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Riportiamo un’intervista a Bruno Tinti sul tema delle intercettazioni. Riproponiamo in questa occasione, perché molto pertinente, l’ascolto dell’intervista di Bruno “Una giustizia forte con i deboli e debole con i forti”.
di Massimo Solani
(Giornalista)
da L’Unità dell’11 giugno 2008
Un paese intero sotto intercettazione?
Morde il freno Bruno Tinti, Procuratore aggiunto della Procura di Torino e autore del libro Toghe Rotte.
Vorrebbe rispondere d’impeto, ma poi fa una lunga pausa e pesa le parole. «Quella esposta dal ministro della Giustizia Alfano – spiega – è una teoria totalmente infondata, e per di più smentita dai fatti. Però risponde ad una strategia ben precisa: creare un allarme sociale per giustificare un intervento normativo restrittivo».
Procuratore, in che senso una teoria smentita dai fatti?
«La procura di Torino ha ogni anno 200mila notizie di reato. Sa quante persone sono intercettate in media dalla procura di Torino? 300 persone all’anno.
Il che non vuoi dire che ci sono solo 300 intercettazioni. Non è mica come consultare l’elenco telefonico ...
Ogni indagato generalmente usa più utenze, fra cellulari e fisse. E spesso intercettando un primo telefono, che non dà frutti all’inchiesta, si scoprono nuove utenze che possono essere interessanti.
Per cui la prima viene “dismessa” e si continua a lavorare sulle altre.
Nove volte su dieci, la prima utenza “ascoltata” viene abbandonata dopo due o tre giorni al massimo, il tempo necessario a scoprire che non è in alcun modo utile alle indagini.
E’ un lavoro in continua mutazione alla ricerca della linea buona.
Quella sì sarà poi ascoltata anche per mesi».
Il governo vorrebbe limitare l’uso delle intercettazioni ai soli reati di mafia e terrorismo. Che ne pensa?
«È una follia, una vera follia. E’ un progetto che risponde soltanto al terrore che la classe politica nutre nei confronti dello strumento investigativo più efficace per far luce sui reati commessi dalle classi dirigenti.
Non ha alcun senso il limite di cui si è parlato in questi giorni.
Facciamo un esempio: in caso di omicidio il primo passo da fare è lavorare sulle utenze telefoniche.
E chi può dirci se si tratta di un omicidio di mafia o di un crimine passionale?
E pensiamo ai reati economici: senza intercettazioni non ci sarebbe più nessuna inchiesta».
Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Con la legge attualmente in vigore, per quali reati sono ammesse le intercettazioni?
«Ci sono quelli specifici, come terrorismo, mafia e criminalità organizzata, e poi tutti quelli puniti con pena massima prevista superiore a cinque anni di reclusione».
Qual è l’iter necessario per arrivare ad eseguire una intercettazione?
«E’ il pubblico ministero a chiedere al giudice per le indagini preliminari l’autorizzazione per effettuarla.
La richiesta va fatta segnalando i gravi indizi che evidenziano la probabilità dell’esistenza di un reato e la necessità delle intercettazioni per l’accertamento del reato stesso.
Necessità che il pm è obbligato a motivare.
Comunque ogni richiesta è relativa ad una singola utenza, e non a tutte quelle riconducibili ad un indagato».
L’autorizzazione del gip per quanto tempo è valida?
«Il gip può autorizzare l’intercettazione per un periodo di quindici/venti giorni eventualmente prorogabile su richiesta del pm.
Ma anche in questo caso il pm deve motivare la propria domanda, non può limitarsi a dire “non abbiamo trovato alcun riscontro, dobbiamo proseguire”.
Deve spiegare i motivi per cui è necessario prolungare l’attività di ascolto, oppure può chiedere una proroga spiegando che occorre proseguire per accertare altri reati.
Nel mio libro ho usato la metafora del laghetto di pesca sportiva.
Il pm può dire al gip: “le trote ci sono, noi ne abbiamo prese soltanto alcune. Meglio continuare perché ne cattureremo altre”».
Fin quando è prorogabile l’autorizzazione?
«Fino al termine delle indagini».
Chi esegue le intercettazioni?
«La polizia giudiziaria su impianti che devono essere materialmente allocati all’interno degli uffici delle procure.
Non si possono utilizzare impianti “esterni”, nemmeno negli uffici della polizia giudiziaria, a meno che quelli che si trovano nelle procure non siano già impegnati o indisponibili.
Anche in questo caso è il gip a concedere il nulla osta per il lavoro “esterno”».
In che modo le registrazioni vengono poi trascritte?
«E la polizia giudiziaria, man mano che ascolta le telefonate in diretta, a redigere i brogliacci.
Nel caso venga captata una notizia che richiede un intervento immediato (come ad esempio un appuntamento per lo scambio di una partita di droga) ne avverte immediatamente il procuratore della Repubblica che prende i provvedimenti che ritiene giusti.
Tutte le telefonate intercettate, comunque, sono registrate».
Il materiale viene poi trasmesso al sostituto che coordina l’indagine. Brogliacci e registrazioni.
«Certamente, sta al magistrato a quel punto selezionare le telefonate utili all’indagine.
Tutte le altre, in tutela delle garanzie dell’indagato, vanno depositate perché gli avvocati possano analizzarle tutte.
Anche quelle eventualmente utili alla difesa».
