giovedì 21 maggio 2009

La giustizia italiana e il caso Mills




di Alexander Stille
(Giornalista)




da Repubblica del 19 maggio 2009


Piove sul bagnato. Arrivano le motivazioni della sentenza del caso di David Mills, l’avvocato di Berlusconi in Inghilterra condannato per aver intascato una tangente di 600.000 dollari pei non fare il nome del Cavaliere in vari altri processi.

Apriti cielo e l’Italia scopre che ci sono prove forti che l’attuale primo ministro – che si vanta sempre di avere la fedina penale (quasi) pulita – sia invischiato in vicende giudiziarie proprio brutte, che abbia dato (secondo la sentenza) una lauta tangente a un testimone per averlo tenuto fuori da altri procedimenti che avrebbero potuto portare ad altre condanne.

Perfino l’opposizione sembra cadere dalle nuvole: «Ora si capisce il significato del lodo Alfano», ha detto Massimo D’Alema.

Ma il significato del Lodo Alfano era evidente già l’estate scorsa quando la legge è stata scritta frettolosamente e messa su una corsia preferenziale (lasciamo perdere i problemi dell’Italia) davanti al Parlamento proprie quando il processo Mills stava per concludersi.

Il significato del caso era fin troppo evidente alla fine di gennaio quando il tribunale di Milano emanò (seppure senza motivazione scritta) la sentenza di condanna.

Eppure quasi tutti i giornali e tutti i telegiornali la trattarono come un piccolo fatto di cronaca privo di significato politico.

Nel 2004 David Mills, in un momento di panico durante il quale ha temuto di essere indagato per aver evaso il fisco britannico, scrisse spontaneamente al proprio fiscalista inglese per spiegargli l’origine di circa 600.000 dollari finiti nei suoi conti.

«Io mi sono tenuto in stretto contatto con le persone di B. e loro conoscevano la mia situazione ... Sapevano bene che il modo in cui io avevo reso la mia testimonianza (non ho mentito ma ho superato curve pericolose, per dirla in modo delicato) aveva tenuto Mr B. fuori da un mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo».

Il fiscalista, che aveva paura di diventare complice di un reato, ha passato la lettera alle autorità britanniche, le quali, a loro volta, hanno trasmesso gli atti ai loro colleghi italiani.

Quindi, punto primo: non c’è stato un complotto dei giudici italiani.

Il caso nasce in Inghilterra dalla mano di Mills, l’ex avvocato di Berlusconi, e la magistra-tura agisce dopo essere stata messa di fronte a una prova fortissima, un’auto-accusa del tutto spontanea.

Chiamato a testimoniare, Mills conferma tutto.

Poi, in un secondo momento, ritratta.

E infine offre spiegazioni che sembrano poco credibili: perfino che un dirigente della Fininvest, Carlo Bernasconi, sul punto di morire gli ha fatto un regalo personale di 600.000 dollari.

Al processo appena concluso è stata trovata più convincente la spiegazione originale – e per delle buone ragioni.

Quando scrisse la lettera al fiscalista, Mills non aveva nessun motivo di mentire mentre nelle sue versioni successive, trovandosi imputato in un processo per corruzione, aveva tutti i motivi per negare la sua lettera-confessione.

Nella giurisprudenza di tutto il mondo le auto-accuse contro il proprio interesse hanno molto più peso delle dichiarazioni auto-assolutorie.

Di nuovo, sul Tg1 di ieri non è stata citata la lettera di Mills – la pistola fumante del caso. (E che io sappia non credo siano stati letti brani significativi della lettera né sulla Rai né sulle reti Mediaset – se ho torto, mi faccio correggere felicemente).

I casi giudiziari di Berlusconi vengono sempre presentati come il confronto di due opinioni: Berlusconi che dice «sentenza scandalosa» o «non ci sono le prove», e l’opposizione che dice «si faccia processare».

Ma quasi mai vengono citati fatti e prove concrete.

Berlusconi dice: non mi faccio processare da questi giudici.

Per cui lo spettatore o il lettore non sa che cosa credere.

Finisce nel credere quello che vuole secondo il suo orientamento politico.

Non contano più i fatti o le istituzioni.

E con un giornalismo impaurito e fortemente condizionato è molto più facile far parlare i politici che citare i fatti.

In tutti i suoi guai giudiziari Bill Clinton non ha mai attaccato i suoi giudici, anche se alcuni erano chiaramente motivati politicamente.

Perché sapeva che se avessero trovato dei fatti veramente gravi – qualunque sia stata la loro motivazione – avrebbe pagato.

Contano i fatti e le prove e non le motivazioni individuali.

L’esito tristemente prevedibile, dopo la pubblicazione della sentenza, è che Berlusconi negherà tutto in Parlamento, non dovrà rispondere in termini concreti né sul caso Mills né sugli altri processi in cui Mills ha testimoniato.

Che il caso Mills finirà con la prescrizione nel 2010.

E soprattutto finirà nel dimenticatoio generale insieme agli altri processi prescritti.

Berlusconi dice che aspetta serenamente il giudizio in appello.

Alcuni politici dell’opposizione chiedono a Berlusconi di fare ameno dell’immunità.

Ma perché quelli del centrosinistra non chiedono di cambiare l’assurda legge sulla prescrizione?

E perché non lo hanno fatto neanche quando erano al governo e avevano i voti per farlo?

In tutti i Paesi che conosco i tempi della prescrizione si fermano al momento della prima azione giudiziaria.

Così la difesa non se la cava con i rinvii, i cavilli farraginosi e i ritardi.

Invece il sistema italiano incentiva ogni dilazione garantendo “assoluzioni” per i corrotti e una giustizia lentissima per tutti gli altri.




0 commenti: