giovedì 28 maggio 2009

Le parole della democrazia






di Gustavo Zagrebelsky
(Professore di Diritto Costituzionale, ex Presidente della Corte Costituzionale)




da La Repubblica del 23 aprile 2009


Ogni forma di governo usa gli “argomenti” adeguati ai propri fini.

Il dispotismo, ad esempio, usa la paura e il bastone per far valere il comando dell’autocrate.

La democrazia è il regime della circolazione delle opinioni e delle convinzioni, nel rispetto reciproco.

Lo strumento di questa circolazione sono le parole.

Si comprende come, in nessun altro sistema di reggimento delle società, le parole siano tanto importanti quanto lo sono in democrazia.

Si comprende quindi che la parola, per ogni spirito democratico, richieda una cura particolare: cura particolare in un duplice senso, quantitativo e qualitativo.

Il numero di parole conosciute e usate è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità.

Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica.

Quando il nostro linguaggio si fosse rattrappito al punto di poter pronunciare solo sì e no, saremo pronti per i plebisciti; e quando conoscessimo solo più i sì, saremmo nella condizione del gregge che può solo obbedire al padrone.

Il numero delle parole conosciute, inoltre, assegna i posti entro le procedure della democrazia.

Ricordiamo ancora la scuola di Barbiana e la sua cura della parola, l’esigenza di impadronirsi della lingua?

Comanda chi conosce più parole. «E’ solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa di meno».

Ecco anche perché una scuola ugualitaria è condizione necessaria, necessarissima, della democrazia.

Con il numero, la qualità delle parole.

Le parole non devono essere ingannatrici, affinché il confronto delle posizioni sia onesto.

Parole precise, specifiche, dirette; basso tenore emotivo, poche metafore; lasciar parlarle cose attraverso le parole, non far crescere parole con e su altre parole.

Uno dei pericoli maggiori delle parole per la democrazia è il linguaggio ipnotico che seduce le folle, ne scatena la violenza e le muove verso obbiettivi che apparirebbero facilmente irrazionali, se solo i demagoghi non li avvolgessero in parole grondanti di retorica.

Le parole, poi, devono rispettare il concetto, non lo devono corrompere.

Altrimenti, il dialogo diventa un inganno, un modo di trascinare gli altri dalla tua parte con mezzi fraudolenti.

Impariamo da Socrate: «Sappi che il parlare impreciso non è soltanto sconveniente in se stesso, ma nuoce anche allo spirito»; «il concetto vuole appropriarsi del suo nome per tutti i tempi», il che significa innanzitutto saper riconoscere e poi saper combattere ogni fenomeno di neo-lingua, nel senso spiegato da George Orwell, la lingua che, attraverso propaganda e bombardamento dei cervelli, fa sì che la guerra diventi pace, la libertà schiavitù, l’ignoranza forza.

Il tradimento della parola deve essere stata una pratica di sempre, se già il profeta Isaia, nelle sue “maledizioni” (Is 5, 20), ammoniva: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro».

I luoghi del potere sono per l’appunto quelli in cui questo tradimento si consuma più che altrove, a incominciare proprio dalla parola “politica”.

Politica viene da polis e politéia, due concetti che indicano il vivere insieme, il convivio.

È l’arte, la scienza o l’attività dedicate alla convivenza.

Ma oggi parliamo normalmente di politica della guerra, di segregazione razziale, di politica espansionista degli stati, di politica coloniale, ecc.

«Questa è un’epoca politica», ancora parole di Orwell. «La guerra, il fascismo, i campi di concentramento, i manganelli, le bombe atomiche sono quello a cui pensare».

La celebre definizione di Carl Schmitt, ripetuta alla nausea, della politica come rapporto amico-nemico, un rapporto di sopraffazione, di inconciliabilità assoluta tra parti avverse è forse l’esempio più rappresentativo di questo abuso delle parole.

