di Roberto Mania e Fabio Tonacci
(Giornalisti)da Repubblica.it del 9 aprile 2010Tasse rubate. Tasse privatizzate. Tasse evaporate. Almeno 90 milioni di euro - ma forse molti di più - di tasse pagate dai cittadini e mai versate nelle casse dei rispettivi Comuni. Tosap, Tarsu, Cosap, Ici, multe. Soldi finiti nel conto corrente sbagliato. È lo scandalo delle tasse rubate o - se volete - dei
“furbetti delle tasse”. Oppure, ancora meglio: è lo scandalo annunciato di
“Tributi Italia”, società privata per la riscossione delle imposte locali, nata a Chiavari e cresciuta in fretta in tutta Italia, a nord e a sud, al centro e nelle isole. Ecco: la bolla delle tasse, dopo quella immobiliare. D’altra parte Giuseppe Saggese, cinquantenne tarantino, figlio di magistrato, che di questa storia è il protagonista essendo il fondatore e poi il dominus di
“Tributi Italia”, costretto a tirare i fili da dietro le quinte per via dei due arresti (nel 2001 e nel 2009), le tasse le chiama
“piastrelle”. Piastrelle con le quali costruire pezzo dopo pezzo il proprio patrimonio.
Oggi centinaia di piccoli Comuni sparsi lungo la Penisola sono sull’orlo della bancarotta o soffrono per il buco nel loro bilancio. Ci sono Pomezia con un ammanco di quasi 22 milioni, Aprilia (20 milioni), Nettuno (3,2 milioni), Augusta (quasi 5 milioni), Bergamo (2,2 milioni), Fasano (quasi 2 milioni) e poi tanti, tanti, altri. I servizi, quelli per cui i cittadini pagano le tasse, spesso sono stati azzerati. Sono saltati oltre mille posti di lavoro. Solo qualche decina di dipendenti di “Tributi Italia” è rimasta a sbrigare le pratiche ancora necessarie, i collaboratori e consulenti sono stati licenziati, gli altri dipendenti sono in cassa integrazione. E lì resteranno dopo essere da mesi anche senza stipendio.
“Tributi Italia”, che raccoglieva le tasse per circa 400 Comuni, sta fallendo o è già tecnicamente fallita. Ha chiesto di poter accedere al concordato preventivo previsto della legge Marzano, la versione italica del
“Chapter 11” americano. Il governo ha approvato una norma (sta nel decreto incentivi) per salvare la superholding delle tasse. Che adesso è in una sorta di stand by: prima cancellata per inadempienze dall’albo dei riscossori, quindi in attesa della decisione di merito del Consiglio di Stato, dopo la sospensiva ordinata dal Tar del Lazio. Impervi sentieri giudiziari che difficilmente cambieranno l’epilogo di questo scandalo. Il Tribunale di Roma deciderà prossimamente sull’ammissione della società al concordato preventivo. La Procura di Velletri si sta preparando a chiedere il rinvio a giudizio dei vertici della società con l’accusa di peculato. E le altre tredici inchieste aperte proseguiranno. Ma come è potuto accadere il furto delle tasse? È anche colpa degli amministratori? Chi doveva controllare? Chi restituirà i soldi ai Comuni e dunque i servizi ai cittadini?
Il modello ApriliaLe tasse, per fortuna, non possono avere padrone. Ma qui siamo davanti a una fittissima ragnatela di interessi, tutti privati e mai pubblici. Ci sono amministratori inadeguati e ambiziosi. Ci sono affaristi travestiti da imprenditori con tante fidejussioni fasulle. Ci sono i controllori che non controllano o controllati che sono anche i controllori. Qualche volta pure i revisori dei conti sono abusivi. Non mancano, come sempre, le scatole cinesi. Ci sono scambi palesi e altri nell’ombra. Ci sono assunzioni clientelari, società miste pubblico-privato per nulla trasparenti e degne di un posto in prima fila nella degenerazione del non già edificante capitalismo municipale. Ci sono protezioni. Inspiegabili silenzi, colpevoli disattenzioni. Ci sono generali della Guardia di finanza in pensione che diventano consulenti proprio di
“Tributi Italia”. E ci sono soprattutto 14 Procure della Repubblica che indagano dopo i 135 esposti presentati dalle amministrazioni locali.
Questa storia può cominciare ad Aprilia, provincia di Latina. Siamo nell’agro pontino, 40 chilometri da Roma. E circa 70 mila abitanti fregati.
