospettiva.
Il processo è come una medicina, molto costosa.
In alcuni casi esso rappresenta, per la società, un farmaco salvavita.
Supponiamo - purtroppo è realtà - di avere a disposizione soltanto un limitato numero di dosi di questo importante e costoso farmaco, ad esempio 10. Questa sostanza, oltre a salvare la vita, produce anche alcuni secondari effetti, anch'essi utili ma non indispensabili (migliora la circolazione sanguigna e fa sentire bene).
Abbiamo, però, 20 pazienti da curare e su dieci di essi il farmaco agirà esplicando tutta la sua potenza terapeutica, mentre gli altri subiranno solo gli effetti secondari.
A chi somministrereste il farmaco?
Nicola Saracino

La Redazione ha detto...

In generale su amnisitia, indulto e grazia.

Si tratta di istituti l'origine dei quali viene solitamente rinvenuta nel potere del Sovrano che, cumulando ogni virtù, può scegliere di rinunciare al perseguimento o alla punizione dei reati nei confronti della collettività o di un singolo.
Questi strumenti sono sopravvissuti anche dopo la fine delle monarchie assolute ed il ricorso al loro impiego dovrebbe essere limitato ed eccezionale.
Non si va lontano dal vero se si ipotizza che essi, attualmente, fungano da "valvole di sfogo" di un sistema penale in perenne crisi di ossigeno, sia per la difficoltà di celebrare in tempi ragionevoli tutti i processi, sia per le carenze delle strutture penitenziarie. In sostanza essi costituiscono il "prezzo" che gli ordinamenti ad azione penale obbligatoria devono pagare per potersi sostenere.
Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

Caro Nicola,
capisco la tua metafora e posso anche dirti che, nel caso di specie, nella situazione processuale e organizzativa che gestisco insieme ad altri colleghi, quella dei venti pazienti e del farmaco scarso è una ipotetica del "terzo tipo", per dirla alla "latina".
Intendo dire, cioè, che, grazie all'utilizzo triennale dei "protocolli delle udienze penali", non abbiamo situazioni di penuria farmacologica perchè i pazienti sono inferiori a venti.
Ma, ciò posto, penso che in concreto la coscienza di molti colleghi (o se vuoi anche l'approccio psicologico che connota da anni il nostro lavoro) renderà difficile questo accantonamento momentaneo, anche perchè potrebbe essere foriero di non pochi problemi.
Uno dei quali gravissimo: se muta l'organo giudicante si rischia di riiniziare tutto il dibattimento.
Con un pregiudizio per le persone offese e per chi ha partecipato nella qualità di testimone al processo.
Io non me la sentirei di correre il rischio di creare le condizioni per future difficoltà altrui.
Comunque capisco il senso della tua metafora.
Francesco Messina

La Redazione ha detto...

Francesco, hai perfettamente ragione.
Non è un caso che io parli di "amnistia".
Nonostante le modifiche "riduttive", l'emendamento in discussione è soggetto alle medesime critiche che da più parti avevano colpito la sua stesura originaria: si parlava, infatti, di amnistia mascherata in quanto di dava per certa l'incostituzionalità della sospensione dei termini di prescrizione del reato. Il problema giuridico, quindi, resta tal quale, anzi esso è aggravato dal rilievo che non si tratta più di un'ipotesi di sospensione del processo prevista dalla legge, bensì di semplice rinvio della sua celebrazione (art. 159 c.p.) rimessa alla discrezionalità dei dirigenti degli uffici giudiziari.
La difficoltà di pronunciare il vocabolo "amnistia" è forse alla base di tutto questo "giro di parole".
Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

Esatto Nicola.
In ogni caso, se noti bene, alla fine il potere politico demanda sempre ai giudici il contatto diretto, scomodo e, spesso, imbarazzante con i cittadini.
Quando devi guardare in faccia direttamente le persone e dire loro: o che il processo è sospeso per un tuo discrezionale giudizio; oppure che il reato, ahimè, è prescritto (magari perchè perchè nel frattempo, sarà intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale che avrà ritenuto illegittima la norma che sospendeva il decorso del termine di prescrizione).
Tutto ciò è sconcertante sotto il profilo umano e culturale.
Francesco Messina

La Redazione ha detto...

Non solo. Si stanno ponendo le premesse per scaricare sulla giurisdizione le responsabilità conseguenti alla scelta delle priorità nella trattazione dei processi.
Francamente, per quanto criticabile, mi sembrava migliore l'opzione originaria della sospensione ex lege del processo, con assunzione di quella responsabilità in capo al Parlamento.
Occorre distinguere tra l'"interesse punitivo", che appartiene allo Stato, e l'obbligo di perseguire i reati gravante sulla magistratura (che non è, invece, titolare dell'"interesse" punitivo). L'obbligo del Pubblico Ministero di esercitare l'azione penale rappresenta solo lo strumento per l'attuazione dell'interesse punitivo statuale.
Affidare alla magistraura lo "scettro" in materia di individuazione delle priorità altera questo delicato equilibrio.
Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

Il sig. Pierluigi Fauzia è stato chiarissimo (del resto il suo pensiero su questo punto specifico coincide quasi esattamente con il mio). Il "quasi" sta in ciò: ogni volta che in Italia si pensa di attribuire espressamente ad una autorità un potere discrezionale (esempi: l'idea di differenziare i docenti anche dal punto di vista retributivo in base al rendimento; l'idea di differenziare la velocità della carriera degli impiegati pubblici - non solo sulla carta ma nella realtà - in base al merito e così via) c'è qualcosa che induce molti a pensare all'abuso più che all'uso che del potere in questione potrebbe farsi. Una diffusa paura della discrezionalità dunque, mista ad una buona dose di ipocrisia: nessuno, per tornare al tema specifico della giustizia, può seriamente pensare che l'azione penale obbligatoria non implichi delle scelte da parte del Magistrato sui fascicoli da "seguire" con maggiore attenzione ed impegno. Si preferisce, però, negare che tali scelte vi siano: il che alla fine - essendo la forza dei fatti maggiore di qualunque regola - significa non capire mai a chi debba imputarsi la responsabilità della opzione che, appunto, nella realtà si adotta.
Cari saluti,
P. La Spina

La Redazione ha detto...

Gentile Pierfrancesco, il problema è che, in questo caso, si conferisce una discrezionalità il cui esercizio può determinare effetti che vanno oltre quelli preventivati; ad esempio se la norma che accompagna al rinvio del processo la sospensione della presrizione dovesse risultare incompatibile con la Costituzione.
Il problema della discrezionalità nella scelta dei tempi e dei modi di esercizio dell'azione penale esiste e non può essere negato.
Qui, però, si sta discutendo di discrezionalità nella celebrazione dei processi, ad azione penale già esercitata, e quindi il tema non riguarda il Pubblico Ministero ma gli uffici giudicanti, non abituati a ragionare in questi termini. Il che non vuol dire che non ci si debba cimentare con nuovi compiti, purché si sia consapevoli che quando il problema è rappresentato dal numero dei processi, esso non si risolve stabilendo quali fare prima e quali dopo, ma fornendo i mezzi affinché siano celebrati tutti. Oppure si chiamano le cose col loro nome e si fa un'amnistia.
Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

Per Francesco Messina.