Qui avremmo, se mai, la definizione essenziale non del “politico” ma, propriamente, del “bellico”, cioè del suo contrario.

Ancora: la libertà, nei tempi nostri avente il significato di protezione dei diritti degli inermi contro gli arbitri dei potenti, è diventata lo scudo sacro dietro il quale proprio costoro nascondono la loro prepotenza e i loro privilegi.

La giustizia, da invocazione di chi si ribella alle ingiustizie del mondo, si è trasformata in parola d’ordine di cui qualunque uomo di potere si appropria per giustificare qualunque propria azione.

Quanto alla parola democrazia, anch’essa è sottoposta a “rovesciamenti” di senso, quando se ne parla non come governo del popolo, ma per o attraverso il popolo: due significati dell’autocrazia.

Da questi esempi si mostra la regola generale cui questa perversione delle parole della politica: il passaggio da un campo all’altro, il passaggio è dal mondo di coloro che al potere sono sottoposti a quello di coloro che del potere dispongono e viceversa.

Un uso ambiguo, dunque, di fronte al quale a chi pronuncia queste parole dovrebbe sempre porsi la domanda: da che parte stai? Degli inermi o dei potenti?

Affinché sia preservata l’integrità del ragionare e la possibilità d’intendersi onestamente, le parole devono inoltre, oltre che rispettare il concetto, rispettare la verità dei fatti.

Sono dittature ideologiche i regimi che disprezzano i fatti, li travisano o addirittura li creano o li ricreano ad hoc.

Sono l’estrema violenza nei confronti degli esclusi dal potere che, almeno, potrebbero invocare i fatti, se anche questi non venissero loro sottratti.

Non c’è manifestazione d’arbitrio maggiore che la storia scritta e riscritta dal potere.

La storia la scrivono i vincitori - è vero - ma la democrazia vorrebbe che non ci siano vincitori e vinti e che quindi, la storia sia scritta fuori delle stanze del potere.

Sono regimi corruttori delle coscienze fino al midollo, quelli che trattano i fatti come opinioni e instaurano un relativismo nichilistico applicato non alle opinioni ma ai fatti, quelli in cui la verità è messa sullo stesso piano della menzogna, il giusto su quello dell’ingiusto, il bene su quello del male; quelli in cui la realtà non è più l’insieme di fatti duri e inevitabili, ma una massa di eventi e parole in costante mutamento, nella quale ciò che oggi vero, domani è già falso, secondo l’interesse al momento prevalente.

Onde è che la menzogna intenzionale, cioè la frode - strumento che vediamo ordinariamente presente nella vita pubblica - dovrebbe trattarsi come crimine maggiore contro la democrazia, maggiore anche dell’altro mezzo del dispotismo, la violenza, che almeno è manifesta.

I mentitori dovrebbero considerarsi non già come abili, e quindi perfino ammirevoli e forse anche simpaticamente spregiudicati uomini politici ma come corruttori della politica.

La cura delle parole in tutti i suoi aspetti è ciò che Socrate definisce filologia.

Vi sono persone, i misologi, che «passano il tempo nel disputare il pro e il contro, e finiscono per credersi divenuti i più sapienti di tutti per aver compreso essi soli che, sia nelle cose sia nei ragionamenti, non c’è nulla di sano o di saldo, ma tutto [...] va su e giù, senza rimanere fermo in nessun punto neppure un istante».

Questo sospetto che nel ragionare non vi sia nulla di integro c’è un grande pericolo, che ci espone a ogni genere d’inganno.

Le nostre parole e le cose non devono “andare su e giù”.

Occorre un terreno comune oggettivo su cui le nostre idee, per quanto diverse siano, possano poggiare per potersi confrontare.

Ogni affermazione di dati di fatto deve essere verificabile e ogni parola deve essere intesa nello stesso significato da chi la pronuncia e da chi l’ascolta.

Chi mente sui fatti dovrebbe essere escluso dalla discussione.

Solo così può non prendersi in odio il ragionare e può esercitarsi la virtù di chi ama la discussione.


