sabato 11 luglio 2020

Una storia eloquente di correntocrazia

di Carmen Giuffrida - Magistrato 


LE CORRENTI: QUANDO IL GRUPPO SI TRASFORMA IN BRANCO




A seguito dello scandalo scoppiato dopo la pubblicazioni delle chat tra il dott. Palamara e numerosi magistrati (nonché qualche politico) si è acceso un forte dibattito sul valore o disvalore delle correnti presenti all'interno della magistratura.

Dalle chat si è infatti avuta insindacabile conferma che le nomine dei direttivi e semi-direttivi degli uffici giudiziari, così come gli incarichi fuori ruolo, sono interamente pilotata dalle correnti in combutta con i partiti politici.


Con altrettanta evidenza, è emerso che le correnti hanno fatto uso e abuso del loro potere anche per condizionare l'esito di procedimenti aventi particolare rilevanza politica e/o economica e per "perseguitare" altri magistrati mediante apertura di procedimenti disciplinari e ostruzionismo alle legittime aspettative del singolo magistrato.

A dispetto di quanto emerso, i correntocrati - imperterriti nel sostenere il valore delle correnti in quanto naturale e legittima espressione di multi-culturalità - si sono affannati a ricercare le giustificazioni storiche dell'associazionismo giudiziario e a sottolineare l'importanza dell'ANM.

Tuttavia, lo sforzo profuso non ha consentito loro di trovare valide prove di recente esemplare rappresentatività dell'indipendenza della magistratura, risalendo invece il più valido intervento dell'ANM addirittura al periodo fascista.

In termini generali, le correnti presentano delle connotazioni positive allorquando trattasi di gruppi costituiti da persone libere che, liberamente, scelgono di aderirvi in quanto accomunati ai suoi partecipanti da comuni ideali. E, entro certi limiti, si può anche ritenere positivo che il singolo senta di potersi autoaffermare all'interno di un gruppo che, nel proporre idee similari a quelle individuali, ne costituisce una sorta di cassa di risonanza.

Tuttavia, le vicende emerse recentemente - ma che in realtà caratterizzano ormai da tempo immemorabile le azioni della magistratura italiana, sotto gli occhi complici e silenti della gran parte dei magistrati - hanno evidenziato con chiarezza come le correnti abbiano nella realtà snaturalizzato la dimensione umana di associati e simpatizzanti tirandone fuori il peggio. L'adesione alle correnti non è più frutto di libera scelta sulla base di comuni valori ma piuttosto obbligo imprescindibile per ottenere "protezione" dal gruppo, in aperta violazione dell'art. 18 della Costituzione che prevede il diritto di associarsi liberamente e non già il dovere di associarsi obbligatoriamente.

Quanto accaduto altro non è che il codice di comportamento tipico delle dinamiche in cui il gruppo si trasforma in branco. All'interno del branco il pensiero individuale perde interamente la sua dimensione, l'individuo non è riconosciuto come tale se non in quanto vi appartiene. È questo il momento in cui la forza aggregativa delle correnti non si basa più sulla comunanza di idee quanto sulla forza del branco e sulle prevaricazioni che, nel caso di specie, vengono utilizzate con una nonchalance apparentemente sorprendente ma che purtroppo si basa sugli elementi negativi di una società che non solo le tollera ma addirittura le alimenta e le normalizza.
 
Sui giornali abbiamo letto di prevaricazioni "importanti" che hanno condizionato nomine di procuratori capo e presidenti di tribunale, collocamenti politici fuori ruolo e esiti processuali o che hanno determinato l'abuso del potere disciplinare.

Ciò che, tuttavia, è rimasto sommerso è la frustrazione quotidiana dei magistrati che, non essendo parte del branco e addirittura contestandolo, sono costretti a subire prevaricazioni che non assurgeranno mai agli onori della cronaca.

È proprio di queste nefandezze che voglio parlarvi, perché sono queste che distruggono lentamente la vita di una persona e cancellano per sempre l'idea di Giustizia.