“Tributi Italia” dovrebbe consegnare al Comune 20 milioni e passa di euro. È scoppiata una guerra giudiziaria. La società e gli ex amministratori hanno vinto un paio di round, incassando pure dopo dieci anni una sentenza di assoluzione dal tribunale di Latina. Ma non è finita. Sulle pareti scrostate del corridoio che porta all’ufficio del sindaco sono appese le foto in bianco e nero che raccontano l’origine di Aprilia: 25 aprile 1936 il Duce in sella a un trattore segna il perimetro della città. Ma in questa cittadina triste e disordinata, un po’ agricola, un po’ industriale grazie alla vecchia Cassa per il Mezzogiorno, un tempo terra di immigrati veneti ed emiliani e ora di nordafricani e asiatici, il sindaco è un socialista, come di quelli che non ce ne sono più. Un socialista. Domenico D’Alessio è prossimo a compiere 62 anni. Figlio di un pastore abruzzese arrivato da queste parti durante una transumanza, è diventato sindaco meno di un anno fa quasi per un moto di rivolta popolare: contro lo scandalo delle tasse sottratte. Si è presentato con quattro liste civiche e ha battuto, umiliandole, la destra e la sinistra. Ma, d’altra parte, il suo voto, dai banchi dell’opposizione, in quella riunione notturna del 19 marzo 1999 del consiglio comunale, fu uno dei due no all’affidamento all’Aser (società mista) del servizio di accertamento e riscossione dei tributi locali. Erano le tre di notte, presenti 14 consiglieri comunali su 30. Fu l’inizio della scalata, perché Aser è una delle controllate di
“Tributi Italia” che, nata come Publiconsult nel 1986, si trasforma in San Giorgio nel 2004, e poi va all’assalto delle piccole concorrenti del business delle tasse e compra Gestor, Ausonia, Rtl e Ipe per diventare
“Tributi Italia” nel 2008. Il
“modulo di gioco” non cambia praticamente mai. Compresi, forse, i favolosi soggiorni di amministratori e consiglieri lungo la riviera di Levante in comodissimi yacht, dei quali si favoleggia tra gli apriliani arrabbiati.
Società misteLo schema adottato ad Aprilia, infatti, si replica dovunque.
“Tributi Italia” riesce a prendersi direttamente o attraverso una società mista pubblico privata, di cui possiede il 49 per cento, il servizio della riscossione. Nei consigli di amministrazione, però, la maggioranza va ai privati così da assicurargli il governo della società. Alla quale va un aggio stratosferico: fino al 30 per cento di quanto incassato. Aggio che, in alcuni casi, arriva al 75 per cento sugli accertamenti dell’evasione. Cartelle pazze? Chi può escluderlo. Le gare d’appalto (quando ci sono) sono ritagliate sulle caratteristiche della società mista di turno. Così, per impedire la concorrenza delle banche, all’attività di accertamento e riscossione dei tributi si affianca quella della manutenzione del verde pubblico. L’agguerrito assessore al Bilancio e alle Finanze di Aprilia, Antonio Chiusolo, subito dopo l’insediamento, ha scoperto, oltre al buco in bilancio, che le due palme impiantate a qualche chilometro dal municipio erano costate agli apriliani cinque milioni di euro, essendosi esaurita lì la cura per il verde offerta dall’Aser. Ma Chiusolo ha scoperto anche altre cose. Per esempio che le fidejussioni a garanzia delle prestazioni di
“Tributi Italia” erano state emesse l’una dall’
"Italica” di Cassino, destinata a fallire da lì a poco e con il proprietario indagato per truffa in un’inchiesta calabrese; l’altra da
“Fingeneral” per nulla intenzionata a intervenire per via dell’insolvenza di
“Tributi Italia”. Insomma, polizze carta straccia. E quando Chiusolo si recò a Roma alla
“Fingeneral” in Via di Porta Pinciana nei pressi di Via Veneto - dove, tra l’altro, al secondo piano del 146 c’è anche la sede legale di
“Tributi Italia” - si trovò davanti tal Fabio Calì, amministratore della finanziaria, arrestato nel 2007 per una truffa da 93 milioni ai danni della Banca di Roma. Fidejussioni inesistenti e revisori dei conti non iscritti all’albo, ma messi addirittura a presiedere l’organo di controllo. Anche questo lo hanno scoperto il sindaco e il suo assessore:
“Ortori Elio, nato a Massa il 23 luglio 1960, non risulta essere mai stato iscritto nel Registro dei Revisori Contabili”, ha comunicato ai due amministratori l’ordine nazionale dei commercialisti.
