da L’Unità del 19 marzo 2008Tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001. Due notti. Violenze, umiliazioni. Torture.
Genova 2001, l’orrore della casema di Bolzaneto: i manifestanti del G8, 55
«fermati» e 252
«arrestati». Ma quanti davvero con esattezza siano stati
«catturati»,
«identificati»,
«trattenuti»,
«curati», non è ancora possibile dirlo con assoluta certezza.
E’ la requisitoria dei pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati che hanno portato alla richiesta di condanna di 44 persone tra ispettori di polizia giudiziaria, funzionari di polizia, medici, per un totale di 76 anni di carcere.
Botte di tutti i generi, insulti razzisti, pestaggi anche «di arti artificiali».
«Trattamenti inumani e degradanti» secondo i pubblici ministeri. Che però al massimo sono riusciti a contestare il reato di abuso d’ufficio.
Perchè il nostro paese non prevede quello specifico di tortura – i magistrati parlando di Bolzaneto hanno evocato il riferimento alle «tecniche» di interrogatorio usate nella repressione dei tumulti in Irlanda negli anni Settanta – ed è inadempiente rispetto all’obbigo di adeguare il proprio ordinamento alla convenzione dell’Onu che pure abbiamo ratificato 20 anni fa.
Ed ecco perchè nel 2009 tutto sarà prescritto.
Ha detto in aula la dottoressa Pettruzziello: «Abbiamo visto che la tortura è stata molto vicina a Bolzaneto, si sono verificate una serie di sofferenze fisiche e morali continuate, dettate da due dei peggiori fini che la dottrina indica nei comportamenti disumani e degradanti, il fine di intimidazione e costrizione e quello di discriminazione».
E ancora: «E’ stato il segnale, Bolzaneto, di come questi fatti si possano verificare anche in ordinamenti democratici. Non c’è emergenza e non c’è giustificazione».
I manifestanti fermati «meritavano il rispetto dei diritti di una persona».
E proprio su questo hanno insistito i pm nella memoria di 1000 pagine presentata ieri in cui appunto ricalcano la requisitoria: «La più grave delle violazioni di legge posta in essere dai soggetti del cosiddetto livello apicale è senza dubbio quella che riguarda l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; questa norma infatti racchiude il principio fondamentale dell’inviolabilità della dignità dell’uomo, cui tutte le altre norme si richiamano». e.n.
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«Pestaggi e torture»: cronaca di un orrore.
Sette udienze, una mole di lavoro impressionante.
E’ la requisitoria dei pm di Genova su Bolzaneto che ricostruisce passo passo quei giorni: «Abbiamo 200 e rotte deposizioni, tutte precise, dettagliate, univoche e reiterate, gli avvenimenti sono descritti con precisione, in maniera dettagliata e con espressioni chiare e non equivocabili».
Il comitato d’accoglienza: «Facciamo come in Kosovo».
«Le persone offese ci hanno raccontato che all’uscita dai mezzi c’era un trattamento vessatorio: sputi, spintoni, insulti, insulti politici, e anche minacce, particolarmente gravi quando indirizzate verso donne e a sfondo sessuale «entro stasera vi facciamo tutte», «bisogna fare come in Kosovo».
Noi lo abbiamo chiamato il «comitato di accoglienza», era la ricezione di chi arrivava.
Ci sono descrizioni di calci, sputi, e altro.
Sono state descritte situazioni di attesa in questo piazzale, o contro il muro della palazzina, o contro la rete del campetto da tennis.
Ad es. tutto il gruppo degli arrestati alla Paul Klee vengono tenuti in piedi sotto il sole contro questa rete.
Altri ancora, ed è il caso di due arrestati della Diaz, contro un albero che era – lo abbiamo visto – nel piazzalino.
E dobbiamo cominciare a parlare della posizione in cui venivano spesso tenuti: in piedi, gambe divaricate, braccia alzate o lungo il corpo, faccia al muro.
Questa posizione è evidente che se imposta per un certo tipo di tempo comporta una sofferenza fisica, ed è evidentemente umiliante per chi la subisce.
L’abbiamo chiamata «posizione vessatoria di stazionamento o di attesa», per distinguerla dalla «posizione vessatoria di transito».
