venerdì 3 ottobre 2025

Un intervento di Andrea Mirenda al XX Congresso ordinario dell'Unione Camere Penali Italiane







Una voce dissonante sul sorteggio dei componenti del CSM, qui sotto il link ed il testo.  

Sono quotidiane le conferme dei mali del correntismo,  come la recente e feroce lottizzazione delle Commissioni del CSM, una a quel gruppo di "colti", una a quell'altro. 

Le Correnti,  centri culturali   in teoria, centri per l'impiego in pratica.

Che la spartizione continui.          





DOTT. ANDREA MIRENDA
CATANIA - CONGRESSO UCPI 27 settembre 2025

Grazie.
prima di tutto, voglio ringraziarvi per l’invito: per me è stato un momento estremamente formativo, anche sul piano personale e professionale, come magistrato. Ieri ho ascoltato discorsi, come usa dire, “alti”.  E, se mi è consentito, vorrei anche aggiungere che la vostra elaborazione culturale — quella dell’Unione delle Camere Penali — è, a mio avviso, più alta e più profonda di quella che oggi riesce a esprimere l’ANM, purtroppo arroccata in una posizione difensiva, di chiusura, di “no a tutto”: una postura che, come ha ben ricordato ieri l’onorevole Morando, ha finito per impedire quello che avrebbe potuto essere un dialogo sereno e costruttivo.

Eppure, ciò che stiamo vivendo — almeno negli ultimi anni — rappresenta una straordinaria lezione di educazione civica, assolutamente trasversale alla societa civile, che avrebbe meritato di essere raccolta e condivisa da tutti. Stiamo assistendo, difatti,  — e questo è un Vostro merito — ad una straordinaria riflessione costituzionale che attraversa tutto il Paese. Perché non riguarda soltanto noi operatori della giustizia — magistrati, avvocati, studiosi — ma coinvolge fortunatamente anche i cittadini, chiamati a interrogarsi sempre più sul significato di giusto processo, di parità delle parti,  in definitiva sul senso stesso del rito accusatorio. Argomenti che, fino a poco tempo fa, erano materia quasi “esoterica”, riservata agli addetti ai lavori.

Per questo, vi esprimo un grazie sincero: comunque andrà a finire questo confronto, il Paese ne uscirà arricchito, più consapevole e — mi auguro — più maturo.

Le questioni sul tavolo sono moltissime e richiederebbero molto più tempo di quello che posso permettermi. Non voglio, quindi, abusare della vostra pazienza.

Come ha ricordato la nostra moderatrice, sono il primo “sorteggiato” della storia… e spero sinceramente di non essere l’ultimo.

E detto questo, credo che il punto di partenza della nostra riflessione debba essere fermo e chiaro: il sorteggio non è “la causa” bensì “la conseguenza” di come la magistratura ha vissuto il proprio ruolo negli ultimi decenni.

Dovete sapere che un piccolo gruppo di magistrati — 7o 8 in tutto — iniziò a proporre il sorteggio oramai più di quindici anni fa,  e ciò fece proprio per reagire alla deriva etica del correntismo. Il progetto non è nato, dunque,  da un’elaborazione ministeriale, né da un’iniziativa politica. È nato proprio dal basso, dal bisogno di contrastare una malattia tutta interna alla magistratura, ad un Sistema che ha progressivamente e severamente compromesso l’indipendenza del singolo giudice.

Quel lavoro — e lo rivendico con orgoglio — non è stato tuttavia soltanto reattivo, non è nato solo come protesta: è stato anche la spinta verso una rifondazione culturale, attraverso una riflessione sul senso autentico dell’indipendenza del magistrato.
La nostra Costituzione prevede, infatti, l’indipendenza del singolo magistrato e attribuisce al Consiglio Superiore della Magistratura un’indipendenza sì, ma strumentale, secondaria, finalizzata a garantire quella primaria dei magistrati.

Il CSM, dunque, non è — né dovrà mai essere — il rappresentante dell’Ordine Giudiziario: è, invece,  a Costituzione invariata, un organo finalizzato a tutelare l’indipendenza dei magistrati, gli unici – si badi - a cui la Costituzione assegna espressamente questa guarentigia.
Eppure, il sistema delle correnti ha finito per rovesciare questo equilibrio con un’operazione culturale raffinatissima e silenziosa: ha, difatti,  surrettiziamente confiscato – mediante mille condizionamenti - al magistrato la sua indipendenza, finendo per attribuersela in ragione di una inesistente funzione di “rappresentanza politica” dell’intero Ordine Giudiziario. Lo ha ricordato bene anche la Corte Costituzionale: quella rappresentanza non esiste, non è scritta da nessuna parte.
Se questo è il quadro “malato” da cui muoviamo, credo allora che  il primo passo — direi il più onesto — sia riconoscere che il sorteggio non è una trovata populista, non è liquidabile in modo sarcastico come una infelice riproposizione, anche per la magistratura,  dello slogan “uno vale uno” .

