Pubblichiamo integralmente la memoria difensiva depositata dinanzi alla Sezione Disciplinare del C.S.M. da Luigi De Magistris nell’ambito del processo disciplinare conclusosi con sentenza del 18 gennaio 2008.
Con altro posto – a questo link – abbiamo pubblicato l’atto di incolpazione con tutti gli addebiti contestatigli e ai quali si fa riferimento (con le lettere maiuscole) in questa memoria, con l’indicazione di quelli per i quali è stato condannato e di quelli per i quali è stato assolto.
Nei prossimi giorni pubblicheremo commenti e approfondimenti per consentire anche ai “non addetti ai lavori” di farsi un’idea adeguata dell’accaduto.
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On. Sezione Disciplinare
Consiglio Superiore della Magistratura
ROMA
Oggetto: Proc. Nr. 94/2007 R.G..
Memoria difensiva
Con questa memoria – unitamente alla discussione del mio difensore – intendo dimostrare l’assoluta infondatezza delle incolpazioni contestatemi dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione.
La totale inconsistenza degli addebiti, a me “notificati”, in violazione del segreto d’ufficio, attraverso i mass-media e la stampa locale e nazionale – violazione dei doveri di segreto e riservatezza che ha caratterizzato diversi passaggi delle procedure pendenti innanzi al Ministero della Giustizia, la Procura Generale della Corte di Cassazione ed il CSM –, prima ancora che potessi avere cognizione ufficiale degli atti, non potrà che essere dimostrata in questa sede di merito.
Da un’analisi approfondita ed analitica delle vicende – senza fermarsi alla superficie delle “cose” e tenendo nel dovuto conto del contesto in cui ho operato e dell’immane lavoro da me svolto (come si può evidenziare anche solo da una approssimativa rassegna stampa) – non potrà che essere acclarata e dimostrata, da un Organo effettivamente imparziale, la correttezza del mio operato e la mia serietà e dignità professionale.
Ho sempre operato con amore profondo per questo mestiere, con passione, con abnegazione e dedizione senza limiti, scarificando affetti e vita personale, decidendo di lavorare in Calabria, terra in cui vi è una forte e radicata sete di giustizia, nell’esclusivo interesse dello Stato e della funzione che degnamente cerco di rappresentare.
Ho evidenziato, in particolare innanzi alla Procura della Repubblica di Salerno, Ufficio innanzi al quale ho effettuato numerosi verbali, tutti quegli elementi da cui si evincono anomalie, illegittimità ed illegalità che hanno contraddistinto alcune delle attività svolte nei miei confronti all’evidente fine di danneggiarmi, ostacolarmi ed impedire che potessi condurre a termine il mio lavoro, nonché a favorire condotte di indagati in procedimenti a me assegnati, da ultimo anche alcune “pilotate campagne mediatiche” finalizzate a screditarmi e “dipingermi” anche quale soggetto sovversivo delle istituzioni democratiche di questo Paese.
Sono convinto, come più volte segnalato sia all’Ispettorato che alla Procura Generale della Corte di Cassazione, che le contestazioni disciplinari siano strettamente connesse all’accertamento dei fatti in sede penale e non ritengo che si possano definire le mie vicende disciplinari senza avere compiuta contezza delle verifiche scrupolose e delicate in corso in sede penale.
Ritengo, pertanto, che qualora codesta Sezione Disciplinare non intenda attendere l’esito delle indagini preliminari pendenti presso la Procura della Repubblica di Salerno, proceda, quanto meno, all’audizione dei magistrati che si occupano delle vicende in cui risulto indagato o esponente o persona danneggiata o persona offesa per avere un quadro quanto più completo della situazione anche con riferimento alle infondate incolpazioni. Qualora nemmeno si ritenga di procedere a quanto da me richiesto, si acquisiscano, almeno, le trascrizioni delle audizioni dei magistrati della Procura della Repubblica di Salerno che si terranno – da quanto appreso dalla stampa – in data 9 gennaio innanzi alla 1^ Commissione con riguardo alla pratica pendente nei miei confronti (del resto, atti di tale Commissione sono già confluiti nel procedimento disciplinare di cui all’oggetto).
Con riferimento alle imputazioni di cui all’atto di incolpazione di codesta Sezione del 14.12.2007 segnalo quanto segue.