Abbiamo la testimonianza dell’infermiere Poggi che ci ha ricordato questa posizione, che ci hanno descritto anche molti arrestati, e ci ha detto che nel gergo della polizia penitenziaria veniva chiamata «la posizione del cigno». (Ranieri Miniati)
«1-2-3 viva Pinochet, 4-5-6 a morte gli ebrei».
«Nelle celle sono riferite percosse di vario tipo: manganelli, schiaffi, pugni, pugni guantati, calci, colpo sulla nuca per far sbattere la fronte contro il muro, tanto è vero che parecchi testimoni hanno ricordato di avere visto macchie di sangue sui muri della cella più o meno all’altezza delle teste. Poi abbiamo i lanci ... gli spruzzi di spray, sia il venerdì che il sabato, caso emblematico perché è ricordato da tutti, con lo spruzzo su LK, che si sente male, vomita, l’intervento di Toccafondi (medico responsabile della polizia penitenziaria), e poi di Perugini (ex numero due della Digos genovese) chiamato dai carabinieri.
Ma non è l’unico caso.
Oltre alle percosse abbiamo poi il riferimento a offese verbali, sia insulti che minacce: si va dalle frasi volgari che a una serie di insulti a sfondo sessuale che a sfondo politico: riferimenti allo stupro, per fortuna limitati alla minaccia, grazie a dio; riferimenti al Kosovo, alla spartizione delle prede; ingiurie politiche varie, l’obbligo di riferire frasi contro personaggi di sinistra, prese in giro su D’Alema, Bertinotti, Manu Chao, che farebbero ridere se non in quel contesto; alcune brutte se non insopportabili, come i continui riferimenti alla morte di Carlo Giuliani, il riferimento agli episodi di piazza ovvero alla morte di un membro delle ffoo e la necessità di pareggiare il conto, per fortuna non vero.
Addirittura il teste Giovannetti, che è stato citato dalla difesa, e certamente non è una persona vicina ai no-global, ci ha ricordato che mentre lui era a Bolzaneto si era sparsa la voce della morte di un poliziotto tanto che lui si adoperò per tranquillizzare le persone.
E ancora altri tipi di minacce politiche: filastrocche come quella di Pinochet “1-2-3 viva Pinochet, 4-5-6 a morte gli ebrei”, la suoneria con Faccetta Nera, abbiamo riferimenti continui al fascismo “viva il duce” “viva Mussolini”.
B. ricorda che mentre era al muro ricorda che era venuto un poliziotto che faceva il giochino: “Chi è lo Stato?” “La polizia” “Chi è il capo?” “Mussolini”.
Ancora peggio i riferimenti a Hitler, ai nazisti e agli ebrei.
F. ci ricorda un dialogo: “Per queste persone ci vorrebbe Mussolini” “Ma no, che Mussolini, ci vorrebbe Adolf e i suoi forni”. I “benvenuti ad Auschwitz”». (RM)
«Allora firma».
«All’interno dell’ufficio trattazione atti, le stanze nell’atrio, dove gli arrestati avrebbero dovuto firmare gli atti relativi al loro arresto. Ci hanno ricordato, anche gli stessi appartenenti dell’ufficio, che alcune volte erano gli agenti che andavano nelle celle, ma quasi sempre viceversa. Le persone hanno ricordato pressioni e atti violenti per firmare gli atti. Il caso tipico è della testimonianza di una ragazza a cui viene mostrata la foto dei suoi figli con la minaccia che se non firmava non li avrebbe visti tanto presto ... minaccia assai vile, tra l’altro». (RM)
Il piercing vaginale fatto rimuovere davanti a tutti.
«Poi due perquisizioni, una della polizia e una della polizia penitenziaria, una nell’atrio e una in infermeria.
Anche qui ricordo di oggetti gettati via a casaccio, piercing giustamente rimossi ma in maniera brutale e con minacce, oppure davanti ad altre persone.
E il caso della ragazza con il piercing vaginale, obbligata a rimuoverlo con le mestruazioni davanti a 4-5 persone». (RM)
AK, buttata a terra con una mascella rotta.