Carissimo Francesco,

che enorme piacere leggerTi qui.

Un caro saluto.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Gentile dott. Saracino, ovviamente quello del rapporto tra azione penale obbligatoria e scelta "a valle" del Requirente è problema che non coincide con quello della scelta di quali processi celebrare e quali rinviare (e d'altra parte il mio richiamo voleva essere esemplificativo). Sono in parte d'accordo anche con l'ultimo passaggio del suo post: si dovrebbe avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome (salvo che, a mio avviso, non si dovrebbe amnistiare un bel nulla, ma provvedere ad un deciso "sfoltimento" del codice penale). Il momento politico è però quello che è: e nessuno può ragionevolmente attendersi, nelle condizioni date, che si prendano delle decisioni così impegnative (quante riforme del codice penale - e anche degli altri codici - giacciono nei cassetti del Ministero?). Allora - volendo vedere il bicchiere mezzo pieno - direi che dovremmo intanto accontentarci di questo: nella speranza che il Csm riesca a tracciare una ragionevole "griglia" dentro la quale i Presidenti o i Giudici monocratici dovranno muoversi. Di più, credo, allo stato non possiamo aspettarci.
Pierfrancesco La Spina

Anonimo ha detto...

Buonasera,

Quanto scriverò ora non è strettamente attinente al Vostro messaggio, ma spero che possa far riflettere.

E' il caso di Valentina, la ragazza stuprata sei anni fa da tre uomini italiani e che si è suicidata, impiccandosi, qualche giorno fa.

Da RaiNews24, leggo:
"Il processo è ancora in corso: i due autori della violenza sono stati condannati in primo grado e in appello, ma non sono finiti in prigione, perché incensurati. Un terzo giovane, che aveva fatto il palo durante lo stupro, non è stato condannato".

Mi chiedo:

- perché degli stupratori, seppur incensurati e sebbene siano stati condannati in primo grado e in appello, sono a piede libero?

- perché il cosiddetto "palo" non è stato condannato, nemmeno per un reato minore?

- perché l'ANM, nei suoi numerosi interventi pubblici (talvolta anche politici), ogni tanto non interviene chiedendo come sia possibile che degli stupratori siano a piede libero?

Spero che pubblichiate questo commento (anche se palesamente off-topic) e confido in una Vostra risposta: non tanto dal punto di vista giuridico, ma dal punto di vista "umano", in quanto non riesco a capacitarmi di quanto successo.

Grazie.

Anonimo ha detto...

Ti saluto anche io, Felice Lima.
Come sai, in qualunque luogo (anche telematico) si discuta di cose serie e si può dare qualche minimo contributo ai concittadini, lì è il mio posto.

Francesco Messina

Anonimo ha detto...

Per "Un italiano che crede nella giustizia".

Per poterLe dire perchè quelle persone sono a piede libero dovremmo disporre degli atti del processo e non ne disponiamo.

Una cosa è certa: che nessun magistrato lascia degli stupratori a piede libero se la legge non glielo impone.

Così come è certo che se fossero a piede libero per "colpa" dei magistrati, quei magistrati sarebbero già alla gogna mediatica e sotto processo disciplinare, data la solerzia con la quale i Ministri della Giustizia intervengono in questi casi.

Avrà notato che nel nostro Paese accade sempre più spesso che quando un magistrato arresta, intercetta, indaga una persona potente subito il Ministro gli manda una ispezione; e lo stesso accade appena un magistrato scarcera o assolve un illustre sconosciuto che qualcuno vuole colpevole.

Dunque, è certo che nel caso di specie ci saranno ragioni tecniche ben spiegate negli atti del processo.

Sotto il profilo tecnico, poi, in Italia la legge prevede che né la sentenza di primo grado e neppure quella di appello siano esecutive.

E' questa una scelta del legislatore, che, come Lei sa, è come si suol dire, "sovrano".

Quanto, invece, al fatto che "Un terzo giovane, che aveva fatto il palo durante lo stupro, non è stato condannato", la risposta è semplice. Se non è stato condannato, vuol dire che non è stato ritenuto colpevole.

Le ragioni dell'assoluzione le troverà scritte nella motivazione della sentenza.

Lei ci dice di non volere una risposta sotto il profilo "tecnico", ma sotto quello "umano".

Ma inq uesto c'è una inaccettabile confusione di piani.

Nell'amministrazione della giustizia qualunque "piano umano" viene DOPO il "piano tecnico".

In sostanza, le pulsioni umane dei giudici non possono e non devono prevalere sul dato tecnico, altrimenti i giudici non "applicherebbero la legge", ma "farebbero giustizia". E se c'è una cosa pericolossima sono i giudici "giustizieri".

Spero, infine, che sarà d'accordo con noi che non ha nessun senso logico immaginare che i magistrati provino un particolare piacere a lasciare liberi violentatori e assassini.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Gentile "italiano che crede nella giustizia",
se posso, provo a risponderle io.
In primo luogo quella notizia che Lei ha letto è frutto della superficiale preparazione giornalistica che c'è in Italia.
In realtà:
a) la pena alla quale un imputato può essere condannato può essere "sospesa", se ricorrono determinati presupposti previsti dalla legge.
Questo beneficio può essere concesso se l'imputato non ha precedenti penali (cioè se, come dice, è "incensurato").
Questa condizione soggettiva, però, non basta; direi che è il primo presupposto che, una volta accertato positivamente, permette di passare ad esaminare gli altri previsti dalla legge.
Infatti per avere il beneficio della sospensione condizionale della pena è necessario ANCHE che, dai fatti accertati nel giudizio, il giudice tragga la previsione che in futuro quell'imputato si asterrà dal compiere altri reati.
E' ovvio che la concessione di questo beneficio deve essere APPOSITAMENTE MOTIVATA.
La pena sospesa costituirà, però, sempre un precedente penale a suo carico.
Questo precedente emergerà nel certificato del casellario giudiziale.
Il beneficio sarà revocato dal giudice se, entro cinque anni, l'imputato commette un nuovo reato; in tal caso quest'ultimo dovrà scontare ANCHE la pena precedentemente sospesa.
E' probabile che, nel caso che lei ha citato, la pena per i due imputati condannati in primo e secondo grado sia stata sospesa.