Avevo fatto accesso in magistratura da poco tempo e mi trovavo ad affrontare il parere che allora veniva dato agli uditori con funzioni. Avevo assunto le funzioni di pubblico ministero presso il Tribunale di C. ed ereditavo il ruolo di una collega della ex procura presso la Pretura che ammontava a più di 3.000 fascicoli di cui una parte sostanziosa giaceva disordinatamente per terra. Mi ero messa di buona lena e, con l’entusiasmo e le insicurezze della novellina, mi ero data da fare per smaltire così l'enorme mole di procedimenti. Le statistiche parevano premiare la mia buona volontà visto che mi trovavo sempre piazzata nella pole position. E anche il parere redatto dal capo ufficio, Procuratore aggiunto dott. R.P., sembrava confermare il mio buon operato. Avevo addirittura ricevuto una nota di merito dall'allora Procuratore capo M.B.-.

Strano a dirsi, però, al momento della redazione del parere da parte del Consiglio Giudiziario, il giudizio sulla mia laboriosità fu "discreto". Rimasi veramente interdetta, non solo perché non corrispondente a quanto risultante dagli allora unici due criteri utilizzabili a fini valutativi (parere del capo ufficio e statistiche), ma perché un ottimo non si risparmiava a nessuno, figuriamoci un buono! A me invece era toccato addirittura un discreto!

Mi fu consigliato di fare ricorso al Consiglio giudiziario, ricorso che si rivelò inutile dato che, trattandosi del medesimo Consiglio che aveva dato il parere, non fece che confermarlo sebbene con delle motivazioni assurde. Specificamente, ritenne l'inutilità a fini valutativi sia delle statistiche (per via della presunta incomparabilità qualitativa tra i fascicoli assegnati ai diversi sostituti procuratori) che del parere del capo ufficio (attesa la frequente pratica di utilizzare dei "pareri fotocopia").

A quel punto rimaneva da capire sulla base di quali elementi il Consiglio Giudiziario avesse espresso il proprio parere visto che quelli considerati "inutili" erano comunque gli unici criteri legalmente previsti.

Fu così che - recatami dal Dott. R.P. al quale rappresentai che in fondo lui era stato implicitamente accusato di utilizzare pareri fotocopia - assistetti in diretta all'assalto del branco.

R.P. telefonò in mia presenza all'allora presidente della Corte d'Appello per chiedere le ragioni del parere emesso. Ebbe dunque inizio una conversazione che definirla kafkiana sarebbe riduttivo.

- Il Presidente sostiene che hai lasciato un cadavere annegato dentro una vasca da bagno per diversi giorni - disse.

- Ma io non ho mai avuto un fascicolo di un cadavere dentro una vasca da bagno! - esclamai stupefatta.

- La collega dice di non aver mai avuto un cadavere dentro una vasca da bagno - riferì allora il dott. R.P. al Presidente.

- Il Presidente dice che forse il cadavere non era dentro una vasca da bagno, era impiccato e l'hai lasciato attaccato penzoloni alla corda - mi riferiva il dott. R.P. dopo aver parlato nuovamente con il Presidente

- Mi è capitato di avere un procedimento di un detenuto che si era impiccato ma, quando mi hanno avvisata, io e il medico legale ci siamo recati sul posto nell'immediatezza e il cadavere era già stato staccato dalla corda - Risposi sempre più esterrefatta da quell'inverosimile telefonata che pareva un procedimento disciplinare celebrato ex post, senza un'accusa definita e senza diritto di difesa.

- La collega dice che l'unico impiccato che ha avuto era già stato staccato dalla corda al suo arrivo - riferì il dott. R.P. al Presidente e quindi tornò a me.

- Insomma, il Presidente non sa dove si trovasse il cadavere né di che morte sia morto, sa soltanto che hai lasciato un cadavere per giorni senza intervenire - concluse.
 
Io ero allibita, ma ebbi la prontezza di rispondere che, semmai una cosa di questa fosse successa, il fatto sarebbe stato di una tale gravità da rendere doveroso un procedimento disciplinare nei miei confronti, procedimento che invece non era mai stato celebrato. Aggiunsi che lui stesso avrebbe dovuto essere coinvolto per non aver adeguatamente svolto le sue funzioni di supervisore. Gli dissi che gli avrei comunque consegnato tutti i fascicoli di decessi a me assegnati in modo da consentirgli di effettuare un controllo sul mio operato. Inutile dire che, al suo controllo, risultò che tutti i decessi erano stati gestiti in modo impeccabile.