«Ma c’è di peggio: ci sono ricordati più episodi di violenza e percosse nel bagno. Tra cui AK che aveva una mascella rotta e che mentre sta facendo i suoi bisogni viene spinta a terra.
Poi abbiamo la mancanza di assorbenti per le donne, cosa ampiamente umiliante e vessatoria: viene ricordato il lancio di pallottole di giornale; addirittura la M. una persona con una certa età, madre, che ha dovuto strappare una maglietta e si è dovuta arrangiare». (RM)
I manganelli e la minaccia di sodomizzazione.
«Fortunatamente non abbiamo avuto casi di violenza sessuale, grazie a Dio, ma ci sono state minacce di violenza sessuale sia per le donne che per gli uomini, in molti casi allusivi con l’uso di bastoni o manganelli.
Ad es P. è in infermeria nudo e cominciano battute legate all’aspetto del suo membro, del suo aspetto fisico “carino il comunista, ce lo facciamo?”, fino alla minaccia di sodomizzazione».
La «testa rasata» entra in cella e prende tutti a calci.
«Iniziando dal venerdì 20 luglio abbiamo individuato BM, che ha deposto il 30.1.2006: abbiamo la data di arresto sul verbale, anche se non è segnata l’ora di arrivo a Bolzaneto, e l’ora di immatricolazione e di traduzione.
BM è arrestato il 20 luglio alle 16.40 ca, preso in carico alla 1.15 dalla matricola, e arriva al carcere alle 3.15.
Riferisce di essere arrivato a Bolzaneto e che di essere dovuto passare nel comitato di accoglienza in corridoio dove viene colpito con manganelli.
Viene messo in punta di piedi, fronte al muro, mani legate con laccetti dietro la schiena.
Ricorda che gli facevano sbattere la testa contro il muro.
Ricorda che arrivò una persona rasata con accento emiliano in cella e picchiò un po’ tutti con calci.
Ricorda di aver chiesto ma di non essere stato lasciato andare in bagno, ricorda la puzza di urina in cella e le macchie di sangue.
Era ferito, ricorda che gli viene dato un sacchetto bianco con del ghiaccio per metterla sull’occhio ferito, e dato che non poteva usare le mani doveva premere la testa contro il muro.
Sente rumore di accendino e le urla di un ragazzo.
Poi ricorda nella fase finale il passaggio in corridoio dove è preso a calci ed è costretto a dire “duce duce”». (RM)
In ginocchio, sputi addosso e versi di animali.
Passiamo a un’altra arrestata del venerdì ET: è arrestata il venerdì verso le 17.30, fa parte del gruppo del carrello di generi alimentari.
Ricorda di essere arrivata a Bolzaneto, ricorda i laccetti e le mani dietro la schiena, l’arrivo nel piazzale, gli sgambetti nel corridoio, ricorda una posizione in ginocchio in cella faccia al muro.
Ricorda di aver visto EP e FD in cella. Ricorda sputi e versi di animali, espressioni in lingua italiana che non capisce.
EP traduce per lei dal francese in italiano. Chiede di andare in bagno e un agente le dice di farsela addosso.
Viene accompagnata in bagno e viene percossa nel corridoio.
Riconosce l’agente che l’accompagna in bagno come una di quelle che la traduce, le fa sbattere la testa contro il muro. Un agente uomo le dice di lavarsi le mani e quando si avvicina al lavabo viene colpita a calci». (RM)
Spray in faccia due volte e poi bastonate.
«Ultimo arrestato del venerdì che esaminiamo è RA, quello che subisce lo spruzzo di spray e che deve essere decontaminato con una doccia e deve stare con una cappa.
Ricorda i lacci, di lamentarsi per i lacci.
Ricorda il passaggio all’ufficio trattazione atti dove chiede di fare una telefonata e riceve schiaffi.
Ricorda che qualcuno in ufficio trattazione atti si mette dei guanti e lo costringono percuotendolo a dire “sono una merda”.
Viene riportato in cella e deve rimettersi contro il muro. Entra un agente e gli spruzza in faccia per due volte il gas urticante, lui sta male, ricorda la doccia di decontaminazione e mentre la fa viene colpito a manganellate.
Ricorda il camice verde ospedaliero che deve mettere sotto la doccia. Poi viene riportato in cella». (RM)
All’operaio di Brescia: «Compagno, io t’ammazzo».
