di Curzio Maltese
da Repubblica.it dell’1 ottobre 2008
A Parma, nella civile Parma, la polizia municipale ha massacrato di botte un giovane ghanese, Emmanuel Bonsu Foster, e ha scritto sulla sua pratica la spiegazione: “negro”.
Davano la caccia agli spacciatori e hanno trovato Emmanuel, che non è uno spacciatore, è uno studente.
Anzi è uno studente che gli spacciatori li combatte.
Stava cominciando a lavorare come volontario in un centro di recupero dei tossici.
Ma è bastato che avesse la pelle nera per scatenare il sadismo dei vigili, calci, pugni, sputi al “negro”.
Parma è la stessa città dove qualche settimana fa era stata maltrattata, rinchiusa e fotografata come un animale una prostituta africana.
L’ultimo caso di inedito razzismo all’italiana pone due questioni, una limitata e urgente, l’altra più generale.
La prima è che non si possono dare troppi poteri ai sindaci.
Il decreto Maroni è stato in questo senso una vera sciagura. La classe politica nazionale italiana è mediocre, ma spesso il ceto politico locale è, se possibile, ancora peggio.
Delegare ai sindaci una parte di poteri, ha significato in questi mesi assistere a un delirio di norme incivili, al grido di “tolleranza zero”.
In provincia come nelle metropoli, nella Treviso o nella Verona degli sceriffi leghisti, come nella Roma di Alemanno e nella Milano della Moratti.
A Parma il sindaco Pietro Vignali, una vittima della cattiva televisione, ha firmato ordinanze contro chiunque, prostitute e clienti, accattoni e fumatori (all’aperto!), ragazzi colpevoli di festeggiare per strada.
Si è insomma segnalato, nel suo piccolo, nel grande sport nazionale: la caccia al povero cristo.
Sarà il caso di ricordare a questi sceriffi che nella classifica dei problemi delle città italiane la sicurezza legata all’immigrazione non figura neppure nei primi dieci posti.
I problemi delle metropoli italiane, confrontate al resto d’Europa, sono l’inquinamento, gli abusi edilizi, le buche nelle strade, la pessima qualità dei servizi, il conseguente e drammatico crollo di presenze turistiche eccetera eccetera. Oltre naturalmente alla penetrazione dell’economia mafiosa, da Palermo ad Aosta, passando per l’Emilia.
I sindaci incompetenti non sanno offrire risposte e quindi si concentrano sui “negri”. Nella speranza, purtroppo fondata, di raccogliere con meno fatica più consensi.
Di questo passo, creeranno loro stessi l’emergenza che fingono di voler risolvere.
Provocazioni e violenze continue non possono che evocare una reazione altrettanto intollerante da parte delle comunità di migranti.
Al funerale di Abdoul, il ragazzo ucciso a Cernusco sul Naviglio non c’erano italiani per testimoniare solidarietà. A parte un grande artista di teatro, Pippo Del Bono, che ha filmato la rabbia plumbea di amici e parenti.
La guerra agli immigrati è una delle tante guerre tragiche e idiote che non avremmo voluto. Ma una volta dichiarata, bisogna aspettarsi una reazione del “nemico”.
L’altra questione è più generale, è il clima culturale in cui sta scivolando il Paese, senza quasi accorgersene.
Nel momento stesso in cui si riscrive la storia delle leggi razziali, nell’urgenza di rivalutare il fascismo, si testimonia quanto il razzismo sia una malapianta nostrana.
L’Italia è l’unica nazione civile in cui nei titoli di giornali si usa ancora specificare la provenienza soltanto per i delinquenti stranieri: rapinatore slavo, spacciatore marocchino, violentatore rumeno.
Poiché oltre il novanta per cento degli stupri, per fare un esempio, sono compiuti da italiani, diventa difficile credere a una forzatura dovuta all’emergenza.
L’altra sera, da Vespa, tutti gli ospiti italiani cercavano di convincere il testimone del delitto di Perugia che “nessuno ce l’aveva con lui perché era negro”.
Negro? Si può ascoltare questo termine per tutta la sera da una tv pubblica occidentale?
Non lo eravamo e stiamo diventando un paese razzista.