ATTENZIONE, però: lo stato di incesuratezza di ciascun cittadino NON conduce automaticamente, come qualcuno crede, alla sospensione della pena.
E questo perchè essere incensurati è un DOVERE e non fonte di diritti verso lo Stato.

c) Se la terza persona, il "palo", non è stato condannato è perchè non è stato accertato che facesse il "palo".
Quindi l'espressione usata dal giornalista è quanto meno equivoca.
Si sarebbe dovuto dire che la persona in origine accusata di aver fatto da "palo" agli altri due imputati, al termone del processo è risultata non aver commesso il fatto.

Naturalmente, e questo bene sottolinearlo, il giudice è sempre tenuto a motivare tutti i suoi provvedimenti.
Deve, cioè, chiarire ESPLICITAMENTE quale siano stati gli elementi emersi nel corso del giudizio che lo hanno portato alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
E questo in quanto nel nostro ordinamento NON sono previsti provvedimenti apodittici, ma motivati per consentire il controllo sociale.
Spero di averLe chiarito qualche dubbio.
Francesco Messina, giudice Tribunale Trani

Anonimo ha detto...

X Cinzia

Come si suol dire "lui se la canta e lui se la suona". 8-(

Anonimo ha detto...

La riforma della giustizia si fa con mezzi e risorse umane, senza più compromessi, nè amnistie nè indulti. Non sono più tempi di "pezze". Se veramente si vuole che l'amministrazione giustizia funzioni si deve partire dalla base: codice di procedura penale ( e senza abolire gradi di giudizio come indicava il dr. Tinti), risorse umane, edilizia giudiziaria.
Se si continua sulla strada dei "rimedi" ( che poi tali non sono) il vestito è sempre + a brandelli.
Mathilda
Salve dr. Lima :-)

Anonimo ha detto...

Benvenuto Dott. Messina, ben ritrovato Avv.La Spina: spero di sentire più spesso i vostri interessanti interventi, che ho letto con piacere e ho condiviso.

Cari saluti anche alla Redazione,

Paola

Anonimo ha detto...

mah..io invece, nella situazione attuale, abolirei certamente l'appello perchè rischia di essere una pura ripetizione del processo di primo grado che è già ipergarantito.
Ma a parte queste che possono essere mie considerazioni dettate dall'esperienza professionale, io penso che basterebbe indicidere su notificazioni, eliminare i barocchismi legislativi totalmente inutili (tipo il 415 bis. c.p.p.), velocizzare la formazione della prova in dibattimento e, soprattutto, ABOLIRE IL DIVIETO DELLA "REFORMATIO IN PEIUS".
L'abolizione di quel divieto avrebbe una efficacia deflattiva semplicemente straordinaria perchè sconsiglierebbe di fare appello quasi "sistematico" a tutte le sentenza di condanna.
Se tu sai che puoi essere condannato a una pena più pesante di quella di primo grado (e questo senza che il P.M. abbia appellato), ci penseresti 100 volte prima di impugnare, come avviene adesso, quasi sistematicamente le sentenze di condanna di primo grado.
Si svuoterebbero i ruoli di udienza, si farebbero le cause davvero serie, si eviterebbero le strategie dilatorie.
Basta volerlo.
Ma lo si vuole davvero?..
Mah..:-)
Francesco Messina

Anonimo ha detto...

Per Francesco Messina: ...Infatti per avere il beneficio della sospensione condizionale della pena è necessario ANCHE che, dai fatti accertati nel giudizio, il giudice tragga la previsione che in futuro quell'imputato si asterrà dal compiere altri reati...
Con riferimento a questa sua asserzione,La posso disturbare per un quesito? Poniamo il caso che una condanna arrivi a 15 anni di distanza dall'accusa, quando l'imputato si è già accertato che è persona diversa rispetto al periodo in cui aveva commesso il reato per cui lo si è ritenuto colpevole, quali possibilità ci sono perché non sconti la pena in carcere?
GRAZIE.

La Redazione ha detto...

Rispondo a P. La Spina dele 20,24.

Condivido l'opportunità, anzi la stringente necessità, di sfoltimento del numero dei reati.
Il fatto è che il Legislatore abusa del ricorso alla criminalizzazione senza porsi alcun problema sul "costo" determinato dall'introduzione di ogni nuovo reato.
Le leggi che comportano una spesa, come tutti sanno, devono indicare le risorse finanziare da impegnare allo scopo. Invece quando si prevedono nuove figure di reato il Legislatore non si pone affatto la questione, quasi che la macchina giudiziaria possa indefinitamente viaggiare "ad aria".
Non è raro, negli ultimi tempi, rinvenire leggi in materia di giustizia il cui ultimo articolo suona più o meno così: "Questa legge non deve determinare nuove spese per lo Stato". Bastasse dirlo ...
Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

Per Francesco Messina:

Lo vada a dire al condannato ingiustamente, di abolire l'appello!

Crede forse di vivere in un paese civile, come la Gran Bretagna?

Grazie.

Anonimo ha detto...

Caro anonimo,
rispondo alla Sua ulteriore domanda.
E' evidente, in primo luogo, che bisogna far di tutto affinchè la condanna di primo grado NON avvenga a distanza di troppo tempo dal verificarsi dei fatti.
La mia affermazione non è una ovvietà perchè la gran parte dei magistrati italiani si sono muniti di "protocolli delle udienze penali" che riducono la possibilità che si verifichi una tale distanza temporale fra fatto delittuos e decisione (se Lei digita su qualsiasi motore di ricerca le parole "protocolli udienze penali" saprà meglio, e in modo più dettagliato, di cosa parlo).
Ma, a parte questo, non dimentichi che l'attività procedimentale permette di evidenziare anche quale sia il comportamento in concreto tenuto dall'imputato.
E' un elemento questo che non ha poca rilevanza e che, anzi, deve essere valorizzato in motivazione sia per quantificare la pena, sia per la eventuale concessione dei benefici previsti per legge.
In sostanza diversa è la considerazione che bisogna avere fra un imputato che ha attuato una condotta processuale mistificatoria, callida, tesa a sottrarsi alle proprie responsabilità, di scarsa (se non inesistente) collaborazione con l'Autorità Giudiziaria, e un altro imputato che, invece, ha dimostrato concreti ed inequivoci segni di resipiscenza, di ripensamento e di rivalutazione critica della sua condotta.
Tutto questo il giudice può e deve apprezzarlo in sentenza attraverso una adeguata e rigorosa (sottolineo, RIGOROSA) motivazione.

Francesco Messina, giudice Tribunale Trani

Anonimo ha detto...

Per Anonimo delle 0.28.

Lei scrive:
"Lo vada a dire al condannato ingiustamente, di abolire l'appello!
Crede forse di vivere in un paese civile, come la Gran Bretagna?"

Gentile Lettore,

ma Lei sa come funziona il sistema giudiziario inglese?

Funziona così:

1. In Inghilterra i processi vengono celebrati davanti a una giuria composta da persone sorteggiate a caso fra la popolazione.