A quel punto R.P. - noto esponente della corrente Unicost, ma anche noto "simpaticone" e "buon padre di famiglia" - anche in considerazione del fatto che il suo stesso parere era stato ritenuto "fotocopia", intervenne inviando una lettera ai singoli componenti del Consiglio Giudiziario dolendosi del trattamento a me riservato nonché della sottovalutazione del suo parere. Constatava anche, con amarezza, che il parere era stato emesso all'unanimità e che nessuno dei componenti aveva sentito il dovere di approfondire la vicenda. Ovviamente quella lettera non venne mai protocollata perché si sa che, se fai parte del branco, ti stai già permettendo un lusso se dissenti dal suo operato. Non puoi arrivare di certo a lederlo, neanche se a suggerirtelo è quella ormai lontana vocina della tua coscienza.

Qualche giorno dopo l'amara vicenda, incontrai uno dei componenti del Consiglio Giudiziario, stimatissimo collega, oggi presidente aggiunto presso l'Ufficio GIP di C., anch'egli simpatizzante di Unicost.
 
Conoscendone le sue note virtù, non esitai a chiedergli il perché di quella ingiustizia perpetrata nei miei confronti. Il virtuoso - si vedeva chiaramente che si trovava assai a disagio - mi rispose che altro componente del Consiglio Giudiziario, oggi procuratore aggiunto di S., anch'egli affiliato Unicost, aveva riferito al Consiglio Giudiziario che, durante il mio uditorato con funzioni, un collega, allora procuratore presso la DDA, oggi Presidente di sezione di Corte di Appello a T., aveva sbraitato contro di me lungo il corridoio della Procura perché "come aveva osato una presuntuosa novellina rifiutare il suo aiuto lasciando così un cadavere senza l'intervento del medico legale?!"

D'improvviso tutto mi fu chiaro. Durante uno dei miei turni una donna si era suicidata con dei barbiturici ed era morta sul letto di casa propria, non annegata in una vasca né impiccata ad una corda.

Sfortuna aveva voluto che tale donna fosse una parente o conoscente di qualcuno che lavorava nella segreteria di un collega della DDA (ovverosia di colui che quello stesso pomeriggio aveva sbraitato, a mia insaputa, contro di me) o comunque a lui vicina. Pertanto, mentre io cercavo un medico legale per recarsi in loco, quest'ultimo ritenne di telefonarmi, "offrendomi il suo aiuto". È vero che io rifiutai l'aiuto, ma non per arroganza o senso di superiorità, ma perché ritenevo doveroso fare il mio lavoro. Non l'avevo mica capito che l'offerta di aiuto era, in codice, una "imposizione di aiuto" che avrebbe consentito di accelerare delle procedure che, comunque, per i normali mortali avrebbero dovuto rispettare i termini di legge.

Ed ecco che il branco si accanì contro di me per quella mia stupida impudenza.

A distanza di tempo un componente del Consiglio Giudiziario vendicava l'offesa fatta all'amico, contro l'impudente indipendente che, non solo non era di corrente, ma per di più aveva osato non accettarne i codici. Non importa che militassero o meno nella stessa corrente, comunque ne rispettavano i codici, cosa che invece gli indipendenti si ostinavano a non fare.

Il collega tanto stimato (al quale io chiesi giustificazioni del parere), anch'egli simpatizzante di corrente, per quanto virtuoso, evidentemente non era altrettanto coraggioso da evitare che si consumasse una palese ingiustizia ed illegalità. Lo stesso dicasi di tutti i membri del Consiglio Giudiziario i quali, sulla base di un fatto riferito da un amico del branco, avevano sottoscritto il parere. L'intero Consiglio Giudiziario, votando all'unanimità, aveva agito non sulla base di criteri legali ma di commenti autorevoli di uno dei componenti del branco, in altre parole di "voci di corridoio", proprio come oggi lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, svilito ormai dalle correnti, effettua le nomine e avvia i procedimenti disciplinari.

