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Dando seguito all’articolo del prof. Vittorio Grevi – “Tutti i pregi (e un difetto) del C.S.M.” – in occasione del cinquantenario dell’istituzione, riportiamo un articolo di Felice Lima per Micromega sulla necessità di NON modificare l’assetto giuridico del C.S.M..
Sulla necessità di difendere l'indipendenza del C.S.M. e, d'altra parte, sui gravi “torti” del C.S.M. medesimo, abbiamo riportato a questo link un’intervista a Felice Lima, tratta dal libro di Antonio Massari “Il caso De Magistris”, e a questo link un capitolo del libro “Toghe rotte”, a cura di Bruno Tinti.
di Felice Lima
(Giudice del Tribunale di Catania)
da Micromega, 5/2008
Nel nostro Paese ormai è impossibile trattare razionalmente qualsiasi tema.
Il cosiddetto dibattito pubblico si articola ormai esclusivamente in “campagne di stampa” sfrontatamente false, nelle quali vengono urlate con una arroganza che dovrebbe riservarsi a miglior causa le menzogne più paradossali.
Appare sempre più evidente che non esiste più alcun confronto veramente democratico su nulla.
Coloro che hanno il potere ne fanno l’uso che vogliono – tendenzialmente il peggiore – e il popolo viene solo “tenuto a bada” con falsi racconti, falsi ragionamenti, false emergenze.
Questa è stata l’estate dell’annuncio della riforma tombale della giustizia.
Sono decenni che il potere politico non fa altro che riformare la giustizia – guarda caso sempre e solo nel senso di fare in modo che funzioni sempre meno – e ora si annuncia la riforma definitiva.
In linea con il sistema di menzogne istituzionalizzate del quale ho appena detto, l’occasione per l’annuncio è stata la scoperta da parte della magistratura di un sistema di gravissima corruzione nella sanità dell’Abruzzo, che ha portato all’arresto di diversi politici potenti.
Nessun politico ha dedicato alcuna attenzione alla corruzione scoperta. Tutti si sono concentrati sulla “inaccettabilità” (chissà perché) dell’arresto del Presidente Del Turco, dicendo chiaramente che (chissà perché) “non poteva essere colpevole”.
Il Presidente del Consiglio, invece di elogiare i magistrati che hanno trattato il caso con efficienza e professionalità, che non hanno rilasciato interviste, che hanno impedito ed evitato fughe di notizie, ha annunciato immediatamente – è proprio il mondo al contrario - che questo episodio era l’ennesima prova della necessità della riforma tombale.
In poche settimane è rimasto confermato che gli arresti erano del tutto legittimi e che lo stesso Del Turco non aveva nulla da opporre agli stessi (basti considerare, sul punto, che ha addirittura RINUNCIATO al ricorso al c.d. Tribunale della libertà e che, da ultimo, ha dichiarato che il suo processo «non è un errore giudiziario»: cfr La Repubblica del 9.9.2008).
A questo punto, la tesi della “persecuzione giudiziaria” è scomparsa dai giornali, ma la riforma tombale è rimasta.
E’ difficile dire qualcosa su di essa.
Tutta l’intellighenzia del Paese, che non sogna altro che servire il potere (per averne dei benefici), continua a dire che non si può criticare una riforma che ancora non c’è.
Sarà anche vero, ma ciò che è del tutto assurdo nel nostro Paese è che si annuncino (minaccino!) riforme di enorme rilievo politico e sociale non solo senza indicarne le vere ragioni e i contenuti, ma addirittura indicando ragioni palesemente false e pretestuose.
L’unica cosa che sa fare il potere è “pubblicità”: il Presidente del Consiglio, infatti, ha trovato uno sponsor, postumo, alla sua riforma. Ha detto che sarà quella pensata da Giovanni Falcone (La Repubblica del 21.8.2008)! Ogni commento è superfluo.
Un’altra cosa tipicamente italiana è “far passare” riforme assurde indicando dei problemi reali, ma offrendo soluzioni che non solo non li risolvono, ma li aggravano.
Sul punto, basti considerare il discorso sul problema del C.S.M. “politicizzato”, che si dovrebbe risolvere aumentando nel C.S.M. i membri di nomina politica (anche Violante è corso a dirsi d’accordo)!
Come se, fra l’altro, nel nostro Paese tutti gli enti controllati della politica avessero dato fino ad oggi prova di imparzialità ed efficienza!
Sembra veramente una barzelletta: per risolvere il problema della politicizzazione del C.S.M., lo si politicizza ancora di più.
Come se si dicesse: “Ci sono troppi morti in incidenti stradali. Bisogna riformare il codice della strada. Aboliremo i limiti di velocità!”. O come: “Ci sono troppi crimini nell’economia (Parmalat, Cirio, ecc.). Depenalizzeremo il falso in bilancio” (ops! Questo lo hanno fatto).
E’ una tecnica paradossale e ancora più paradossale (per non dire tragico) è che funzioni da decenni.
Ogni volta che il potere politico ha interesse a “far passare” riforme “indecenti” in materia di giustizia, mette su una campagna di stampa che “denuncia” l’inefficienza della giustizia, dando ad intendere che la riforma proposta risolverà il problema.
Abbiamo un Presidente del Consiglio che va in televisione a dire che la giustizia è un cancro e i magistrati ne sono le metastasi e promette riforme.
Uno allora si aspetta che annunci riforme che risolveranno i problemi dei cittadini che aspettano da anni una sentenza di divorzio o dei lavoratori le cui cause per un licenziamento vengono rinviate al 2012. Che annunci riforme che assicurino che i magistrati cialtroni e lavativi verranno puniti e cacciati.
E invece no: l’unico “problema della giustizia” che vede lui è impedire alla giustizia di processare politici corrotti.
Quindi, le uniche riforme che propone sono quelle che impediranno le indagini contro i corrotti e che consentiranno di cacciare non i magistrati cialtroni e lavativi, ma quelli zelanti e indipendenti.
La verità – che è sotto gli occhi di tutti – è che:
1. la giustizia in Italia è sommamente e inaccettabilmente inefficiente;
2. ciò non è frutto del caso, ma di una precisa volontà politica, perché un paese nel quale i poteri forti sono ampiamente fondati nell’illegalità non può “permettersi” una giustizia efficiente;
3. il Parlamento lavora da anni costantemente a leggi in materia di giustizia, ma si tratta di leggi contro e non a favore della giustizia.
Si cita sempre l’inaccettabile durata dei processi e la non effettività delle pene.
Ma TUTTE le leggi fatte negli ultimi anni (decenni) in materia di giustizia, non solo non hanno accorciato la durata dei processi né reso effettive le pene, ma hanno fatto – e a questo miravano intenzionalmente – l’esatto contrario.
Chi avesse dubbi, potrà ripassare a memoria le più recenti leggi votate facendo lavorare alacremente il Parlamento giorno e notte.
Fra le tante:
- la legge che ha depenalizzato il falso in bilancio;
- la legge Cirami, voluta per ottenere di sottrarre ai giudici milanesi un processo che vedeva imputato l’attuale Presidente del Consiglio;
- il c.d. “lodo Schifani”, che assicurava l’impunità alle alte cariche dello Stato: dichiarata inconstituzionale e riapprovata adesso con alcune modifiche come “lodo Alfano”;
- la legge Pecorella, che impediva al pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di assoluzione: dichiarata incostituzionale;
- la legge Cirielli, che crea un “doppio binario”, aggravando le pene per i pregiudicati anche per reati modestissimi (tipo la vendita di cd piratati) e accorciando per tutti gli altri (“colletti bianchi” ampiamente inclusi) così tanto i termini della prescrizione da assicurare che essa maturi SEMPRE: dichiarata parzialmente incostituzionale;
- l’indulto votato da cosiddetta destra e cosiddetta sinistra e fissato in tre anni (cosa mai accaduta prima) così da assicurare la libertà al sen. Previti (votato in fretta e furia, così che il Previti è rimasto agli arresti domiciliari solo per pochi giorni).
E poi tutta una infinità di leggi e leggine fintamente “dure” ed “efficientiste”, propagandate come prova di una asserita ma in realtà inesistente “tolleranza zero”, che non servono a niente (e anzi impantanano ancora di più la macchina giudiziaria), ma coprono sotto l’apparenza di un impegno positivo l’impegno nella direzione esattamente opposta (si pensi, per esempio, a tutte le leggi e leggine contro forme assolutamente marginali di crimini poco rilevanti: dai lavavetri ai venditori di musica senza bollino Siae).
Immaginiamo come sarebbe oggi l’amministrazione della giustizia se tutte le energie investite dal Parlamento per mettere amici e amici degli amici al riparo dalla giustizia fossero state investite per farla funzionare.
Per fare funzionare la giustizia servirebbero poche ma “giuste” riforme e alcune di esse potrebbero essere fatte non solo “a costo zero”, ma addirittura con risparmio di costi (si pensi, per tutte, alla soppressione di tanti tribunali distaccati con pochissimo carico di lavoro e dotazioni di personale improprie).
Ma NESSUNA di queste riforme è all’orizzonte, né in cantiere, né nelle speranze o nei progetti di questo o quel partito politico.
Con esiti in alcuni casi paradossali.
Si lamentano della presunta “politicizzazione” della magistratura e, invece di fare la cosa più semplice e più ovvia del mondo – impedire i passaggi in andata e ritorno dalla magistratura alla politica –, continuano ad “arruolare” magistrati in politica.
Tutti i partiti ne hanno e in misura uguale.
L’attuale “ministro ombra” della giustizia del PD è Lanfranco Tenaglia, magistrato, che al momento della sua candidatura, era membro del C.S.M..
L’attuale assessore alla sanità della Regione Siciliana (in una giunta di cosiddetto centro destra) è Massimo Russo, magistrato, già componente della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Palermo e poi Vicecapodipartimento del Ministero Mastella (in un governo di cosiddetto centro sinistra).
La “legge Cirami” prende il nome di un magistrato – Melchiorre Cirami – eletto nel centro destra.
E tanti altri.
L’obiettivo del giorno è controllare politicamente il C.S.M.
L’altro, incidere sulla obbligatorietà dell’azione penale.
Si assume che le Procure esercitino una facoltatività di fatto, dovuta alla impossibilità materiale di perseguire tutti i reati, e si propone che sia la politica a dire cosa si persegue e cosa no.
Si tratta dell’ennesimo imbroglio.
Anche qui nessuno propone la cosa più ovvia e più semplice di tutte.
Se la giustizia non funziona anche e soprattutto perché “ingolfata” e questo rende materialmente impossibile perseguire efficacemente tutti i reati, la cosa da fare sarebbe ridurre le fattispecie di reato e semplificare alcuni riti. E/o aumentare il numero di magistrati e cancellieri.
E’ inutile perseguire come reati gli “attentati” alla denominazione del “prosciutto di Parma” (lo prevedeva la legge 26 del 1990 e solo nel 1999, con la legge n. 507, il reato è stato depenalizzato) ed è assurdo assicurare le stesse garanzie dei processi per strage a quelli per ingiurie (in sostanza se un condomino da del “cretino” a un altro condomino noi gli facciamo un processo uguale in tutto e per tutto a quello che facciamo a Totò Riina o a un bancarottiere, con la differenza che, se il condomino ha un precedente penale per molestie telefoniche la sua ingiuria non si prescriverà, mentre si prescriverà la bancarotta di mille miliardi se il bancarottiere è incensurato: sono gli effetti della legge Cirielli).