11 commenti:

vass ha detto...

Un articolo davvero eccezionale. Non si può non condividere questi ragionamenti.

arturo ha detto...

sarà anche un bell'articolo ma a mio avviso ciò che conta non è la circolazione delle idee ma la fiducia in colui che governa le nostre vite. Io ho sempre visto nel politico una persona almeno una spanna sopra a me, forse anche di più, una persona eccezionale che plasma la società e le idee e che è garante di tutti noi.
Io attribuisco grande significato alle idee di chi governa perché queste idee rappresetano in un certo senso noi stessi.

Quello che mi dispiace è che voi qui avete detto delle cose in contrasto con quanto affermato da diversi politici e in particolare da Berlusconi.

in questo articolo si afferma che la democrazia si basa anche sulla circolazione delle idee. allora permettetemi di far circolare quello che ha detto Berlusconi.

"Qualcuno mi dice 'fatti processare'. A me? Che sono il campione degli imputati, con 100 processi, 587 visite della Guardia di finanza, 2.567 udienze. E sempre assolto con formula piena"

voi affermate che questo non è vero. Io dal canto mio e con molta umiltà non mi permetto neanche di mettere in discussione quello che dice Berlusconi, se lo facessi verrei cacciato domani stesso dal Pdl e magari mi prenderei pure una scarica di pugni nel volto.

ora vi domando: queste parole di berlusconi sono vere? se sono vere allora è vero che è stato assolto e che c'è una sorta di complotto per tentare di screditarlo con delle cose false.

ma la circolazione delle idee in democrazia produce anche luoghicomuni?

Anonimo ha detto...

Scusa Arturo.....
molto sommessamente, ma mi chiedo:
Ci fai? o ci sei?
Ho letto i Tuoi commenti in altro post. Usi parole come "ubbidire...
"non è stata una mia scelta precisa,..."Ho semplicemente ubbidito..." e mi chiedo: che senso ha per Te la parola LIBERTA' nel simbolo del Tuo partito che a Tuo dire "verrei cacciato domani stesso dal Pdl e magari mi prenderei pure una scarica di pugni nel volto".
Nella Costituzione la parola libertà è ripetuta molte volte e l'art. 21 recita:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La formula "Credere, obbedire,
combattere" di cui Mussolini volle fare la parola d'ordine del regime è uno dei tanti "comandamenti" lapidari contenuti nel Libro della fede con prefazione del Duce.
Per prendere per buona la parola "assolto" leggiti le sentenze, che sono pubblicate da tutte le parti, puoi farti un'idea personale della parola assoluzione, quando è frutto dell'intervento di provvidenziali leggi ad personam nel frattempo intervenute, tipo: prescrizione abbreviata, depenalizzazioni, Lodi vari, alla faccia della Legge uguale per tutti.

Alessandra

Besugo ha detto...

C.v.d.

I giornalisti de La7 oggi e domani saranno in astensione audio- video. Una protesta contro l'assurdo comportamento della tv del gruppo Telecom Italia che, a soli tre mesi dall'avvio del contratto di solidarietà, reso possibile dal sacrificio economico dei giornalisti e dalle risorse degli enti di previdenza e del ministero del Lavoro, prosegue nella sua politica di acquisto all'esterno - e a caro prezzo - di prodotti di informazione. Non solo: in virtù degli ultimi risultati economici l'azienda ha ritenuto di erogare premi di produzione per tutti gli altri dipendenti, con la sola esclusione dei giornalisti, e addirittura di disapplicare parti del contratto nazionale di lavoro. Tutto questo è la prova inequivocabile che il tentativo illegittimo di licenziare più di un giornalista su quattro messo in atto qualche mese fa - e scongiurato solo con i tagli di stipendio del contratto di solidarieà - aveva uno scopo ben diverso da quelli dichiarati: colpire l'autonomia, e gli spazi professionali dei giornalisti de La7, attaccare il pluralismo dell'informazione televisiva.