È, al contrario, una risposta — forse imperfetta ma sincera — a un problema reale e strutturale.

So che persino tra voi ci sono scettici, e mi dispiace. Ma, se mi sarà consentito, cercherò di spiegare perché, a mio modesto avviso, sbagliate a esserlo.

Vedete, come ho già detto l’unica categoria di “servitori dello Stato” per la quale la Costituzione prevede espressamente  la soggezione “soltanto” alla legge, l’unica per la quale è ammessa la distinzione solo per funzioni, l’unica per la quale viene sancita la pari dignità di tutti i suoi componenti,  è quella dei magistrati.
L’unica!
Quelli appena ricordati sono principi che ciascuno di voi conosce bene e sono il fondamento stesso del “principio del giudice naturale precostituito”.

Proviamo allora a ragionare secondo logica e coerenza, utilizzando criteri di efficienza e di merito. Dovremmo cosi’ chiederci: “Perché al Consiglio devono andare i migliori? Per fasre cosa? E quali competenze, quali skill, dovrebbero avere gli “eletti- designati” per esercitare compito? ”. Domande a cui si danno risposte del tutto vaghe, politichesi…

Bene, ma se dobbiamo seguire questo ragionamento fino in fondo, esso condurrebbe a un paradosso: al CSM deve andare il “migliore”, per i processi invece chi capita capita…
Perché non  assicurare al cittadino il migliore anche per il suo processo? 

E invece no! Questo il cittadino, direi giustamente,  non può esigerlo!
Nel processo, ciò che garantisce la qualità e l’indipendenza della Giustizia non è affatto l’idea del “migliore giudice” bensì quella del  giudice assegnato automaticamente per legge, proprio per evitare ogni manovra, ogni sospetto di scelta interessata o di condizionamento,  qualunque manovra, qualunque possibilità di scelta occhiuta o di interferenza.

E questo principio ha un corollario importante: perché sta proprio a certificare il peculiare standard professionale riconosciuto al magistrato dalla Costituzione. 
Uno standard straordinariamente elevato!

È proprio in questa fiducia “costituzionalizzata”e  nel corrispondente principio di uguaglianza dei titolari di questo “Potere diffuso”che si fonda l’idea del sorteggio: la scelta di conferire in via stocastica la “rappresentanza tecnica” ( non politica) delle varie categorie della Magistratura secondo quella che potremmo definire — senza timore — la più democratica delle formule rappresentative non politiche: essa solo, difatti, garantisce a qualunque magistrato la possibilità di accedere al governo autonomo della Magistratura senza mediazioni, senza ricorrere a clientele o ad apparati.
Non si tratta di un sorteggio tra edicolanti o tra tassisti — con tutto il rispetto per quelle professioni — ma di un sorteggio tra magistrati: gli stessi che, ogni giorno, amministrano autorevolmente giustizia per ciascuno di noi.

Dunque, se il sorteggio per il CSM avviene all’interno di una élite dotata ex lege di competenze professionali già altissime, la presunzione di qualità – per il raggiungimento dei corrispondenti compiti tecnici di Alta Amministrazione - è forte e del tutto ragionevole.

E tuttavia, accetto la sfida: so bene che questo è un approccio, almeno  in apparenza, astratto.

Ma in concreto — e qui la riflessione va fatta senza finzioni — il senso del sorteggio è proprio quello di restituire al governo autonomo della magistratura la sua autenticità costituzionale: indipendente, fatto di uguali, imparziale, non rappresentativo di  cordate di interessi ma sereno e responsabile. 
So bene che si dice “vuoi mai che quell’incompetente o quell’incapace possa diventare col sorteggio Consigliere”. E’evidente, tuttavia, la stucchevole ipocrisia di simile modo di ragionare: perché il problema non è che costoro vadano al CSM ma che essi possano esercitare giustizia tutti i giorni! Chiaro, quindi, che la selezione volta ad assicurare la massima professionalità consiliare vada fatta a monte, non a valle, per rispetto dei cittadini. 
Come ho già detto, i compiti del CSM nulla hanno a che fare con la rappresentanza delle diverse visioni culturali e politiche presenti in magistratura. Questo l’ho dovuto ribadire anche ad una quarantina di giovani MOT  venuti in Consiglio per un primo contatto con l’Istituzione: dissi loro chiaramente che se il CSM fosse davvero il luogo che le correnti descrivono (vale a dire quello di un soggetto politico portatore delle diverse “visioni” circa il ruolo della magistratura nella società), loro avrebbero corso il grave pericolo di restare  esposti a decisioni consiliari politicamente orientate secondo le oscillanti “sensibilità” delle maggioranze consiliari del momento, con buona pace per la soggezione del magistrato “soltanto” alla legge, in balia di continue e variopinte ridefinizioni di cosa significhi essere magistrato.