In ordine alla contestazione di cui al capo A) evidenzio:
Infondatezza dell’addebito. Con la nota di trasmissione del 30.3.2007 indirizzata al Procuratore della Repubblica di Salerno con la quale inviavo il procedimento penale nr. 1217/2005 indicavo le ragioni per le quali ritenevo doveroso che l’incarto fosse immediatamente messo nella disponibilità dell’autorità giudiziaria competente ai sensi dell’art. 11 c.p.p.. Successivamente, sentito dal Procuratore della Repubblica di Salerno, quale esponente, ho rappresentato, nei dettagli, ulteriori ragioni che consigliavano, forse addirittura imponevano, di non consentire al Procuratore della Repubblica ed al Procuratore Aggiunto – entrambi co-assegnatari del fascicolo – di entrare nella disponibilità materiale dello stesso. Ho evidenziato anche le ragioni che ancora oggi fanno ritenere i motivi di connessione tra fatti oggetto di indagini pendenti presso la Procura della Repubblica di Salerno e fatti oggetto di investigazioni pendenti presso la Procura della Repubblica di Catanzaro. Ritenevo e ritengo il provvedimento del Procuratore della Repubblica dr. Lombardi illegale e volevo evitare che egli reiterasse la condotta – anche vanificando le indagini in pieno svolgimento - in particolare venendo a conoscenza del contenuto di atti che riguardavano lui direttamente, oppure il figlio della moglie, e lo stesso indagato Avv. Pittelli, nei confronti del quale era emerso, in particolare, la condotta, che ritengo penalmente rilevante, circa la “fuga di notizie” del maggio 2005 che ha compromesso in modo molto serio l’esito delle perquisizioni.
Da quanto segnalato alla Procura della Repubblica di Salerno – circa il coinvolgimento in fatti penalmente rilevanti del Procuratore della Repubblica dr. Lombardi e del Procuratore Aggiunto dr. Murone, entrambi coassegnatari del procedimento Poseidone - codesta Sezione non potrà che prendere atto che, in quel contesto di gravi collusioni, che ha visto poi protagonista anche il dr. Dolcino Favi, la scelta di investire il Procuratore della Repubblica di Salerno era atto, se non obbligato, decisamente opportuno.
Credo che non posso essere sanzionato con riferimento a tale capo se prima, almeno, non si acquisiscano adeguate informazioni dalla Procura della Repubblica di Salerno circa gli accertamenti eseguiti a seguito delle mie dichiarazioni.
In ordine alla contestazione di cui al capo B) evidenzio:
Infondatezza dell’addebito. Si tratta di decreto di perquisizione particolarmente motivato in cui tutti gli elementi ivi indicati rappresentavano i fatti allo stato da contestare agli indagati, nonché le fonti di prova poste alla base del provvedimento emesso. Decisi di effettuare una discovery ampia per consentire agli indagati di conoscere subito le contestazioni e le fonti di prova, per garantire loro di potersi difendere immediatamente in modo compiuto, così come rappresentai allo stesso Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Potenza al momento dell’esecuzione dell’atto da me curato personalmente unitamente alla polizia giudiziaria. Ricordo perfettamente che rappresentai al dr. Tufano le ragioni dell’articolata motivazione sostenendo che si trattava degli elementi fino ad allora raccolti e che mi sembrava corretto consentire alle persone coinvolte, tenuto anche conto del ruolo istituzionale ricoperto, di difendersi punto per punto.
Nella mia esperienza professionale, non più breve, pensavo bisognasse eventualmente difendersi da addebiti con riferimento a provvedimenti privi di motivazione e non certo per atti con motivazioni troppo articolate. Certo ogni scelta è opinabile, criticabile, impugnabile nelle sedi giurisdizionali, forse in questo caso vi è stato uno zelo per esigenze di garanzie, ma non credo certo si tratti di un provvedimento abnorme.
Non mi risulta, contrariamente a quanto sostenuto dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione nell’atto di incolpazione, che il decreto di perquisizione nei confronti del dr. Tufano sia stato annullato dal Tribunale del Riesame (ricordo solo a me stesso, comunque, che le perquisizioni non si annullano, semmai i sequestri effettuati a seguito delle perquisizioni: probabilmente si tratta di meri refusi in cui si sono imbattuti sia il Ministro della Giustizia che il Procuratore Generale della Corte di Cassazione).
Non è vero che non vi sia adeguata motivazione sulla pertinenza così come indicato nelle imputazioni formulate dall’Ispettorato del Ministero della Giustizia. Un’attenta e non superficiale lettura dell’atto fa evidenziare l’esatto contrario, si tratta di provvedimento motivato anche con riguardo alla pertinenzialità della motivazione e delle cose da ricercare. Sul punto è sufficiente ricordare, a mero titolo esemplificativo, a dimostrazione della correttezza dell’operato dell’Ufficio, che nel verbale analitico di sequestro espletato all’esito della perquisizione al dr. Tufano, alla sua costante presenza, sono stati indicati gli atti acquisiti con riferimento al decreto di perquisizione e nessuna obiezione è stata sostanzialmente evidenziata con riferimento alla pertinenza del materiale appreso. E’ sufficiente leggere il verbale di perquisizione e sequestro per rendersi conto del modo con cui hanno operato il PM e la Polizia Giudiziaria.