«PB operaio di Brescia che subisce quella vicenda in infermeria di minacce di sodomizzazione.
Indossa una maglietta nera con falce e martello gialla e con una scritta di Mao Tse Tung.
Questa maglietta fu l’inizio di una serie di guai, perché fu bersagliato per essa.
Ricorda nel cortile il primo commento “questo sì è un comunista con le palle”.
Ricorda peraltro anche cose positive: in tutti i suoi spostamenti viene accompagnato dal solito agente che cerca di ripararlo un po’.
Ricorda vari insulti, ricorda il trasferimento a testa china, minacce, percosse nei corridoi, chiede di andare in bagno ma non l’ottiene, ricorda l’odore di urina, ricorda che durante la perquisizione alcuni oggetti vengono buttati via, ricorda di essere stato colpito con colpi di manganello e di essere stato oggetto di una minaccia “compagno io ti ammazzo” e al suo girarsi di essere stato spruzzato con lo spray».
Saluti romani, «viva Mussolini» e «Heil Hitler».
«Passiamo proprio a HJ, citato da IMT: arrestato alla Diaz, ricorda uno spagnolo di nome J con delle fasciature, lui viene dall’ospedale e arriva a ponte x la domenica, e ricorda all’ingresso nel piazzale l’imposizione ad altri di fare il saluto romano e di dire “Heil hitler”.
Ha riferito del suo disagio per l’inconveniente di cui sopra, e di questa sua esigenza di lavarsi, e ricorda che gli agenti lo indicavano facendo il gesto di turarsi il naso.
Ricorda gli insulti e la stessa cosa che ricorda anche B., un inglese che non ha rapporti con HJ: tra i vari insulti ricorda l’imposizione del giochino “Chi è lo Stato?” “La polizia” “Chi è il capo?” “Mussolini”.
Ricorda il trasporto camminando chino, gli insulti alla morte di Carlo Giuliani, di essere andato in bagno con la porta aperta, ricorda AK con la bocca rotta, ricorda un’altra ragazza che aveva dei figli.
Ricorda perquisizione e situazione in infermeria: viene portato insieme a un altro, che lo riscontra, ricorda che all’altro viene tolta la cintura e lui viene minacciato con la cintura».
«Stai zitto, non sei un cittadino ma una merda».
«T. è uno dei pochi italiani transitati domenica, e ricorda di essere arrivato insieme a un inglese che aveva una gamba rotta, RM.
Ricorda che mentre era nel piazzale è stato irriso, e minacciato “comunisti per voi è finita”.
In cella doveva stare contro il muro e ricorda un’altra cella con le persone con le mani dietro la nuca.
Ricorda in cella un tedesco di nome T., uno spagnolo, e ricorda questi appelli che continuano a fare gli agenti, cosa riscontratissima, anche da parecchi appartenenti dell’ufficio trattazione atti che ricorda di aver dovuto fare l’appello degli arrestati più volte.
Ricorda di essere stato più volte insultato e paragonato a una capra.
Lui disse che fece un intervento dicendo “io sono un cittadino italiano e voglio essere rispettato”, e un agente alla presenza del medico disse “stai zitto non sei un cittadino, ma una merda”».
«Ne dovevamo ammazzare cento, te gusta el manganello?».
«Arriviamo a BSG, arrestata alla Diaz, arriva a Bolzaneto e ricorda una lunga attesa prima di essere introdotta in cella, ricorda l’etichettatura con il pennarello rosso sul viso, e che altri vennero etichettati in verde.
Al momento della perquisizione le sue cose vengono buttate a terra, insulti tipo “troia” e “puttana”, calci durante il transito in corridoio.
In cella ricorda alcune espressioni: “Ne abbiamo ammazzato uno, ma ne dovevamo ammazzare cento”, “faccetta nera”, “puttane”, “fate schifo”, “vediamo se Bertinotti e Manu Chao vengono a salvarvi” e poi la canzoncina di Pinochet, e anche una canzona di Manu Chao parafrasata in “te gusta il manganello”. Altri ricordano “te gusta la galera”».
Gli agenti, le «garanzie» e il senso di impunibilità.