Dunque, vi è un primo importantissimo elemento del giudizio che è affidato al caso. Della giuria potranno fare parte persone eccellenti o orribili cialtroni e, anche se gli avvocati hanno una certa esperienza nel riconoscere i peggiori e chiedere che vengano esclusi, resta un'alea molto significativa.

2. Poiché la giuria è composta da persone senza competenze tecniche, la sentenza non ha la motivazione di merito.

Ovverossia, Lei viene condannato all'ergastolo con questa sola motivazione: "Perchè la giuria ha deciso così".

Non saprà mai se ha deciso così perchè ha creduto a quel teste o perchè si è convinta che il possesso dell'arma significava anche che l'aveva usata.

E' condannato e basta.

E la sentenza è giusta pe ril solo fatto che è stata pronunciata dalla giuria popolare. E' il popolo che vuole così e dunque è giusto così.

3. Tutto il processo, dunque, consiste e si esaurisce nel convincere una giuria.

Il giudice professionale serve solo a gestire la procedura del processo. Ossia il rito. Ma il merito è "nelle mani" della sola giuria.

4. Giocandosi tutto nel convincere una giuria, il ruolo degli avvocati è determinante.

Gli avvocati costano una cifra spaventosa. Sono pochi, molto competenti, costosissimi.

5. Non esiste il processo in contumacia o a piede libero.

Appena vieni incriminato, vieni subito arrestato. Perchè l'incriminazione comporta la tua "traduzione" in vinculis davanti al giudice. Il giudice decide poi se liberarti provvisoriamente e se farlo previo pagamento di una cauzione.

6. La sentenza di primo grado - che è l'unico grado a cui hai diritto - è immediatamente esecutiva. Appena la giuria ti condanna, tu vai immediatamente in carcere a scontare la pena che ti è stata inflitta.

7. Non hai alcun diritto all'appello.

Chiedi l'appello e la Corte decide a sua discrezione se farlo o no.

La decisione non viene presa sulla base del "merito", sulla base cioè del fatto che la sentenza appaia giusta o no, perchè essendo del tutto priva di motivazione, non ha alcun senso chiedersi se è giusta o no. E' giusta per definizione, essendo stata pronunciata dalla giusta giuria.

L'appello ti viene riconosciuto solo se la Corte si convince che il processo è viziato nel rito. Se, cioè, si convice che la giuria è stata condizionata da una qualche procedura impropria.

In questo caso, ti fanno l'appello, che non è una revisione del primo giudizio (come in Italia), ma una rinnovazione totale dello stesso. Ti fanno, cioè, un nuovo processo, stavolta senza vizi di procedura.

8. Se il nuovo giudizio finisce come il primo e, cioè, se vieni condannato di nuovo, il tempo che hai trascorso in carcere nell'attesa di questo secondo giudizio NON TI VIENE COMPUTATO COME PENA SCONTATA. Ossia, ti fai il carcere corrispondente alla condanna PIU' quello che hai fatto mentre si attendeva e si celebrava il nuovo processo.

Questa cosa che a noi sembra terrificante, è stata ritenuta legittima dalla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo.

9. Ovviamente non c'è alcun divieto di reformatio in peius e, dunque, il secondo giudizio potrebbe benissimo condannarti a una pena più grave del primo.

Così stando le cose, mi permetto di chiederLe:

1. ma Lei lo sapeva o no come funziona la giustizia in Inghilterra?

2. ma Lei veramente vorrebbe una giustizia così?

Concludo segnalandoLe un'altra cosa. Se si abolisse l'appello, in Italia, le parti avrebbero ancora comunque il ricorso in Cassazione.

In sostanza, l'indagato/imputato avrebbe a disposizione le seguenti garanzie:

1. un Giudice delle indagini preliminari al quale rivolgersi nel corso delle indagini contro le iniziative del P.M.;

2. un Giudice dell'udienza preliminare (che è ormai per legge DIVERSO dal Giudice delle indagini preliminari) che decide sul rinvio a giudizio o no;

3. un Tribunale del riesame, al quale sottoporre "reclami" avverso i provvedimenti del G.I.P.;

4. un Tribunale che giudica il primo grado.

A quel punto, se la sentenza contenesse delle illogicità o dei vizi - di rito o di merito - la si potrebbe impugnare davanti alla Cassazione, che, se verificasse la fondatezza del ricorso, la annullerebbe.

Insomma il triplo o il quadruplo delle garanzie che ha un inglese.

In ogni caso, anche tenendoci l'appello come lo abbiamo oggi, mi sembra che la tesi di Francesco (Messina) di abolire almeno il divieto di reformatio in peius sia assolutamente condivisibile.

Oggi accade che anche se dai all'imputato la pena minima con tutti i benefici lui l'appello lo fa lo stesso, perchè tanto quell'appello non può mai danneggiarlo, perchè o viene accolto e la sentenza migliora ancora o viene rigettato e non peggiora.

Se, invece, la scelta fosse: se ti sembra che vada bene, tieniti questa sentenza di condanna al minimo della pena con pena sospesa. Se non ti va bene, fai appello, ma guarda che, se fai appello e hai torto, magari finisce che la pena te la aumentano, un certo numero di imputati non farebbe appello.

Oggi la maggior parte degli appelli e dei ricorso in cassazione riguardano sentenze sacrosante, con condanne a pene prossime ai minimi e che non verranno scontate per uno dei tanti motivi esposti da Bruno Tinti nel post “Il legislatore non vuole che la giustizia penale funzioni”.

Oggi una enrome percentuale del lavoro dei giudici è veramente inutile. La giustizia è una macchina farraginosa, sovraccarica di lavoro, che gira in gran parte a vuoto, secondo il mio modesto parere perchè chi ne detta le regole ha tutto l'interesse a che non funzioni.

Perchè una giustizia che non funziona dà meno fastidio al potere di una che funziona e perchè una giustizia che non funziona può essere più facilmente delegittimata quando disturba.

In questi giorni abbiamo visto come, per bloccare UN SOLO processo, si è fatta una "manovra" consistente nel fare una legge che ne bloccava più di centomila e parallelamente i giornali dell'interessato al blocco di quel solo processo hanno diffamato la magistratura sotto ogni profilo possibile.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Grazie dottore Messina!
Lei ancora dice: "...In sostanza diversa è la considerazione che bisogna avere fra un imputato che ha attuato una condotta processuale mistificatoria, callida, tesa a sottrarsi alle proprie responsabilità, di scarsa (se non inesistente) collaborazione con l'Autorità Giudiziaria, e un altro imputato che, invece, ha dimostrato concreti ed inequivoci segni di resipiscenza, di ripensamento e di rivalutazione critica della sua condotta.
Tutto questo il giudice può e deve apprezzarlo in sentenza attraverso una adeguata e rigorosa (sottolineo, RIGOROSA) motivazione.
Mi perdoni, se Le sottopongo le seguente fattispecie: poniamo il caso che un imputato continui a dichiararsi innocente, la Corte però non ha altri spazi se non di rideterminare la pena, e per questo viene condannato alla pena minima prevista come può motivare, una sentenza del genere, considerato appunto che l'imputato continui a proclamare la propria innocenza?
Grazie ancora se vorrà rispondere!

