di Nicola Saracino - Magistrato
E’ da qualche tempo apparso sul sito web della Corte di Cassazione italiana un documento ufficiale, che s’intitola “Risposte della Corte Suprema di cassazione al questionario proveniente dalla Corte Suprema della Repubblica Ceca su Le attività secondarie e l’uso dei social media da parte dei magistrati".
E’ stato ripreso da riviste giuridiche specializzate che gli hanno dato grande risalto titolando, ad esempio, “Cassazione: magistrati fuori dai dibattiti social sui temi di interesse generale".
Tralasciamo quanto qui non interessa e limitiamoci ai passaggi fondamentali.
“Il Presidente della Repubblica, che è anche Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, in occasione dell’inaugurazione dei corsi di formazione della Scuola Superiore della Magistratura per l’anno 2019, ha sottolineato che l’osservanza della regola della sobrietà dei comportamenti, che costituisce un aspetto della deontologia professionale del magistrato, impone un rigoroso self-restraint nell’uso dei social network e delle mailing list, sul rilievo che tali strumenti, ove non amministrati con prudenza e discrezione, possono vulnerare il riserbo che deve contraddistinguere l’azione dei magistrati e potrebbero offuscare la credibilità e il prestigio della funzione giudiziaria. Analogo monito ha più volte formulato, in diverse occasioni, il Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Sulla base di quanto si è detto in ordine alle regole deontologiche autorevolmente stigmatizzate dal Presidente della Repubblica e dal Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, deve ritenersi che sussistono dei limiti riguardo alle attività dei magistrati sui social network.
L’attività dei magistrati sui social network deve però ritenersi limitata anche quando si riferisca ad espressioni o pubblicazioni di natura privata, poiché la regola della sobrietà nei comportamenti impone di non eccedere nell’esibizione virtuale di frammenti di vita privata che dovrebbero restare riservati, al fine di non pregiudicare il necessario credito di equilibrio, serietà, compostezza e riserbo di cui ogni magistrato (e, quindi, l’intero ordine giudiziario) deve godere nei confronti della pubblica opinione. In questa prospettiva le regole deontologiche impongono un self-restraint ancor più rigoroso nei casi in cui le esternazioni o le pubblicazioni (ma anche la creazione di “amicizie” o “connessioni” virtuali o la partecipazione a “gruppi” o a “follow”) abbiano rilevanza politica o investano temi di interesse generale”.
Alcune perplessità su “competenza”, “opportunità” e “merito”.
La competenza.
La Corte di cassazione, sollecitata dall’omologo ufficio della Repubblica Ceca, ha partorito un documento ufficiale senza interrogarsi se le spettasse di rispondere.
Un antefatto e qualche cenno sull’organizzazione giudiziaria nella Repubblica Ceca.
Appena due anni fa tra la Corte Suprema Ceca ed il CSM italiano (organo di governo e controllo della magistratura) era intercorso un memorandum il cui principale obbiettivo era il rafforzamento dell’indipendenza del sistema giudiziario ceco tramite la creazione di un organo di autogoverno della magistratura (che evidentemente non hanno) se è vero che il presidente della Corte Ceca rilevò «L’attuale modello dell’amministrazione statale della magistratura, guidato dal ministero della Giustizia, è stato a lungo insoddisfacente per il corretto funzionamento del sistema giudiziario …” .
Dunque la Corte Suprema Ceca deve aver presto dimenticato che in Italia esiste un organo (formalmente) indipendente ed autonomo (il Consiglio Superiore della Magistratura) che si occupa dei magistrati in tutti gli aspetti rilevanti del servizio, in essi incluso quello disciplinare. Si può quindi fondatamente affermare che la richiesta di informazioni della Corte Suprema Ceca poteva essere meglio indirizzata al CSM italiano, anziché alla Corte di Cassazione.
L’opportunità.
Ma anche la Corte di cassazione italiana non si è posta soverchi problemi ed ha direttamente interloquito con l’omologa Corte Ceca, che a differenza di quella nostrana è sottoposta al Ministro della Giustizia, dimenticando che era forse il caso di girare la missiva al CSM.
Perché a leggere il testo concepito nel “palazzaccio”, parrebbe disdicevole che i magistrati manifestino la loro opinione su materie delle quali sono chiamati a decidere e la Corte di cassazione decide proprio sui ricorsi dei magistrati in materia disciplinare per violazione di legge.
Un infortunio non da poco, a voler essere coerenti, per giunta esposto sul sito web della Corte nazionale il cui testo è stato ripreso e commentato con toni “sensazionalistici”.
Il merito.
Qui il vero disastro.
Nell’elencazione delle fonti dell'inesistente divieto dei magistrati di esprimere liberamente le loro opinioni (tranne, ovviamente, che sui casi dei quali si occupano per via del loro ufficio, come previsto, oltre che dalla legge disciplinare anche nei codici di procedura civile e penale) spiccano le “raccomandazioni” del Presidente della Repubblica e del vice presidente del CSM.
La qual cosa deve aver fatto una certa presa sui togati della Repubblica Ceca che sono abituati ad essere sottoposti al loro Ministro, sebbene un po’ se ne lamentino.
Sta di fatto che le raccomandazioni del Presidente della Repubblica - tantomeno quelle dell’onorevole Ermini - non costituiscono nel nostro ordinamento giuridico fonti del diritto.
Il che non significa che siano irrilevanti. Anzi. Le parole del Presidente della Repubblica sono tenute in alta considerazione da tutti e rappresentano la più autorevole guida alla quale affidarsi in caso di dubbi.
Ma siamo certi che il Presidente della Repubblica non ha mai inteso conferire alle sue parole il senso che è stato loro attribuito dalla Corte di Cassazione. Sembra evidente che il monito del Capo dello Stato non possa che riguardare il rispetto dei precetti già esistenti e quindi era riferito al divieto di parlare pubblicamente dei processi che il magistrato tratta. In questo ambito deve essere circoscritto il richiamo alla “prudenza” ed al “riserbo”.
Perché il Presidente della Repubblica è il primo difensore della Costituzione e quindi dell’art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, col solo limite dell’osceno.
Ebbene ai colleghi Cechi è stata taciuta la norma fondamentale che regola la materia ed è singolare che negli uffici della Cassazione aleggi l’idea di limitare questa libertà costituzionale (anche) dei magistrati ma non sia balenata quella, altrettanto bislacca, di comprimere la libertà di associazione prevista dall’art. 18 Cost. sulla quale si regge il sistema delle correnti in magistratura che è solito distribuire (anche) i posti in Cassazione secondo un principio di appartenenza.
Ai colleghi della Repubblica Ceca dedichiamo un ricordo di Jan Palach che nel gennaio del 1969 sacrificò la sua vita per combattere la censura.
1 commenti:
Non solo, magari pure questo post e la circostanza sfuggita al presidente della Repubblica e alla Suprema corte di quanto negli ultimi trenta anni la libertà di espressione dei pubblici ministeri italiani abbia influenzato l'azione del parlamento e dei governi che si sono succeduti per l'intero periodo temporale . E che ora , preso atto dell'evidente danno arrecato, anziché correggere, si vuole la vendetta con il sangue.
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