Con riferimento all’annullamento del Tribunale del Riesame si evidenzia che solo un indagato – l’Avv. Labriola – ha presentato istanza di riesame e che, quindi, gli altri indagati hanno ritenuto di prestare acquiescenza al provvedimento e non sottolineare alcuna censura nella fase incidentale del procedimento penale. Non posso che rilevare che è nell’essenza stessa della “vita” del procedimento penale che un provvedimento possa essere annullato, confermato o riformato. Potrei dire che spesso la Corte di Cassazione ha accolto miei ricorsi contro decisioni del Tribunale del Riesame di Catanzaro (da ultimo il mio ricorso, proprio nel procedimento penale cd. toghe lucane, contro l’annullamento da parte del Tribunale del Riesame dei sequestri successivi alle perquisizioni, nei confronti degli indagati dr.ssa Genovese e dott. Cannizzaro), così come altre volte la stessa Suprema Corte ha respinto miei ricorsi: mi sembra assolutamente ovvio tutto questo.
Non corrisponde al vero la circostanza che vengono richiamati procedimenti penali sforniti di qualsivoglia attinenza ai reati ipotizzati (ogni elemento indicato nel decreto aveva ed ha una valenza indiziaria, salvo che gli organi disciplinari non vogliano sostituirsi al giudice naturale per legge, peraltro ad indagini in pieno svolgimento) e quindi, di conseguenza, alcuna illegittima diffusione di atti d’indagine vi è stata.
Non vi è stata violazione del diritto alla riservatezza in quanto quest’Ufficio ha ritenuto di inserire le dichiarazioni di Magistrati del distretto della Corte d’Appello di Potenza che hanno fatto propalazioni che, a loro dire, anche con riferimento alla indicata relazione extraconiugale, servivano a comprendere compiutamente la ricostruzione dei fatti-reato per cui si procedeva e l’andamento di alcuni processi. Non è questo il caso di pubblicazioni, ad esempio, di stralci di intercettazioni dal contenuto privato e personale che non sono di alcun rilievo penale, si tratta, invece, di dichiarazioni di un magistrato del Tribunale di Potenza che sono state da lui rilasciate, con assunzione di responsabilità, con riferimento a condotte criminali che quest’Ufficio stava ricostruendo, con particolare riguardo a rapporti tra magistrati ed esiti di processi penali.
In ordine alla contestazione di cui al capo C) evidenzio:
Infondatezza dell’addebito. Non corrisponde al vero la circostanza di non avere informato il Procuratore della Repubblica, al quale riferii, invece, che mi sarei recato in Potenza ad espletare le perquisizioni ed al quale feci anche avere copia del decreto di perquisizione. Dissi al Procuratore che non ritenevo necessaria la sua firma in quanto il fascicolo, come d’intesa, era sempre seguito direttamente da me personalmente e, quindi, entrambi concordavamo sulla necessità che lo tenessi informato degli atti più delicati e che egli intervenisse, formalmente, solo ove necessario. Non ha mai manifestato obiezioni rispetto al mio operato.
In ordine alla contestazione di cui al capo D) evidenzio:
Infondatezza dell’addebito. Devo rilevare che la contestazione non corrisponde a verità. Informai il Procuratore della Repubblica non solo del decreto di sequestro di urgenza che egli firmò, ma anche delle perquisizioni che sarebbero state svolte e gli dissi che mi sarei recato personalmente in Basilicata per l’esecuzione. Mi fece anche i complimenti per come avevo redatto gli atti e mi disse che apprezzava molto la circostanza che mi sarei recato personalmente ad espletare la perquisizione al Procuratore della Repubblica di Potenza dr. Galante. Dissi anche al Procuratore che dal momento che seguivo direttamente le indagini avevo ritenuto non necessaria la sua firma in calce ai decreti di perquisizione ed egli mi disse che condivideva tale mia decisione e che era sufficiente che lo avessi informato.
Il Procuratore della Repubblica fu informato anche del fatto che avrei proceduto all’interrogatorio della dr.ssa Genovese che, poi, espletammo anche insieme. Parimenti il Procuratore della Repubblica è stato informato di tutti gli atti aventi ad oggetto la dr.ssa Genovese ed il dott. Cannizzaro.
Del resto non posso che prendere atto che, recentemente, gli organi di stampa hanno riportato una sua dichiarazione – mai smentita – che egli non era stato informato dell’iscrizione del Presidente del Consiglio dei Ministri Prof. On. Romano Prodi nel registro degli indagati, quando invece vi è la sua firma in calce. Bisognerebbe capire a questo punto e la fase del merito serve anche a questo perché si vuol far credere che io non abbia informato il Procuratore della Repubblica.
Con riferimento al punto 2 evidenzio, altresì, che la Corte di Cassazione ha annullato le ordinanze del Tribunale del Riesame di Catanzaro emesse nei confronti degli indagati dr.ssa Genovese e dott. Cannizzaro e “puntualmente” utilizzate a fondamento delle incolpazioni formulate nei miei confronti.