Anonimo ha detto...

Alla lucida analisi di Felice (Lima), mi permetto di aggiungere un dettaglio non da poco e che illustra a quali incongruenze oggi si è arrivati parlando a sproposito di pseudo-garanzie a favore dell'imputato.
Accade molto spesso che alla prima udienza utile (quella prevista per legge), l'imputato e il suo difensore chiedano di "patteggiare la pena".
A quel punto in udienza si assiste a un minimo di trattative fra P.M. e difensore per concordare la pena ritenuta congrua al caso di specie; alla fine della contrattazione difensore e e P.M. vanno dal giudice e si illustra qual'è l'accordo che hanno raggiunto. Il giudice, se ritiene la pena adeguata ai fatti contestati, la recepisce ed emette sentenza di applicazione della pena.
Ebbene non sono rari i casi in cui qualche minuto dopo che il giudice ha emesso la sentenza, ripeto QUALCHE MINUTO DOPO, l'imputato o il suo difensore depositano già nella cancelleria del giudice il ricorso per Cassazione contro la sentenza emessa qualche minuto prima (quando c'è il patteggiamento della pena NON è previsto l'appello ma solo il ricorso per Cassazione).
E questo con l'evidente fine (le motivazioni addotte per il ricorso per Cassazione sono in questi casi assolutamente infondate) al solo fine di impedire il pronto passaggio in giudicato della sentenza.
Con l'effetto di ritardare il passaggio in giudicato della sentenza, di creare un giudizio successivo assolutamente inutile, con spese per lo Stato, con ulteriore intasamento della Corte di Cassazione.
La ritengo una cosa semplicemente vergognosa e il sintomo di un sistema che prende in giro se stesso.
Naturalmente di queste cose non sentirete mai parlare dagli opinionisti della domenica mattina sui vari giornali c.d. impegnati e che fanno opinione.
Francesco Messina

Anonimo ha detto...

Gentile anonimo,
come lei intuisce non basta dichiararsi innocenti; bisogna portare argomentazioni valide e, soprattutto, o convincenti o,almeno, persuasive per il giudice riguardo alla propria innocenza.
Se mia moglie, per negare la sua relazione sentimentale con un'altra persona, dichiarasse puramente e semplicemente che la relazione non esiste quando, invece, ci sono elementi che inducono a ritenere contrario, io non penso che mi accontenterei.
E forse neanche Lei si accontenterebbe.
Con questo voglio dire che l'imputato, una volta che partecipa al giudizio, è tenuto anche a portare elementi a supporto della sua tesi.
Io non credo all'idea della totale deresponsabilizzazione dell'imputato nel processo penale.
Penso, invece, che una volta che quest'ultimo si dichiari innocente a fronte di prove che inducono a ritenere il contrario, è tenuto quanto meno ad un onere di spiegazione verso il giudicante.
E' quello che viene definito tecnicamente "onere di confutazione" della tesi avversa.
E' evidente che se l'imputato non adempie a tale onere non significa che la tesi accusatoria debba intendersi AUTOMATICAMENTE provata.
E' sempre necessario che la tesi accusatoria abbia un autonomo e rilevante sostrato probatorio.
Questo sostrato probatorio può, però, arricchirsi e divenire ancora più stabile anche per l'incongruenza e l'apoditticità delle tesi avverse.
E comunque irrogare il minimo della pena NON è un fatto automatico. Almeno io non mi comporto in tale maniera.
Io motivo sulla pena in concreto irrogata e che ho ritenuto giusta nel caso che mi ha occupato.
Francesco Messina
P.S.
comunque se qualcuno vuole discuterne più diffusamente in audio con messenger o skype senza consumarsi i polpastrelli sulla tastiera, io sono disponibile (nei limiti di tempo e della famiglia, ovviamente)

Anonimo ha detto...

Ringrazio Paola e la redazione per il ben ritrovato. A ben vedere, però, non sono mai andato via: intervengo di rado, ma seguo quotidianamente il blog, i cui argomenti ed interventi sono davvero di altissimo livello. E' forse l'unico luogo pubblico rimasto in cui può discutersi "laicamente" dei problemi del nostro sistema giudiziario, che fanno provare sempre più spesso anche a me un senso di inutilità del lavoro che svolgo (nel mio caso aggravato dalla notoria inefficienza del cliente difeso). Un caro saluto a tutti,
Pierfrancesco La Spina

Anonimo ha detto...

Ops..scusate il commento delle 10.33 è il mio.
Saluto anche io Paola che ho letto, e ho apprezzato, in altra sede.
Francesco messina

Anonimo ha detto...

Per Francesco Messina.
Di nuovo grazie! Continuo: poniamo il caso che le accuse all'imputato derivino da vaghe dichiarazioni o riconoscimento tramite fotografia da parte di collaboratori di giustizia che l'imputato non ha mai frequentato e/o conosciuto. Vorrei capire come fa a provare questo imputato, per esempio se l'accusa è di appartenere alla mafia, di non essere mafioso?
Grazie dottore Messina, soprattutto per la sua disponibilità e gentilezza. Non vorrei rubarLe il suo tempo prezioso ma mi sento di approfittare: se mi vuol dire quando ha del tempo libero!
Cari Saluti.

Anonimo ha detto...

Conosco il sistema giudiziario inglese. Ho visto con i miei occhi lo svolgersi dei processi alla High Court of Justice, come pure ho visto procedimenti in Francia, alla Corte di Cassazione.

Per chi non conoscesse bene gli ordinamenti giudiziari stranieri, consiglio un grande classico: "I Grandi Sistemi Giuridici Contemporanei", di René David.
E' un libro che si legge come un romanzo, tanto è ben fatto.

Riguardo alla domanda di Felice Lima, se vorrei veramente una giustizia come quella inglese, risponderò francamente: certo che sì ... SE I POLIZIOTTI E I GIUDICI FOSSERO INGLESI!

Perché, vede, da noi è tutto bello e splendido ... sulla carta.

E' la REALTA' ad essere assai diversa!

Anonimo ha detto...

Per Anonimo delle 13.18.

Gentile Anonimo,

Lei scrive:
"Riguardo alla domanda di Felice Lima, se vorrei veramente una giustizia come quella inglese, risponderò francamente: certo che sì ... SE I POLIZIOTTI E I GIUDICI FOSSERO INGLESI!"