E devo pure dire, a voi avvocati, che la vostra indifferenza di fronte al sorteggio — sbrigativamente liquidato come populismo dell “uno è uguale a uno” — finisce  per non avere valenza neutra, date le conseguenze concrete, palesemente negative,  su voi professionisti e, in ultimo, sui vostri assistiti.

Per capire il ruolo distorsivo assunto oramai dalle correnti occorre andare alla riforma del 2006; un esempio lampante di un tranello straordinario teso alla magistratura, tranello in cui siamo caduti dentro con un’ingenuità sorprendente. Il 2006 rappresenta davvero una pietra miliare, la chiave di volta di una magistratura che, fino ad allora, aveva un altro ritmo e un’altra prospettiva funzionale. Dopo quella riforma, il carrierismo e la logica produttivistica del “far numeri” hanno preso il sopravvento; eliminate le limitazioni anagrafiche legate alle fasce di anzianità, abbiamo scoperto la sorprendente categoria  dei magistrati “baby-performer”, pronti già al tempo zero ad assumere le redini degli Uffici.
Io sono magistrato da quarant’anni, ormai sto per avviarmi verso la pensione — grazie al cielo — e posso dire che, un tempo, ci si metteva l’anima in pace per vent’anni: sapevi che dovevi fare le tue sentenze, ricevere l’apprezzamento tecnico dell’Avvocatura, convincere, essere persuasivo , godere della stima dei colleghi e del Dirigente. Lo dico senza infingimenti: questo era il piacere e la soddisfazione culturale del lavoro. Qualcuno, come ad es. Valerio De Gioia, mi ha conosciuto leggendo i miei scritti di diritto, i miei provvediemnti, e sa bene a cosa mi riferisco. Ebbene, il  piacere della scrittura, il valore culturale del lavoro, è venuto progressivamente a svuotarsi: il lavoro sulla scrivania? tutto tempo sottratto alla carriera)
E così nasce il primo problema. L’esperienza giudiziaria diviene, per la fetta più ambiziosa della magistratura,  una mera questione statistica, asservita alla logica dei numeri e della velocità: "Avvocato, non mi faccia perdere tempo: devo finire in fretta!”  Tutto il resto, prima fra tutte la costruzione culturale dell’idea stessa di giudizio, scivola in secondo piano. 

Devo, però, dire per correttezza e perché lo vedo sul campo, la stragrande maggioranza dei magistrati opera con grande correttezza, dedizione e amore per il lavoro, senza l’occhio rivolto alla carriera…

Ma per gli ambiziosi? Per quelli che puntando alla dirigenza degli uffici costruiscono dal “tempo zero” la loro carriera?  Ecco, per costoro tutto il tempo speso nel lavoro giudiziario diventa tempo sottratto alla carriera. E allora che fare? Se scrivi nella tua autorelazione “ho sempre lavorato”, la risposta che il CSM delle correnti ti dà è semplicissima: “ …beh? hai fatto solo il tuo dovere…”.
E così inizia la corsa “a fare altro”: nascono le medagliette, le gratificazioni, le deleghe organizzative conferite secondo graziosa e personalissima scelta del Capo, la candidatura al circuito dell’Autogoverno in senso lato (CG, CSM, Scuola Superiore della Magistratura, Formazione Decentrata, RID, MAGRIF), il fuori-ruolo al Ministero della Giustizia, etc.
E come si accede al medagliere? 
Per lo più, diciamolo chiaro,  non per merito,  per impegno quotidiano. 
Anzi…
Si accede attraverso la genuflessione alla corrente.
Faccio una piccola parentesi sui cd. “fuori-ruolo”: lo dico spesso al laico Felice Giuffrè che puntualmente vota a favore. Io sono contrarissimo! Perché esso fa sorgere un bel problema dal punto di vista della “geometria costituzionale”, chiara essendo l’interferenza con la separazione dei poteri, con il principio di reciproca indipendenza di Governo e Magistratura, con la sana e corretta organizzazione dell’ordinamento giudiziario.
Pensiamo, ad esempio, alla circolare sugli incarichi direttivi, dove l’incarico svolto taluni settori chiave del Ministero della Giustizia assume valenza specifica ai fini del successivo conferimento di un incarico direttivo in magistratura. Gli esempi dei beneficiati da simile meccanismo sono molteplici, inutile far nomi…
Ma se allora chiudiamo il cerchio, a cosa assistiamo se non ad una selezione fiduciaria, una chiamata diretta, da parte del Ministro, puntualmente autorizzata dal CSM delle correnti che, di regola, piazzano “i loro” in quelle sedi ambite, peraltro, e purtorppo, senza alcuna previa verifica della reale competenza del designato, chiamato ad occuparsi di tutto, dall’acquisto del parco auto ministeriale alla gestione informatica, dalla direzione contabili a chissà cos’altro.