E che senso avrà mai che il Governo o il Parlamento o chicchessia debbano indicare ogni anno quali reati perseguire e quali no?
Anche qui la cosa più semplice è quella ovvia e peraltro prevista dalla Costituzione: il Parlamento stabilisce cosa è reato – e quello deve essere perseguito – e cosa non lo è – e quello non viene perseguito –; il tutto, ovviamente, in maniera generale e astratta e non anno per anno in base al fatto che un Presidente del Consiglio o il cugino di un senatore o l’amante di un deputato siano o no sotto processo per questo o quel reato.
Illustrare analiticamente le logiche perverse di ciò che stanno per fare richiederebbe troppe pagine.
Ciò che mi preme sottolineare è solo come la separazione dei poteri sia assolutamente irrinunciabile in una democrazia e come sia, invece, già molto “rinunciata” e ancora di più in corso di “rinuncia ulteriore”.
Per illustrare la cosa, ricorrerò a un esempio.
Si immagini che su un’isola naufraghino due persone affamate e che abbiano a disposizione una pizza rimasta nello zaino di una delle due.
Si tratta di dividerla.
Ognuno ne vorrebbe per sé la maggiore quantità possibile e si deve trovare un criterio di gestione della divisione che dia garanzie a entrambi.
L’unica soluzione sicura è quella della “separazione dei poteri”.
Uno dei due affamati taglierà la pizza in due parti e l’altro distribuirà le fette.
Solo così è possibile essere sicuri che chi taglierà la pizza, la taglierà in parti uguali.
Sapendo che sarà costretto a subire la regola che porrà, sarà indotto a porne una giusta.
Se, invece, chi taglia le fette potesse anche scegliere come distribuirle, sarebbe molto alto il rischio che egli tagli le fette in maniera diseguale e si scelga quella più grande.
Se uno dei due affamati potrà tagliare la pizza e scegliersi la fetta, l’altro non avrà alcuna speranza di mangiarne anche solo un po’ e la sua condizione sarà quella di chi, per sopravvivere, non potrà fare altro che invocare compassione nella sua controparte.
Questo è il meccanismo della “separazione dei poteri” fra legislativo e giudiziario: alcuni fanno le leggi, altri le applicano.
Se chi fa le leggi sa che vi sarà soggetto anche lui, le farà le più eque possibili.
Se chi fa le leggi saprà, invece, che potrà anche non applicarle a se e ai suoi amici, allora farà ciò che vuole.
E’ la condizione propria dei regni prima della rivoluzione francese: allora i re, come ci è stato insegnato alle scuole medie, erano legibus soluti.
In mancanza di separazione dei poteri manca il primo dei requisiti di una democrazia.
Questo è ciò in cui già in grande misura siano, in Italia, e ciò verso con grande incoscienza e disonestà ancora di più andiamo.
E le menzogne usate per “giustificare” questo andazzo sono veramente illogiche.
L’espediente principale è quello di diffamare la magistratura.
Tutti i giornali al soldo del potere hanno condotto in questi anni e da ultimo con particolare violenza in questi ultimi mesi, una campagna di delegittimazione della magistratura tendente a far credere che la colpa di tutte le inefficienze della giustizia sia dei magistrati e che il potere giudiziario sia in mano a dei criminali.
L’argomento non regge sotto un duplice profilo, formale e sostanziale.
Sotto il profilo sostanziale, sembra succeda qualcosa di simile all’apologo del bue che dà del cornuto all’asino.
Se, infatti, fosse vero che la magistratura non dà buona prova di sé, che dire della politica?
Se ai magistrati si contestano inefficienze e faziosità, che si dovrebbe dire dei politici?
Se il C.S.M. dovesse essere chiuso perché in esso si fanno “pasticci”, che si dovrebbe fare allora del Parlamento? E delle Regioni? E delle Province? E delle A.S.L., dove i primari di chirurgia vengono scelti in base al partito di appartenenza invece che in base alla capacità che hanno di fare una operazione?
Ma ciò che è decisivo è l’argomento logico.
Tornando all’esempio della pizza da dividere in due, il fatto che, in ipotesi, uno dei due affamati o entrambi siano dei delinquenti non solo non fa venir meno l’esigenza di separare i loro poteri sulla pizza, ma anzi la rafforza.
Diceva qualcuno che anche se sulla terra fossero rimasti solo San Francesco e Santa Chiara ugualmente sarebbe stato doveroso porre una legge a regola dei loro rapporti.
Ma a maggior ragione se riteniamo che siano rimasti solo Barabba e Giuda si impone che costoro operino secondo regole.
E quanto più i due affamati della pizza risultino dei cialtroni pericolosi, tanto più sarà necessario evitare che lo stesso affamato tagli la pizza e scelga la fetta.
Quindi, anche se la magistratura, per una misteriosa e sfortunata casualità, fosse composta solo da cialtroni, l’esigenza di tenere separati i poteri resterebbe intatta e, anzi, sarebbe ancora più forte.
La separazione dei poteri, in sostanza, è IRRINUNCIABILE.
Vedere che ci avviamo a rinunciarci ancor più di quanto si è già fatto finora mi sembra veramente una terribile prospettiva.
Si badi: non per me o per i miei colleghi magistrati, ma per tutti noi come cittadini.
E questo perché, diversamente da ciò che il potere fa credere ai cittadini teledipendenti, la democrazia non è essenzialmente un “metodo di scelta del governante”, ma prevalentemente un “metodo di esercizio del potere”.
Proverò a sviluppare queste tesi, perché, a mio modesto parere, solo se si riconoscerà questo sarà possibile, per un verso, capire quanto grave sia la malattia della quale stiamo morendo e, per altro verso, quali siano le cure possibili per essa.
Partendo dalla questione della scelta del governante, sembra chiaro che, se si dovesse scegliere fra vivere in un Paese nel quale il capo del governo viene scelto dai cittadini con libere elezioni, ma poi governa come dice lui, facendosi le leggi che gli servono e abrogando quelle che non gli convengono (pensate a Berlusconi che viene assolto perché, NEL CORSO DEL SUO PROCESSO, il Parlamento ha deciso che il falso in bilancio non è più reato), o in un Paese nel quale governa un re incoronato per successione dinastica, che, però, governa nel rispetto di regole precise, ritenendosi anch’egli soggetto alle leggi che si applicano a tutti gli altri cittadini, ognuno sceglierebbe il secondo Paese, perché esso sarebbe certamente “più democratico” del primo.
Dunque, è certo che neppure in un Paese più decente del nostro, nel quale i cittadini possano esprimere un voto di preferenza (che da noi non esiste più, sicché chi governa non viene scelto dai cittadini, ma “designato” da quattro segretari di partito), il solo fatto che i governanti vengano fatti risultare da un qualche tipo (anche taroccato come il nostro) di “libera elezione” è sufficiente a dire che quel Paese è “democratico”.
La democrazia, dicevo, è, infatti e fondamentalmente, un metodo di esercizio del potere.
L’elenco delle caratteristiche che deve avere un metodo di esercizio del potere per potersi definire democratico è lungo, ma assolutamente essenziale è la separazione dei poteri, figlia della rivoluzione francese.
Riducendolo all’osso, l’idea è che un gruppo di persone fa le leggi (il potere legislativo), altri le applicano (l’esecutivo, il governo), altri ancora (i giudici) controllano che la legge venga rispettata da tutti.
Riducendo ancora di più, l’idea è che tutti sono soggetti alla legge e che “la legge è uguale per tutti”.
Ai tempi dei faraoni, la legge era solo la manifestazione della volontà del faraone.
La legge era uno “strumento” del potere.
Nella logica della democrazia post rivoluzionaria, invece, la legge è il valore e il potere uno strumento della legge.
Il Parlamento dovrebbe avere per così dire una “antecendenza logica” sul Governo.
Non a caso si parlava di “Parlamento sovrano”.
Il Parlamento dovrebbe decidere cos’è “giusto” e il Governo vi dovrebbe dare attuazione.
Mi sembra che non ci possano essere dubbi sul fatto che oggi in Italia siamo tornati alla situazione che ho indicato come quella dei tempi del faraone.
Il potere non si chiede affatto “cosa è giusto e legale che io faccia”, ma “che leggi debbo fare al più presto per potere fare ciò che voglio”.
Con adesso addirittura anche la pretesa di potere non applicare neppure le leggi fatte così quando capiti che la cosa non convenga in un caso concreto.
Dunque, non è lo Stato al servizio della legge, ma la legge al servizio dello Stato. E la legge non sarà neppure legge – cioè “imperativa” – perché si potrà facoltativizzarne l’applicazione, se non conviene, nel caso concreto.
Da qui quella che anni fa fu discussa come la “crisi del parlamentarismo” e che oggi neppure si discute più (o meglio si discute in un altro senso, connesso all’inquietante concetto di “governabilità”), essendo noi ormai molto oltre quella crisi.
Oggi il Governo decide quello che vuole e un Parlamento di deputati e senatori “designati” dai capipartito fa una legge che glielo consente.
Una controrivoluzione, che ha sovvertito l’ordine dei valori.
Dal dominio della legge, con il potere che gli obbedisce e gli è sottomesso, al dominio della volontà, del potere, con la legge come strumento.
Insomma, la logica del faraone, con la sola differenza che anziché il potere essere concentrato nelle mani di uno, come allora, è oggi nelle mani di un gruppo di persone.
E ancora si progettano leggi elettorali e assetti costituzionali che concentrino di più il potere; ancora politici quasi onnipotenti piagnucolano per la mancanza dei poteri che gli sarebbero “necessari” per “fare il bene”; mentre ogni giorno si creano nuovi “commissari straordinari” liberati dai vincoli di questa o quella legge.
Tutto questo è frutto di e dà luogo a una serie di paradossi.
Anzitutto, in Italia la separazione dei poteri è stata sempre ed è sempre più solo apparente.
Essa dovrebbe essere una TRIpartizione (legislativo, esecutivo, giudiziario), ma, invece, è già costituzionalmente solo una Bipartizione, perché il potere legislativo e quello esecutivo coincidono: chi sta al governo (potere esecutivo) ha anche la maggioranza in Parlamento (potere legislativo).
Certo, nella Costituzione questo rapporto fra legislativo ed esecutivo era concepito come più “democratico” (basti dire che la Costituzione prevede che ogni parlamentare rappresenta l’intero corpo elettorale – e non solo i suoi elettori – e che è libero da vincoli di mandato – e dunque non è tenuto a obbedire al segretario del suo partito), ma nell’epoca dei “pianisti” in Parlamento (grazie ai quali anche gli assenti votano) e degli sputi in faccia in piena assemblea del Senato al senatore che non obbedisce agli ordini del segretario del partito tutto assume altri connotati e altro senso.
In definitiva, dunque, la separazione dei poteri è affidata a un solo asse: quello fra politico e giudiziario.
Ed è di tutta evidenza che si tratta di un asse molto delicato e assolutamente non in grado di reggere un suo uso improprio.