Mi permetta di proporLe due osservazioni:

1. Il problema che noi abbiamo non è quello di sognare mondi ipotetici, ma di provare a fare funzionare il mondo in cui viviamo. Dunque, non ha senso in Italia sognare un sistema che, per funzionare, avrebbe bisogno di poliziotti e giudici inglesi, che in Italia non abbiamo.

2. A me non sembra che in Inghilterra, in Francia, in Svizzera, le cose vadano meglio (e a volte non vanno affatto meglio) perchè i poliziotti e i giudici lì sono migliori. Lì, gentile Anonimo, sono migliori TUTTI.

Il guaio degli italiani è che loro vorrebbero giudici e poliziotti santi, dimenticando che questi provengono da un popolo di cialtroni.

Io faccio il giudice. Non spetta a me, ovviamente, dire se sono santo o cialtrone.

Quello che posso dire è che:

1. l'80% dei testimoni che si presentano davanti a me a deporre in favore di questa o quella parte processuale sono falsi;

2. le parti possono mentire senza che questo produca alcuna conseguenza e mentono sistematicamente e spudoratamente;

3. in Inghilterra il commercialista dell'avv. Mills, quando si è reso conto che un certo quantitativo di denaro del suo cliente aveva una provenienza dubbia, ha denunciato il suo cliente; in Italia i commercialisti credono che il loro dovere sia favorire gli evasori;

4. in Inghilterra un avvocato che avesse sostenuto in giudizio una causa che egli sapesse con certezza ingiusta e avesse affermato cosa che egli sapeva falsa, verrebbe radiato dagli albi; in Italia verrebbe eletto in Parlamento e incaricato di fare le riforme;

5. gli impiegati pubblici in Italia si assentano dal lavoro presentando certificati medici falsi;

6. una percentuale elevatissima della popolazione mente nella dichiarazione dei redditi;

7. una percentuale elevata dei governanti è disonesta;

8. il falso, la truffa, la raccomandazione, il privilegio, l'espediente sono pratiche diffusissime da parte di ogni strato della popolazione.

Gentile Anonimo, per favore, me lo può spiegare come dovrebbe accadere che da questa "base" dovrebbero trarsi poliziotti e giudici come quelli svizzeri?

I concorsi di magistratura e di polizia sono riservati ai cittadini italiani. Non possiamo andare a prenderli in Inghilterra. Li dobbiamo prendere da Napoli, da Palermo, da Roma e da Milano.

I giudici e i poliziotti svizzeri sono come gli svizzeri.

I giudici e i poliziotti italiani sono come gli italiani.

Gli italiani dovrebbero smetterla di continuare a evadere le tasse, farsi raccomandare, posteggiare in divieto di sosta, assumere extracomunitari in nero, violare le norme sulla sicurezza nel lavoro (migliaia di morti ogni anno), violare le norme sulla circolazione stradale (altre migliaia di morti l'anno), tenere in parlamento pregiudicati, volere avere sempre una scappatoia in tutte le procedure (in Italia si impugna tutto, dalla contravvenzione per divieto di sosta all'ordine di demolizione della casa abusiva) e poi piagnucolare pretendendo che arrivino dei giudici che dovrebbero venire da Marte ed essere come Batman a salvarli dalle porcherie nelle quali vivono, crescono e si arricchiscono.

E' molto facile dire sempre cosa dovrebbero fare "gli altri" perchè il mondo migliori.

Mai nessuno in Italia che percepisca quale relazione c'è fra il modo con cui ciascuno di noi si comporta e la situazione complessiva del Paese.

Sul punto, mi permetta di segnalarLe l'articolo “Gli italiani e le regole” che trova anche su questo blog.

Un cordiale saluto.

Felice Lima

Anonimo ha detto...

Per l'anonimo "interrogante"..:-)

Dunque Lei scrive: "poniamo il caso che le accuse all'imputato derivino da vaghe dichiarazioni o riconoscimento tramite fotografia da parte di collaboratori di giustizia che l'imputato non ha mai frequentato e/o conosciuto. Vorrei capire come fa a provare questo imputato, per esempio se l'accusa è di appartenere alla mafia, di non essere mafioso?"

Beh, le viene in aiuto il giudice, mio caro anonimo.
Almeno il giudice della Costituzione del 1948, quello, cioè, che non fonda le proprie decisione su "dichiarazioni vaghe" e che cerca anche i riscontri; che vaglia con precisione le eventuali affermazioni dell'imputato; che esamina con scrupolo scientifico i riconoscimenti fotografici perchè è ben preparato nella materia del "falso ricordo" e dei processi di sedimentazione nella memoria; che conosce le teorie e gli studi di Jean Piacet e della scuola di Kossylyn, che ha l'umiltà di ripiegarsi sulle carte e sottopore ogni propria valutazione al più severo giudizio critico (quella che si chiama "prova di resistenza del ragionamento".
Quello che ragiona e opera come il collega Piziali (al di là di quella che sarà la decisione definitiva su quel caso esaminato dal collega).
Insomma il giudice che, rispetto alla realtà e agli pseudo-valori odierni, è considerato dagli epigoni di questo "modus vivendi" come mentalmente disturbato..:-)

Francesco Messina

Anonimo ha detto...

"in Inghilterra un avvocato che avesse sostenuto in giudizio una causa che egli sapesse con certezza ingiusta e avesse affermato cosa che egli sapeva falsa, verrebbe radiato dagli albi".

Oh, finalmente! Finalmente qualcuno che dice chiaramente e senza peli sulla lingua quello che tutti tacciono!

Finalmente qualcuno che dice come dovrebbe essere la professione forense, alla faccia di quelli che sostengono che l'avvocato deve fare di tutto, anche mentire, per salvare il suo cliente!

Sono perfettamente d'accordo con Lei.

Ma la Sua conclusione è senza speranza.

Il male dell'Italia è, da quasi cento anni, soprattutto il clientelismo.

Il merito non contava, e tuttora non conta. Conta solo se hai l' "amico" che ti fa passare il concorso o che ti "aiuta" in qualsiasi altro modo.

Per questo, oltre alle riforme delle leggi e dei regolamenti, bisognerà attendere il pensionamento dei vecchi burocrati e il reclutamento di pubblici funzionari solo in base alle loro effettive capacità (come i giudici della High Court, che sono i migliori ... avvocati degli Inns of Court di Londra).

Non ho molta fiducia che questo avvenga, ma è l'unica speranza che abbiamo. Non la distrugga.

Cordiali saluti.

Anonimo ha detto...