Ed è proprio qui che entra in gioco il nuovo ruolo dell’auspicato Consiglio dei sorteggiati: dare un segnale fortissimo alla magistratura; ridare serenità ai colleghi, permettere un ritorno all’operosità e alla dedizione quotidiana senza l’ansia di fare altro, senza che ciascun magistrato debba costruirsi la carriera genuflettendosi ai soliti noti…In altre parole, il sorteggio non è capriccio o astrazione: è strumento concreto per proteggere l’indipendenza e garantire l’equità nella carriera, restituendo alla magistratura la libertà di lavorare serenamente, con entusiasmo e dedizione, senza fuorvianti distrazioni. Insomma, l’antidoto naturale al carrierismo.
E questo, ne sono convinto, non sarà soltanto un’operazione che restituirà all’associazionismo giudiziario il suo giusto ruolo di motore culturale in seno alla magistratura anziché di “ufficio di collocamento” di sodali e compari; avrà, difatti una ricaduta positiva anche su voi avvocati che troverete finalmente giudici sine spe ac metu, liberati da distrazioni carrieristiche, da timori e speranze artificiose; giudici orgogliosi della toga, sereni, attenti alle esigenze delle difese; magistrati la cui giusta ambizione di partecipare al governo autonomo crescerà in modo naturale, con l’età e a giusta esperienza.
Quando arriverà la maturità adeguata, questi giudici saranno pronti anche a reggere compiti di coordinamento complessi, senza pressioni o condizionamenti esterni. 
Non dubito che l’Avvocatura ne trarrà grande beneficio!

Grazie.


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giovedì 19 giugno 2025

Atto finale della saga: la prepotenza ha vinto!




Le puntate precedenti: 

  





Alla fine l'hanno fatta Presidente della Corte d'appello dell'Emilia Romagna!

Come ha sottolineato un consigliere a caso, Andrea Mirenda (in foto), l'hanno messa a capo dell'organo che dà i pareri sui magistrati, il Consiglio Giudiziario; del resto è una che ha mostrato di intendersene, anche quando non  doveva (che non dovesse è scritto nella sentenza che l'ha assolta:  per il giudice disciplinare brigare è un fatto bagatellare).

Imperdibile l'accorato intervento di Andrea Mirenda a questo link  (file2/4 dal minuto 29,20)  

Nordio ha pienamente ragione quando afferma che aver cacciato Palamara non ha minimante scalfito il sistema. 

Ma allora il Governo si sbrighi ad introdurre il sorteggio del CSM,  sollevando i magistrati italiani dal cappio del correntismo.  

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lunedì 9 giugno 2025

Una decisione in Consulta



 di Nicola Saracino - Magistrato 

Per mezzo secolo una legge liberticida ha leso i diritti fondamentali dei cittadini.

Il trattamento sanitario obbligatorio, al quale si ricorre quando la persona in stato di alterazione psichica necessita di cure  che rifiuta, non poteva essere disposto senza che un giudice avesse sentito l’interessato. 

Ciò perché la costrizione implica un’ovvia compressione della libertà personale sì da suggerire l’adozione di garanzie analoghe a quelle previste per chi sia accusato di un reato o sospettato di volerne commettere o per  chi sia  in procinto di essere allontanato dal territorio italiano non avendo i requisiti per permanervi. 

Del resto, ricorda la Corte (sent. n. 76/2025), l’esame della persona è previsto nei procedimenti di interdizione, di inabilitazione ed in quelli per la nomina di un amministratore di sostegno.  