Il potere giudiziario ha strumenti esclusivamente repressivi ed è evidente che, anche se il potere politico creasse le condizioni per una attualmente inesistente efficienza del sistema giudiziario, la sola repressione “ex post” dei reati non potrebbe dare rimedio a un difetto di legalità che è oggi assolutamente diffuso in tutti gli snodi centrali della vita del Paese.
Per di più, proprio perché l’ultimo residuo opaco di separazione dei poteri – che è il presupposto per la speranza di una democrazia – è affidato all’asse politico/giudiziario, il potere politico lavora alacremente da anni per rendere sempre più inefficace il sistema giudiziario, facendo sì che non possa “nuocere” (in questi giorni si sta lavorando anche alla legge contro le intercettazioni telefoniche) e, da ultimo, creando un “doppio binario”, per il quale il sistema giudiziario sia efficiente contro i poveri cristi e innocuo per i potenti: oggi in Italia (e non è una battuta, ma la triste realtà) la contraffazione di una borsa di marca è punita con pene più severe di un falso in bilancio che, fino all’ammontare in alcuni di casi di molti milioni di euro non è punito per nulla e dopo è punito con pene meno severe di quelle della contraffazione predetta.
A tutto questo, poi, si deve aggiungere il fatto che i magistrati sono poco più di 8.000 cittadini come tutti gli altri e, dunque, tanti di loro sono, al pari dei loro concittadini, sensibili alle lusinghe e alle minacce, sicché “il potere” può confidare anche sulla disponibilità di tanti magistrati a “chiudere un occhio” o, come è più elegante dire, a “essere equilibrati” e “prudenti”.
Peraltro, è sotto gli occhi di tutti quali e quante “persecuzioni” subiscano – da fuori, ma purtroppo anche da dentro l’amministrazione della giustizia – i magistrati “troppo indipendenti”.
E a me appare certo che il C.S.M. non opera come dovrebbe, se in una Calabria dove succedono cose davvero incresciose nell’amministrazione della giustizia (fra le tante, il Procuratore Capo di Crotone che tiene come segretaria la moglie di un condannato in primo grado per concorso in associazione mafiosa e viene addirittura designato da costui come garante dei suoi beni perché possa continuare a essere assegnatario di appalti pubblici nonostante la condanna; oppure un intero distretto di Corte di Appello – Reggio Calabria – nel quale in diciannove anni sono state pronunciate solo due sentenze per corruzione e una per concussione, sicché o la corruzione lì non c’è o i magistrati si impegnano con tutte le forze a non vederla) il “cattivo magistrato” è Luigi De Magistris.
E dunque, insieme a tanti miei colleghi, auspicherei riforme che inducessero il C.S.M. a fare meglio il suo dovere. Ma, invece, dobbiamo assistere a riforme che lo renderanno ancora peggiore. A riforme dopo le quali lo show di un componente del C.S.M. (guarda caso proprio di nomina politica) – la prof. Letizia Vacca – che convoca i giornalisti e, nonostante sia Vicepresidente della Commissione incaricata di giudicare i due casi, dichiara che De Magistris e Forleo sono “cattivi magistrati” e “vanno colpiti”, diventerà cosa non solo accettabile, ma addirittura lodevole.
Nell’epoca orwelliana della manipolazione di tutto, tutto è possibile: si considera male il bene (la scoperta delle mazzette nella sanità abruzzese) e si adduce il fatto che il C.S.M. funzioni male come argomento per farlo funzionare ancora peggio.
Insomma, il paradosso assoluto e, mi si permetta di dirlo, il crimine assoluto.
Dando seguito all’articolo del prof. Vittorio Grevi – “Tutti i pregi (e un difetto) del C.S.M.” – in occasione del cinquantenario dell’istituzione, riportiamo un articolo di Felice Lima per Micromega sulla necessità di NON modificare l’assetto giuridico del C.S.M..
Sulla necessità di difendere l'indipendenza del C.S.M. e, d'altra parte, sui gravi “torti” del C.S.M. medesimo, abbiamo riportato a questo link un’intervista a Felice Lima, tratta dal libro di Antonio Massari “Il caso De Magistris”, e a questo link un capitolo del libro “Toghe rotte”, a cura di Bruno Tinti.
di Felice Lima
(Giudice del Tribunale di Catania)
da Micromega, 5/2008
Nel nostro Paese ormai è impossibile trattare razionalmente qualsiasi tema.
Il cosiddetto dibattito pubblico si articola ormai esclusivamente in “campagne di stampa” sfrontatamente false, nelle quali vengono urlate con una arroganza che dovrebbe riservarsi a miglior causa le menzogne più paradossali.
Appare sempre più evidente che non esiste più alcun confronto veramente democratico su nulla.
Coloro che hanno il potere ne fanno l’uso che vogliono – tendenzialmente il peggiore – e il popolo viene solo “tenuto a bada” con falsi racconti, falsi ragionamenti, false emergenze.
Questa è stata l’estate dell’annuncio della riforma tombale della giustizia.
Sono decenni che il potere politico non fa altro che riformare la giustizia – guarda caso sempre e solo nel senso di fare in modo che funzioni sempre meno – e ora si annuncia la riforma definitiva.
In linea con il sistema di menzogne istituzionalizzate del quale ho appena detto, l’occasione per l’annuncio è stata la scoperta da parte della magistratura di un sistema di gravissima corruzione nella sanità dell’Abruzzo, che ha portato all’arresto di diversi politici potenti.
Nessun politico ha dedicato alcuna attenzione alla corruzione scoperta. Tutti si sono concentrati sulla “inaccettabilità” (chissà perché) dell’arresto del Presidente Del Turco, dicendo chiaramente che (chissà perché) “non poteva essere colpevole”.
Il Presidente del Consiglio, invece di elogiare i magistrati che hanno trattato il caso con efficienza e professionalità, che non hanno rilasciato interviste, che hanno impedito ed evitato fughe di notizie, ha annunciato immediatamente – è proprio il mondo al contrario - che questo episodio era l’ennesima prova della necessità della riforma tombale.
In poche settimane è rimasto confermato che gli arresti erano del tutto legittimi e che lo stesso Del Turco non aveva nulla da opporre agli stessi (basti considerare, sul punto, che ha addirittura RINUNCIATO al ricorso al c.d. Tribunale della libertà e che, da ultimo, ha dichiarato che il suo processo «non è un errore giudiziario»: cfr La Repubblica del 9.9.2008).
A questo punto, la tesi della “persecuzione giudiziaria” è scomparsa dai giornali, ma la riforma tombale è rimasta.
E’ difficile dire qualcosa su di essa.
Tutta l’intellighenzia del Paese, che non sogna altro che servire il potere (per averne dei benefici), continua a dire che non si può criticare una riforma che ancora non c’è.
Sarà anche vero, ma ciò che è del tutto assurdo nel nostro Paese è che si annuncino (minaccino!) riforme di enorme rilievo politico e sociale non solo senza indicarne le vere ragioni e i contenuti, ma addirittura indicando ragioni palesemente false e pretestuose.
L’unica cosa che sa fare il potere è “pubblicità”: il Presidente del Consiglio, infatti, ha trovato uno sponsor, postumo, alla sua riforma. Ha detto che sarà quella pensata da Giovanni Falcone (La Repubblica del 21.8.2008)! Ogni commento è superfluo.
Un’altra cosa tipicamente italiana è “far passare” riforme assurde indicando dei problemi reali, ma offrendo soluzioni che non solo non li risolvono, ma li aggravano.
Sul punto, basti considerare il discorso sul problema del C.S.M. “politicizzato”, che si dovrebbe risolvere aumentando nel C.S.M. i membri di nomina politica (anche Violante è corso a dirsi d’accordo)!
Come se, fra l’altro, nel nostro Paese tutti gli enti controllati della politica avessero dato fino ad oggi prova di imparzialità ed efficienza!
Sembra veramente una barzelletta: per risolvere il problema della politicizzazione del C.S.M., lo si politicizza ancora di più.
Come se si dicesse: “Ci sono troppi morti in incidenti stradali. Bisogna riformare il codice della strada. Aboliremo i limiti di velocità!”. O come: “Ci sono troppi crimini nell’economia (Parmalat, Cirio, ecc.). Depenalizzeremo il falso in bilancio” (ops! Questo lo hanno fatto).
E’ una tecnica paradossale e ancora più paradossale (per non dire tragico) è che funzioni da decenni.
Ogni volta che il potere politico ha interesse a “far passare” riforme “indecenti” in materia di giustizia, mette su una campagna di stampa che “denuncia” l’inefficienza della giustizia, dando ad intendere che la riforma proposta risolverà il problema.
Abbiamo un Presidente del Consiglio che va in televisione a dire che la giustizia è un cancro e i magistrati ne sono le metastasi e promette riforme.
Uno allora si aspetta che annunci riforme che risolveranno i problemi dei cittadini che aspettano da anni una sentenza di divorzio o dei lavoratori le cui cause per un licenziamento vengono rinviate al 2012. Che annunci riforme che assicurino che i magistrati cialtroni e lavativi verranno puniti e cacciati.
E invece no: l’unico “problema della giustizia” che vede lui è impedire alla giustizia di processare politici corrotti.
Quindi, le uniche riforme che propone sono quelle che impediranno le indagini contro i corrotti e che consentiranno di cacciare non i magistrati cialtroni e lavativi, ma quelli zelanti e indipendenti.
La verità – che è sotto gli occhi di tutti – è che:
1. la giustizia in Italia è sommamente e inaccettabilmente inefficiente;
2. ciò non è frutto del caso, ma di una precisa volontà politica, perché un paese nel quale i poteri forti sono ampiamente fondati nell’illegalità non può “permettersi” una giustizia efficiente;
3. il Parlamento lavora da anni costantemente a leggi in materia di giustizia, ma si tratta di leggi contro e non a favore della giustizia.
Si cita sempre l’inaccettabile durata dei processi e la non effettività delle pene.
Ma TUTTE le leggi fatte negli ultimi anni (decenni) in materia di giustizia, non solo non hanno accorciato la durata dei processi né reso effettive le pene, ma hanno fatto – e a questo miravano intenzionalmente – l’esatto contrario.
Chi avesse dubbi, potrà ripassare a memoria le più recenti leggi votate facendo lavorare alacremente il Parlamento giorno e notte.
Fra le tante:
- la legge che ha depenalizzato il falso in bilancio;
- la legge Cirami, voluta per ottenere di sottrarre ai giudici milanesi un processo che vedeva imputato l’attuale Presidente del Consiglio;
- il c.d. “lodo Schifani”, che assicurava l’impunità alle alte cariche dello Stato: dichiarata inconstituzionale e riapprovata adesso con alcune modifiche come “lodo Alfano”;
- la legge Pecorella, che impediva al pubblico ministero di proporre appello contro le sentenze di assoluzione: dichiarata incostituzionale;
- la legge Cirielli, che crea un “doppio binario”, aggravando le pene per i pregiudicati anche per reati modestissimi (tipo la vendita di cd piratati) e accorciando per tutti gli altri (“colletti bianchi” ampiamente inclusi) così tanto i termini della prescrizione da assicurare che essa maturi SEMPRE: dichiarata parzialmente incostituzionale;
- l’indulto votato da cosiddetta destra e cosiddetta sinistra e fissato in tre anni (cosa mai accaduta prima) così da assicurare la libertà al sen. Previti (votato in fretta e furia, così che il Previti è rimasto agli arresti domiciliari solo per pochi giorni).
