La citazione di Ennio Flaiano non richiama alla memoria l'Italia degli anni settanta, ma la stretta attualità.
Non è serio un Paese nel quale, in nome di un malinteso “garantismo”, si attendono i tempi epocali della formazione del giudicato penale prima di adottare rimedi su piani diversi da quello giudiziario.
E' un po' l'auto-accusa che da sempre la politica si muove quando parla di questione morale. Si dice, in soldoni: ferme le massime garanzie sul piano giudiziario, la responsabilità politica dovrebbe prevenire quella penale ed è quindi impensabile procrastinare i rimedi all'esito del processo.
Come si sarà notato, tale forma di responsabilità non ha mai attecchito nel nostro Paese.
E la cosa non è prerogativa della sola politica.
La magistratura non è esente dalla medesima sindrome, la stessa che spinge a proclamare sistematicamente il proprio senso di colpa per marcare, a chiacchiere, la distanza da modelli negativi, senza tuttavia porre in essere le reazioni adeguate alla gravità dei fatti che via via, uno dopo l'altro, confermano la triste deriva del sistema giudiziario.
Oddio, non è sempre così.
Può capitare, ad esempio, che un De Magistris venga privato dall'oggi all'indomani delle sue inchieste con un'inaspettata “avocazione” (il cui autore è oggi imputato per abuso d'ufficio ) e trasferito ad altra sede e funzioni dal CSM subito dopo che aveva fatto perquisire tal Luigi Bisignani.
O che i PM salernitani - che stavano accertando proprio gli abusi commessi contro l'attuale Sindaco di Napoli - nel volgere di tre giorni siano fatti traslocare dai loro uffici per essersi dilungati in un decreto di sequestro mettendo a rischio la reputazione di personaggi come Alfonso Papa o Luigi Bisignani.
O che, ancora, la testa di un magistrato come Clementina Forleo sia offerta su un piatto d'argento alla politica che ne invocava il trasferimento; anzi, per mezzo di Guido Calvi, già difensore di D'Alema ed oggi Consigliere Superiore, addirittura lo prevedeva. E' fresca la conferma dell'illegittimità di quel trasferimento ad opera del Consiglio di Stato.
Sono vicende che, ai pochi lettori del nostro blog, appariranno “vecchie” in quanto qui sono state sviscerate nella loro raccapricciante illegittimità MENTRE accadevano.
Ma non montiamoci la testa. Si tratta di eccezioni. Di isolate manifestazioni di “efficienza” del sistema burocratico che sovraintende al governo della magistratura, favorite da una fortunata astrale convergenza d'intenti tra Ministero della Giustizia (ad opera del suo ispettorato), il CSM (organo di tutela dell'indipendenza dei magistrati!) e la stessa Associazione Nazionale Magistrati (il sindacato delle toghe!).
Tratteggiamo, ora, alcuni dei personaggi che in quelle vicende hanno svolto un qualche ruolo.
Dalle notizie di stampa dei mesi successivi, fino all'attualità, abbiamo appreso:
che Achille Toro, Procuratore Aggiunto da Roma con delega sui reati contro la pubblica amministrazione ed uomo di vertice della corrente dell'ANM Unicost, aveva rapporti “non ufficiali” con faccendieri di vario genere, in seguito ai quali è stato sottoposto a processo penale e si è dimesso dalla magistratura. All'epoca dei fatti di De Magistris e di Salerno-Catanzaro era enorme il peso di Achille Toro nell'Associazione Nazionale Magistrati. Tanto che l'ANM, quando la sua vicenda penale venne a galla, si limitò ad un ambiguo comunicato che stigmatizzava più gli inquirenti fiorentini che l'adepto infedele.
Grande amico di Achille Toro è l'onorevole Alfonso Papa, magistrato in aspettativa che in passato ha operato da fuori ruolo al Ministero della Giustizia, intessendo ottimi rapporti con soggetti come Luigi Bisignani, utili a spianargli la via ad un seggio parlamentare.