Così almeno gli italiani vengono ormai percepiti all’estero.
Forse non è vero. Forse la caccia allo straniero è soltanto un effetto collaterale dell’immensa paura che gli italiani povano da vent’anni davanti al fenomeno della globalizzazione.
La paura e, perché no?, la vergogna si sentirsi inadeguati di fronte ai grandi cambiamenti, che si traduce nel più facile e abietto dei sentimenti, l’odio per il diverso.
La nostalgia ridicola di un passato dove eravamo tutti italiani e potevamo quindi odiarci fra di noi.
In questo clima culturale miserabile perfino un sindaco di provincia o un vigile di periferia si sentono depositari di un potere di vita o di morte su un “negro”.
24 commenti:
Vorrei sottolineare, se permettete, un grande problema terminologico.
I giovanissimi (intendo i ragazzi delle medie, al massimo) forse non lo ricordano, ma sino a dieci anni fa il termine "negro", dal latino "niger", era il principale termine usato in Italia per definire popolazioni di pelle scura. Non aveva affatto alcun significato dispregiativo, tanto che era comunemente usato nella stampa, al cinema, nelle canzoni, nei libri, dai poltici, dagli intellettuali, da tutti.
Negli ultimi dieci anni, mutuandolo dagli U.S.A., si è voluto invece introdurre il termine "nero". Ciò è il frutto di un errore. L'equivoco nasce dal fatto che la parola "nero" non è altro che la traduzione del termine "black", usata correntemente negli U.S.A. al posto di "negro" (così anche in Inglese) o "nigger", i quali ultimi termini hanno in America, a differenza dell'Italia, un preciso significato discriminatorio e, in ultima analisi, razzista.
Significato che da noi è sempre stato del tutto assente.
La traduzione del più tollerato (negli U.S.A.) termine "black" non era quindi necessaria, giacché non mi sembra di vivere negli Stati Uniti ...
Di tale scarsa conoscenza della lingua e dei costumi altrui è similmente frutto l'uso, invalso oggi, del termine "educazione" al posto del termine "istruzione". Dimenticando che in inglese la parola "education" significa proprio "istruzione", essendo un c.d. "false friend" !
Ma, tornando all'argomento, se una persona di cinquant'anni ha sempre usato il termine "negro" senza alcun significato razzistico, non vedo perché, in forza di un equivoco, debba essere costretta a cambiare linguaggio!
Ancora una considerazione: il razzismo "alla rovescia". Difatti, se la pretesa vittima fosse stato un italiano, probabilmente neppure sarebbe stata riportata la notizia.
E ho detto "pretesa" perché vorrei ancora sapere come sono andati veramente i fatti, non avendo alcuna dote divinatoria, né particolare "fede" nelle notizie dei giornali.
Forse sarebbe il caso di attendere l'esito dell'eventuale procedimento penale prima di condannare, senza appello, a mezzo stampa !
Infine, noto che molto spesso il fatto che la nostalgia sia "ridicola" è sostenuto da persone abituate a voltar gabbana, ovvero a girare assecondando sempre il vento, come fanno i giunchi nei pressi dello stagno ... "absit iniuria verbis" nei confronti del giornalista, ovviamente. Parlo in termini generali. E negli stessi termini credo che soltanto chi non ha, o non vuol avere, un passato non soffra, anche se solo a volte e solo per certe cose, di nostalgia.
Per anonimo delle 15.23.
Anche se non giovane, non lo sapevo.
Grazie!
b
Perchè il destinatario, anche inconsapevole, lo legge (o lo leggerebbe) in senso dispregiativo.
Perchè gli usi e costumi cambiano.
Perchè dalla lingua anglosassone abbiamo importato (io non ne sono affatto contento) una miriade di termini non solo derivati dalla lingua inglese, ma così come sono, 'sic et simpliciter' e ben oltre il linguaggio tecnico-scientifico.
Perchè il lettore, il contesto sociale lo leggerebbe (i razzisti con gioia) in senso dispregiativo.
Qui il problema terminologico conta fino ad un certo punto.