E poi tutta una infinità di leggi e leggine fintamente “dure” ed “efficientiste”, propagandate come prova di una asserita ma in realtà inesistente “tolleranza zero”, che non servono a niente (e anzi impantanano ancora di più la macchina giudiziaria), ma coprono sotto l’apparenza di un impegno positivo l’impegno nella direzione esattamente opposta (si pensi, per esempio, a tutte le leggi e leggine contro forme assolutamente marginali di crimini poco rilevanti: dai lavavetri ai venditori di musica senza bollino Siae).
Immaginiamo come sarebbe oggi l’amministrazione della giustizia se tutte le energie investite dal Parlamento per mettere amici e amici degli amici al riparo dalla giustizia fossero state investite per farla funzionare.
Per fare funzionare la giustizia servirebbero poche ma “giuste” riforme e alcune di esse potrebbero essere fatte non solo “a costo zero”, ma addirittura con risparmio di costi (si pensi, per tutte, alla soppressione di tanti tribunali distaccati con pochissimo carico di lavoro e dotazioni di personale improprie).
Ma NESSUNA di queste riforme è all’orizzonte, né in cantiere, né nelle speranze o nei progetti di questo o quel partito politico.
Con esiti in alcuni casi paradossali.
Si lamentano della presunta “politicizzazione” della magistratura e, invece di fare la cosa più semplice e più ovvia del mondo – impedire i passaggi in andata e ritorno dalla magistratura alla politica –, continuano ad “arruolare” magistrati in politica.
Tutti i partiti ne hanno e in misura uguale.
L’attuale “ministro ombra” della giustizia del PD è Lanfranco Tenaglia, magistrato, che al momento della sua candidatura, era membro del C.S.M..
L’attuale assessore alla sanità della Regione Siciliana (in una giunta di cosiddetto centro destra) è Massimo Russo, magistrato, già componente della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Palermo e poi Vicecapodipartimento del Ministero Mastella (in un governo di cosiddetto centro sinistra).
La “legge Cirami” prende il nome di un magistrato – Melchiorre Cirami – eletto nel centro destra.
E tanti altri.
L’obiettivo del giorno è controllare politicamente il C.S.M.
L’altro, incidere sulla obbligatorietà dell’azione penale.
Si assume che le Procure esercitino una facoltatività di fatto, dovuta alla impossibilità materiale di perseguire tutti i reati, e si propone che sia la politica a dire cosa si persegue e cosa no.
Si tratta dell’ennesimo imbroglio.
Anche qui nessuno propone la cosa più ovvia e più semplice di tutte.
Se la giustizia non funziona anche e soprattutto perché “ingolfata” e questo rende materialmente impossibile perseguire efficacemente tutti i reati, la cosa da fare sarebbe ridurre le fattispecie di reato e semplificare alcuni riti. E/o aumentare il numero di magistrati e cancellieri.
E’ inutile perseguire come reati gli “attentati” alla denominazione del “prosciutto di Parma” (lo prevedeva la legge 26 del 1990 e solo nel 1999, con la legge n. 507, il reato è stato depenalizzato) ed è assurdo assicurare le stesse garanzie dei processi per strage a quelli per ingiurie (in sostanza se un condomino da del “cretino” a un altro condomino noi gli facciamo un processo uguale in tutto e per tutto a quello che facciamo a Totò Riina o a un bancarottiere, con la differenza che, se il condomino ha un precedente penale per molestie telefoniche la sua ingiuria non si prescriverà, mentre si prescriverà la bancarotta di mille miliardi se il bancarottiere è incensurato: sono gli effetti della legge Cirielli).
E che senso avrà mai che il Governo o il Parlamento o chicchessia debbano indicare ogni anno quali reati perseguire e quali no?
Anche qui la cosa più semplice è quella ovvia e peraltro prevista dalla Costituzione: il Parlamento stabilisce cosa è reato – e quello deve essere perseguito – e cosa non lo è – e quello non viene perseguito –; il tutto, ovviamente, in maniera generale e astratta e non anno per anno in base al fatto che un Presidente del Consiglio o il cugino di un senatore o l’amante di un deputato siano o no sotto processo per questo o quel reato.
Illustrare analiticamente le logiche perverse di ciò che stanno per fare richiederebbe troppe pagine.
Ciò che mi preme sottolineare è solo come la separazione dei poteri sia assolutamente irrinunciabile in una democrazia e come sia, invece, già molto “rinunciata” e ancora di più in corso di “rinuncia ulteriore”.
Per illustrare la cosa, ricorrerò a un esempio.
Si immagini che su un’isola naufraghino due persone affamate e che abbiano a disposizione una pizza rimasta nello zaino di una delle due.
Si tratta di dividerla.
Ognuno ne vorrebbe per sé la maggiore quantità possibile e si deve trovare un criterio di gestione della divisione che dia garanzie a entrambi.
L’unica soluzione sicura è quella della “separazione dei poteri”.
Uno dei due affamati taglierà la pizza in due parti e l’altro distribuirà le fette.
Solo così è possibile essere sicuri che chi taglierà la pizza, la taglierà in parti uguali.
Sapendo che sarà costretto a subire la regola che porrà, sarà indotto a porne una giusta.
Se, invece, chi taglia le fette potesse anche scegliere come distribuirle, sarebbe molto alto il rischio che egli tagli le fette in maniera diseguale e si scelga quella più grande.
Se uno dei due affamati potrà tagliare la pizza e scegliersi la fetta, l’altro non avrà alcuna speranza di mangiarne anche solo un po’ e la sua condizione sarà quella di chi, per sopravvivere, non potrà fare altro che invocare compassione nella sua controparte.
Questo è il meccanismo della “separazione dei poteri” fra legislativo e giudiziario: alcuni fanno le leggi, altri le applicano.
Se chi fa le leggi sa che vi sarà soggetto anche lui, le farà le più eque possibili.
Se chi fa le leggi saprà, invece, che potrà anche non applicarle a se e ai suoi amici, allora farà ciò che vuole.
E’ la condizione propria dei regni prima della rivoluzione francese: allora i re, come ci è stato insegnato alle scuole medie, erano legibus soluti.
In mancanza di separazione dei poteri manca il primo dei requisiti di una democrazia.
Questo è ciò in cui già in grande misura siano, in Italia, e ciò verso con grande incoscienza e disonestà ancora di più andiamo.
E le menzogne usate per “giustificare” questo andazzo sono veramente illogiche.
L’espediente principale è quello di diffamare la magistratura.
Tutti i giornali al soldo del potere hanno condotto in questi anni e da ultimo con particolare violenza in questi ultimi mesi, una campagna di delegittimazione della magistratura tendente a far credere che la colpa di tutte le inefficienze della giustizia sia dei magistrati e che il potere giudiziario sia in mano a dei criminali.
L’argomento non regge sotto un duplice profilo, formale e sostanziale.
Sotto il profilo sostanziale, sembra succeda qualcosa di simile all’apologo del bue che dà del cornuto all’asino.
Se, infatti, fosse vero che la magistratura non dà buona prova di sé, che dire della politica?
Se ai magistrati si contestano inefficienze e faziosità, che si dovrebbe dire dei politici?
Se il C.S.M. dovesse essere chiuso perché in esso si fanno “pasticci”, che si dovrebbe fare allora del Parlamento? E delle Regioni? E delle Province? E delle A.S.L., dove i primari di chirurgia vengono scelti in base al partito di appartenenza invece che in base alla capacità che hanno di fare una operazione?
Ma ciò che è decisivo è l’argomento logico.
Tornando all’esempio della pizza da dividere in due, il fatto che, in ipotesi, uno dei due affamati o entrambi siano dei delinquenti non solo non fa venir meno l’esigenza di separare i loro poteri sulla pizza, ma anzi la rafforza.
Diceva qualcuno che anche se sulla terra fossero rimasti solo San Francesco e Santa Chiara ugualmente sarebbe stato doveroso porre una legge a regola dei loro rapporti.
Ma a maggior ragione se riteniamo che siano rimasti solo Barabba e Giuda si impone che costoro operino secondo regole.
E quanto più i due affamati della pizza risultino dei cialtroni pericolosi, tanto più sarà necessario evitare che lo stesso affamato tagli la pizza e scelga la fetta.
Quindi, anche se la magistratura, per una misteriosa e sfortunata casualità, fosse composta solo da cialtroni, l’esigenza di tenere separati i poteri resterebbe intatta e, anzi, sarebbe ancora più forte.
La separazione dei poteri, in sostanza, è IRRINUNCIABILE.
Vedere che ci avviamo a rinunciarci ancor più di quanto si è già fatto finora mi sembra veramente una terribile prospettiva.
Si badi: non per me o per i miei colleghi magistrati, ma per tutti noi come cittadini.
E questo perché, diversamente da ciò che il potere fa credere ai cittadini teledipendenti, la democrazia non è essenzialmente un “metodo di scelta del governante”, ma prevalentemente un “metodo di esercizio del potere”.
Proverò a sviluppare queste tesi, perché, a mio modesto parere, solo se si riconoscerà questo sarà possibile, per un verso, capire quanto grave sia la malattia della quale stiamo morendo e, per altro verso, quali siano le cure possibili per essa.
Partendo dalla questione della scelta del governante, sembra chiaro che, se si dovesse scegliere fra vivere in un Paese nel quale il capo del governo viene scelto dai cittadini con libere elezioni, ma poi governa come dice lui, facendosi le leggi che gli servono e abrogando quelle che non gli convengono (pensate a Berlusconi che viene assolto perché, NEL CORSO DEL SUO PROCESSO, il Parlamento ha deciso che il falso in bilancio non è più reato), o in un Paese nel quale governa un re incoronato per successione dinastica, che, però, governa nel rispetto di regole precise, ritenendosi anch’egli soggetto alle leggi che si applicano a tutti gli altri cittadini, ognuno sceglierebbe il secondo Paese, perché esso sarebbe certamente “più democratico” del primo.
Dunque, è certo che neppure in un Paese più decente del nostro, nel quale i cittadini possano esprimere un voto di preferenza (che da noi non esiste più, sicché chi governa non viene scelto dai cittadini, ma “designato” da quattro segretari di partito), il solo fatto che i governanti vengano fatti risultare da un qualche tipo (anche taroccato come il nostro) di “libera elezione” è sufficiente a dire che quel Paese è “democratico”.
La democrazia, dicevo, è, infatti e fondamentalmente, un metodo di esercizio del potere.
L’elenco delle caratteristiche che deve avere un metodo di esercizio del potere per potersi definire democratico è lungo, ma assolutamente essenziale è la separazione dei poteri, figlia della rivoluzione francese.
Riducendolo all’osso, l’idea è che un gruppo di persone fa le leggi (il potere legislativo), altri le applicano (l’esecutivo, il governo), altri ancora (i giudici) controllano che la legge venga rispettata da tutti.
Riducendo ancora di più, l’idea è che tutti sono soggetti alla legge e che “la legge è uguale per tutti”.
Ai tempi dei faraoni, la legge era solo la manifestazione della volontà del faraone.