In ordine alla contestazione di cui al capo E) evidenzio:
Infondatezza dell’addebito. Nell’ambito del procedimento penale nr. 2350/2003 R.G.N.R. avevo depositato nel 2005 una richiesta di misura cautelare nei confronti di decine di indagati per reati molto gravi (in particolare associazione per delinquere, traffico di droga, riciclaggio di autovetture, ed altro). Il Gip al luglio del 2006 non aveva in alcun modo evaso la richiesta ed anzi per un certo periodo il fascicolo non ha avuto nemmeno un giudice titolare del procedimento; sul punto vi è stato anche un carteggio tra la Procura ed il Tribunale, tenuto conto della gravità dei fatti contestati e della pericolosità sociale dei soggetti indagati. Addirittura risulta, da quanto segnalatomi dalla polizia giudiziaria, che ad un certo punto presso quell’Ufficio non trovavano nemmeno più i numerosi faldoni costituenti il procedimento penale. Ricordo che dopo molti mesi dal deposito della richiesta di misura cautelare, nel giugno del 2006, la polizia giudiziaria mi prospettò forte preoccupazione con riferimento alla mancata pronuncia del giudice per le indagini preliminari, tenuto conto che persone pericolose rimanevano in libertà e continuavano a reiterare condotte criminose gravi. La Squadra Mobile della Questura di Catanzaro mi depositò un’informativa suppletiva, nel maggio del 2006, in cui si evidenziava l’attualità della pericolosità di soggetti per i quali vi era stata richiesta custodiale, il pericolo di reiterazione delle condotte criminose ed anche il pericolo di fuga: mi prospettarono, ad esempio, che addirittura una delle persone per le quali avevo richiesto la custodia cautelare in carcere si era, nelle more della decisione del giudice, reso autore di un gravissimo tentato omicidio. Decisi, quindi, unitamente alla polizia giudiziaria, di procedere al fermo. Il provvedimento fu eseguito in tutto il territorio nazionale e riguardava circa 80 persone. Nel circondario di Catanzaro furono eseguiti oltre 20 provvedimenti restrittivi. Nel rispetto delle 48 ore previste per la richiesta di convalida del provvedimento chiesi al GIP di emettere la misura cautelare. Per mero errore materiale, probabilmente per l’immane lavoro che pende presso il mio Ufficio, non certo per superficialità, ho dimenticato di indicare la dicitura “richiede la convalida” indicando solo che si chiedeva la misura cautelare (ma dal corpo della motivazione era evidente la natura dell’atto emesso). Che si tratti di errore meramente materiale è evidente, come l’Ufficio prospettò in una nota inviata al GIP alle ore 11.30 del 14.7.2006. Del resto non poteva che essere una richiesta di convalida del fermo del PM, in quanto la richiesta di misura cautelare già giaceva da tempo al Gip ed entro le 48 ore il PM – la stessa persona fisica, tra l’altro, che ha emesso il fermo – non poteva che con quell’atto chiedere la convalida. La logica e il buon senso, prima ancora che il diritto lo dimostrano. Che senso aveva non chiedere la convalida nelle 48 ore ma solo la misura che già era stata richiesta? Il Gip ritenne di far caducare il provvedimento, in quanto la Procura non aveva chiesto, tempestivamente, la convalida. Fu emesso dalla Procura della Repubblica – con provvedimento ovviamente anche a firma del Procuratore della Repubblica - un nuovo provvedimento di fermo per evitare che, a causa di un “cavillo”, potessero acquistare la libertà persone indagate per fatti gravi. Fu, quindi, richiesta, la convalida e l’applicazione della misura cautelare ed il GIP del Tribunale di Catanzaro, nel merito, non accolse la richiesta di applicazione della misura, se non per pochi indagati. E’ da dire, a questo punto, che numerosi altri GIP che si erano pronunciati su tutto il territorio nazionale con riferimento a circa altri 50 indagati avevano, nella quasi totalità, emesso misura custodiale evidenziando gravità indiziaria ed esigenze cautelari. Ho fatto, quindi, appello al Tribunale del Riesame che ha accolto, quasi integralmente, le mie richieste, con motivazioni dalle quali si evince come fossero assolutamente non condivisibili, nonchè illogici, i provvedimenti del GIP di Catanzaro.
In ordine alla contestazione di cui al capo F) evidenzio:
Infondatezza dell’addebito. Non ho mai sollevato sospetti non suffragati da elementi probanti. Del resto la sede istituzionale deputata per rappresentare compiutamente fatti aventi rilevanza penale è la Procura della Repubblica di Salerno, ove ho compiutamente rappresentato – formalmente sin dal 13.3.2007 – circostanze che ritengo di indubbio rilievo penale. Sarebbe stato sufficiente acquisire dalla Procura della Repubblica di Salerno la relazione del CTU dr. Gioacchino Genchi posta a fondamento della trasmissione, in data 13.3.2007, del fascicolo mod. 44 per rilevazione di segreto d’ufficio in cui appare evidente il coinvolgimento di magistrati del distretto della Corte d’Appello di Catanzaro; nonché l’esposto da me inviato, in pari data, in cui rappresento la grave situazione in cui mi sono trovato ad operare. In sede di numerose escussioni successive innanzi al Procuratore della Repubblica di Salerno ho evidenziato, in modo compiuto, le ragioni per le quali diffidavo della riservatezza del Procuratore della Repubblica dr. Lombardi ed anche del Procuratore Aggiunto dr. Murone, con riferimento, in particolare, ad alcuni indagati e persone coinvolte nell’attività d’indagine. Ho anche evidenziato il coinvolgimento, nell’attività messa in atto in mio danno e dell’attività che stavo svolgendo, del Procuratore Generale FF dr. Dolcino Favi. Solo a mero titolo esemplificativo, per far comprendere la gravità della situazione, è emerso che il figlio dell’attuale moglie del Procuratore della Repubblica sia socio dell’Avv. Pittelli in una società costituita nell’ottobre del 2006; nonché il Procuratore – nella citata consulenza – appare persona coinvolta nella gravissima fuga di notizie avvenuta nel maggio del 2005 nell’ambito del procedimento penale cd. Poseidone (nr. 1217/2005 mod. 21) che compromise, quasi del tutto, l’attività investigativa finalizzata all’acquisizione di documentazione. Circa la capacità dell’Avv. Sen. Pittelli di intrattenere rapporti anche illeciti con magistrati in servizio a Catanzaro ho rappresentato – e sul punto sto ancora dichiarando – fatti precisi e di rilevanza penale, coperti dal segreto, innanzi al Procuratore della Repubblica di Salerno.