Riportato l'accaduto a R.P., che ben sapeva che la sua lettera non avrebbe mai ristabilito giustizia, questi si lavò la coscienza fornendomi ulteriori informazioni, a me, sino ad allora, sconosciute. Segnatamente mi riferì che già prima di quell'accaduto c'era stato un accanimento nei miei confronti tanto che, prima che assumessi le funzioni, era stato avvisato da uno dei coordinatori degli uditori - oggi egregio Avvocato Generale presso la Procura Generale di C. nonché noto appartenente alla corrente Unicost - che avrebbe dovuto "stare assai attento alla G…da!". Il dott. R.P. si faceva vanto al contempo di non essersi lasciato influenzare dall'allerta del collega compagno di merende unicostiane. E, certamente di ciò gli va dato atto viste le dinamiche del branco. Tale circostanza veniva anni dopo confermata anche dal dott. G.G. il quale, dopo avermi reso la vita in Procura un vero inferno, scusandosi, mi confessava di aver sbagliato nel farsi guidare da un pregiudizio nei miei confronti esclusivamente sulla base di informazioni fornitegli dallo stesso coordinatore di uditori che aveva dato l'allerta al dott. R.P. contro la temibile collega G.da.

Questo è il branco. È quello che tu scrivi email e nessuno ti risponde, è quello che tu parli e nessuno ti ascolta, è quello che, mentre tu lavori, sparge la voce che sei una sfaticata, è quello che a volte strumentalizza il procedimento disciplinare ma, quando è ben consapevole che non esiste neanche il fatto storico, ti fa un procedimento disciplinare segreto nei corridoi di un Tribunale, violando il più elementare diritto di difesa. E tu non puoi fare nulla per combatterlo, perché il branco è vigliacco, non ti affronta direttamente ma ti distrugge con le voci di corridoio. E, nel frattempo, i suoi componenti fanno tutti carriera.

Da allora, durante tutti questi anni, mi sono ritrovata tante volte ad affrontare il branco. E mi sono ritrovata a combattere da sola in situazioni molto più grandi di me in cui, fino alla fine, ho sperato che la giustizia trionfasse.

Durante tutto questo tempo, in maniera forse assai infantile ma tipica dei sognatori, ho sperato che anche a me potesse capitare quello che era capitato a Robin Williams ne "L'attimo fuggente". Ho sperato tante volte che qualcuno salisse su un banco, non tanto in mia difesa ma in difesa della indipendenza intellettuale.

Non è mai accaduto. E allora ho imparato a salire da sola sul tavolo, sempre più sola e sempre più stanca.

Penso a tutti gli anni di studio per diventare magistrato, io che non ero "figlia d'arte", anzi, ero la prima laureata della famiglia.

Penso a tutti i miei sogni…e ogni tanto piango.

Poi, però, è più forte di me, salgo sul banco nuovamente e ricomincio a lottare. E a volte capita di incontrare altre anime libere e sole.

Perché io so, ne sono intimamente consapevole, che non occorre essere "riconosciuti" per sapere di esistere.

11 commenti:

bartolo ha detto...

che bello...questo racconto.
pensavo che ai magistrati certe cose non potessero accadere. essendo che sono obbligati a rimuoverle dai contesti dove spesso accadono. ma, a fare questo non è "cosa" Sua, ci pensano i super dell'antimafia!

francesco Grasso ha detto...

La lettura di questo intervento che per chi conosce determinate dinamiche gli appare immediatamente caratterizzato da verità pura assoluta !!! Mi provoca un senso di tristezza infinita. Cosa che purtroppo in questo sventurato paese intriso di fiumi di lacrime e sangue è cosa molto frequente. Mi sarebbe piaciuto parlare dell'istituto giuridico dell'eversione dell'Ordine democratico, ovvero dell'ordinamento costituzionale. Tristezza infinita e poi vera e propria ira non me lo consentono. Dico al magistrato in questione: non è sola ! Se ha fatto il proprio dovere come io credo che abbia fatto, lei risponde solo alla sua coscienza. Il resto non ha importanza. A pieno titolo fa parte dei combattenti per la libertà, un Corpo formato anche da persone che si muovono da sole e, che non si arrenderanno mai!

francesco Grasso ha detto...