La legge era uno “strumento” del potere.
Nella logica della democrazia post rivoluzionaria, invece, la legge è il valore e il potere uno strumento della legge.
Il Parlamento dovrebbe avere per così dire una “antecendenza logica” sul Governo.
Non a caso si parlava di “Parlamento sovrano”.
Il Parlamento dovrebbe decidere cos’è “giusto” e il Governo vi dovrebbe dare attuazione.
Mi sembra che non ci possano essere dubbi sul fatto che oggi in Italia siamo tornati alla situazione che ho indicato come quella dei tempi del faraone.
Il potere non si chiede affatto “cosa è giusto e legale che io faccia”, ma “che leggi debbo fare al più presto per potere fare ciò che voglio”.
Con adesso addirittura anche la pretesa di potere non applicare neppure le leggi fatte così quando capiti che la cosa non convenga in un caso concreto.
Dunque, non è lo Stato al servizio della legge, ma la legge al servizio dello Stato. E la legge non sarà neppure legge – cioè “imperativa” – perché si potrà facoltativizzarne l’applicazione, se non conviene, nel caso concreto.
Da qui quella che anni fa fu discussa come la “crisi del parlamentarismo” e che oggi neppure si discute più (o meglio si discute in un altro senso, connesso all’inquietante concetto di “governabilità”), essendo noi ormai molto oltre quella crisi.
Oggi il Governo decide quello che vuole e un Parlamento di deputati e senatori “designati” dai capipartito fa una legge che glielo consente.
Una controrivoluzione, che ha sovvertito l’ordine dei valori.
Dal dominio della legge, con il potere che gli obbedisce e gli è sottomesso, al dominio della volontà, del potere, con la legge come strumento.
Insomma, la logica del faraone, con la sola differenza che anziché il potere essere concentrato nelle mani di uno, come allora, è oggi nelle mani di un gruppo di persone.
E ancora si progettano leggi elettorali e assetti costituzionali che concentrino di più il potere; ancora politici quasi onnipotenti piagnucolano per la mancanza dei poteri che gli sarebbero “necessari” per “fare il bene”; mentre ogni giorno si creano nuovi “commissari straordinari” liberati dai vincoli di questa o quella legge.
Tutto questo è frutto di e dà luogo a una serie di paradossi.
Anzitutto, in Italia la separazione dei poteri è stata sempre ed è sempre più solo apparente.
Essa dovrebbe essere una TRIpartizione (legislativo, esecutivo, giudiziario), ma, invece, è già costituzionalmente solo una Bipartizione, perché il potere legislativo e quello esecutivo coincidono: chi sta al governo (potere esecutivo) ha anche la maggioranza in Parlamento (potere legislativo).
Certo, nella Costituzione questo rapporto fra legislativo ed esecutivo era concepito come più “democratico” (basti dire che la Costituzione prevede che ogni parlamentare rappresenta l’intero corpo elettorale – e non solo i suoi elettori – e che è libero da vincoli di mandato – e dunque non è tenuto a obbedire al segretario del suo partito), ma nell’epoca dei “pianisti” in Parlamento (grazie ai quali anche gli assenti votano) e degli sputi in faccia in piena assemblea del Senato al senatore che non obbedisce agli ordini del segretario del partito tutto assume altri connotati e altro senso.
In definitiva, dunque, la separazione dei poteri è affidata a un solo asse: quello fra politico e giudiziario.
Ed è di tutta evidenza che si tratta di un asse molto delicato e assolutamente non in grado di reggere un suo uso improprio.
Il potere giudiziario ha strumenti esclusivamente repressivi ed è evidente che, anche se il potere politico creasse le condizioni per una attualmente inesistente efficienza del sistema giudiziario, la sola repressione “ex post” dei reati non potrebbe dare rimedio a un difetto di legalità che è oggi assolutamente diffuso in tutti gli snodi centrali della vita del Paese.
Per di più, proprio perché l’ultimo residuo opaco di separazione dei poteri – che è il presupposto per la speranza di una democrazia – è affidato all’asse politico/giudiziario, il potere politico lavora alacremente da anni per rendere sempre più inefficace il sistema giudiziario, facendo sì che non possa “nuocere” (in questi giorni si sta lavorando anche alla legge contro le intercettazioni telefoniche) e, da ultimo, creando un “doppio binario”, per il quale il sistema giudiziario sia efficiente contro i poveri cristi e innocuo per i potenti: oggi in Italia (e non è una battuta, ma la triste realtà) la contraffazione di una borsa di marca è punita con pene più severe di un falso in bilancio che, fino all’ammontare in alcuni di casi di molti milioni di euro non è punito per nulla e dopo è punito con pene meno severe di quelle della contraffazione predetta.
A tutto questo, poi, si deve aggiungere il fatto che i magistrati sono poco più di 8.000 cittadini come tutti gli altri e, dunque, tanti di loro sono, al pari dei loro concittadini, sensibili alle lusinghe e alle minacce, sicché “il potere” può confidare anche sulla disponibilità di tanti magistrati a “chiudere un occhio” o, come è più elegante dire, a “essere equilibrati” e “prudenti”.
Peraltro, è sotto gli occhi di tutti quali e quante “persecuzioni” subiscano – da fuori, ma purtroppo anche da dentro l’amministrazione della giustizia – i magistrati “troppo indipendenti”.
E a me appare certo che il C.S.M. non opera come dovrebbe, se in una Calabria dove succedono cose davvero incresciose nell’amministrazione della giustizia (fra le tante, il Procuratore Capo di Crotone che tiene come segretaria la moglie di un condannato in primo grado per concorso in associazione mafiosa e viene addirittura designato da costui come garante dei suoi beni perché possa continuare a essere assegnatario di appalti pubblici nonostante la condanna; oppure un intero distretto di Corte di Appello – Reggio Calabria – nel quale in diciannove anni sono state pronunciate solo due sentenze per corruzione e una per concussione, sicché o la corruzione lì non c’è o i magistrati si impegnano con tutte le forze a non vederla) il “cattivo magistrato” è Luigi De Magistris.
E dunque, insieme a tanti miei colleghi, auspicherei riforme che inducessero il C.S.M. a fare meglio il suo dovere. Ma, invece, dobbiamo assistere a riforme che lo renderanno ancora peggiore. A riforme dopo le quali lo show di un componente del C.S.M. (guarda caso proprio di nomina politica) – la prof. Letizia Vacca – che convoca i giornalisti e, nonostante sia Vicepresidente della Commissione incaricata di giudicare i due casi, dichiara che De Magistris e Forleo sono “cattivi magistrati” e “vanno colpiti”, diventerà cosa non solo accettabile, ma addirittura lodevole.
Nell’epoca orwelliana della manipolazione di tutto, tutto è possibile: si considera male il bene (la scoperta delle mazzette nella sanità abruzzese) e si adduce il fatto che il C.S.M. funzioni male come argomento per farlo funzionare ancora peggio.
Insomma, il paradosso assoluto e, mi si permetta di dirlo, il crimine assoluto.
16 commenti:
francesco di mauro
se in italia ci fossero le stesse possibilità degli stati uniti d'america. felice lima sarebbe il nostro obama.
Grazie Francesco Di Mauro!!!
Propongo di cominciarlo a votare!
b
p.s.
Da oggi ogni qualvolta mi reco alle urne scriverò sulla scheda:
Felice Lima
Un plauso alla esposizione chiara e, personalmente, condivisa in tutto.
E` confortante sapere che esiste il modo di esercitare il DIRITTO all'informazione.
Grazie
Gianfranco.
per risolvere la situazione in maniera definitiva occorre riscrivere la costituzione (che fin dall'inizio prevede un parlamento di fatto bloccato, un presidente senza potere effettivo, un governo che dovrebbe dipendere dal parlamento sovrano, una magistratura considerata non come uno dei poteri ma come una funzione dello stato).
considerando che i costituenti non dovevano essere degli imbecilli, mi chiedo se la situazione di sostanziale stallo non fosse sottilmente voluta. si temeva e si voleva evitare il rischio che si ripresentasse la figura dell'"uomo forte", quello che decide da solo, che governa da solo, il padrone dello stato, del governo, del parlamento e anche dei giudici. insomma, si voleva evitare un nuovo duce.
soltanto che il modo s'è rivelato sbagliato, e profondamente sbagliato. ma non solo, con l'evoluzione degli ultimi anni, che ha permesso grazie a leggi elettorali di comodo (per il partito unico multinominale che ha sostituito il pnf), l'istituto dei decreti legge, già ampiamente abusato in passato, è diventato il normale, benché perverso, strumento di governo del paese.
ovvio pensare che i costituenti non avrebbero potuto prevedere una tale evoluzione in chiave "autoritaria", ma ci si sarebbe aspettata una maggiore lungimiranza da chi si supponeva ben conoscere e l'indole degli italiani, e la loro recente storia politica, e l'immutata struttura della stato lasciata in eredità dal ventennio. di conseguenza, io personalmente ci vedo grande malizia, nella stesura della costituzione nostra, malizia nascosta ed ammiccante a un potere politico impersonato da tutti i partiti. se nel '23 la legge Acerbo passò a larga maggioranza fu perché a tutti i partiti faceva gola la possibilità di "far saltare il banco". lo stesso vale per le ultime riforme elettorali, il "premio di maggioranza" altro non è che una legge Acerbo mascherata e ricoperta di vaselina. tutto ciò è volto unicamente ad aggirare i vincoli costituzionali all'azione del governo, vincoli che però si sono effettivamente rivelati ad un tempo eccessivi ed inutili.
come riscrivere, in questa situazione, la carta costituzionale? come rendere possibile allo stesso tempo l'indipendenza e separazione dei poteri, la loro corrispondenza alla volontà popolare, e la loro effettiva funzionalità?
le vie sono due: o si eleggono tutti e tre i poteri (con elezioni separate per parlamento, governo e procuratori, come per esempio in America), oppure si elegge unicamente il parlamento, e si delega ad esso sia la formazione del governo che la composizione dalla magistratura. i membri aspiranti all'ingresso in questi due ordini devono soggiacere a poche e chiarissime regole: superare un concorso (possibilmente duro e selettivo), essere incensurati e in regola col pagamento delle imposte (e questo valga anche per i parlamentari), non poter passare da un ordine all'altro: il magistrato che voglia diventare ministro si dimetta dalla magistratura, passi il concorso da funzionario di stato e si metta in attesa di venire chiamato dal futuro parlamento. lo stesso faccia il parlamentare che voglia entrare in magistratura, lo stesso il ministro che voglia presentarsi alle elezioni. se gli va male, pazienza, potrà sempre ripetere il concorso per rientrare nel precedente organismo.
purtroppo questo sistema sarebbe soggetto a tutti i vizi che evidentemente caratterizzano il sistema italiano dei concorsi, ma dovrebbe assicurare se non altro un livello minimo di qualità degli uomini di potere.
baron litron
Abbiamo capito che siamo "inchiodati" in un'assurda, paradossole e conflittuale situazione "arrugginita" nel lungo tempo e con governi piovosi che contribuiscono ad aumentare la "ruggine" che rende sempre più difficile estrarre i "chiodi fissi", specie con una "Tenaglia" in conflitto con sé "stessa" e diretta da Uno che "fa cadere le braccia" (e non solo). Più che governo ombra, direi in "penombra".
