di Giovanni Genovese
In questi giorni, all’interno
della magistratura, fervono gli appelli alla classe politica perché adotti
questa o quella legge elettorale per l’elezione dei componenti togati per il
CSM, prevista per luglio 2022.
In generale, i due gruppi più
grandi premono per una legge di tipo maggioritario, con la motivazione di una
maggiore vicinanza dell’eletto al territorio, mentre quelli più piccoli
spingono per una riforma in senso proporzionale, adducendo la necessità che
all’interno dell’organo di autogoverno venga rispecchiato il “pluralismo
culturale” dei magistrati.
Gli uni e gli altri sono tuttavia
accomunati da due costanti: la netta opposizione ad un sistema fondato sul
sorteggio temperato e la totale obliterazione dei lavori e delle conclusioni
della commissione di studio dell’ANM sulla legge elettorale.
Questa commissione, aperta alla
partecipazione di qualunque iscritto all’ANM che ne avesse fatto richiesta, ha
lavorato a ritmo serrato, al fine di predisporre un parere sulla proposta di
riforma elaborata dalla c.d. Commissione Luciani (incentrata sul c.d. voto trasferibile)
e di presentarlo tempestivamente al Comitato Direttivo Centrale dell’ANM, per
consentire all’associazione di esprimersi in tempo utile.
La relazione conclusiva del
Presidente è disponibile al seguente link:
https://www.associazionemagistrati.it/doc/3590/relazione-sullo-svolgimento-dei-lavori.htm
Tutti coloro che hanno
partecipato ai lavori di questa commissione hanno potuto cogliere come l'unico
momento di frizione sia sorto sulla proposta preliminare di dividersi in due
sottocommissioni: una sul sorteggio e una sugli altri sistemi elettorali.
Un simile modo di procedere è
stato subito contestato da parte dei fautori del sorteggio, i quali non avevano
alcuna intenzione di essere confinati in una “riserva indiana”, dove avrebbero
potuto interloquire soltanto fra loro, mentre tutti gli altri avrebbero
discusso di quale sistema elettorale proporre come ANM (perchè non v'era alcun
dubbio che, in sede di voto finale, la relazione dei "sorteggiatori"
sarebbe stata messa in minoranza).
L'idea dei fautori del sorteggio
era appunto quella di una contaminazione reciproca: si voleva da un lato
dimostrare come il sorteggio non fosse un sistema elettorale, ma un metodo
di designazione dei candidati astrattamente applicabile a qualunque sistema
elettorale, sicché separare le due cose non avrebbe avuto senso; dall'altro constatare
da vicino se e come il problema di fondo che la riforma avrebbe dovuto affrontare,
cioè quello di sganciare l'autogoverno da una preselezione carrieristica
diretta dalle correnti, fosse percepito come tale anche da chi opera
all'interno di una corrente.
Il risultato finale è stato
sorprendente, non soltanto sotto il primo profilo (il sorteggio, che prima era
considerato alla stregua di una mera provocazione, è invece entrato a pieno
titolo nel dibattito), ma soprattutto sotto il secondo: è risultato infatti
evidente che la maggioranza non tollerava più la morsa delle correnti
sul CSM.
Se si vanno a vedere le
conclusioni finali (ma ancor più se si è assistito al dibattito, non
documentabile se non per testimonianza personale), emerge con chiarezza una
sostanziale unità dei partecipanti sulla pars
destruens, con poche eccezioni (quasi tutte di autorevoli esponenti di
correnti): la proposta Luciani è stata considerata irricevibile proprio perchè,
anziché mettere i bastoni fra le ruote al condizionamento delle correnti, lo agevolerebbe
e rafforzerebbe.
Si è infatti osservato che,
mentre con l'attuale legge elettorale ogni corrente deve porsi un problema, e
cioè quello di suddividere accuratamente il voto degli elettori per evitare
dispersioni e massimizzare il risultato, il sistema del voto trasferibile
glielo risolverebbe.
Oltretutto, farebbe ciò in modo
occulto, evitando di introdurre apertamente un sistema di tipo proporzionale (che
presterebbe il fianco alle critiche dell’opinione pubblica, perchè suonerebbe
come una legittimazione a pieno titolo del ruolo delle correnti
nell'autogoverno), ma creando un sistema che, sotto le mentite spoglie di una
competizione fra persone, di fatto manterrebbe la competizione fra correnti,
con un effetto che si potrebbe definire proporzionalistico con premio di
maggioranza.
La critica a questo impianto,
come si è detto, è stata ampiamente maggioritaria all’interno della commissione
di studio: basti pensare che le premesse della proposta formulata dal
Presidente sono state mantenute identiche nella proposta alternativa (ma con medesimo
impianto) fondata sul sorteggio: l'obiettivo della riforma elettorale avrebbe
dovuto essere, anche a parere di chi non voleva il sorteggio, quello di
recidere il cordone ombelicale fra correnti e CSM.
E forse è proprio per questo che
i lavori della commissione non hanno avuto alcun seguito dopo la loro
presentazione, condannati alla damnatio
memorie dagli organi dell’ANM e totalmente ignorati dalle singole correnti.
Recentemente, qualcuno ha
ritenuto di invitare i magistrati che si riconoscono in ArticoloCentouno
– iniziativa nata per mettere fine al sistema di autogoverno fondato sul
controllo delle correnti, e tornare ad un autogoverno rispettoso del modello
costituzionale – a prendere atto che una legge elettorale basata sul sorteggio
temperato non si farà, e a schierarsi di conseguenza per una delle possibili
alternative, cioè il proporzionale.