Ritengo che i fatti segnalati alla Procura della Repubblica di Salerno siano decisivi, da un lato, per dimostrare la correttezza del mio operato e l’infondatezza degli addebiti che mi sono stati mossi anche nelle sedi disciplinari, dall’altro per ricostruire la “fitta rete collusiva” che è stata realizzata per ostacolare in modo determinante le indagini da me dirette.
Come rappresentato al Procuratore della Repubblica di Salerno, ed a mero titolo esemplificativo, non vi è dubbio che vi sia stata interferenza da parte del Procuratore Aggiunto dr. Murone, dal momento che il suo nome è stato fatto dalla principale testimone del procedimento penale nr. 2057/2006 mod. 21 (cd. indagine why not) e che emerge nella documentazione acquisita all’esito delle perquisizioni. Debbo rappresentare che anche il nominativo del Procuratore della Repubblica emerge nella predetta indagine con particolare riferimento ad un’intercettazione dalla quale si evincerebbe la sua abituale frequentazione con persone coinvolte nell’attività investigativa in corso ed è anche per questo che non potevo fornire dettagliate informazioni al Procuratore della Repubblica. Con riferimento alla mancata iscrizione del dr. Murone e del dr. Cisterna si evidenzia che, con riferimento al primo, la competenza è della Procura della Repubblica di Salerno, con riguardo al secondo era in corso attività di accertamento preliminare (particolarmente delicata), che non imponeva l’iscrizione del collega, che doveva rimanere riservata e che, invece, è divenuta di disponibilità anche di Uffici che non dovrebbero avere cognizione del contenuto delle indagini preliminari in corso. Con riferimento al dr. Cisterna non ho parlato, comunque, di interferenze.
Non vi è dubbio che durante queste indagini così delicate mi sono in alcuni casi trovato innanzi alla scelta: informare il Procuratore della Repubblica e/o il Procuratore Aggiunto della Repubblica con la consapevolezza che gli stessi intrattenevano rapporti di apparente illiceità con persone coinvolte nelle indagini, e che comunque avevano dimostrato con comportamenti concreti di non “gradire” le attività investigative in corso, quindi notiziarli e rischiare una probabile contestazione per concorso in violazione di segreto d’ufficio, quanto meno colposo, oppure salvaguardare le inchieste e mettere in conto un procedimento disciplinare nel quale però avrei potuto adeguatamente rendere conto delle ragioni della mia condotta.
Ritengo anche su tale punto necessario sentire i Magistrati della Procura della Repubblica di Salerno, in particolare con riguardo ai fatti di rilievo penale che ho narrato e documentato con riferimento alle condotte messe in atto dal Procuratore della Repubblica dr. Lombardi, da Procuratore Aggiunto dr. Murone e dal Procuratore Generale ff Dr. Dolcino Favi.
Ritengo nella sede penale di avere illustrato, compiutamente, non solo la correttezza del mio operato, ma anche le evidenti ragioni che mi imponevano di non coinvolgere i magistrati co-assegnatari in quanto emergevano elementi di un loro coinvolgimento in fatti collusivi gravi.