Intanto gli "affil(i)ati" governanti taglieranno al massimo la testa dei chiodi che poi renderà impossibile estrarli dalla "controparte".
Sem-mai alternanza ci sarà.
Con rinnovata stima, Mauro C.
Al Corriere della Sera, Bonanni ammette l'incontro segreto nel pied à terre romano di Berlusconi. Precisa, però, che non si è cenato e non c'è stata alcuna trattativa. Sgomento tra i lettori: vuoi vedere che hanno fatto un'orgia?!?!
b
"Se la giustizia non funziona anche e soprattutto perché “ingolfata” e questo rende materialmente impossibile perseguire efficacemente tutti i reati, la cosa da fare sarebbe ridurre le fattispecie di reato e semplificare alcuni riti. E/o aumentare il numero di magistrati e cancellieri".
Questa pare la stessa logica di chi stabilisce che per il solo fatto di scegliere il rito abbreviato si possa usufruire di notevolissimi "sconti" di pena.
Pare, ancora, la stessa logica di chi dice che se le carceri sono piene, il rimedio non è quello di costruirne di nuove, ma di mandare in mezzo alla strada tanti pericolosi delinquenti.
Pare, di nuovo, la stessa logica di chi sostiene che, non potendo eliminare e o combattere un reato, basta "depenalizzarlo".
Il mio professore di diritto penale, Tullio Padovani, sosteneva invece, con Kant, che: "Quand'anche il mondo dovesse finire, l'ultimo condannato a morte dovrebbe comunque espiare la sua pena".
Inutile dire che mi trova perfettamente d'accordo.
In concreto, se appare evidente che taluni reati ormai non hanno più quella pericolosità sociale tale da sussumerli in fattispecie incriminatrici, potendo esser molto più efficaci le sanzioni amministrative, specie pecuniarie, è altrettanto vero che il diffuso senso di "ingiustizia" che segue alle pronunce ridicolmente lievi imposte dalle norme ora in vigore non è altro che il frutto del continuo processo di distruzione del principio retributivo, processo che ormai dura da troppo tempo.
Sono d'accordo, infine, con l'aumento soprattutto del personale di cancelleria, civile e penale, e con gli altri rimedi suggeriti da Lima, ma vorrei soltanto che non si scordassero le altre funzioni della pena, oltre alla riabilitazione, e che si dicesse una volta per tutte, e a chiare lettere, che per taluni reati gravissimi non vi può essere alcuna riabilitazione, ma soltanto l'eliminazione definitiva del delinquente dal contesto sociale, non a mezzo della morte, ma mediante l'applicazione effettiva dell'ergastolo.
E che il delinquente interdetto paghi, lavorando gratis tutta la vita, almeno una parte del male che ha fatto.
Caro baron litron,
a proposito del ricorso alla decretazione d'urgenza "già ampiamente abusata in passato",
è interessante la lettura di uno scritto del prof. Daniele Chinni, apparso tempo fa sul sito www.associazionedeicostituzionalisti.it/giurisprudenza/decisioni2/autori/chinni.html
"Un nuovo tassello della giurisprudenza costituzionale sulla decretazione d'urgenza e più in particolare sulla sindacabilità della stessa per (evidente) carenza dei presupposti."
Un paletto allo strapotere dell'esecutivo.
Egregio Baron Litron,
Non sono molto convinto,come lo è lei,che debba essere cambiata la Costituzione.Lungi da me l'esserne un mistico,spiego le mie perplessità.
Il problema è questo:la Costituzione (qualsiasi,passate e future) lascia sempre un margine di vuoto da riempire con la prassi(non mi riferisco alla prassi costituzionale)ovvero con dei comportamenti che vanno a riempire e ad integrare il disposto delle norme.
Ora se ci ritroviamo con una separazione monca dei poteri,il rimedio non è il cambio delle norme costituzionali che già,questa divisione,la concretizzano (si badi bene che il principio della separazione dei poteri è un idealtipo,un principio teorico la cui realizzazione,soprattutto nei paesi dell'europa continentale,è tendenziale).Il problema è mutare la prassi dei componenti la classe politica del paese.
Mi spiego meglio.
Considerando come ovvia la non conflittualità tra governo e maggioranza che la sostiene,
se noi abbiamo un parlamento (ora si!) "appecoronato" sul governo non dipende dalle regole costituzionali(che già prevedono che il parlamentare agisca senza vincolo di mandato imperativo,che possa votare la sfiducia,che possa votare contro una proposta governativa senza obbligo del governo di dimettersi,che intervenga a monte o a valle dell'esercizio del potere legislativo del governo etc..)ma dalle più evanescenti regole deontologiche che i singoli parlamentari seguono.
Appoggiare un governo non significa accettare tutte le sue iniziative,piuttosto significa accettare quelle che la maggioranza ritiene confacenti e coerenti col programma di governo letto al momento della fiducia.
Ma ciò non dipende dai poteri che la Costituzione prevede possano essere esercitati dai parlamentari,piuttosto dal loro concreto esercizio.
Se il parlamento non ha convocato il governo a rendicontare,o peggio non ha minacciato la sfiducia, a seguito delle infelici uscite sull'abbronzatura del Presidente USA,o ancora,illo tempore, a seguito delle affermazioni eversive sulla magistratura;non dipende dalle regole costituzionali e subcostituzionali,ma dalla volontà del Parlamento di far valere la responsabilità politica del governo.
Il Presidente della Repubblica,poi,non è affatto figura priva di poteri.Il problema anche qui è di prassi e spirito della carica.
Il Presidente è figura ereditaria del monarca.Egli infatti rappresenta l'unità nazionale,ed è figura di garanzia istituzionale.La carica presidenziale non è politica,essa deve vigilare sul sistema costituzionale acchè non sia stravolto.Per questo dispone di poteri rilevanti tutti teleologicamente orientati a permettere lo svolgimento di questa sua funzione.
Tra questi almeno due sono di assoluto rilievo:può sciogliere le camere e quindi indire nuove elezioni,può decidere di non promulgare una legge.
Su quest'ultimo passo mi vorrei soffermare.Vorrei trarre un esempio dal libro di testo da cui ho studiato.
Il problema è questo:l'obiezione più frequente all'affermazione di questo potere è che si è vero che dispone del potere di rinviare la legge,ma è un potere monco in quanto se la camera riapprova lo stesso testo il presidente deve promulgarla,pena l'attentato alla Costituzione.
Immaginiamo quindi la seguente ipotesi limite:il parlamento approva una legge costituzionale in cui si muta la forma di stato da repubblica a monarchia costituzionale,il presidente rinviata la prima volta la legge,la seconda dovrebbe promulgarla se non volesse rendersi reo di attentato alla costituzione.Ma se così facesse egli sarebbe lo stesso colpevole in quanto assentirebbe alla modifica di un qualcosa (la forma repubblicana) che è prevista come immodificabile dalla costituzione stessa.
Ecco secondo me questo esempio limite rende perfettamente l'idea del ruolo del presidente della repubblica come "fusibile del sistema"(dal libro di testo di cui sopra).
Un ulteriore cosa non mi convince:l'idea che ogni potere debba riposare la propria legittimazione sulla base del consenso popolare.Infatti se questo principio è valido per le cariche politiche,(cui è proprio l'elezione a "sanzionare" ciò) sarebbe cosa pericolosissima se applicata alla magistratura.
Nel sistema americano trova applicazione è vero(com'è vero che la concretizzazione americana del principio di separazione dei poteri è la più coerente e ferrea),ma in un contesto politico sociale e culturale distanti anni luce dal nostro.Contesto che sarebbe impossibile far rivivere nel nostro ordinamento,non meno di quanto sia possibile effetuare una trasfusione di sangue tra soggetti con gruppi sanguigni differenti.
Giovedì scorso l'illustrissimo Prof. Schlesinger ad Annozero,ha secondo me colto in pieno l'essenza del problema italiano.
Cito testualmente:"..si continua a non vedere quali sono i problemi,i problemi di fondo,che non dipendono dalle leggi dai meccanismi magici che all'improvviso cambiano la situazione.Qui si continua a parlare di settori:i professori e la classe politica.Ma allora siamo a posto!Tutto il resto va bene!Tutto il resto che è maggioranza del mondo privato va bene?..No,non va bene per niente!..perchè è la nostra elite che non va bene,tutta!Non possiamo fare la distinzione:non vanno bene i rami politici,i settori pubblici,il resto va bene..No,va male tutto!E allora bisogna andare alla radice dei problemi,non ci si può illudere che noi domani troveremo il trucchetto,il meccanismo magico che scatta e all'improvviso la società cambia.La società cambia solo se cambia da dentro!..Quello che non funziona,è la mentalità del paese.."
Essendo convinto che siamo chi ci rappresenta,la soluzione non può che passare a mio avviso attraverso una palingenesi morale della cittadinanza.Obiettivo tanto auspicabile quanto utopistico,me ne rendo conto.
Ma d'altra parte non di solo pane vive l'uomo..
Con rinnovata Stima
Pierluigi Fauzia
Basta.
Mi riferisco alla, ormai famosa, implorazione dell’associazione
Nazionale Magistrati indirizzata, nientepopodimeno, al relatore
speciale, presso l’ONU, sull’indipendenza dei giudici ma anche, lo
sottolineo, degli avvocati.
Con la lettera si afferma:
1. Difficile situazione della Magistratura Italiana.
2. Rischi per la indipendenza dei Giudici. Non del tutto, ma della sua
riduzione, ad opera del governo e della maggioranza parlamentare.
3. Quanto sub. 1 e 2 è stato già oggetto di intervento del relatore
sig. DATOPARAM CUMANARASWAMY nel 2002 (chiamato dal sig. Rutelli
Francesco. NDR)
4. Esso LEANDRO DESPOUY, attuale relatore, utilizzando la relazione
del suo predecessore, dopo averla integrata ha spedito agli inizi del
2005, al Presidente Ciampi, questa lettera con la quale ha affermato:
a) le norme di garanzie della indipendenza della magistratura
italiana, sono lodevoli.
b) Sono la caratteristica principale del potere giudiziario italiano.
c) Hanno conferito all’Italia un’invidiabile prestigio internazionale.
d) Hanno conferito, sempre all’Italia, autorità morale.
e) Sono servite da modello per altri paesi.
5. Gli estensori Palamara e Cascini, presidente e segretario generale
dell’ANM, proseguono affermando ulteriormente, che:
6. grazie alla sua lettera a Ciampi e
7. grazie alle sue dichiarazioni rese durante il suo soggiorno in
Italia nell’anno successivo, Governo e maggioranza rinunziarono, in
sede di riforma, alle norme, più pericolose per la indipendenza dei
magistrati
8. Ricordano, ancora, a Leandro che egli espresse apprezzamento “sul
modello italiano di garanzia della indipendenza della magistratura
incentrato sul Consiglio Superiore della Magistratura”
9. Comunicano anche che su certe decisioni della magistratura si sono
avuti attacchi da esponenti politici nonchè dal presidente del
Consiglio.
