di Francesco Siciliano
(Avvocato del Foro di Cosenza)
Alla proposta del Direttore Cosenza, vorrei provare anch’io, da quisque de populo, a dare una risposta di adesione argomentando una piccola visione delle cose.
Tornare dalle vacanze è reimmergersi nella normalità della vita quotidiana con i suoi problemi e anche con il suo fascino. Nel momento di vacanza, però, ci si astrae, si pensa si osserva. In alcuni giorni ho rivisto facce e pensieri del conscio e dell’inconscio.
Ho rivisto Zù Ntònu, uomo retto, arava la terra, aveva un lavoro andava alla cantina a giocare a carte e bere un bicchiere di vino, non ha mai fatto mancare nulla a suoi figli e alla sua famiglia così come non ha negato mai un saluto a Don Ciccio.
Ha sempre detto buon vespero al signore che passava. Suo figlio Peppino è emigrato, ora all’America guadagna una bella jobba per lui e la sua famiglia e, mi ricordo da bambino, aveva anche la doccia nel bagno.
Zu Ntònu ha sempre votato per la democrazia o per i socialisti, anche se quelli della democrazia o i socialisti sapevano bene chi era Don Cicco, quando si parlava di Don Ciccio o di qualche pezzo grosso, Zu Ntònu diceva figliu, pensa a ti fa a vita tua, cane non mangia cane.
In un momento di ritorno alla realtà, ho mutato ricordo ho rivisto un politico amico mio e di Zù Ntònu, era lì ammiccante e altero; doveva fare voti, essere eletto.
Era ossessionato e consumato dal dubbio, dall’incertezza: se dove fare un favore era a disposizione.
Sapeva bene che intorno a lui giravano molti amici di Don Ciccio, così, senza correre rischi, l’importante era fare il favore ad un amico di un amico di Don Ciccio, lui così sapeva che quel politico, comunque, non era contrasto.
Ho anche rivisto molti amici miei e di Zù Ntonu, negli anni 80, frequentare locali di proprietà di Don Ciccio – in qualche modo doveva spenderli i suoi soldi – normalmente, senza dubbi e, soprattutto, senza divieti genitoriali.
Mi sono ricordato di quando dovevano fare un palazzo dove c’era la casa di Zù Ntònu, uomo retto, andò Don Ciccio, costruì un bel palazzo, a lui diede due appartamenti; era proprio un bel palazzo, comprò un appartamento anche il maresciallo.
Mi sono rivisto, a volte, in dubbio, come Zù Ntònu, se ammiccando a Don Ciccio, o comunque rispettandolo, potevo, forse, vivere meglio.
E’ il dramma di questa terra, o forse della nazione, avere il dubbio che un amico degli amici forse è meglio averlo.
Al tramonto alle mie spalle mi è riapparsa Pinuccia, la nipote di Zù Ntònu, abbracciata al nipote di Don Ciccio, uscivano con macchine grosse la sera, Pinuccia era bella, ma nessuno di noi poteva permettersi di guardarla e lei, mi ricordo, era molto felice di essere temuta e guardata di nascosto.
Nessuno le ha mai detto, guarda che quello è il nipote di Don Ciccio, nemmeno Zù Ntònu, onesto lavoratore.
Non capivo perché. Una sera ho abbracciato di nuovo Zù Ntònu ho provato a dirgli che la sinergia tra le parti migliori delle istituzioni e della società, unite alla programmazione di percorsi di legalità da parte della politica, avrebbero potuto evitare il ripetersi dei suoi drammi; battersi per il ripristino dei valori della legalità soprattutto costruendo anticorpi all’interno della classe dirigente onde evitare l’infiltrazione nella politica degli uomini delle cosche era assolutamente necessario; insomma gli ho sbattuto in faccia la verità, gli ho spiegato che tutto quello che ha determinato l’imbarbarimento della situazione calabrese che perpetua lo sfruttamento delle classi deboli e l’intangibilità dei poteri mafiosi rafforzata dall’umanità grigia dei sodalizi criminali da domani troverà forti contrasti e non sarà più possibile; mi ha guardato, un po’ stranito, e mi ha chiesto cosa volessi dire.
La sua vita, i suoi sogni, in realtà, si sono fermati, con le continue richieste di elargizione di lavoro per suo figlio Peppino poi con la sua partenza, da quel momento non ha più avuto proiezione è come se il tempo si fosse fermato, e il tempo in cui lui salutava Don Ciccio e il Padrone è divenuto eterno, in fondo “I calabresi mettono il loro patriottismo nelle cose più semplici, come la bontà dei loro frutti e dei loro vini. Amore disperato del loro paese, di cui riconoscono la vita cruda, che hanno fuggito, ma che in loro è rimasta allo stato di ricordo e di leggenda dell’infanzia”.
Zù Ntònu non ha mai potuto vedere suo figlio percorrere strade da lui già percorse, lui che per un posto di lavoro ha dovuto chinare il capo, lui, che vede da allora gli stessi Nazareni (salvo variazioni sul nome di battesimo) elargire il futuro, è divenuto immutabile, insensibile, ha continuato a votare, quando ci và, per la democrazia o per i socialisti e non ha mai negato un saluto a Don Ciccio, né ha pensato di non comprare qualcosa da lui.
Si comprare qualcosa da lui, perché da un po’ di tempo, Don Ciccio non gira più in coppola, in fascia tricolore o in 3.20, oggi, lui vende, costruisce, trova libri rari, va a teatro.
Ad un certo punto l’ho proprio odiato, l’ho preso per il collo e gli ho detto: Zù Ntò, ma a che ti serve arare la terra, non far mancare niente a tuoi figli, se poi compri tutto da Don Ciccio che ti dice di votare per la democrazia e i socialisti e Peppino deve andare all’America per la jobba? Tu sei il primo che deve venire a Reggio, non mancare mi raccomando.
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