venerdì 29 maggio 2009

Il C.S.M. e la corruzione delle parole. A margine dell’impugnazione della sentenza del T.A.R. che ha dato ragione a Clementina Forleo.






di Giuliano Castiglia
(Giudice del Tribunale di Termini Imerese)






Avantieri il C.S.M., con la delibera che si può leggere a questo link, ha deciso di proporre appello al Consiglio di Stato contro la sentenza del T.A.R. Lazio che ha annullato il trasferimento d’ufficio della collega Clementina Forleo e di chiedere altresì al Consiglio di Stato di sospendere l’esecuzione di detta sentenza.

Leggendo la delibera, ognuno potrà farsi la sua idea.

Io penso, per le tante ragioni che sono state esposte qui e altrove, che quella adottata dal C.S.M. sia una decisione profondamente sbagliata in diritto e penso altresì che, se dovessero essere accolte le ragioni del C.S.M., si determinerebbe un grave vulnus alla garanzia costituzionale dell’inamovibilità dei magistrati, condizione imprescindibile dell’indipendente, imparziale e corretto esercizio della funzione giurisdizionale – che è costituzionalmente attribuita ai magistrati ordinari soggetti solo alla legge (artt. 101 e 102 Cost.) –, essenziale presidio del fondamentale principio di uguaglianza di tutti davanti alla legge e principale garanzia di effettività dei diritti di tutti.

Infatti, mentre per l’art. 107 della Costituzione “i magistrati sono inamovibili” e, in mancanza del loro consenso, possono essere destinati ad altre sedi o funzioni con decisione del Consiglio superiore della magistratura adottata con le garanzie di difesa stabilite dalla legge e solo per i motivi (pre)stabiliti dalla legge, seguendo l’interpretazione del Consiglio i magistrati potrebbero essere trasferiti per tutti i motivi di volta in volta discrezionalmente (post)ritenuti dal C.S.M..

Sorprendono molte cose nella delibera del Consiglio.

Ci sono delle vere chicche.

Così, il parallelo tra il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale dei magistrati e quello dei militari lascia davvero senza parole. Il C.S.M. sembra dimenticare che la Costituzione ha previsto l’inamovibilità dei magistrati e non quella dei militari e, evidentemente, omette di interrogarsi sulle ragioni del diverso trattamento riservato agli uni e agli altri.

Lo stesso dicasi per l’esemplificazione della categoria di ipotesi da far tremare i polsi di fronte alle quali il C.S.M. resterebbe disarmato se non si accogliesse la sua tesi.

Il CSM dice che la categoria è “certamente ampia” ma non va oltre due esempi. E, a sentirli, si comprende perché: si va dall’arcifrequente caso del Procuratore della Repubblica di un piccolo centro che si prostituisce [una specie di novello Ermenegildo Morelli] al magistrato sfigato che non paga i suoi debiti di gioco – tassativamente “cospicui” – nei confronti di soggetti estranei agli affari giudiziari di tutto il distretto in cui presta servizio.

Ma, nel fondo del pozzo, c’è che il Consiglio corrompe e annulla le parole.

Ante riforma, l’art. 2 della c.d. legge della guarentigie prevedeva la trasferibilità d’ufficio dei magistrati “quando, per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario”; dopo la riforma, invece, solo “quando, per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”.

Il Consiglio tramuta “qualsiasi causa indipendente da loro colpa” in “qualsiasi causa, indipendentemente da loro colpa”, cioè “qualsiasi causa, a prescindere da loro colpa”, cioè, in definitiva, “qualsiasi causa, anche indipendente da loro colpa”.

Così, nella sostanza, reintroduce d’imperio quell’anche che – come i lettori di questo blog ben sanno – il legislatore aveva espunto per precise ragioni; altrimenti detto, il testo nuovo non gli aggrada e, dunque, opera come se fosse ancora in vigore il vecchio.

Le parole, corrotte, perdono ogni valore, sono annullate. Se “qualsiasi causa indipendente da loro colpa”, infatti, deve leggersi come “qualsiasi causa, anche indipendente da loro colpa”, resta, nella sostanza, solo (si fa per dire) l’onnicomprensiva formula “qualsiasi causa”.