10. Comunicano, sempre, che in Italia si è tornato a discutere, da
parte del Governo, di modificare la composizione e le attribuzioni del
Consiglio Superiore della magistratura, finalizzate a sminuirne il suo
ruolo di garanzia dell’indipendenza del magistrato.
11. Comunicano che il male principale della magistratura è la lentezza
delle procedure.
12. Che si è ancora più aggravato in questi anni
13. Tanto, lo si deduce, è conseguenza del fatto che il Ministro della
Giustizia Alfano ha accettato la riduzione dello stanziamento per il
ministero epperò non ha posto in essere misure dirette a migliorare
l’efficienza del sistema (in questo caso, sistema)
14. Comunicano che quest’associazione ha espresso la sua
preoccupazione, viva, per gli attacchi alla Indipendenza dei magistrati.
15. Comunicano ancora e sempre che l’associazione ha avanzato varie
proposte di legge per il miglioramento dell’organizzazione giudiziaria
e per la semplificazione delle procedure.
16. Comunicano, infine, quale organismo della rappresentanza
professionale dei magistrati (sic) che si aspettano una nuova visita
di Leandro in Italia in missione ufficiale ONU e di poterlo incontrare
al fine di illustrargli i motivi di grande allarme e preoccupazione su
quanto sta accadendo in Italia.
Questa è la lettera. Nulla si è omesso. Nulla si è aggiunto. L’ho solo
sezionata per renderla palpabile al lettore di oggi, sempre più
“fuggente”. Non intendo esprimere opinioni sugli estensori ma
intervenire con l’insufficiente mezzo di cui dispongo, su di un fatto,
gravissimo, che sta accadendo in Italia da anni.
Volendolo datare, bisogna risalire al 1992 allorquando ci fu la famosa
inchiesta della Procura di Milano sulla corruzione, meglio conosciuta
come “Mani Pulite”.
Ma qual è questo fatto? Esso viene individuato nello scontro tra
alcuni, o molti, politici di un certo segno politico ed alcuni, o
molti, magistrati, anche questi – si assume – politicamente connotati,
ad oggetto.
Il Potere. Quello vero.
E questa lettera è la mossa di un sindacato di magistrati nella grande
partita appena indicata, e nel mentre arriva la contromossa, affermo e
riaffermo, che il troppo è troppo.
Riconosco che la lettera è ben pensata, ben scritta, ben articolata.
Questo, però, per i fini che si prefiggono gli estensori. Primo, fra
questi, evidentemente, è la risonanza da ottenere in Patria: l’hanno
ottenuta in tutte le sedi: su i giornali cartacei, i giornali radio e
televisivi, nei dibattiti e nei salotti. Tutti parlano della lettera.
Questa lettera. Alcuni sono soddisfatti, alcuni sono esterrefatti,
alcuni sono indignati, alcuni sorpresi, alcuni increduli, alcuni
indifferenti.
All’ONU, presumo, si sono allertati e, presumo sempre, che LEANDRO
abbia convocato o sentito chi di dovere e stia già predisponendo
l’urgente visita in Italia nel rispetto delle procedure. Già, però,
immagino il risultato della visita.
Proseguo:
- Di solito è l’indipendenza degli avvocati ad essere minacciata – e
che fa notizia - perché, sempre di solito, sono i diritti
fondamentali dei cittadini ad essere minacciati da regimi autoritari e
conseguentemente gli avvocati che li difendono.
- Gli avvocati Italiani, però, non si sono rivolti all’ONU ed, in
particolare, al relatore addetto perché “bloccati dal regime”
nell’esercizio del mandato difensivo.
- Sia il relatore DATO PARANM sia il relatore LEANDRO - è evidente,
non solo non hanno studiato, ma nemmeno letto e superficialmente, il
nostro Ordinamento Giudiziario (Vedi:www.cameradigiustizia.com).
- Suggerisco al relatore, prima di mettersi in viaggio, di studiarlo
attentamente. Gli faccio un piacere: gli trascrivo qualche norma
dell’ordinamento a tutela dell’autonomia e dell’indipendenza dei
magistrati:
• D. Lgsl. 23.02.2006, n. 109 – quale, negli ultimi anni, modificato
CAPO I
Della responsabilità disciplinare dei magistrati
SEZIONE I
Degli illeciti disciplinari
Art. 2
Illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni
1. Costituiscono illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni:
……omissis.
2. Fermo quanto previsto dal comma 1, lettere g), h), l), m), n), o),
p), cc) ed ff), l'attività di interpretazione di norme
di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove
non danno luogo a responsabilità disciplinare.
• R. D. Lgs. 31.05.1946, n. 511
TITOLO I
Delle guarentigie della magistratura
CAPO I
Della inamovibilità.
Art.3
Dispensa dal servizio o collocamento in aspettativa di ufficio per
debolezza di mente od infermità.
Se per qualsiasi infermità, giudicata permanente, o per sopravvenuta
inettitudine, un magistrato non può adempiere convenientemente ed
efficacemente ai doveri del proprio ufficio, è dispensato dal
servizio, previo parere conforme del Consiglio superiore della
magistratura. Se l'infermità o la sopravvenuta inettitudine consentono
l'efficace svolgimento di funzioni amministrative, il magistrato
dispensato può essere destinato, a domanda, a prestare servizio, nei
limiti dei posti disponibili, presso il Ministero della giustizia,
secondo modalità e criteri di comparazione definiti con decreto del
Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la funzione
pubblica e il Ministro dell'economia e delle finanze, tenuto conto del
tipo e della gravità dell'infermità o della sopravvenuta inettitudine.
Il magistrato dispensato mantiene il diritto al trattamento economico
in godimento, con l'eventuale attribuzione di un assegno ad personam
riassorbibile, corrispondente alla differenza retributiva tra il
trattamento economico in godimento alla data del provvedimento di
dispensa e il trattamento economico corrispondente alla qualifica
attribuita…………omissis…………
• R. D. 30.01.1941, n. 12
TITOLO I
Disposizioni generali
CAPO II
Delle Incompatibilità
Art. 18
Incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con
esercenti la professione forense
I magistrati giudicanti e requirenti delle corti di appello e
dei tribunali non possono appartenere ad uffici giudiziari nelle sedi
nelle quali i loro parenti fino al secondo grado, gli affini in primo
grado, il coniuge o il convivente, esercitano la professione di
avvocato.
La ricorrenza in concreto dell’incompatibilità di sede è
verificata sulla base dei seguenti criteri:
a) rilevanza della professione forense svolta dai soggetti di cui al
primo comma avanti all’ufficio di appartenenza del magistrato, tenuto,
altresì, conto dello svolgimento continuativo di una porzione minore
della professione forense e di eventuali forme di esercizio non
individuale dell’attività da parte dei medesimi soggetti;
b) dimensione del predetto ufficio, con particolare riferimento alla
organizzazione tabellare;
c) materia trattata sia dal magistrato che dal professionista, avendo
rilievo la distinzione dei settori del diritto civile, del diritto
penale e del diritto del lavoro e della previdenza, ed ancora,
all’interno dei predetti e specie del settore del diritto civile, dei
settori di ulteriore specializzazione come risulta, per il magistrato,
dalla organizzazione tabellare;
d) Ricorre sempre una situazione di incompatibilità con riguardo ai
Tribunali ordinari organizzati in un’unica sezione o alle Procure
della Repubblica istituite presso Tribunali strutturati con un’unica
sezione, salvo che il magistrato operi esclusivamente in sezione
distaccata ed il parente o l’affine non svolga presso tale sezione
alcuna attività o viceversa.
I magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti e requirenti
sono sempre in situazione di incompatibilità di sede ove un parente o
affine eserciti la professione forense presso l’ufficio dagli stessi
diretto, salvo valutazione caso per caso per i Tribunali ordinari
organizzati con una pluralità di sezioni per ciascun settore di
attività civile e penale.
Il rapporto di parentela o affinità con un praticante avvocato ammesso
all’esercizio della professione forense, è valutato ai fini
dell’articolo 2, comma 2, del R.D. Lgs 31 maggio 1946 n.511,
e successive modificazioni, tenuto conto dei criteri di cui al II
comma.
Art. 19
Incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con
magistrati o ufficiali
o agenti di polizia giudiziaria della stessa sede
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità
sino al secondo grado, di coniugio o di convivenza, non possono far
parte della stessa corte o dello stesso Tribunale o dello stesso
ufficio giudiziario.
La ricorrenza in concreto dell’incompatibilità di sede è verificata
sulla base dei criteri di cui all’articolo 18, secondo comma, per
quanto compatibili. I magistrati che hanno tra loro vincoli di
parentela o di affinità sino al terzo grado, di coniugio o di
convivenza, non possono mai fare parte dello stesso Tribunale o della
stessa Corte organizzati in un’unica sezione ovvero di un Tribunale o
di una corte organizzati in un’unica sezione e delle rispettive
Procure della Repubblica, salvo che uno dei due magistrati operi
esclusivamente in sezione distaccata e l’altro in sede centrale.
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità
fino al quarto grado incluso, ovvero di coniugio o di convivenza, non
possono mai far parte dello stesso collegio giudicante nelle corti e
nei tribunali.
I magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti o requirenti
della stessa sede sono sempre in situazione di incompatibilità , salvo
valutazione caso per caso per i Tribunali o le Corti organizzati con
una pluralità di sezioni per ciascun settore di attività civile e
penale.
Sussiste, altresì, situazione di incompatibilità , da valutare sulla
base dei criteri di cui all’articolo 18, secondo comma, in quanto
compatibili, se il magistrato dirigente dell’ufficio è in rapporto di
parentela o affinità entro il terzo grado, o di coniugio o convivenza,
con magistrato addetto al medesimo ufficio, tra il presidente del
Tribunale del capoluogo di distretto ed i giudici addetti al locale
Tribunale per i minorenni, tra il Presidente della Corte di appello o
il Procuratore generale presso la Corte medesima ed un magistrato
addetto rispettivamente, ad un Tribunale o ad una Procura della
Repubblica del distretto, ivi compresa la Procura presso il Tribunale
per i minorenni.. I magistrati non possono appartenere ad uno stesso
ufficio giudiziario ove i loro parenti fino la secondo grado, o gli
affini in primo grado, svolgono attività di ufficiale o agente di
polizia giudiziaria. La ricorrente in concreto dell’incompatibilità è
verificata sulla base dei criteri di cui all’articolo 18,
secondo comma, per quanto compatibili.
• D. Lgsl. 27.01.2006, n. 25
TITOLO I
Istituzione Del Consiglio Direttivo Della Corte Di Cassazione
CAPO I
Istituzione, composizione e durata in carica del consiglio direttivo
della Corte di Cassazione
Art. 8.
Composizione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione in
relazione alle competenze
Il componente avvocato nominato dal Consiglio nazionale forense e i
componenti professori universitari partecipano esclusivamente alle
discussioni e deliberazioni relative all'esercizio delle competenze di
cui all'articolo 7, comma 1, lettera a).
TITOLO II
Composizione, competenze e durata in carica dei Consigli Giudiziari
CAPO II
Competenze dei consigli giudiziari
Art. 15.