Il poeta disse:
"Il verbo è tutto".

Il piduista disse:
"allora deve essere nostro!".

salvatore d'urso ha detto...

Carissimo Arturo...

Non so se ti è chiaro ciò che hai scritto...

Cioè tu dici:

"voi affermate che questo non è vero. Io dal canto mio e con molta umiltà non mi permetto neanche di mettere in discussione quello che dice Berlusconi, se lo facessi verrei cacciato domani stesso dal Pdl e magari mi prenderei pure una scarica di pugni nel volto"

Se metti in discussione ciò che dice il Premier saresti cacciato dal partito e rischi addirittura di essere linciato...

A parte il fatto che se già pensi solo queste cose allora come fai a dimostrare che tale partito gode anche solo di qualche pizzico di democrazia...

Ma la cosa più sconcertante e che fanno parte poi dei miei convincimenti del successo di Berlusconi in politica... è capire dov'è finita la dignità tua visto che ti trovi ad accettare la verità imposta altrimenti sei fuori dal gioco e addirittura pestato... io la mia dignità non la baratto con nulla al mondo... altrimenti non sarei più un uomo ma qualcosa di simile ai termini usati da Sciascia...

Per quanto riguarda il fatto del numero di processi... e di come sono andati a finire...

Se sei amante della verità... cosa che mi pare non sia così... Berlusconi non è stato sempre assolto... ma spesso prescritto... una volta amnistiato... e quando assolto perchè il fatto non era più reato... cioè aveva fatto una legge per depenalizzarsi i reati per i quali era processato... forse perchè temeva di venire condannato... difatti se era innocente potevano scrivere la formula utilizzata per chi è innocente... assolto per non aver commesso il fatto...

Anastasio ha detto...

Molto interessante questo articolo,
ma altrettanto interessante sarebbe cercar di capire il perchè, nonostante ci sia chi vorrebbe discutere seriamente e democraticamente, in questo blog, ci sia una preventiva e totale chiusura nei suoi confronti, dimostrando come si possa dimenticare e ovviare di fatto all'art. 21 ...

Confrontarsi serenamente e con qualsiasi interlocutore non è facile, quando in gioco ci sono i diritti e le assurde negligenze di casta ... non è vero?

E comunque, penso sia sintomo di un perbenismo farisaico, quello di promettere apertura di vedute e poi anestetizzare ed epurare tutti quei discorsi che criticano e disturbano una particolare "classe arbitrale" ... (sic.)

-- Le vittime della censura non sono soltanto i personaggi imbavagliati per evitare che parlino. Ma sono anche, e soprattutto, tutti quei milioni di cittadini che non possono più sentire la loro voce per evitare che sappiano. -- (Marco Travaglio)

Silvio Liotta ha detto...

Scelta quanto mai felice quella che la redazione fa proponendoci il presente articolo.

In sostanza l’autore analizza i sistemi di governo (dispotici, autocratici, democratici) attraverso le parole, attraverso il ruolo che la lingua assume nel discorso pubblico e politico. L’importanza dell’articolo qui proposto (che getta nuovo lustro sull’autore, già apprezzato per il suo impegno pubblico e dottrinale) sta nel fatto che la parola, il modo di esprimersi, è per la politica, per la vita sociale, ciò che la salute delle api è per l’ecosistema in cui queste vivono.

Report, e poi Grillo, avevano portato all’attenzione pubblica il problema della moria delle api denunciato dagli apicoltori. L’ultima puntata di Report è tornata sul problema dandoci la “buona notizia”: con l’eliminazione di espedienti (concia dei semi) utilizzati per aumentare la resistenza del grano ai parassiti, le api hanno ricominciato a vivere in armonia con il proprio ecosistema. Le api quindi hanno costituito un “segno” che manifestava un disagio di tutto l’ecosistema che cominciava a morire.