Anche l’Europa ha, infine, raccomandato il massimo rispetto per i diritti fondamentali dell’individuo. 

E ci mancherebbe. 

Di qui lo sventurato maquillage  dell’art.  35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 che non a caso era inserito nel corpo normativo dedicato all’Istituzione del servizio sanitario nazionale; vi si parlava di salute in favore dei cittadini, non contro di loro. 

Se qualcuno viene arrestato deve essere condotto dinanzi al giudice per la convalida dell’arresto: la persona, solitamente cosciente e consapevole, esporrà la sue difese con la necessaria assistenza di un avvocato e si discuterà di fatti e di “diritto”: non sono stato io, non volevo farlo, sono stato costretto dalla necessità, la cosa rubata era in realtà mia.

Si noti che se l’arrestato non dovesse essere capace di sostenere l’interrogatorio per infermità  mentale non vi si potrà procedere (art., 71 cpp), proprio perché oggetto di quel giudizio è altro dal tema dell’incapacità (la responsabilità penale), così come nel trattamento sanitario oggetto della valutazione è la necessità di cura immediata.  

Nel caso di uno straniero in procinto di essere espulso l’oggetto dell’esame saranno le condizioni previste dalla legge per il suo allontanamento e l’esistenza di eventuali eccezioni (ad esempio la persecuzione politica in patria).

Di cosa si discute, invece,  quando sia in gioco la proposta del Sindaco, dietro suggerimento medico, di disporre un trattamento sanitario obbligatorio? Ma della diagnosi effettuata da un medico, per l’appunto. 

Né il “paziente” né il giudice hanno le competenze per smentire quella diagnosi ed evocare il giudice come il “peritus peritorum”, vale a dire il più esperto tra gli esperti in ogni materia, equivale ad affidarsi alla magia (nera o bianca che sia), opzione che nulla ha di “scientifico” e preoccupa se ad essa si consegna il bene della salute del paziente (art. 32 Cost.). 

Tutto ciò,  si noti, deve avvenire in tempi ristrettissimi, in poche ore   da quando il soggetto sia stato ricoverato: il che vuol dire che non sarà condotto dinanzi al giudice,  ma che un giudice dovrà recarsi presso il luogo di cura.

Insomma, questo intervento della Corte Costituzionale  implicava la predisposizione di una struttura giudiziaria capace di affrontare i nuovi compiti, con risorse persino superiori a quelle riservate alla materia penale, non foss’altro perché gli arrestati vengono “condotti” dinanzi al giudice in tribunale mentre i malati si trovano negli ospedali, in diversi ospedali delle città, e per  ciascuno di essi dovranno spostarsi giudici e cancellieri con autoveicoli di servizio. 

Un Legislatore attento prima di prevedere simili adempimenti si sarebbe occupato dei mezzi. 

Ma la Consulta evidentemente prescinde dai problemi terreni ed in questo caso ( a differenza di altri) non ha dato il tempo al Legislatore di adeguare la legge. 

I paragoni effettuati per parificare il trattamento sanitario obbligatorio ad altri procedimenti nei quali l’esame dell’interessato è già previsto non hanno molto senso: il giudizio per l’interdizione, quello di inabilitazione e quello  per la nomina di un amministratore di sostegno non hanno i tempi contingentati come la convalida del TSO, essi si svolgono nel tempo richiesto dagli adempimenti necessari od anche solo opportuni, senza che la decisione debba intervenire in tempi prestabiliti. 

Se vengono in discussione problemi tecnici il giudice potrà avvalersi di consulenti competenti, senza imporre il proprio sapere in campi diversi dal diritto; egli è perito tra i periti, ma solo nel senso che quando più siano le posizioni tecniche che si confrontano è chiamato a scegliere la più convincente; mai nel senso che il giudice possa sovvertire un giudizio di carattere scientifico sulla base di cognizioni che non ha. 

Ce lo chiede l’Europa. 

Sorprende, infine,  la spendita dell’argomento “europeo” perché alla Corte non era stata prospettata la questione dell’inadempimento dei trattati internazionali posto che in tali eventualità spetta al Legislatore adeguare la normativa interna a quella comunitaria, non certo alla Corte Costituzionale, omisso medio, per giunta a fronte non già di direttive vincolanti ma di un mero “report” di un Comitato per la prevenzione della tortura del marzo del 2023 . 