Al Ministero sedeva (e siede tuttora) a capo dell'Ispettorato Arcibaldo Miller, anch'egli magistrato fuori ruolo, che è incappato nella vicenda della cd. P3 (ma già siamo alla P4) ; era capo dell'ispettorato anche al tempi di De Magistris e della vicenda Salerno-Catanzaro. La P3, come a tutti noto, si occupava anche di sponsorizzare la nomina dei vertici di importanti uffici giudiziari (Alfonso Marra, alla Corte d'Appello di Milano) ed aveva rapporti di amichevole frequentazione con l'allora Presidente della Corte di Cassazione, in tale veste anche componente del CSM. Della Corte d'appello di Milano si è saputo, di altri uffici ancora no.
A dar credito alle prime notizie emerse sulla P4, dossieraggio e ricatto sono gli strumenti privilegiati dell'azione di una consorteria che avrebbe preso di mira anche l'attuale vice-presidente del CSM, Michele Vietti.
L'ispettorato del Ministero della Giustizia è un ufficio molto delicato perché di fatto (non di diritto, secondo la tesi che da sempre sosteniamo) mette il naso negli uffici giudiziari d'Italia perlustrando dall'interno inchieste piuttosto “sensibili”, solitamente riguardanti potenti del Paese. Può quindi svolgere indagini e chiedere al CSM la punizione dei magistrati.
Questo il ritratto di Arcibaldo Miller “dipinto” in una delibera del CSM che chiude una pratica aperta nel luglio del 2010:
"Da quanto sopra esposto appare evidente che il dott. Arcibaldo MILLER ha tenuto una condotta in aperta in violazione dei canoni di imparzialità e indipendenza in quanto:
· ha partecipato a riunioni nelle quali si esercitavano pressioni politiche anche illecite su organi di rilevanza costituzionale nell’esercizio della giurisdizione;
· ha posto il suo potere amministrativo a servizio di interessi di parte politici e affaristici.
In tal modo dimostrando incapacità di svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità.
Va tuttavia osservato che nella specie la procedura dell’art. 2 L.G. non sarebbe utilmente esperibile, dal momento che il ruolo ricoperto non è a disposizione del Consiglio Superiore della Magistratura.
Pertanto sotto tale profilo Il Consiglio,
delibera
l’archiviazione parziale della pratica, limitatamente alla posizione del dott. Arcibaldo MILLER, con restituzione degli atti alla Prima Commissione per il prosieguo dell’istruttoria.
Dispone altresì la trasmissione della pratica al Vice presidente per eventuali comunicazioni agli organi istituzionali, alla quinta ed alla terza commissione, per le valutazioni di loro competenza e per eventuale revoca dell’autorizzazione al fuori ruolo in quanto venuti a mancare i presupposti di interesse dell’amministrazione”.
Questa, invece, la “dura” presa di posizione del presidente dell'ANM (la stessa che aveva in precedenza chiesto l'intervento punitivo di Miller contro i colleghi di Salerno nella cui inchiesta già figuravano tra altri, Papa e Bisignani) del 7 luglio 2010, tratta da un'intervista rilasciata a La Stampa:
“... la situazione di chi è il capo degli ispettori di via Arenula è oggettivamente delicata. Chi riveste tale carica non può avere frequentazioni politiche che hanno come oggetto addirittura una sua eventuale candidatura politico-amministrativa. E' chiaro che il Ministro di Giustizia deve valutare e agire di conseguenza”.
Il Ministro, evidentemente e dal suo punto di vista, ha valutato ed agito di conseguenza lasciando al suo posto Arcibaldo Miller.
Orbene, voi direte, ma cosa ha fatto il CSM dai tempi della P3 e fino al tempo della P4?
Cosa ha fatto di concreto l'ANM per sollecitare l'allontanamento di Arcibaldo Miller da un ufficio tanto delicato per tutti i magistrati italiani?
Lascio che a rispondere sia il massimo filosofo che i tempi meritano, vale a dire Cetto La Qualunque: “Un emerito ... nulla!”.
Poche settimane per trasferire De Magistris e Clementina Forleo; pochi giorni per spazzare via l'intera procura di Salerno.
Nella desolante “melina” istituzionale sul caso Miller rivive l'amarezza delle parole di Ennio Flaiano. E, vista la vicinanza al potere - nella peggiore accezione possibile - di molti influenti magistrati, fa capolino il timore di un sistema giudiziario sotto ricatto in molte delle sue più delicate articolazioni.
Nicola Saracino
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