P.S.: scrivo in neretto perchè so usare il linguaggio HTML, peraltro permesso dal blog, perchè leggo meglio il neretto (vista insufficiente, e non solo, causa età) non perchè ritengo che le mie riflessioni debbano avere un maggior carattere cogente, non lo hanno.
Io mi rendo conto che il mondo cambia, si evolve e così pure la lingua.
Mi rendo conto anche che sarebbe ridicolo volersi fermare incapponendosi su dettagli già passati, e in questo senso condivido l'intervento del dott. Morsello, (io sono giovane ma lo sapevo benissimo, sapeste quante allegre discussioni in casa con me e mio fratello che critichiamo i nostri genitori per l'uso del termine "negro" e loro che si imbestialiscono perché dicono che l'hanno sempre usato fin da piccoli e per nulla in tono dispregiativo) in quanto oggi il termine "negro" viene percepito (e usato, aggiungerei) in tono dispregiativo. Infatti se gli adulti o gli anziani di oggi lo usano ancora con un significato puro, tutti i giovani che lo usano (che non hanno potuto assimilarlo in quel senso per ragioni anagrafiche) sono necessariamente in malafede.
Diciamo che data la situazione (razzistica) attuale del nostro Paese oggi sarebbe forse meglio in questo caso cambiare l'uso del linguaggio da "negro" a "nero".
Tuttavia mi rendo anche conto che spesso questo ricambio di usi linguistici vela una certa ipocrisia (perché mai d'un tratto si decide di cambiare termine se fino a quel momento non ha mai dato adito a fraintendimenti?), che permette di usare termini forbiti, o comunque appropriati, per veicolare messaggi sostanzialmente dannosi.
Io non ho visto la puntata di Porta a Porta in questione (lungi da me :) ), ma se il ministro Maroni (o chi per lui) che è leghista e non fa altro che fare discriminazioni di ogni genere, fa un discorso razzista chiamando sempre le "persone di colore" per nome, o al massimo "neri", non fa altro che l'ipocrita.
E in questo caso quello che dovrebbe essere additato non è il termine "negro" che viene usato, quanto il concetto sotteso al discorso, il messaggio che si vuole far passare.
In questa direzione, infine, vanno moltissimi "cambiamenti" di usi del linguaggio che non hanno motivo di esistere, anzi, che sono veramente dannosi. E' attraverso le parole che oggi si sta attuando il sovvertimento dello stato di diritto, più di ogni altra cosa. Questo per la duplice ragione che le parole sono l'arma del quarto potere (informazione), quello oggi maggiormente colpevole di aver lasciato il proprio posto di cane da guardia della democrazia, e perché l'unica difesa contro il loro utilizzo distorto è la conoscenza, mentre oggi viviamo in un paese che laddove qualche testa si voglia levare dalla massa di ignoranza di base viene "lavata" di sana pianta con modelli comunicativi (informazione e media) volutamente distorti e ignoranti.
Vale per la parola "educazione" al posto di "istruzione", vale per l'uso spropositato della parola "giustizialismo" e annessi, vale per l'impunibile offesa al decoro della bandiera o delle istituzioni (salvo quando fatta da chi non è allineato con il sistema di potere maggioritario), vale per la classificazione categorica (ad esempio, chi mi spiega cosa vuol dire essere "antropologicamente diversi dalla razza umana"? Letteralmente è una contraddizione in termini ma fa un gran bell'effetto), vale per l'ostinata individuazione delle colpe degli incidenti stradali (colpa della velocità, della droga, della nebbia, come una gara ad assolvere il disgraziato che c'è rimasto secco perché in fondo è morto e non si può dire "deficente" a un morto, ERANO tutti buoni e bravi quando sono morti), ecc.
E' il modo in cui vengono date le notizie, è il modo in cui si parla di una certa cosa, per cui non si conia più un neologismo per necessità oggi, ma se ne coniano a centinaia solo per divertimento, in una gara di fantasia (ecco perché, ad esempio, nessun motociclista seguirebbe più le gare di moto se non ci fosse più Meda o uno come lui a sparare cazzate immani dal primo all'ultimo secondo).
E' il modo in cui viene fatta comunicazione.
Basta, si finisce sempre lì. Quando la gente si chiede "ebbene, che fare?" la risposta è così semplice...
Silvia.
@ Silvia.