In quel report veniva segnalata preoccupazione perché “il  giudice tutelare non incontra mai il paziente di persona.”   Si tratta di una preoccupazione alquanto decentrata, perché il paziente ha bisogno del medico, non del giudice.  Quel che conta è la possibilità di fare ricorso al giudice se si ritiene il trattamento sanitario non giustificato e per stabilirlo occorrerà una valutazione prima medica e soltanto dopo giuridica. E quel rimedio già esisteva.
 
Si tratta, all’evidenza, di garanzie fantasma che non prevengono remote ipotesi di abuso in materia di cura della salute, soprattutto se l’intervento del giudice viene costretto in tempi incompatibili con un qualsiasi assennato giudizio.  

Le mancate convalide dei TSO ci saranno. Non perché il giudice tutelare andrà contro il parere del medico,  ma perché non sarà possibile assicurare il rispetto di adempimenti a questo punto meramente burocratici innestati in una procedura da completare in termini di ore. Un pessimo risultato. 

In definitiva la decisione della Consulta, senza introdurre sostanziali garanzie per i cittadini, rischia di creare caos in un settore molto delicato qual è la tutela della salute degli individui ergendo il giudice  a medico e c’è solo da sperare che mai nessuna toga abbia la presunzione di indossare il camice e quindi  di sovvertire la diagnosi e la terapia suggerite dal medico. 

Nel frattempo, questo è certo,  sindaci, medici e giudici  sono alle prese con il più grande caos organizzativo mai creato da una sentenza adottata  in Consulta.  

Si pensi all’impraticabilità della consulenza tecnica perché il giudice possa  esprimere una valutazione consapevole; all’assenza della difesa tecnica laddove la Corte evoca proprio il diritto di difesa;  alla necessità di reperire interpreti laddove il paziente sia uno straniero.

Gli evidenti limiti di “ragionevolezza” dell’assetto imposto dalla Corte Costituzionale alla materia dei trattamenti sanitari obbligatori difficilmente potranno essere superati dallo stesso “giudice” che vi ha dato causa. 

C’è quindi solo da sperare in un tempestivo intervento normativo che metta ordine nella delicatissima  materia.



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domenica 8 giugno 2025

Se davvero si volesse arginare il correntismo ...




... questa la via indicata da AricoloCentoUno in una recente mozione sul tema, non farisaica.  


Il Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCJE), più volte occupatosi dei rapporti tra Associazioni di giudici e Governo Autonomo della Magistratura, nel 2007 suggerisce il sorteggio come metodo di selezione dei componenti dei Consigli Superiori.

Nel parere n. 23, reso il 6 novembre 2020 - sul ruolo delle associazioni di giudici a sostegno dell’indipendenza della giustizia – il CCJE definisce i giudici “le pietre angolari degli Stati fondati sulla democrazia, lo Stato di diritto e i diritti umani”.

Il CCJE sottolinea come l’indipendenza dei singoli giudici esige “non soltanto l’esclusione di ogni influenza esterna, ma anche di quella che può essere esercitata all’interno del sistema giudiziario” al fine di “contrastare le indebite ingerenze”, allorquando “si tratti di decisioni delle autorità competenti che influiscono sulla carriera dei giudici (nomina, promozione, trasferimenti, procedure disciplinari e di valutazione, etc.)”.

Ai fini del raggiungimento dei loro obiettivi è indispensabile che le associazioni dei giudici interloquiscano con queste istanze, esercitando una doverosa funzione di controllo sulla legalità di tali procedure, giammai di condizionamento.

Le associazioni dei giudici non devono intervenire nelle decisioni sulla carriera, ma possono controllare se gli organi competenti seguono corrette procedure e corretti criteri”.

Il CCJE ritiene “auspicabile” la partecipazione delle associazioni di magistrati alla selezione dei membri degli organi di governo autonomo della magistratura, a condizione, pero’, che essa "non leda l’indipendenza dei lavori” ed essendo necessario “vigilare affinché questo sistema non conduca alla politicizzazione dell’elezione e dei lavori del Consiglio”.

Sulla scorta di questi principi, riteniamo necessario indicare i rimedi per il superamento della crisi di credibilità che ci affligge:

il sorteggio come metodo di scelta dei componenti del Csm è quello che riuscirebbe a recidere qualsiasi legame tra le correnti dell'ANM e i membri dell'organo di governo autonomo della magistratura; 

la rotazione negli incarichi direttivi/semidirettivi, rispettando il dettato costituzionale della differenza dei magistrati solo per le funzioni svolte, metterebbe fine contemporaneamente al carrierismo dilagante e all'odioso sistema di nominificio invalso dentro il CSM; 

rigide forme di incompatibilità tra l'ANM ed il CSM permetterebbero di restituire all'associazionismo il suo senso di aggregazione e di pluralismo culturale, oltre che il ruolo di principale contraddittore nelle scelte dell'autogoverno; 
l'abolizione dell'immunità funzionale dei consiglieri CSM eviterebbe deleterie deresponsabilizzazioni e intollerabili zone franche di impunità.