In ordine alla contestazione di cui al capo G) evidenzio:
Infondatezza dell’addebito. Il provvedimento di iscrizione in quella forma è stato adottato per garantire la più assoluta riservatezza: sia per la “penetrabilità” di “intranei” infedeli o di “estranei” presso il R.E.G.E. – tenuto anche conto della capacità dell’Avv. Pittelli di apprendere notizie presso gli uffici giudiziari di Catanzaro, come ho rappresentato alla Procura della Repubblica di Salerno – sia in quanto stavano emergendo, come rappresentatomi dai CTU, elementi di collegamento tra il predetto ed il Procuratore della Repubblica dr. Lombardi. Così come notori erano i “contatti” tra l’Avv. Pittelli ed il Procuratore Aggiunto dr. Murone. E’ ovvio che se non mi fosse stata revocata la designazione del procedimento penale nr. 1217/2005 mod. 21, venute meno le ragioni della “inusuale” secretazione, avrei provveduto a seguire il percorso “ordinario” di iscrizione. Non ritengo assolutamente che l’atto non avesse effetti giuridici, tanto è vero che avevo anche indicato, nel corpo del provvedimento, che la decorrenza dei termini sarebbe stata dal giorno di emissione dello stesso. Non appena iscritto al R.E.G.E., venute meno le ragioni di riservatezza, la decorrenza dei termini sarebbe stata a far data dal 31.1.2007. La certezza della data di iscrizione si evince anche dalla creazione dell’atto nel sistema informatico: un accertamento sul punto rileverebbe il giorno esatto in cui è stato formato il provvedimento. Non vi è stata alcuna lesione dei diritti degli indagati, vi è stato solo lo scrupolo massimo di evitare che gli stessi fossero messi a conoscenza delle indagini pendenti a loro carico: l’Avv Pittelli lo avrebbe saputo con altissima probabilità, così come avvenuto nel maggio del 2005, soprattutto se dell’attività investigativa in svolgimento sarebbero stati messi a conoscenza il Procuratore della Repubblica ed il Procuratore Aggiunto della Repubblica. Comportarmi in modo diverso – alla luce soprattutto dei rapporti emersi tra il Procuratore della Repubblica dr. Lombardi e l’Avv. Pittelli – mi avrebbe esposto all’obiezione di agevolare la conoscenza di informazioni riservate pur consapevole del “collegamento” del Pittelli con i magistrati prima citati, nonché della sua capacità di “penetrazione” negli uffici giudiziari di Catanzaro.
In ordine alla contestazione di cui al capo H) evidenzio:
Infondatezza dell’addebito. L’iscrizione vi era stata, con le modalità indicate con riferimento alle giustificazioni di cui sopra. Comunicare il dato agli altri magistrati co-assegnatari significava informare – con altissima probabilità – gli indagati (Cretella è difeso, tra l’altro, dall’Avv. Pittelli). La circostanza che abbia registrato condotte, poi ritenute anche penalmente rilevanti, da parte del Procuratore della Repubblica dr. Lombardi e del Procuratore Aggiunto dr. Murone, mi hanno imposto il massimo della cautela, onde evitare, come è avvenuto nel maggio del 2005 nell’ambito della stessa indagine preliminare cd. Poseidone, che gli indagati venissero a conoscenza dell’attività svolta nei loro confronti, con particolare riferimento all’avv. Pittelli, alquanto “legato” al dr. Lombardi ed al dr. Murone.
In ordine alla contestazione di cui al capo I) evidenzio:
Infondatezza dell’addebito. Non si può contestare l’omissione di cautele idonee dal momento che numerose persone erano a conoscenza degli atti giudiziari da compiere. In particolare, dell’informazione di garanzia emessa nei confronti di Luigi Bisignani erano di certo al corrente il personale della mia segreteria, i consulenti, la polizia giudiziaria. Con riguardo all’iscrizione del Presidente del Consiglio dei Ministri il dato era conosciuto al personale di segreteria che ha effettuato gli adempimenti relativi, al personale di polizia giudiziaria, al Procuratore della Repubblica dr. Lombardi il quale, poco dopo l’avvenuta iscrizione, mi disse anche di aver avuto un colloquio con un giornalista di “Panorama”. Con riferimento alle notizie pubblicate sul settimanale “Panorama” n. 28 del 12.7.2007 evidenzio che vi era stato il decreto di perquisizione eseguito nel giugno 2007 in cui erano riportati fatti che coinvolgevano persone vicine al Presidente del Consiglio dei Ministri e, comunque, del contenuto delle indagini erano al corrente anche i miei consulenti e la polizia giudiziaria delegata.
Infondata è anche la contestazione relativa alla trasmissione del decreto di perquisizione al Cap. Zacheo. In primo luogo la trasmissione è avvenuta dopo la notifica delle perquisizioni, quando l’atto era già nella disponibilità di indagati e difensori. Copia del decreto mi fu richiesta dall’Ufficiale dell’Arma il quale, ricordo, si rammaricò anche del fatto che non glielo avessi fatto avere prima, in quanto egli, comunque, ha svolto indagini nell’ambito del procedimento penale cd. Toghe Lucane. Se poi l’Ufficiale l’abbia inviato ad altri è fatto che non può essermi attribuito. Ricordo solo, a dimostrazione della correttezza assoluta del mio operato, che, mi pare proprio l’8 giugno, il giornalista del “Corriere della Sera” Carlo Vulpio venne a Catanzaro e mi chiese se potevo dargli copia del decreto di perquisizione, dal momento che erano venute meno le ragioni del segreto essendo stato il provvedimento eseguito. Pur avendone, ovviamente, in Ufficio sia la copia cartacea che quella informatica, gli dissi che non potevo dargli nulla.
