di Nicola Saracino - Magistrato
Chi, da oggi in poi, continuerà a chiamarlo “il sistema Palamara” commetterà un falso imperdonabile.
Perché Palamara è morto (figurativamente, non è più un magistrato), il sistema gli è sopravvissuto e gode di eccellente salute.
Luca Palamara era stato rimosso dalla magistratura per un fatto ben preciso, collegato alle captazioni avvenute all’interno dell’Hotel Champagne.
Con altri soggetti (consiglieri superiori, parlamentari) si confabulava sulle sorti della Procura di Roma, in prossimità della scelta, ad opera del Consiglio superiore della magistratura, del suo nuovo “capo”.
Ebbene il giudice disciplinare ha applicato a Luca Palamara la sanzione più grave (rimozione dall’ordine giudiziario) addebitandogli di aver interferito su scelte proprie del CSM, da compiere in autonomia e senza suggerimenti, per così dire, esterni al Consiglio.
Il fenomeno delle chat rese pubbliche dal trojan non ha avuto, in sostanza, quasi alcun rilievo nella rimozione dell’ex presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati dall’ordine giudiziario, poi avallata dalla Corte di cassazione.
Sul versante penale, come si sa, tutto si è chiuso con un patteggiamento per ipotesi di reato quasi bagatellari se confrontate con quelle poste alla base dei provvedimenti che autorizzarono le captazioni sul cellulare dell'indagato, che non si sarebbero potute fare se, sin dall’origine, gli indizi fossero stati letti con maggiore prudenza, il che avrebbe dovuto far escludere ogni ipotesi di corruzione.
La retromarcia della procura perugina (che si è rimangiata tutte le accuse più gravi per lasciare sul tavolo solo quella di un generico “traffico di influenze”) è infatti avvenuta prima ancora che l’istruttoria dibattimentale avesse luogo e quindi non è dipesa da elementi forniti dalla difesa dell’imputato che non fossero già a sua conoscenza prima della richiesta di giudizio per fatti corruttivi.
Ma tant’è, dalle captazioni palamariane è scaturito ampio clamore mediatico accompagnato dallo sconcerto istituzionale di rito e dall’evocazione, in seno allo stesso CSM, di pericolose derive massoniche paragonabili alla loggia P2.
Il “sistema” disvelato al grande pubblico dalla lettura delle chat era, in realtà, già noto ai magistrati che in gran numero lo alimentavano con le loro forsennate aspirazioni carrieristiche.
La raccomandazione era eretta, per l’appunto, a sistema.
Nonostante il coinvolgimento di numerosi membri, il precedente CSM non venne sciolto dal Presidente della Repubblica e si tennero nuove elezioni per soppiantare i consiglieri “spintaneamente” dimessisi dall’incarico.
La Procura generale della cassazione, titolare dell’azione disciplinare (insieme ad un Ministro della Giustizia mai pervenuto sullo specifico tema), aveva sostanzialmente graziato i questuanti, cioè i carrieristi che pietivano il voto per ottenere il posto ambito.
Tanto è stato scritto su quanto sciagurata fosse stata quella scelta ed è inutile ripetersi.
Erano invece incorsi in sanzione disciplinare gli autori di condotte volte a danneggiare un concorrente, specialmente se ciò fosse avvenuto per ragioni di appartenenza correntizia (soci dello stesso gruppo di potere togato).
Sanzione che era stata comminata anche ad un presidente di un tribunale del nord che nei giorni scorsi era sottoposto alla valutazione del CSM di conferma al posto direttivo per il secondo quadriennio.
Il CSM, a maggioranza, ha stabilito che quel presidente potesse continuare l’incarico nonostante la precedente condanna disciplinare.
Ci può stare, in astratto.