Queste sono alcune soluzioni idonee a realizzare tutte le raccomandazioni che ci giungono dal Consiglio Consultivo dei Giudici Europei.

Questa l’unica via per il superamento della crisi di credibilità che ci affligge.

Questa l’unica efficace soluzione al correntismo.

I rappresentanti di ArticoloCentoUno in CDC


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giovedì 17 aprile 2025

L’ingiusto processo penale telematico.







Volentieri ospitiamo l'accorato intervento di un autorevole operatore del diritto alle prese coi primi, ed a quanto pare sguaiati, vagiti del processo penale telematico. E' comunque di buon auspicio l'invocazione finale di un "giusto processo telematico" che non suona come anacronistica avversione all'evoluzione tecnologica, purché essa sia al servizio della giustizia e non il contrario.        


di Oliviero Mazza - Professore ordinario di diritto processuale penale ed Avvocato



Il frutto più velenoso della riforma Cartabia è certamente il processo penale telematico. Dietro al fascino suadente della innovazione si nasconde in realtà un Moloch tecnologico sul cui altare sono state sacrificate le garanzie del giusto processo, anche quelle che nell’ambiente analogico tradizionale sembravano intangibili.

La porta d’ingresso in questo brave new world, in cui i diritti sono confinati in un drammatico limbo esistenziale, sono due norme processuali in bianco (art. 111-bis e 111-ter c.p.p.) che delegano al potere regolamentare (il vero Moloch tecnologico) la scrittura di un processo penale parallelo, libero da vincoli, compresi quelli costituzionali. 

L’apparente insipienza del legislatore nasconde, in realtà, la callida scelta di aggirare ogni limite e di utilizzare lo sviluppo digitale quale cavallo di troia per infettare del più cupo germe inquisitorio quello che restava dei brandelli del processo accusatorio dopo la cura efficientista.

Ad esempio, la digitalizzazione cartabita stabilisce che magistrati requirenti e giudicanti, in quanto considerati abilitati interni, condividano un’applicazione (app) inaccessibile ai difensori abilitati esterni, ai quali è riservata solo la buca delle lettere del portale per il deposito degli atti.

Quale sarebbe il concetto separazione delle funzioni e di parità fra le parti che ha guidato la distinzione digitale fra abilitati interni ed esterni? È evidente che, nel processo digitale, pubblico ministero e giudice tornano ad essere indissolubilmente uniti non solo nei privilegi informativi negati ai difensori, ma anche nel concetto di autorità giudiziaria titolare della funzione di persecuzione penale.

Nell’ambiente digitale risorge dalle sue ceneri la tradizione inquisitoria dello Stato autoritario che promuove e sostiene la pretesa punitiva tramite  il corpo unico della magistratura dotato dei medesimi strumenti tecnologici. 

Nemmeno Manzini e Rocco sarebbero stati capaci di immaginare che, a quasi cento anni di distanza, la loro creatura avrebbe ritrovato nuova linfa nella digitalizzazione. Eppure, un modello di processo telematico di parti, accessibile a tutti i soggetti in condizioni di parità, era già disponibile grazie all’esperienza maturata nel settore civile. Perché non limitarsi a mutuare quel modello di processo adversary perfettamente funzionante nonché aderente ai principi di un processo accusatorio garantista? 

Appare di tutta evidenza la strumentalizzazione della rivoluzione digitale.

Al corpo estraneo della difesa è riservato un ologramma ingannevole di processo digitale. Il portale ha funzionalità limitate sostanzialmente al deposito degli atti, senza consentire l’accessibilità diretta ai fascicoli. Soprattutto, il portale si regge sull’idea di una funzionalità unidirezionale, ben lontana dalla interazione che sarebbe imposta dal processo di parti poste in condizioni di parità dinanzi al giudice terzo, ossia unico abilitato interno se si volesse mantenere questa discriminatoria terminologia burocratica.