Intendo chiarire che ho rapporti cordiali – così come tantissimi magistrati - con molti giornalisti che ho conosciuto in questi anni. I miei rapporti sono sempre stati di natura professionale, corretti, non ho mai dato loro notizie coperte da segreto o anche solo caratterizzati dal crisma della riservatezza. Con alcuni di loro – avendo ormai da anni o mesi seguito tutte le mie inchieste – si è ovviamente anche instaurato un rapporto più cordiale che non ha mai travalicato, però, i limiti imposti non solo dalla normativa vigente ma nemmeno dal codice etico approvato dall’associazione nazionale magistrati.
Anche con riferimento alle incolpazioni aventi ad oggetto “fughe di notizie” e rapporti con la stampa ritengo necessario sentire i magistrati della Procura della Repubblica di Salerno in quanto in quella sede, in numerosi verbali, ho evidenziato come io ed il mio ufficio siamo stati danneggiati da condotte non certo a me attribuibili, nemmeno sul piano disciplinare.
E’ comunque, sorprendente, che si possa attribuire una contestazione disciplinare ad un magistrato con riferimento a presunte violazione del segreto investigativo senza che si accerti una sua eventuale responsabilità in tali fatti. Una scrupolosa istruttoria avrebbe acclarato come io stesso e le indagini da me dirette siamo rimasti, in realtà, vittime delle “fughe di notize”.
In ordine alla contestazione di cui al capo L) evidenzio:
Infondatezza dell’addebito. Non ho mai avuto un rapporto disinvolto con la stampa ed i mezzi di comunicazione. Non ho mai parlato di procedimenti penali in corso, se non quando autorizzato dal Procuratore della Repubblica. Non ho mai violato i doveri di riservatezza con riferimento alle indagini preliminari in corso. Non ho mai divulgato il contenuto di atti giudiziari sottoposti al segreto d’ufficio. Non ho mai utilizzato canali informativi personali privilegiati. Ho rilasciato talune dichiarazioni – come ho detto anche al Consiglio Superiore della Magistratura in sede di audizione il 29 ottobre – in quanto sono accaduti fatti gravi ed anche in parte per “legittima difesa” tenuto conto dell’attività messa in atto ai miei danni, come segnalato puntualmente al Procuratore della Repubblica di Salerno, senza che nessun attività di “tutela” sia mai stata messa in atto né dall’ANM, né dallo stesso CSM. (sul punto ho atteso, invano, per tanti mesi che ci si occupasse in modo serio di quello che stava accadendo in Calabra “ai margini” dei procedimenti di cui mi occupavo).
Non ho mai riferito al quotidiano “IL GIORNALE” fatti oggetto di indagini in corso, né ho mai fatto riferimento a soggetti coinvolti. Che vi fosse la volontà di togliermi le inchieste è dire qualcosa che in realtà è avvenuto; che “vogliono fermarmi” è qualcosa che un po’ tutti in Calabria - ed in gran parte del Paese - hanno compreso. Che mi vogliono sottrarre le inchieste purtroppo è vero (come è accaduto, a mio avviso illegittimamente, sia nel procedimento cd. Poseidone con la revoca della designazione da parte del Procuratore della Repubblica, sia nel procedimento cd. Why Not attraverso l’avocazione del Procuratore Generale della Repubblica), che vogliono fermarmi purtroppo anche è vero (è sufficiente far riferimento, a mero titolo esemplificativo, alla richiesta del Ministro della Giustizia il cui nominativo compare, tra l’altro, in una delicata inchiesta di cui “ero” titolare e con riferimento alla quale l’ispettorato del Ministero della Giustizia ha continuato a porre domande reiterate, pur nella sussistenza del segreto investigativo). Ritengo che vi sia il diritto-dovere, in particolare da parte di un Magistrato, di esporre pubblicamente una situazione così grave anche per evitare che – in assenza di alcun intervento a tutela – si possa attentare alla persona, alla professionalità, al lavoro. Ho atteso per molto tempo, invano, che a fronte dei gravissimi fatti che avvenivano nei confronti miei e del mio ufficio vi fosse un intervento da parte dell’ANM ed anche delle Istituzioni. Confermo che è mia convinzione – pur essendomi sempre attenuto al riserbo fino a qualche mese fa - che il Magistrato abbia, non solo il diritto, ma anche il dovere di esporre, pubblicamente, situazioni gravi che minano la credibilità delle Istituzioni ed intaccano l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. Pubblicamente si può denunciare una grave situazione che mette in pericolo la tenuta stessa dello Stato di diritto, nelle sedi istituzionali, poi, si indicano nomi, cognomi, fatti e circostanze quanto più puntuali possibili. Canone di comportamento al quale penso di essermi attenuto.