«Una osservazione sui livelli di vertice: sicuramente loro non hanno materialmente svolto l’attività di vigilanza davanti alle celle, che è stato svolto da altri che noi abbiamo ascritto ad altro livello di responsabilità.
Ma a nostro avviso siccome i livelli di vertice di Bolzaneto erano ufficiali di PG e avevano il dovere di impedire la commissione di reato, erano anche responsabili dell’incolumità delle persone in stato di custodia: avevano l’obbligo di impedire che si verificassero o che continuassero a verificarsi una volta verificatesi.
Si è verificato un mancato doveroso intervento per impedire le azioni criminose.
Vi è stato ben oltre l’omissione di denuncia: in alcuni casi vi è stata anche quella, ed è sintomatico dell’atteggiamento doloso, ma vi è stato di più, con questa tolleranza delle condotte, che ha di fatto rafforzato la determinazione nello svolgere queste condotte nella convinzione dell’impunibilità».
«Brutto nano pedofilo buono per il circo».
«Poi arriviamo ad A. molto basso, ricordato da molti. Cosa dice A.: ricorda alcuni, come una persona più matura con nome tipo Dalla; ricorda di aver dovuto attendere alla rete del campo da tennis in piedi sotto il sole; ricorda l’ingresso; ricorda di aver dovuto stare in cella nella solita posizione; ricorda una serie di insulti che vengono ricordati da molti tipo “nano buono per il circo”.
Ripeto su questo punto i riscontri sono innumerevoli, dato che moltissime persone si ricordano di questi insulti.
Ricorda che a un certo punto si spruzzò del gas e una ragazza stette male.
Ricorda una persona con una gamba artificiale, TM, che di notte non riesce a mantenere la posizione, si siede e viene picchiato per questo.
Ricorda poi un episodio: lo accompagnano in bagno un po’ all’ultimo momento, e che il tempo che gli misero a disposizione per fare i bisogni non fu sufficiente e dovette rimanere non proprio pulito, e maleodorante, e quindi ulteriori derisioni.
Ricorda un altro episodio con decine di riscontri, e ce lo ricorda addirittura la deposizione dell’agente Astici: A. ricorda che a un certo punto fu accusato di essere un pedofilo, e questo fu fonte di preoccupazione e umiliazione; dal nano non profumato si passò al nano pedofilo».
«Farete la stessa fine di Maria “Sole”».
«KL è la ragazza del vomito. Viene arrestata in via Maggio, ricorda l’attesa vicino alla rete, la posizione vessatoria in cella, ricorda gli insulti “vi facciamo fare la stessa fine di Sole” (Maria Soledad Rosas, l’attivista arrestata nel ‘98 durante un’irruzione al centro sociale di Collegno con l’accusa di ecoterrorismo e poi impiccatasi, ndr), ricorda il cellulare faccetta nera, ricorda lo spruzzo, e il suo vomito di sangue, perdendo quasi i sensi.
Si riprende in infermeria dove c’è un dottore con la maschera che indossa una maglietta della polizia penitenziaria, robusto.
Si riprende, il dottore chiede di preparare un’iniezione e lei vuole sapere di che cosa si tratta.
Il dottore dice “non ti fidi di me?”, lei dice che non vuole fare l’iniezione, e ricorda la risposta “vai pure a morire in cella”».
La stanza dei manganelli e delle canzoncine.
«Capo 93: Ingiurie contro AK per averla derisa puntandole contro la bocca ferita il manganello e dicendole “manganello, manganello”.
AK: “Sono stata tre volte in questa stanza, c’erano cinque o sei persone, e la porta era sempre aperta; non si è presentato come dottore ma dall’abbigliamento si riconosceva, non so se era verde chiaro o bianco. Mi sono sdraiata sulla barella e il medico mi ha chiesto cosa fosse successo. Io gli ho fatto capire che c’era una ferita per un colpo, lui ha preso un manganello e lo ha avvicinato velocemente fermandosi prima di colpirmi, ha cantato una canzoncina “manganello, manganello”, gli altri intorno si sono messi a ridere con lui.
Aveva una quarantina d’anni, lui cantava e gli altri ridevano molto forte”.