Gentile dr. Lima condivido interamente il suo commento delle ore 13,39. Però devo anche spendere una lancia a favore di coloro che evadono, chiedono raccomandazioni, favori ecc ecc.
Pare che se non si faccia così non si possa vivere.....Infatti se non hai raccomandazioni non trovi lavoro....., non vinci concorsi......quando ne vengono indetti.....
se paghi le tasse ti arriva accertamento agenzia delle entrate ....mentre al vicino o al conoscente che ti berleffa..... non accade nulla.....
se non commetti un reato....sei indagato (chissà anche arrestato e condannato).
Allora non ci sono + vie di mezzo. Non conta essere inglesi o altro, ogni Stato ha la sua storia di errori giudiziari e di devianze giuridiche. Ricordiamo fieri che l'Italia è stata la culla del diritto. Ricordiamo che gli stranieri studiano il latino....
Ricordiamo che il sistema giuridico tedesco è improntato su quello romanico....
Soprattutto educhiamo le persone, sin da piccoli, alla legalità, con l'esempio che deve venire dai ns. rappresentanti istituzionali, dalle famiglie, dagli insegnanti.
Quasi tutte le leggi, se applicate con raziocinio possono essere buone, il problema è etico: l'italiano è così perchè ad essere "onesti" si passa per "fessi". E forse il momento storico che viviamo non insegna? io direi di sì.... dal dopoguerra non si è formata l'Italia ma è rimasta una mentalità da "borsa nera".
Per quanto riguarda il giudizio di appello non sono propensa all'abolizione del grado ma certamente mi va bene il suggerimento del dr. Lima: in appello si rimetta in discussione tutto, anche la possibilità di una pena + pesante.
Grazie per l'attenzione
Mathilda

Anonimo ha detto...

Io non capisco perche' l'erba del vicino deve essere sempre piu' verde e soprattutto perche' la vogliamo a tutti i costi nel nostro giardino senza preoccuparci di sapere se puo' attecchire o meno

In francia fanno cosi... sono migliori facciamo come loro

Gli inglesi sono cola'... facciamolo pure noi

Gli Italiani sono da sempre un gran popolo che ha dato lezioni e lasciato impronte indelebili nella storia..
iniziamo a fare come solo noi sappiamo fare..

Anonimo ha detto...

Gentile Mathilda, io facevo quella proposta sulla eliminazione dell'appello perchè considero che il giudizio di secondo grado, per come è strutturato, è una sterile ripetizione del primo.
Tenga poi presente che il nostro giudizio di primo grado si realizza con il principio del contraddittorio delle parti, cioè con una diffusa partecipazione fattiva del P.M. e della difesa della difesa: La prova si forma innanzi ad esse.
Eliminato l'appello, resterebbe in ogni caso il giudizio di Cassazione sicchè, se il primo giudice ha sbagliato l'errore può essere valutato dal giudice di legittimità (la Cassazione, appunto).
Aggiungerei che un'altra distonia del sistema italiano sta nel fatto che una misura cautelare nei confronti dell'imputato può essere emessa nella fase di indagini sulla base di indizi gravi precisi e concordanti, mentre nessuna misura cautelare può essere emessa -autonomamente- al termine del giudizio di primo grado dove il giudice non opera su più indizi ma su PROVE.
Mi pare una scelta incoerente dal punto di vista sistematico.
Francesco Messina

Anonimo ha detto...

Illustre dr. Messina
potrei concordare con lei se la Cassazione potesse giudicare anche nel merito......
non mi pare che le ultime riforme abbiano prodotto granchè....
finchè resta essenzialmente di legittimità non credo ci sia garanzia adeguata. Le garanzie riguardano tutti.....anche i magistrati sia come cittadini sia nel ruolo istituzionale. Non dimentichiamo quanti procedimenti vengono riformati in appello: troppi. Allora o non è stato capace il giudice di primo grado o non lo è quello di secondo. Non riduciamo tutto agli sterili cavilli degli avvocati!
grazie
Mathilda

Anonimo ha detto...

Per migliorare il sistema non per forza bisogna giungere all' eliminazione di qualcosa.. si puo' procedere magari ad una correzione
Domanda:
Se elimino un appello cosa succedera' nel momento in cui un giudice pronuncia una sentenza sbagliata? e non mi riferisco ad un errore tecnico bensi' al merito

Se elimino l'appello e lascio invariate le funzioni della Cassazione(mi piacerebbe si potesse sempre occupar del merito) mi ritrovo un sistema simile a quello inglese e allora non mi piace

Non sarebbe quindi preferibile rivedere il funzionamento del giudizio d' appello invece di eliminarlo?

Anonimo ha detto...

Grazie dottore Messina!
Il caso è reale. Il ricorso per Cassazione, dell'imputato condannato in primo e secondo grado, era basato sulla violazione della Carta Costituzionale. La Procura della Cassazione aveva chiesto l'annullamento, la Corte invece ha accolto soltanto la parte in cui quella di secondo grado ha aumentato la pena da tre a quattro anni, dichiarando equivalenti le attenuanti in asenza di un ricorso specifico in merito. Quindi nuovo processo per la rideterminazione della pena. Questa è stata determinata in tre anni di reclusione. Il tutto a distanza di 16 anni dalle dichiarazioni accusatorie (1992) e dopo che lo stesso Gip procedente a quattro mesi dall'arresto aveva scarcerato l'imputato dichiarando che era oramai persona diversa da come indicato dai pentiti.
Attualmente si è in attesa del deposito della motivazione della Corte di Assise. Europa, Italia, 2008 dopo cristo.
Siate Voi Giudici illuminati a continuare a resistere.
GRAZIE.

Anonimo ha detto...

Gentile Mathilda,
certo, è evidente che la Cassazione dovrebbe accedere anche al merito del processo. Ma anche questo può essere oggetto di riforma; e il beneficio per eliminazione di un grado di giudizio sarebbe comunque grande.

Una sola considerazione sulle sentenze riformate in appello.
E' opportuno sottolineare che in esse si fanno rientrare anche quelle in cui si muta SOLO L'ENTITA' DELLA PENA.
E questo è un "punto dolente" perchè spesso si ha l'impressione che la sola diminuzione della pena permetta di dare un senso all'esistenza del giudice di secondo grado.
Diverso, radicalmente doverso, sarebbe se fosse eliminato il divieto della reformatio in peius.
Gli effetti deflattivi sarebbero imponenti.
Francesco Messina

La Redazione ha detto...

Il divieto di reformatio in peius è superabile sol che il PM proponga appello incidentale quando la doglianza dell'imputato riguardi la pena.
Io non eliminerei l'appello ma restringerei ulteriormente le ipotesi di ricorso per cassazione. In questo caso mi sentirei di trarre ispirazione dal sistema statunitense nel quale il ricorso alla Corte Federale non dà automaticamente ingresso all'impugnazione; il giudizio si svolge infatti soltanto se la Corte Federale, esaminato il caso, ritiene di pubblica utilità rivedere alcuni aspetti della decisione. Questo avviene non nell'interesse dell'impugnante ma nell'esercizio della funzione nomofilattica, vale a dire per garanitre l'omogenea applicazione della legge su tutto il territorio nazionale.
La Suprema Corte italiana oggi si occupa anche dei divieti di sosta ...
Nicola Saracino

Anonimo ha detto...