Assunzioni e poteriMa dove sono finiti i soldi che hanno provocato una voragine nei conti di così tanti municipi? Chi sa dove sono? Giuseppe Travaglini, quarantacinquenne, marchigiano, sostituto procuratore della Repubblica a Velletri, ha ricostruito il percorso seguito dalle tasse del vicino comune di Nettuno, delineando così il
“sistema Saggese”. L’ipotesi è che ci sia un
“Conto padre” nel quale arrivano tutte le tasse provenienti dai vari Comuni. Dal
“Conto padre”, poi, si dipanerebbero i conti affluenti, i
“conti figli”, lasciati costantemente a zero. Da qui i soldi dei cittadini finirebbero nelle tesorerie dei Comuni, in ogni caso con un guadagno derivante dalla maturazione degli interessi bancari. Ma poi c’è il gran miscuglio: le tasse di Alghero che finiscono a Forlì, le multe di Nettuno usate per finanziare il verde pubblico di Bari e via dicendo. Spesso - secondo l’ipotesi dei pm - le tasse sono servite a Saggese per ripianare parte dei debiti con le banche. Così sarebbe stata possibile la crescita tumultuosa di
“Tributi Italia”: diventare la prima società privata della riscossione con oltre 230 milioni di fatturato nel 2008 e circa 1,8 milioni di utili prima delle imposte. Una crescita anche di potere nel rapporto con i politici locali, i partiti, le consorterie, gli amministratori. Aver in mano i cordoni della borsa, poterli aprire e poterli chiudere, significa avere il potere, o almeno un pezzo del potere. Può significare, per esempio, poter giocare al tavolo delle assunzioni clientelari, anche di parenti di consiglieri comunali, come si dice a Nettuno e pure a Bari. Dunque può significare l’ammissione al banchetto degli scambi territoriali, che è poi la sede autentica dove prende forma il potere o l’intreccio di poteri. Ed è anche in forza di questo protagonismo, decisamente politico, che
“Tributi Italia” denuncia di avere un credito nei confronti di tutti i Comuni intorno ai 142 milioni di euro, pur ammettendo di essere in una fase di
“tensione finanziaria”. Perché il
“sistema Saggese” si inceppa per colpa della crisi: manca all’appello l’Ici, aumentano gli evasori e l’accertamento diventa più dispendioso.
Sei milioni di parcelleE il Palazzo? Dove stavano i potenti di Roma mentre le tasse locali se ne andavano in direzioni anomale? Possibile che nessuno se ne sia accorto? Ci sono due deputati del Pd, Ludovico Vico, ex sindacalista della Cgil pugliese, e Rita Bernardini, esponente del Partito radicale, che hanno presentato più di una interrogazione ma senza mai risposte da parte del governo. Due deputati sommersi dalle richieste di sostegno da parte dei sindaci di tutta Italia, che non hanno esitato a denunciare la
“corruttela” del sistema. Probabilmente anche il colpo decisivo per la cancellazione di
“Tributi Italia” dall’albo dei riscossori è arrivato dal Parlamento. Lontano dai riflettori, la Commissione Finanze della Camera ha indagato a fondo sul caso
“Tributi Italia”. Si scoprono tante cose leggendo il resoconto dei lavori nella Commissione, come, d’altra parte, i verbali delle riunioni, tenute al ministero dell’Economia e delle Finanze, della Commissione che gestisce l’albo dei riscossori. Per esempio, si scopre di come sia stato tortuoso il cammino per la cancellazione dall’albo. E si scopre che l’Anci, l’associazione dei Comuni, non è sempre stata presente alle riunioni dell’Anacap (l’associazione di categoria dei riscossori). E perché tra i componenti di quest’ultima, che ha voce in capitolo sulla cancellazione, c’è Pietro Di Benedetto che fa l’avvocato e difende proprio
“Tributi Italia”? Quest’ultima, a sua volta, ha speso non meno di 6 milioni di euro per pagare i suoi consulenti legali. Tasse dei cittadini? E poi: controllati che controllano? Non resta che dare l’ultima lettura al teutonico codice etico della holding delle tasse, quello che ciascun dipendente ora in cassa integrazione aveva per anni scrupolosamente osservato:
“Tributi Italia crede fermamente che l’onestà sia una componente fondamentale di ogni comportamento etico e la lealtà è essenziale per costruire relazioni d’affari solide e durature”. Sì, c’è scritto proprio così.