di Giuseppe Bianco
(Sostituto Procuratore della Repubblica di Firenze)
Edy Pinatto, dopo ben tre disciplinari per il ritardo degli otto anni, è stato destituito dalla magistratura.
La pena più severa .
Nulla da dire: gli argomenti del Procuratore Generale erano insuperabili. Otto anni sono una cosa grossa. Difficile giustificare.
Certo, nella sua requisitoria c’erano forse un po’ troppe condanne morali, troppi aggettivi.
Cose di cui tutto sommato non c’era bisogno, visto che il collega il proprio torto lo aveva ammesso.
Ci sono momenti in cui una parola in più guasta.
Quando l’altro si arrende, la spada si ferma.
Questione di misura, forse, di sfumature.
Ma il fatto c’era e non si discute.
Però – se è sicuramente giusta la condanna di Pinatto – possiamo chiederci se è giusta la condanna del SOLO Pinatto?
Ragioniamo.
Non c’è forse una norma di buon senso che – dai secoli dei secoli – consiglia di far fare le cose più difficili ai più esperti?
E la ragione di questa norma non è forse proprio quella di evitare che – messi a fare le cose più difficili – i più inesperti finiscano “nel pallone”, come ha detto lo stesso severo Procuratore Generale?
Domanda: ma in quella Gela di tanti anni fa, non c’erano giudici più navigati di Pinatto a cui affidare quel pesantissimo maxiprocesso?
Si sapeva da mesi che si sarebbe dovuto celebrare.
Perché non si chiese a tempo debito l’applicazione di giudici più anziani ed attrezzati, magari fuori distretto?
E’ davvero giusto un sistema che assiste indifferente al fatto che un simile dibattimento venga caricato sulle spalle di alcuni piccoli uditori?
Di queste omissioni, di questa indifferenza, di questa mancanza di governo delle cose – i cui effetti nefasti vediamo solo oggi – chi risponderà, chi mai chiederà conto a qualcuno, qualcuno che magari in questi anni continuava a far carriera mentre il povero Pinatto restava sempre più solo nel suo pallone?
Ma al di là di tutto questo, è giusta – ANCHE nel quantum – la stessa sanzione della rimozione?
Voi direte che è giusta e sacrosanta perché otto anni sono troppi.
Bene, forse la rimozione non è eccessiva in assoluto. Lo è però se rapportata ad altre decisioni del Consiglio: per caso, qualcuno si ricorda più della collega che disertava l’ ufficio per malattia e fu scoperta invece a fare crociere e regate in giro per i sette mari?
Cose di qualche mese fa.
In quel caso la rimozione non vi fu.
Pure, si trattava di cose odiose.
Cose che Pinatto, il timido, l’ impacciato, il ritardatario cronico; Pinatto, incapace di scrivere una sentenza per otto anni ma capace anche di stare fino a notte fonda in ufficio, anche di sabato, anche di domenica, per tentare disperatamente di spalare fascicoli su fascicoli, prontissimo a sostituire chiunque, a fare i turni di urgenza sempre e comunque – per testimonianza unanime di chi lo conosce bene – non avrebbe mai fatto.
Essere incapace di scrivere in tempo una sentenza è più grave, più odioso, più insultante che fare le cose della collega/velista?
E’ più pericoloso per la democrazia, per la salvezza del paese?
L’immagine della magistratura è offesa più dai deboli che dai velisti?
In tutto questo, qualcuno ci dica se su questa sentenza così severa ha inciso l’enorme pressione mediatica che si era creata.
Qualcuno ci dica se nella valutazione disciplinare si siano posti il problema dei precedenti o dell’uniformità dei giudizi.
E se si vorranno accertare altre responsabilità oltre a quelle di Pinatto.
Insomma, la condanna di Pinatto è giusta. Ma non giustissima.
E qualcosa manca nella nostra capacità di organizzare la macchina delle sentenze, che in larghissima misura dipende dalla politica, ma che in piccola dipende anche da noi.
Ed anche quella piccola, piccolissima parte è cosa importante.
Tanto importante che ora tutti dovrebbero chiedersi: ma se oggi – nell’ anno di grazia 2008, dopo dieci anni dai fatti – in una Gela qualsiasi ci si trovasse nella stessa situazione – un maxi processo alle porte e solo un pugno di uditori disponibili – si rifarebbe la stessa cosa? Si manderebbero ancora allo sbaraglio dei ragazzi o non piuttosto si cercherebbero giudici più navigati, magari in tutta la Sicilia?
E se oggi – certo, certissimamente – si farebbe così, perché così non si fece allora?
Insomma, il collega è stato mandato in campo ed ha perso la partita.
Ma dove erano gli allenatori? Dov’era il presidente? Dove i giornali? Dove i politici? Dove i censori di oggi?
Quali che siano le colpe di Pinatto – e non sono poche – il sistema che ora lo scomunica con ignominia è lo stesso che tanti anni fa assistette cinico ed indifferente alla sua sovraesposizione di povero ed ultimo uditore giudiziario.
Alla fine , questa condanna dà l’idea di una giustizia giusta e severa ma orba, che fulmina l’ultimo rimasto col cerino in mano ed altro non vuol sapere.
Qualcuno dirà che Pinatto non è stato l’unico ad essere mandato allo sbaraglio.
E’ capitato anche ad altri e di quegli altri molti se la sono cavata egregiamente.
Ma non siamo tutti uguali.
Alcuni di noi sono meno forti.
Occorre aspettare, lasciare maturare, fare crescere.
Ecco perché risponde a criteri di semplice saggezza essere graduali nelle prove, nelle fatiche.
Ecco perché quell’incredibile prova processuale DOVEVA essere sostenuta da magistrati più esperti.
La scena di questo ragazzo in ginocchio, da altri mandato allo sbaraglio, sicuramente colpevole non di mala fede ma delle sue gravi e invincibili debolezze, ormai oggetto dello scherno e del disprezzo di un intero stadio inferocito è una scena triste.
E’ la scena di una strega che stiamo bruciando sul rogo per nascondere i nostri demoni interiori.
Non c’è niente di edificante, niente di cui andare fieri.
Ecco perché occorre che ognuno di noi, almeno per un minuto, provi a mettersi dalla parte della strega.
E si chieda se davvero quella strega ha tutte le colpe.
Se non ci sia qualcosa di vero in quello che ha provato a dire, completamente sola, davanti allo stadio urlante.
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