Il diario clinico è firmato da Toccafondi (responsabile del servizio sanitario all’interno di Bolzaneto, per lui richiesti 3 mesi 6 giorni 25, ndr), che è presente e indossa un camice. L’identificazione è provata».
Il braccio rotto, ma nemmeno una lastra.
«Capo 97: contestazione di omissione d’atti d’ufficio a carico di Toccafondi.
La contestazione riguarda il rifiuto del ricovero di OK, atto dovuto in ragione della gravità delle lesioni di OK, frattura scomposta dell’ulna.
Esaminiamo il caso: arrestata alla Diaz, immatricolata alle 22.15 di domenica e posta in traduzione lunedì a mezzogiorno.
OK aveva fatto querela il 18 ottobre 2001: aveva precisato che in infermeria le avevano buttato le lenti a contatto nell’immondizia.
Ha testimoniato: «Avevo un braccio rotto, il gomito sinistro, colpi su entrambe le braccia, sulla schiena e sul collo, il braccio era in una posizione non normale, si vedeva che era rotto; credo che sul lato destro dell’infermeria vi fosse una scrivania, una donna e un uomo, l’uomo con i capelli grigi sul lungo con la faccia rossa e una cappa verde, la donna era bionda; io l’ho guardato e ho detto: “Frattura! frattura!”; la cosa è stata frettolosa, mi hanno dato una crema e una benda».
Poi ricorda un secondo passaggio in infermeria: «Era lunedì mattina verso le 11.00, mi sono dovuta spogliare, era un altro medico, i capelli neri, non magro, una polo scura, gli occhiali; c’erano due donne, mi sono dovuta spogliare e girare su me stessa; l’uomo mi ha chiesto se mi drogavo e se avevo problemi di salute; io ho detto “sì, sì, frattura” mostrando il braccio, lui ha alzato le spalle e non ha detto niente; avevo un ematoma sul collo e non riuscivo quasi a parlare ed ematomi sulle braccia”».
Chiedemmo se fosse stata rauca, e lei ha risposto di sì.
Questo perché nel diario clinico di Voghera era diagnosticata anche la raucedine, oltre il ricovero d’urgenza in ospedale per una frattura all’ulna non diagnosticata a Bolzaneto.
Il diario clinico è firmato da Bolzaneto.
Abbiamo sentito il dr Caruso. Circa la mancata diagnosi: “Una frattura scomposta può determinare ecchimosi e dismorfismo rilevabile anche senza esami radiografici”.
Sappiamo che il 328 al primo comma punisce il pubblico ufficiale che non procede a un atto dovuto per ragioni di sanità: prevede quindi un rifiuto e un atto indilazionabile.
Dal nostro prospetto delle presenze sappiamo che nella notte tra domenica e lunedì il dr. Toccafondi era l’unico presente».
Partono i pugni, e il medico non muove un dito.
«Capo 108: contestate ad Amenta (Aldo Amenta, medico in servizio a Bolzaneto, per lui chiesti 2 anni e 8 mesi, ndr) lesioni in concorso con Incoronato Alfredo (agente della polizia penitenziaria, ndr) in danno di LGLA.
L’episodio è già stato esaminato dalla collega sulla posizione Incoronato.
Sul pestaggio ha deposto anche Pratissoli (Ivano Pratissoli, infermiere quel giorno presente a Bolzaneto, ndr): “Ad un certo punto un agente è venuto dentro con un ragazzone, questo G. ero di fianco ... Il dr Amenta era seduto, ho visto questo agente che si è infilato i guanti, gli ha dato un pugno e il ragazzo si è appoggiato al tavolo.
Io ho chiesto lumi ad Amenta che ha detto che aveva offeso qualcuno di grosso.
Si è rialzato e lo continuavano a colpire.
Non c’era Poggi (Marco Poggi, altro infermiere in servizio a Bolzaneto, ndr) e gli ho detto “Oh Marco ma dove siamo capitati?”.
Amenta è sicuramente presente, è in servizio venerdì dalle 20 fino alle 8 di sabato mattina, proprio nella fascia oraria in cui transita in infermeria LGLA.
La condotta è in evidente concorso morale, confermando negli agenti la sensazione di impunità e che è una delle cause del trattamento inumano e degradante».
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