Ma anche i pochi diritti riconosciuti ai difensori nell’ambiente digitale, sostanzialmente solo quelli di deposito, risultano condizionati dalla ricevuta di accettazione dell’atto, come se il sistema dovesse di volta in volta convalidarne l’operato. Accettazione che spesso giunge dopo un lungo periodo di valutazione, ma quando l’atto non è accettato, per insondabile dogma telematico e non certo per decisione di un giudice umano, e il termine per il suo compimento è spirato, al difensore rimane solo la preghiera della restituzione nel termine. 

Nel mondo digitale tutto può accadere, compresa l’istituzione regolamentare di una forma di invalidità di nuovo conio, ovviamente non prevista dalla legge, che va sotto il nome di irricevibilità, peraltro immotivata e senza appello,  e che colpisce anche atti propulsivi e decisivi, come le impugnazioni. Nemmeno nella peggiore visione distopica del processo si poteva immaginare che una condanna, magari all’ergastolo, passasse in giudicato solo perché un imperscrutabile sistema informatico avesse deciso di respingere l’atto di appello sulla base di una presunta incoerenza di dati formali, come il numero di RGNR.

Nel vecchio e rimpianto ambiente analogico tutto ciò non poteva accadere, l’umanesimo processuale è infatti l’antidoto per l’algidità digitale. Al cancelliere in carne ed ossa non sarebbe mai venuto in mente di rifiutare il deposito richiesto da un avvocato e comunque l’interazione umana avrebbe consentito di risolvere anche gli eventuali problemi. Quante volte è capitato che l’addetto alla ricezione atti correggesse a penna un numero di registro sbagliato, così sanando immediatamente l’errore materiale. 

Oggi, invece, l’atto incoerente per un mero errore materiale viene respinto, ossia diventa inesistente e scompare nel buco nero digitale.  

Bisogna cancellare immediatamente queste regole palesemente incostituzionali, eliminare la ricevuta di accettazione, lasciando solo quella di deposito e demandando al giudice ogni successiva valutazione, e istituire un unico sistema telematico che consenta alle parti, in condizioni di parità, e al giudice un accesso agli atti trasparente e controllabile.

I malfunzionamenti del portale e della app, pur evidenti nella loro quotidianità, sono solo la puerile giustificazione con cui si tenta di occultare la verità di un sistema digitale che è stato pensato sulla base di una ideologia processuale autoritaria. 

Non è solo un problema tecnico, peraltro innegabile, l’ambiente digitale va ripensato dalle fondamenta culturali prima che l’avvento, ormai prossimo, dell’intelligenza artificiale dia il colpo di grazia alle ragioni del garantismo. 

Vogliamo davvero che i difensori divengano gli strumenti dei loro stessi strumenti? Mi sembra fin troppo evidente che nel disegno riformista si sono importate nel processo penale le tecnologie potenzialmente utili, ma per ragioni sbagliate. 

È chiedere troppo avere un giusto processo telematico?






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sabato 8 febbraio 2025

Ma ve l’immaginate un CSM di sorteggiati?


di Nicola Saracino - Magistrato 


Magistrati ai quali la sorte non darebbe la forza morale e l’autorevolezza necessaria a fronteggiare i compiti cui è chiamato un consigliere superiore. 

Perché uno dei tanti mandato lì a caso non è rappresentativo, non ha un serbatoio elettorale da ringraziare e custodire. 

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domenica 12 gennaio 2025

Elezioni del Comitato Direttivo Centrale dell'ANM del 26-27-28 gennaio 2025 - Lista ArticoloCentouno

Ospitiamo le presentazioni dei candidati (in ordine alfabetico per nome di battesimo, per scelta del sistema operativo) alle elezioni del Comitato Direttivo Centrale dell'ANM dei prossimi 26, 27 e 28 gennaio 2025 della lista ArticoloCentouno, lista che non è una corrente, dato che non aspira ad avere "rappresentanti" al Consiglio Superiore della Magistratura, e che non ha un sito internet che le consenta di presentarsi agli elettori. 

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sabato 11 gennaio 2025

La fortuna aiuta.





Pubblichiamo l'intervista de Il Dubbio ad Andrea Mirenda, consigliere superiore per caso.   



La componente togata del Csm si è compattata contro la riforma costituzionale. Tutti d’accordo, tranne uno, l’indipendente Andrea Mirenda, unico ad astenersi e ad aver già vissuto sulla propria pelle il sorteggio. Che potrebbe rappresentare una soluzione, afferma, alle degenerazioni correntizie.

Lei è l’unico togato ad essersi astenuto dal voto sul parere sulla separazione delle carriere, dichiarandosi favorevole in particolare al sorteggio come strumento per riformare il Csm. Che effetti pensa che avrà, in concreto, questo intervento legislativo?


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