SEMEIOTICA GIUDIZIARIA. L'intervento presenta elementi di notevolissimo pregio e rilevanza di ordine semeiotico: il gruppo che si è trasformato in branco, e l'offerta di "aiuto ai novellini" Aiuto assolutamente coatto ! ! ! Due grossi, precisi sintomi(indizi gravi precisi e concordanti) che portano ad una diagnosi certa, della gravissima patologia in oggetto. Un cancro as esito infausto. Il condizionare l'esito dei procedimenti giudiziari e disciplinari, influendo sull'economia, i diritti fondamentali dell'Uomo, il destino e l'Onore della Nazione. Ci consente di comprendere, bene eventi e circostanze altrimenti incomprensibili. Si comprende come sia possibile favorire per tempi infiniti, superando ostacoli oggettivamente impossibili(giudizio di legittimità). Si comprendono i casi: Attilio Manca; Valentina Salomone; Scarantino-Borsellinoe tantissimi altri, anche apparentemente più modesti.

MARIA ROSARIA SODANO ha detto...

Cara Carmen Giuffrida
Ho avuto il piacere di conoscerti fuggevolmente nell'ultimo anno della mia carriera quando ero sotto attacco del "branco" ed ero salita da sola sul banco per avviare una battaglia giudiziaria contro il correntismo nelle nomine, battaglia che mi era costato l'ostracismo dei colleghi e l'ostinato silenzio stampa sulle vicende del CSM. Ti ammiro molto per aver continuato a rimanere sul banco. Io ho scelto una strada diversa. Quella di andarmene è di continuare la mia battaglia dal di fuori insegnando ai giovani cosa significa veramente indipendenza e imparzialità. Onore a te e a tutti quei colleghi che a caro prezzo ancora lottano...

francesco Grasso ha detto...

BENVENUTA A BORDO! dott.ssa Carmen, sappi che Dio Padre Onnipotente che mai ha dimenticato quello che hanno fatto a suo figlio Gesù Cristo, sarà sempre, ogni minuto, a suo fianco, sarà il suo comandante. Un caro abbraccio.

Alessandra ha detto...

Cara Carmen, quando lo Stato diventa il problema e non la soluzione vuol dire che siamo alla frutta! E quando noi cittadini andiamo a votare implicitamente e tacitamente accettiamo quel sistema. Non a caso Pannella lo chiamava "regime partitocratico" dove tutto è a servizio del partito, incondizionatamente. E' la mano longa del sistema branco dei partiti che è dappertutto: nei baroni dell'università, nei primari degli ospedali, negli appalti che vengono appoggiati dai partiti al governo - e ne sanno qualcosa i miei clienti imprenditori che preferiscono non aprire delle cause perchè sanno che i processi sono pilotati! - nella mastodontica macchina burocratica alimentata da posti non giutificabili nella loro funzione, ma che servono a dare la poltrona a quelli affiliati al branco. Questa è l'Italia! Anch'io come te sono la prima laureata in famiglia e putroppo se ho fatto una qualche carriera, l'ho fatta perchè mi trovavo all'estero, apprezzata da quelli che credono in un sistema sano e meritocratico. La tua vicenda è paradossale, e sono dispiaciuta di quanto possa essere avvilente navigare in queste acque. Ne so qualcosa. Al contrario di te, però, non sono capace di combattere, a meno che non lo si faccia insieme ad altre persone. E in tutto questo non vedo un futuro....

francesco Grasso ha detto...

I Combattenti delle Forze per la Liberazione dicono: MAI PIU' casi come questo. Guai a chi oserà sfiorare con ignobili vessazioni magistrati dall'elevato profilo etico-morale e professionale, soprattutto se giovani, per corromperne l''anima e il corpo.

Carmen Giuffrida ha detto...

Purtroppo accadono, e più frequentemente e segretamente di quanto si possa pensare. Mi scuso per la risposta tardiva ma è sempre un grande dolore ricordare certe storie, soprattutto se si è consapevoli che nulla è cambiato.

Carmen Giuffrida ha detto...

Grazie!

Carmen Giuffrida ha detto...

Le persone accanto a cui combattere esistono. Purtroppo però gli eventi ci hanno e ci stanno mostrando che le correnti sono ben protette dall’alto e che difficilmente si potrà cambiare lo stato delle cose. Non l’avrei mai creduto.

Carmen Giuffrida ha detto...

Cara collega
Ti ringrazio della stima. Mi piacerebbe tanto che mi scrivessi sul mio indirizzo istituzionale per quattro chiacchiere o anche solo per un saluto.