E ciò - ammessa e non concessa l’equivocità del testo vigente - ad onta del fatto che la direttiva della delega (art. 2 co. 6 lett. n della legge 150/05, ) in forza della quale il legislatore delegato ha modificato l’art. 2 legge delle guarentigi fosse quella di “modificar[lo] ... stabilendo che [...] il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni possano essere disposti con procedimento amministrativo dal Consiglio superiore della magistratura solo per una CAUSA INCOLPEVOLE tale da impedire al magistrato di svolgere le sue funzioni, nella sede occupata, con piena indipendenza e imparzialità”.

Nell’articolo “Le parole della democrazia”, riportato nel post qui sotto, Gustavo Zagrebelsky scrive: «Le parole, poi, devono rispettare il concetto, non lo devono corrompere. Altrimenti, il dialogo diventa un inganno, un modo di trascinare gli altri dalla tua parte con mezzi fraudolenti. Impariamo da Socrate: “Sappi che il parlare impreciso non è soltanto sconveniente in se stesso, ma nuoce anche allo spirito”; “il concetto vuole appropriarsi del suo nome per tutti i tempi”, il che significa innanzitutto saper riconoscere e poi saper combattere ogni fenomeno di neolingua, nel senso spiegato da George Orwell, la lingua che, attraverso propaganda e bombardamento dei cervelli, fa sì che la guerra diventi pace, la libertà schiavitù, l’ignoranza forza. Il tradimento della parola deve essere stata una pratica di sempre, se già il profeta Isaia, nelle sue “maledizioni” (Is 5, 20), ammoniva: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro”. I luoghi del potere sono per l’appunto quelli in cui questo tradimento si consuma più che altrove ...».

Spero che l’antico ammonimento di Isaia, in questi tempi in cui si parla anche di modifiche nella composizione del C.S.M. e nei rapporti numerici tra le diverse componenti, possa spingerci tutti a restare più legati al senso proprio delle parole.




5 commenti:

francesco Grasso ha detto...

In precedente intervento rilevavo che la sentenza del TAR avverso la decisione del CSM si doveva considerare un piccolissimo passo,veramente piccolissimo,verso la liberazione dall'ingiustizia! Il CSM è un organo incomprensibie,lontano dal comune sentire del Popolo italiano SOVRANO. Censura fatti comportamentali che il popolo sensibile ai principi costituzionali non comprende e NON CENSURA LE SENTENZE ABNORMI,quelle che la Suprema corte di Cassazione a Sezioni unite dichiara INESISTENTI ED INIDONEI A PASSARE IN GIUDICATO(Cass.pen. SEZIONI UNITE,31 luglio1997,n.11- c.c. 9 luglio 1997- Quarantelli.

Anonimo ha detto...

Ma il presidente della repubblica in casi come questi una qualche parola potrebbe spenderla! Non è forse il presidente del CSM! Ma questi presidenti della repubblica che ci stanno a fare. La loro mancanza non l'avvertirebbe nessuno! Almeno si risparmierebbero i tanti soldi che vanno in fumo per tenere su un apparato inutile e ingombrante. E dire che la regina d'Inghilterra costa meno che il nostro presidente!

Maria Teresa ha detto...

Desidero esprimere alla Forleo tutta la mia solidarietà ed esortarla a non arrendersi.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Errare humanum est, perseverare diabolicum.

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Di questo passo si va dritto in bocca al caimano, cioè alla magistratura nuovamente asservita al potere politico.
"Corsi e ricorsi storici".
Ma davvero è questo che si vuole?
Buon Dio, non si vive di solo pane.
Devo nuovamente richiamare "Porte aperte", quel magistrato non volle prostituirsi e preferì essere esiliato in una lontana piccola e anonima pretura piuttosto che venire a patti con la sua coscienza.
Mi domando se in altre epoche storiche, per es. l'immediato dopoguerra passando per l'antifascismo e la resistenza, abbiamo mai posseduto una indentità nazionale, se sì è durata davvero poco.
L'inazione se non addirittura l'acquiescenza della magistratura mi fa pensare che Falcone e Borsellino sono davvero morti invano, anche se sono sicuro che risorgendo farebbero le stesse cose, correndo consapevolmente il rischio di essere uccisi, anche quando non più di rischio si trattò ma di certezza.
Che schifo di popolo è quello italiano?