Riportiamo un’intervista a Bruno Tinti sul tema delle intercettazioni. Riproponiamo in questa occasione, perché molto pertinente, l’ascolto dell’intervista di Bruno “Una giustizia forte con i deboli e debole con i forti”.
di Massimo Solani
(Giornalista)
da L’Unità dell’11 giugno 2008
Un paese intero sotto intercettazione?
Morde il freno Bruno Tinti, Procuratore aggiunto della Procura di Torino e autore del libro Toghe Rotte.
Vorrebbe rispondere d’impeto, ma poi fa una lunga pausa e pesa le parole. «Quella esposta dal ministro della Giustizia Alfano – spiega – è una teoria totalmente infondata, e per di più smentita dai fatti. Però risponde ad una strategia ben precisa: creare un allarme sociale per giustificare un intervento normativo restrittivo».
Procuratore, in che senso una teoria smentita dai fatti?
«La procura di Torino ha ogni anno 200mila notizie di reato. Sa quante persone sono intercettate in media dalla procura di Torino? 300 persone all’anno.
Il che non vuoi dire che ci sono solo 300 intercettazioni. Non è mica come consultare l’elenco telefonico ...
Ogni indagato generalmente usa più utenze, fra cellulari e fisse. E spesso intercettando un primo telefono, che non dà frutti all’inchiesta, si scoprono nuove utenze che possono essere interessanti.
Per cui la prima viene “dismessa” e si continua a lavorare sulle altre.
Nove volte su dieci, la prima utenza “ascoltata” viene abbandonata dopo due o tre giorni al massimo, il tempo necessario a scoprire che non è in alcun modo utile alle indagini.
E’ un lavoro in continua mutazione alla ricerca della linea buona.
Quella sì sarà poi ascoltata anche per mesi».
Il governo vorrebbe limitare l’uso delle intercettazioni ai soli reati di mafia e terrorismo. Che ne pensa?
«È una follia, una vera follia. E’ un progetto che risponde soltanto al terrore che la classe politica nutre nei confronti dello strumento investigativo più efficace per far luce sui reati commessi dalle classi dirigenti.
Non ha alcun senso il limite di cui si è parlato in questi giorni.
Facciamo un esempio: in caso di omicidio il primo passo da fare è lavorare sulle utenze telefoniche.
E chi può dirci se si tratta di un omicidio di mafia o di un crimine passionale?
E pensiamo ai reati economici: senza intercettazioni non ci sarebbe più nessuna inchiesta».
Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Con la legge attualmente in vigore, per quali reati sono ammesse le intercettazioni?
«Ci sono quelli specifici, come terrorismo, mafia e criminalità organizzata, e poi tutti quelli puniti con pena massima prevista superiore a cinque anni di reclusione».
Qual è l’iter necessario per arrivare ad eseguire una intercettazione?
«E’ il pubblico ministero a chiedere al giudice per le indagini preliminari l’autorizzazione per effettuarla.
La richiesta va fatta segnalando i gravi indizi che evidenziano la probabilità dell’esistenza di un reato e la necessità delle intercettazioni per l’accertamento del reato stesso.
Necessità che il pm è obbligato a motivare.
Comunque ogni richiesta è relativa ad una singola utenza, e non a tutte quelle riconducibili ad un indagato».
L’autorizzazione del gip per quanto tempo è valida?
«Il gip può autorizzare l’intercettazione per un periodo di quindici/venti giorni eventualmente prorogabile su richiesta del pm.
Ma anche in questo caso il pm deve motivare la propria domanda, non può limitarsi a dire “non abbiamo trovato alcun riscontro, dobbiamo proseguire”.
Deve spiegare i motivi per cui è necessario prolungare l’attività di ascolto, oppure può chiedere una proroga spiegando che occorre proseguire per accertare altri reati.
Nel mio libro ho usato la metafora del laghetto di pesca sportiva.
Il pm può dire al gip: “le trote ci sono, noi ne abbiamo prese soltanto alcune. Meglio continuare perché ne cattureremo altre”».
Fin quando è prorogabile l’autorizzazione?
«Fino al termine delle indagini».
Chi esegue le intercettazioni?
«La polizia giudiziaria su impianti che devono essere materialmente allocati all’interno degli uffici delle procure.
Non si possono utilizzare impianti “esterni”, nemmeno negli uffici della polizia giudiziaria, a meno che quelli che si trovano nelle procure non siano già impegnati o indisponibili.
Anche in questo caso è il gip a concedere il nulla osta per il lavoro “esterno”».
In che modo le registrazioni vengono poi trascritte?
«E la polizia giudiziaria, man mano che ascolta le telefonate in diretta, a redigere i brogliacci.
Nel caso venga captata una notizia che richiede un intervento immediato (come ad esempio un appuntamento per lo scambio di una partita di droga) ne avverte immediatamente il procuratore della Repubblica che prende i provvedimenti che ritiene giusti.
Tutte le telefonate intercettate, comunque, sono registrate».
Il materiale viene poi trasmesso al sostituto che coordina l’indagine. Brogliacci e registrazioni.
«Certamente, sta al magistrato a quel punto selezionare le telefonate utili all’indagine.
Tutte le altre, in tutela delle garanzie dell’indagato, vanno depositate perché gli avvocati possano analizzarle tutte.
Anche quelle eventualmente utili alla difesa».
1 commenti:
"È una follia, una vera follia. E’ un progetto che risponde soltanto al terrore che la classe politica nutre nei confronti dello strumento investigativo più efficace per far luce sui reati commessi dalle classi dirigenti."
esatto, tristemente esatto.
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