Competenze dei consigli giudiziari
1. I consigli giudiziari esercitano le seguenti competenze:
a) formulano il parere sulle tabelle degli uffici giudicanti e sulle
tabelle infradistrettuali di cui all'articolo 7-bis del regio decreto
30 gennaio 1941, n. 12, nonché sui criteri per l'assegnazione degli
affari e la sostituzione dei giudici impediti di cui all'articolo
7-ter, commi 1 e 2, del medesimo regio decreto, proposti dai capi
degli uffici giudiziari, verificando il rispetto dei criteri generali
direttamente indicati dal citato regio decreto numero 12 del 1941 e
dalla legge 25 luglio 2005, n. 150;
b) formulano i pareri per la valutazione di professionalità dei
magistrati ai sensi dell’articolo 11 del D.Lgs 5 aprile 2006, n.160, e
successive modificazioni;
c) abrogata;
d) esercitano la vigilanza sull'andamento degli uffici giudiziari del
distretto. Il consiglio giudiziario, che nell'esercizio della
vigilanza rileva l'esistenza di disfunzioni nell'andamento di
un ufficio, le segnala al Ministro della giustizia;
e) formulano pareri e proposte sull'organizzazione e il funzionamento
degli uffici del giudice di pace del distretto;
f) abrogata;
g) formulano pareri, anche su richiesta del Consiglio superiore della
magistratura, in ordine alla adozione, da parte del medesimo
Consiglio, dei provvedimenti inerenti a collocamenti a riposo,
dimissioni, decadenze dall'impiego, concessioni di titoli onorifici e
riammissioni in magistratura dei magistrati in servizio preso gli
uffici giudiziari del distretto o già in servizio presso tali uffici
al momento della cessazione dal servizio medesimo;
h) formulano pareri, su richiesta del Consiglio superiore della
magistratura, su materie attinenti alle competenze ad essi attribuite;
i) può formulare proposte al comitato direttivo della Scuola superiore
della magistratura in materia di programmazione della attività
didattica della Scuola.
2. Il consiglio giudiziario costituito presso la corte di appello
esercita le proprie competenze anche in relazione alle eventuali
sezioni distaccate della Corte.
Art. 16.
Composizione dei consigli giudiziari in relazione alle competenze
1. I componenti designati dal consiglio regionale ed i componenti
avvocati e professori universitari, partecipano esclusivamente alle
discussioni e deliberazioni relative all'esercizio delle competenze di
cui all'articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e).
2. abrogato.
Concludo augurando al sig. LEANDRO buon viaggio durante il quale, per
favore, legga, ove non lo abbia già fatto, il nostro ordinamento
giudiziario.
Con i sensi, anche da parte nostra, della massima considerazione
Napoli, 26 novembre 2008
Nicola Cioffi, avvocato.
per carità, monsù Fauzia, non volevo certo affermare che la semplice riscrittura di alcuni passi della costituzione farebbe svanire per incanto i troppi vizi che macchiano la vita politica e il funzionamento del nostro stato.
constatavo semplicemente l'assurdità di una repubblica parlamentare che vede il proprio parlamento passare da uno stato di semiparalisi a una funzione di mero certificatore dell'operato del governo, senza peraltro avere MAI o quasi svolto appieno i compiti che gli sono affidati dalla carta costituente, e tutto ciò senza comunque infrangere la costituzione che dello stato (e quindi anche di governo e parlamento) è base.
se la legge fondamentale di un sistema non solo non ne assicura il corretto funzionamento, non solo rende assai facile ostacolarlo, e pure permette di abbattere le (poche) garanzie di indipendenza e sovranità del parlamento in funzione di una maggior libertà di manovra del governo (libertà di manovra peraltro indispensabile per ovviare a precedenti periodi di totale inerzia esecutiva, e di costante ricatto di piccoli gruppetti di eletti), bene, questa legge fondamentale ha qualcosa che non funziona.
o perché è mal scritta (mal congegnata), o perché è male applicata (mal interpretata).
nel primo caso va riscritta.
nel secondo, ne vanno cambiati gli interpreti, ma evitando che si possano ripresentare con le stesse finalità (con la stessa impudenza), e soprattutto con le stesse facce.
concordo pienamente con Lei quando afferma che occorrerebbe che i parlamentari, singolarmente e come camere, debbano avere maggiore responsabilità, sia delle proprie azioni che nei confronti del governo che dovrebbero costantemente controllare e giudicare. e a tal fine basterebbe modificare l'articolo che tratta dell'assenza di vincolo, integrandoci invece alcuni vincoli astratti, ma fializzati a rafforzare proprio la sovranità che al parlamento viene attribuita.
quanto al presidente la repubblica, egli è effettivamente quasi privo di poteri (per precisa scelta dei costituenti): rispetto alla figura del monarca, mutuata del precedente Statuto, i poteri del presidente sono ancor più ridotti, tanto che un 25 luglio, con questa costituzione, non saprebbe possibile. l'esempio poi che lei porta poi è evidentemente assurdo, in quanto nessun parlamentare, che giura sulla costituzione, potrebbe presentare al voto un progetto di legge evidentemente e esplicitamente contrario ad uno degli articoli della carta, e nemmeno tra i secondari. di conseguenza la legge in questione, se mai fosse proposta, non passerebbe nemmeno in commissione.
in ogni caso, mi tengo la mia personale repulsione per questa carta, che rispetto per necessità e contingenza, ma che mi permetto di considerare in molti suoi aspetti falsa, ridondante, poco efficace.
con immutato rispetto,
baron litron
Gentile De Luca,
gli articoli del Codice penale sono come i cibi e le bevande e come tali vengono distribuiti secondo l'importanza dei commensali, quelli che si cibano con il caviale e si dissetano con lo champagne, sono immuni dall'applicazione di alcuni! Esempio: l'art. 416 bis si applica solamente ai paralitici-disadattati-cialtroni, anche in assenza di qualsiasi prova; mai a prefetti, giudici, vescovi, cardinali, senatori, deputati e faccendieri vari, a limite, quando le prove sono schiaccianti, ci si limita al concorso esterno in associazione mafiosa. Così, leggendo dell'ultima inchiesta crotonese, si apprende che la pericolosità dei paralitici-disadattati-cialtroni in quel territorio è rappresentata dalla loro capacità, nel mentre si ammazzano, a riuscire contemporaneamente, sempre tra loro, a fare collette per l'acquisto di lanciamissili e Bazooka per assassinare un giudice scomodo. In verità, ogni giudice che lavora è scomodo, a non dormire sonni tranquilli per colpa di un pessimo magistrato (indaga di nascosto del suo capo) sono proprio gli abituè del caviale e dello champagne.
Con la solita stima bartolo iamonte.
Senza voler assolutamente cambiare l'opinione di Baron Litron sulla Carta Costituzionale italiana, mi limito a sottolineare due cose (già esporesse, sottolineate, ripetute... ma forse -evidentemente- non è mai abbastanza):
1- sfido chiunque a scrivere (o modificare) una qualunque legge, financo la Costituzione, in modo da garantire il rispetto di principi di uguaglianza, democrazia e giustizia in Italia. Scommetto tutto quello che volete: qualunque legge o articolo non sarà mai sufficiente, non sarà mai interpretabile in maniera univoca, non sarà mai rispettabile fino in fondo dagli italioti maestri nella famosissima "arte di arrangiarsi". Altrove non servono tante leggi, qui non bastano mai. C'è una sola ragione: altrove, oltre alle leggi effettive, c'è la volontà di rispettarle, una specie di legge interiore di ciascuno, qui no. Qui c'è la volontà di studiare le leggi esistenti (o quelle da fare) per poterle evitare anche laddove questo costi molta più fatica e più dispendio di energia del semplice rispettarle.
Qualunque miglioria apportata alla nostra Costituzione (che certo, è fatta da uomini e pertanto non è perfetta, ma è assolutamente una delle più lungimiranti e serie e intelligenti e buone di quelle attualmente in circolazione) non permetterà mai di poter dire "più di così non si poteva fare". Ci sarà sempre un Baron Litron da qualche parte che ci vedrà malizia (e si badi: ammetto anche che nel nostro caso possa esserci stata, pur non essendone personalmente convinta), che troverà lacune, che vedrà in essa degli spiragli per la criminalità di potere. E tutto questo per una ragione ovvia, intrinseca all'oggetto stesso, alla "legge" (costituzionale o meno): per essere tale la legge deve essere astratta e generale, e l'unico modo per essere invece sicuri che funzioni laddove serve sarebbe quello di scriverla apposta, su misura, nominando il caso specifico.
2- io sono piuttosto giovane, certe cose le ho studiate sui libri, e non ho ricordi personali che vanno molto indietro nel tempo. Ma quello che ho potuto vedere con i miei occhi in questi pochi ultimi anni mi ha reso perfettamente convinta, e anche qui ci scommetterei qualunque cosa, la mia testa pure, che se per qualche ragione gli convenisse la quasi totalità dei parlamentari, giurando sulla costituzione, sarebbero capacissimi di proporre e votare una legge di riforma della forma repubblicana per ritrasformarla in monarchia. Ad oggi non lo fanno solo perché non ne hanno bisogno, ma hanno già fatto (e propongono quotidianamente con ogni mezzo) riforme assolutamente incostituzionali sotto ogni punto di vista, eppure giurano sulla Costituzione. Quella non sarebbe che l'ennesima, ma è già successo, e viene riproposto e discusso di continuo.
Silvia.
Cara Silvia,
se, come dice Scapagnini(quello che ha accumulato 300 milioni di debiti nel breve periodo che ha amministrato il comune di Catania), B ha il fisico e gli organi di un trentenne con la prospettiva di altri cinquant'anni di vita politica non è escluso che i rappresentanti parlamentari, talmente idioti sono che, sceglieranno la forma monarchica, incoronando Silvio RE! Tu devi essere contenta, pare che per tutti i Silvii e le Silvie c'è pronto un Regio Decreto che li nomina Cavalieri del Regno con ogni sorta privelegio!
b
... a proposito della decadenza sostanziale, e della conservazione formale del ruolo del parlamento, se avete tempo leggetevi quest'articolessa. l'autore non è tra i miei preferiti, ma ha il pregio dell'esperienza diretta, e l'amarezza di un ideale tradito, e da parecchio tempo----
Deduco dal tono e da qualche vecchia frequentazione sul blog che l'ultimo commento di b qui sopra sia una battuta ironica, o sarcastica... perciò mi costringo a non prendermela... :) ...ma vi prego: ho già la sfortuna di portare un nome bellissimo (secondo me) e di non potermelo godere per colpa di un incontinente (verbale, comportamentale, ecc.) che mi fa vergognare ogni giorno di essere italiana, milanista (rammarico, ahimè) e Silvia! Non torturatemi di più!
Grazie, Silvia.
ps: naturalmente sono milanista da molto prima di scoprire il nome del presidente del Milan, e così come non trovo giusto privarmi della cittadinanza che mi rende (o dovrebbe) orgogliosa per colpa di quello che ritengo un indegno rappresentante, non trovo giusto rinnegare la mia fede calcistica, tanto più che non lo seguo particolarmente il calcio. E comunque non gioisco più quando il milan vince (le volte che lo fa). E comunque ha quasi cinquant'anni più di me, Scapagnini o no farò pure in tempo a vedere ciò che viene dopo di lui al mondo, almeno anagraficamente, no? Sempre se resta qualcosa da vedere...
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