Senonché, alle solite diatribe correntizie che hanno fatto seguito a quella votazione, con la minoranza che gridava all’ennesimo scandalo, i consiglieri di maggioranza (quelli, cioè, che col loro voto avevano valutato positivamente il presidente, confermandolo) hanno reagito offrendo delle spiegazioni che paiono in netto contrasto con le scelte sin qui compiute ed ampiamente pubblicizzate dallo stesso CSM in sede disciplinare, di trasferimento d’ufficio per incompatibilità cd ambientale, di valutazione della professionalità.
Si noti che una toga con un precedente disciplinare non può nemmeno far da relatore ad un corso di formazione per i neo magistrati.
In questo caso era stata ritenuta idonea alla presidenza di un tribunale.
Ebbene, pubblicamente nella seduta del CSM del 19 luglio un consigliere superiore ha affermato: "Vi invito a essere un pò coerenti con noi stessi. Chi di voi non prende informazioni sul territorio quando va in una nomina? Chi di voi non chiama qualcuno che conosce sul territorio per sapere che tipo è quel collega o non riceve in maniera indiretta o diretta informazioni sul collega?"
Nei giorni successivi i consiglieri di MI (Magistratura Indipendente) hanno lamentato l’inefficacia delle procedure interne di valutazione dei magistrati - dettate dallo stesso CSM ed attuate dai Consigli Giudiziari periferici, dislocati su tutto il territorio nazionale – tanto da giustificare il ricorso a fonti di conoscenza non catalogate dalle norme e gli interessamenti degli estranei al procedimento purché mossi da “interesse pubblico”.
Un uno-due che, in termini pugilistici, mette knock-out gli interessati cantori della favoletta del cd “sistema Palamara”.
Palamara è stato rimosso per aver confabulato sulla scelta del procuratore di Roma, per giunta caldeggiando un candidato di indiscusso valore come Marcello Viola che, vinto il ricorso contro la sua bocciatura a quella carica, ottenne in seguito dallo stesso CSM il posto, di pari prestigio, di Procuratore della Repubblica di Milano.
Chi ha stabilito e come che l’intervento di Palamara fosse contrario all’interesse pubblico?
Nessuno.
Eppure la condanna disciplinare di Luca Palamara è passata in cosa giudicata.
Personalmente ho sempre ritenuto quella sanzione eccessivamente severa, ma non ingiusta.
Perché non rileva che un magistrato sia mosso da un “interesse pubblico” quando raccomanda ed interferisce sull’operato del CSM; quel che rileva è la modalità, platealmente illecita, di chi si immischia in affari esulanti dalla sua competenza, regolata dalla legge e dalle circolari.
A garanzia di tutti.
Perché un magistrato che voglia concorrere ad un qualsiasi posto non deve temere interferenze esterne di colleghi che non hanno titolo per esprimere alcun giudizio nei suoi riguardi, né deve sollecitare raccomandazioni per caldeggiare la sua posizione.
Esiste un procedimento amministrativo con regole ben precise sulla relativa istruttoria.
Ovvio che se il CSM si fa influenzare da elementi estranei al fascicolo molte sue decisioni poi cadano sotto la scure del giudice amministrativo.
Il ricorso a fonti di conoscenza spurie, non regolamentate, non controllabili né verificabili nella loro attendibilità, inserisce preoccupanti elementi di “massoneria” nell’organizzazione magistratuale, proprio come pubblicamente denunciato subito dopo i fatti dell'Hotel Champagne.
Se davvero questi sono i metodi ai quali fanno ricorso i consiglieri superiori è concreto il rischio di affidare a potentati di qualsiasi natura, comunque illecita, la scelta dei vertici degli uffici giudiziari.
Con quella logica - aberrante – i consiglieri superiori eletti dal Parlamento (quindi non magistrati) potrebbero legittimamente raccogliere dossier sui magistrati coinvolti in procedure di interesse del Consiglio Superiore, al di fuori di ogni garanzia formale e sostanziale.
Abbiamo un problema: il Sistema non era Palamara.
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