Ho detto pubblicamente, anche in altre circostanze, che pur avendo chiesto la co-assegnazione di procedimenti, questo non è mai avvenuto, tranne in un caso (e per poco tempo), pur essendo il lavoro in “pool” ormai un “patrimonio” della magistratura inquirente nel Paese. E’ vero che ho sempre chiesto alla dirigenza dell’Ufficio – credo sia patrimonio culturale e professionale della magistratura italiana – di essere affiancato da altri colleghi per evitare una mia continua esposizione personale. E’ vero che il Procuratore della Repubblica ed il Procuratore Aggiunto hanno disatteso le mie richieste di essere affiancato nelle indagini più delicate; non corrisponde al vero che avrei detto che ero stato oggetto di accuse per convincere il CSM ad allontanarmi per incompatibilità ambientale.
Non vi è dubbio che vi sia una strategia ai danni miei e del mio Ufficio come segnalato alla Procura della Repubblica di Salerno ed allo stesso Consiglio Superiore della Magistratura presso la 1a Commissione.
Non mi sono mai posto quale unico moralizzatore della vita pubblica calabrese. Tutt’altro. Ho sempre professato e praticato umiltà ed equilibrio, rispetto per la Politica e per i tanti colleghi bravi ed onesti che operano in Calabria.
Corrisponde al vero che, in questi anni di isolamento, intimidazioni, pressioni ed illegalità diffuse che ho subito per il solo fatto di esercitare le funzioni tenendo anche sempre presente e tentando di applicare, con umiltà ma con fermezza, l’art. 3 della Costituzione, con una cultura delle garanzie che ha sempre contraddistinto il mio operato, ho rilasciato dichiarazioni pubbliche, in occasioni di dibattiti, conferenze, incontri ed altro, ma mai con riferimento a procedimenti penali in corso e sempre su tematiche di carattere generale ed ho anche detto che fino a quando non sopprimeranno l’art. 21 della Costituzione continuerò a parlare sui temi del diritto, della legalità e della giustizia.
Non è vero che non abbia utilizzato equilibrio e misura nelle dichiarazioni pubbliche. In considerazione di quello che mi è accaduto in questi anni credo di avere agito con profondo rispetto per le Istituzioni, con umiltà e serenità, spesso nel più profondo isolamento istituzionale in una terra in cui la criminalità organizzata annienta i nemici non solo con le bombe. Che vi siano illegalità, ritengo anche gravi, da parte di persone collocate in uffici istituzionali anche di rilevante importanza, è vero e l’ho anche segnalato alle autorità competenti. Ho rilevato, pubblicamente, che da quando sono titolare di procedimenti sui cd. poteri forti, o colletti bianchi, o lobby occulte, o centri affaristici e massonerie varie, così come li si vogliono chiamare, sono cominciati una serie di atti finalizzati anche al mio trasferimento. La riflessione pubblica – generica, misurata ed equilibrata, anche forte, tenuto conto della materia affrontata e del livello di collusioni riscontrare nel lavoro in Calabria e della gravissima situazione esistente in questa Regione, così come è sotto gli occhi di tutti – è stata anche una specie di difesa legittima del lavoro e di tutela dei procedimenti in corso. Temevo e temo che mi potesse accadere qualcosa di molto serio e dopo aver denunciato fatti nei dettagli alle autorità competenti, non volevo che accadesse qualcosa senza che nessuno si rendesse conto di quello che sta succedendo in Calabria.
In ordine alla contestazione di cui al capo M) evidenzio:
Infondatezza degli addebiti. Non ho mai omesso di esercitare la dovuta diligenza al fine di evitare la divulgazione di atti del procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di pubblicazione. I fatti indicati nel predetto capo, del resto, erano, prima della divulgazione, a conoscenza di più persone (anche all’estero) e non vedo perché si debba attribuire a me una condotta negativa (indipendentemente o meno dalla circostanza se vi sia stata nei casi indicati in contestazione pubblicazione di notizie coperte da segreto o riservate). Anzi, ritengo, di essere stato danneggiato dalla pubblicazione di molti articoli ed in altri casi vi sia stata una vera e propria strategia ai miei danni come ho indicato alla Procura della Repubblica di Salerno, Ufficio al quale sto continuando a rendere dichiarazioni sul punto e che non si può non ascoltare, ritengo, prima di decidere sulla mia responsabilità disciplinare. Non ho mai rivelato notizie coperte da segreto a giornalisti, semmai in alcuni casi ho appreso notizie di interesse investigativo da loro articoli.
Ritengo, in conclusione, di aver agito sempre, in questi difficili anni, con correttezza e professionalità. Ho sempre operato con amore profondo per questo mestiere, con abnegazione e sacrifici enormi (lavorato anche i giorni festivi e durante le ferie, talvolta anche di notte), decidendo di lavorare in Calabria nell’esclusivo interesse della Giustizia e nell’ossequio per le leggi delle Repubblica ed, in primo luogo, della Costituzione Repubblicana.
Ritengo che codesta Sezione saprà valutare anche il contesto ambientale in cui ho operato e lavoro, nonché, soprattutto, considerare che sono stato titolare di procedimenti delicati e complessi (anche di competenza DDA) sicuramente superiori a quelli di tutti gli altri colleghi della Procura Ordinaria anche complessivamente considerati.
Napoli, 2.1.2008
Il Sostituto Procuratore della Repubblica
Luigi de Magistris
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