Così la lingua è un “segno”, come le api, del grado di salute del sistema sociale e politico. Seguendo le trasformazioni che la lingue e il suo utilizzo subiscono siamo in grado di capire come sta cambiando il nostro modo di fare politica, se, nelle sue continue oscillazioni, si avvicina ad un sistema di governo autoritario o democratico. Ciò possiamo comprenderlo prima ancora che avvengano visibili cambiamenti nel sistema politico e istituzionale. La comprensione anticipata di tali fenomeni ci permette quindi di contrastare le tendenze autoritarie quando esse non si sono ancora radicate e quindi sono più deboli.

Quindi: “a lavoro”

Silvio

arturo ha detto...

io penso che i vostri messaggi nascono da un malinteso di fondo. Voi credete che in un partito una persona che vi si iscriva possa pensare e parlare quanto vuole. Ma queste sono le regole democratiche e le regole democratiche non valgono nel Pdl.

mi spiace dirvelo. forse non siete mai stati iscritti ad un partito. Io in gioventù ero nei gruppi giovanili di FI.
quello che contava è essere sempre con il sorriso ben stampato in faccia e credere a tutto ciò che ti si viene detto.
Non è che ora sia diverso. Occorre prendere in considerazione ciò che ti viene detto nel Pdl come se fosse vangelo o oro colato. Non si può discutere né si può contraddire. gli ordini non si discutono allo stesso modo non si discutono le idee.
Il partito è un consesso che esula da quello che pensate voi della democrazia.

salvatore d'urso ha detto...

x arturo...

no... io sicuramente non ho frainteso e con questa tua ultima risposta hai decisamente confermato quanto ti ho precedentemente scritto...

tu ti batti per un partito e non per la democrazia... tu permetti ai potenti di turno del tuo partito e non mi riferisco solo al premier di poter calpestare liberamente la tua dignità di uomo e nel frattempo devi anche ringraziare e sorridere...

Non voglio di certo essere offensivo... ma tutto ciò mi ricorda il celebre film di benigni e troisi "non ci resta che piangere".

Contento tu... ma ricordati che facendo questo tu stai servendo un potere... e non il paese... questo penso che l'hai compreso?... spero...

Anonimo ha detto...

Chiedo scusa anticipatamente se la mia valutazione si riveli sbagliata, ma l'impressione che ho avuto leggendo l'ultimo post di Arturo è stata sconcertante: sembra che non creda affatto in ciò che dice. Sembra che scriva così giusto per fare una provocazione. Mi sembra molto difficile che una persona che dichiari "voi credete che in un partito una persona che vi si iscriva possa pensare e parlare quanto vuole" possa partecipare ad un dialogo come quello sollecitato dal presente post "le parole della democrazia". E anche che possa dire "ma queste sono le regole democratiche e le regole democratiche non valgono nel Pdl" la stessa persona che dichiara di esservi invece iscritto. Mica nessuno lo obbliga, se uno arriva a rendersi conto che nel partito mancano le regole democratiche basta che non vi si iscriva più. Se invece è piuttosto masochista e la cosa gli piace non mi sembra si capisca dai suoi commenti, che sembrano alquanto "lamentosi" a riguardo.

Insomma non capisco cosa sia, ma c'è qualcosa che non torna nella coerenza dei suoi commenti.

Vi prego di smentirmi pure, se ho sbagliato il centro del problema.

Silvia.

Neo-Machiavelli ha detto...

Ricordo quelli 95% dei processi in prescrizione, … centene o migliaia di magistrati per condannare Berlusconi e quelli 51 presunti b0ss mafiosi in libertà perché la giudice in carriera non ha avuto tempo di scrivere circa 500 pagine di giustificazione della sentenza. Condannare Berlusconi è più importante di questi 51 presunti b0ss mafi0si?
Cerco collaborazione per un libro con molti autori con idee di creatività e intelligenza collettiva per una NGF=Neo-Giustizia-Futura (e-mail: piresportugal(at)hotmail.com).