L’invito utilizza l’argomento
classico della rappresentatività, cioè la possibilità che, con un sistema di
tipo proporzionale, qualche candidato riconducibile ai Centouno possa
essere eletto, scalfendo così il predominio delle correnti e contribuendo a contrastare
l'attuale sistema di cooptazione personale e clientelare.
Una simile richiesta è ovviamente irricevibile: non soltanto chi propone il
sorteggio non potrebbe mai ragionare in termini di appartenenza per
schieramenti contrapposti, ma anche gli ipotetici benefici dell'elezione di
qualche indipendente finirebbero per essere in verità effimeri, dal momento che
il problema non è la qualità delle persone, ma il modo con cui vengono
designate.
Essa consente tuttavia di
svolgere un’ulteriore riflessione.
L’aspetto che non pare essere
stato colto da chi formula tale richiesta è infatti proprio la crescente
insofferenza che si sta diffondendo a macchia d'olio all'interno della
categoria; e non soltanto fra chi delle correnti non ne vuole sapere, ma anche
fra chi ne fa parte.
Il dibattito che si è sviluppato
nella commissione di studio non è altro che lo specchio di quello che sempre
più, ogni giorno, i magistrati qualunque, quelli poco avvezzi ai giochi di
potere, si dicono nei corridoi.
Ma mentre la prima può essere
ignorata, ignorare i secondi è molto più difficile.
Sempre più colleghi sono ormai
convinti che non sia normale che si telefoni al proprio referente territoriale
di corrente per perorare la propria causa (che si tratti di un disciplinare,
una valutazione di professionalità problematica, un incarico o altro); che ci
siano carriere parallele; che una volta divenuti direttivi o semidirettivi si
rimanga tali fino alla pensione, dividendo di fatto i magistrati in due
categorie; che i posti vengano prima spartiti fra correnti e solo dopo, al loro
interno, eventualmente per merito ecc...
Pensare che una rappresentanza di
indipendenti (ammesso che, con tale sistema, possano restare tali a lungo)
possa aiutare a migliorare la situazione, significa non aver colto qual è il
vero problema.
Che non è l'accesso di ArticoloCentouno
al CSM (un ossimoro, per chi propugna l’assoluta separazione fra
associazioni ed istituzioni dell’autogoverno) o l'equilibrio fra gruppi
contrapposti, ma porre fine ad un sistema spartitorio in favore di uno
rispettoso del ruolo dei magistrati, in tutti gli aspetti che possono influire
sulla loro attività.
Detto in altri termini: alla
domanda se sia meglio un autogoverno di tipo maggioritario, con una maggioranza
ed una minoranza predeterminate, oppure uno di tipo proporzionale, con accordi
di stampo consociativo, non si può che rispondere che il “bene” (di cui il
“meglio” è notoriamente nemico) è un autogoverno del tutto scevro da queste
logiche, i cui membri (quanto meno togati) non si comportino da politici, bensì
da magistrati.
E i magistrati, nei loro consessi
istituzionali, non si dividono in fazioni, non ricercano e non ricevono
istruzioni dall’esterno (che si tratti di politici, capicorrente o altri centri
di interesse poco importa), non ricevono auto ed etero segnalazioni, non
valutano l’appartenenza dei colleghi, applicano le regole esistenti,
ottemperano alle decisioni del giudice amministrativo, non programmano gli incarichi
che dovranno ricoprire alla scadenza del mandato e tanto altro ancora.
È facile capire che, fintanto
che il CSM resterà in mano alle correnti, la realizzazione di tale modello
risulterà impossibile.
Oltretutto, continuare a
ragionare come se il CSM fosse il Parlamento è il modo migliore per aprire la
strada all’idea di un controllo diretto della politica: se i magistrati seguono
logiche politiche pur non essendo legittimati dal voto popolare, al prossimo
scandalo qualcuno potrebbe chiedersi se un simile potere non debba transitare
direttamente nelle mani della politica.
Se davvero le correnti vogliono
sopravvivere a se stesse, ed evitare che prima o poi l’autogoverno della
magistratura venga travolto dalle sue stesse degenerazioni e sostituito da qualcosa
di diverso, l’unica proposta seriamente percorribile è il sorteggio temperato,
unico sistema che, a costituzione invariata, può coniugare l’autonomia dei
magistrati con la selezione mediante voto.
Si dirà: ma se il legislatore non
intendesse introdurlo, cosa potrebbero fare i magistrati?
Semplice.
Immaginiamo se tutti i segretari
di corrente si riunissero e dichiarassero solennemente che, quale che sia la
prossima legge elettorale, sorteggeranno al loro interno i candidati, e successivamente
sosterranno esclusivamente candidati sorteggiati.
Si voterà col proporzionale?
Sorteggeranno i componenti delle liste.
Si voterà per collegi
uninominali? Sorteggeranno un candidato per collegio.
Si voterà con la legge attuale?
Sorteggeranno un multiplo di candidati per ogni categoria.
Così facendo, il dibattito sulla
formula elettorale sarebbe depotenziato e si avrebbe una competizione
elettorale rispettosa del pluralismo culturale, ma con candidati del tutto
scollegati dalla dirigenza dei gruppi associativi.
Si tratta, a ben vedere, del
classico uovo di Colombo.
E proprio per questo, c’è da
scommetterci, la proposta non avrà alcuna risposta.
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