Giustizia e Salute sono inscindibili. Ma di certo il tribunale non è (eppure potrebbe) un luogo salutare. Ma nemmeno ospedali e cliniche convenzionate lo sono. Infatti Montanelli invitava a star lontano da ambedue. E l'assurdo, il paradosso lo si concretizza proprio quando un paziente, segnato dalla negligenza di un operatore singolo e/o della struttura, tenta la via giudiziaria per essere risarcito del danno (e magari finisce d'ammalarsi). Quindi, il tribunale si trasforma (quasi sempre, non solo in questi casi) in luogo di cura: la giustizia, se equanime, diventa una atto terapeutico; addirittura è un "vero piacere": secondo uno studio di scienziati dell' UCLA sperimentato nella Università californiana e pubblicato sulla rivista Psychological Science. Dicono che "il lato solare della giustizia, mostra (fisicamente) la gratificazione che scaturisce dall'essere trattati equamente (bisogno primario e fondamentare al pari di quello alimentare)...si attivano gli stessi circuiti cerebrali che si accendono quando si gusta un cibo gradito...come il cioccolato. Ma l'avventura giudiziaria è un'incognita, ci si addentra su un terreno scivoloso, magari "Lima...ccioso" solo apparentemente a "Tint...e" fosche...e uscirne bene, o con le ossa rotte con chi ti spiana la strada tappezzata di rose e fiori. Quando si tratta un tema urticante è prassi "deviare" con le solite metafore (la più favolosa quella del "meccanico"...), come fa il dottor Saracino con il dottor Messina (che ascolto con piacere su Prima Pagina...specie quando pone domande scomode sui giornalisti "reticenti": il peggior reato da un punto di vista etico-morale-deontologico, assimilabile al 380 cp per gli avvocati infedeli): "Il processo è come una medicina, molto costosa". Certo, ma dove farsi curare (con medicine non costose, non sempre il mezzo fa la qualità...): a Perugia (certosino sulle intercettazioni) o a Potenza (sciupone, "Travagli...ato"... e finito nel Fisimario del pungente Ruggero Guarini...) o a Torino (efficiente...seppur in polemica..."La procura tesse la tela , i giudici la disfano"...), qualora si potesse scegliere come per i nosocomi.? Circa 5 anni fa, l'ex vicepresidente di quel tribunale della Milano "non più da bere", Tarantola, ebbe l'idea di trasformare la Giustizia in un Servizio su modello Sanità, che si avvalesse del privato...così come per le cliniche del "dum pendet, rendet" ? So che non sarebbe "Felice", Dottor Saracino, ma perché non parlare di "medicina preventiva" piuttosto che di terapie di rattoppo, o peggio d'emergenza. (Il cardiologo Attilio Maseri indirizza(va) gli studi su chi si potrebbe ammalare e meno sui malati conclamati, cronici con terapie a vita: un fallimento fatto passare per un successo; come i parti plurigemmellari: effetti collaterali persino esaltati!) Per esempio: se un giorno a settimana, un cancelliere o giudice si rendesse disponibile per ricevere potenziali utenti/clienti/datori di lavoro e gli si prospettassero i tempi (storici) e i costi di una causa,. e magari le possibilità di vincerla (remota) o meno, le iscrizioni a ruolo e i ricorsi si dimezzerebbero, o no? Fermo restando che il dibattito resta ineccepibile, di alto livello e costruttivo. Con profonda stima, Mauro C. PS l "la Suprema Corte italiana s occupa anche dei divieti di sosta..." Infatti, il Presidente Marvulli disse che (ma anche per i Pm "narcisi"...tanto non pago io) "è così la Corte diventa 3° grado di giudizio di merito" (s.e.o.); a parte la legge Pecorella...smarrita?

Anonimo ha detto...

Per Mauro C. (commento delle 23.58).

Gentilissimo Mauro,

intanto grazie per i Suoi ricchissimi - anche stilisticamente - contributi.

Con riferimento alla Sua proposta - "Per esempio: se un giorno a settimana, un cancelliere o giudice si rendesse disponibile per ricevere potenziali utenti/clienti/datori di lavoro e gli si prospettassero i tempi (storici) e i costi di una causa,. e magari le possibilità di vincerla (remota) o meno, le iscrizioni a ruolo e i ricorsi si dimezzerebbero, o no?" - Le dico che la cosa è delicata e complessa, perchè il sistema non vede di più occhio contatti informali fra le parti e l'ufficio (giudici e cancellieri).

Io, comunque, con alcune cautele, tutti i mercoledì dalle 12.00 alle 14.00 ricevo chiunque voglia chiarimenti e "soddisfazione", parti comprese.

Tale mia iniziativa è poco condivisa, perchè, ripeto, si ritiene tendenzialmente che il giudice debba "parlare solo con i provvedimenti" e mi viene prospettao il pericolo al quale mi espongo che le parti fraintendano le mie parole e/o le riferiscano in maniera distorta.

Il mio modesto pensiero è, invece, che le parti hanno diritto a che io dia loro conto del mio servizio e, dunque, con cautele consistenti solo nel fare in modo che questi "incontri" avvengano in maniera trasparente e pubblica in ufficio - così che nessuno possa pensare di avere avuto un contatto "privato" con il giudice - dò conto a tutti di tutto. Del perchè ho deciso questo così, del perchè ho rinviato quella causa a quella data e quell'altra prima o dopo, di quale sia l'indirizzo abitualmente seguito dall'ufficio su questa o quella questione. Su tutto, insomma.

La cosa secondo il mio parere dà ottimi risltati.

Accade, infatti, tendenzialmente, che le parti accettino cose sgradite se gliene vengono esposti grabatamente i motivi e se questi motivi ci sono davvero e sono fondati.

Temo che una parte di coloro che considera inopportuna o irrituale questa iniziativa lo faccia solo perchè ha un costo: due ore alla settimana del nostro prezioso tempo.

Io credo, però, che questo "costo" sia un "investimento", perchè lavoro meglio con una utenza che si sente "servita" bene.

Su questo temo che i dipendenti pubblici non riflettano abbastanza e, in fondo, anche dall'esperimento di questo blgo stiamo traendo informazioni significative.

Il contesto in cui operi aumenta o riduce la fatica del lavoro e le frustrazioni connesse.

Una utenza "ostile" è un ulteriore motivo di faticosità e afflittività del lavoro.

Un'utenza consapevole o addirittura contenta è un motivo di gradevolezza e soddisfazione del lavoro.

Dunque, investo due ore alla settimana per operare in un contesto meno ostile e per far sì che il mio lavoro sia giudicato in concreto e non per pregiudizi aprioristici.

Un caro saluto.

Felice Lima