Ho letto con molto interesse il suo articolato commento e condidivo tutto o quasi tutto di ciò che scrive.
Sulla sacralizzazione della lingua antica, per non dire arcaica, però non sono molto d'accordo.
Torniamo al termine "negro".
Anch'io, che di anni ne ho 70, l'ho sempre usata senza problemi, perchè nella società, inteso come contesto sociale, dalla quale provengo chiamare negro un negro non aveva alcun contenuto di disprezzo, ma solo il riconoscimento del colore nero della pelle.
Però anch'io ho dovuto fare i conti con la deriva linguistica, per cui negro non era più una semplice constatazione, ma un insulto, anche quando non veniva usato in questo significato, ma poteva essere percepito con questo significato.
Ho fatto fatica, perchè ho dovuto usare violenza su me stesso, ma l'ho fatto, perchè altrimenti avrei rafforzato il sopravvenuto contenuto offensivo di quella parola.
Adesso dico nero, semplicemente e con disinvoltura, e talvolta penso negro, nei casi di efferata cronaca nera, con contenuto dispregiativo, anch'io !
I costumi sociali cambiano, nella fattispecie in peggio, e la lingua si deve adeguare.
Imbruttendosi.
Ma è un discorso di lingua?
Quello di Parma non è né il primo né l'ultimo episodio di razzismo, che, frequentissimi, vengono a galla, di giorno in giorno, in questa fase della nostra vita nazionale.
E ne facciamo un discorso semantico?
Signori, Vi prego, stiamo con i piedi per terra.
@ Luigi
felice che condivida, ma condivida pure tutto: anch'io ho sottolineato come nonostante tutto la parola "negro" mi sembra doveroso lasciarla al passato..., sapesse quante discussioni con i miei genitori! :)
@ Tanino
no, non è un discorso SOLO di lingua, ma sì, è ANCHE un discorso di lingua.
So di non essere molto brava a spiegarmi ma ho già sottolineato nel post qui sopra PERCHE' è anche un discorso di lungua.
In primo luogo sottolineo il passaggio sui ministri ospiti di trasmissioni televisive: "quello che dovrebbe essere additato non è il termine "negro" che viene usato, quanto il concetto sotteso al discorso, il messaggio che si vuole far passare" (cioè la sostanza, non la lingua). Eppure oggi si addita chi usa certi termini (non che non sia giusto, ma si sposta il discorso dal nodo centrale).
E poi "E' attraverso le parole che oggi si sta attuando il sovvertimento dello stato di diritto, più di ogni altra cosa. Questo per la duplice ragione che le parole sono l'arma del quarto potere [...] e perché l'unica difesa contro il loro utilizzo distorto è la conoscenza".
Purtroppo la nostra è una società mediamente piuttosto ignorante e pochissimo acculturata, e spesso la cultura risolve già un sacco di problemi da sola.
La nostra "cultura" (conoscenza frutto della Storia) ci fa considerare ignobile la tortura, la pena di morte, l'assenza di un processo, la legge del taglione, l'omicidio per onore, l'utilizzo dei figli come merce da vendere e su cui comandare da parte dei padri. In altre culture alcune di queste cose sono perfino istituzionalizzate. Si crede abbiano una loro dignità, una loro efficacia e quindi una ragione d'essere sacrosanta.
Questo dipende da ciò che si impara a scuola, in famiglia, al catechismo (se lo si può intendere di ogni religione). Se io cresco in una famiglia che mi insegna a rispettare le regole non parcheggio sulle strisce per i disabili nemmeno se non c'è altro posto, o se conosco il vigile...
Se cresco in una famiglia-mediaset tipo (non che la Rai oggi sia molto diversa) assimilo alcuni valori che mi portano a comportarmi in determinati modi poi nella vita, diversamente che se fossi -ad esempio- cresciuta in una famiglia-bbc tipo (senza intendere che per forza questo secondo caso sia migliore).
Una famiglia che mi insegna a spegnere la tv quando non serve, mi fa crescere e comportare in altro modo ancora.
Purtroppo non tutti raggiungiamo il livello minimo di cultura (intesa come conoscenza, perché qui purtroppo non si tratta solo di intelligenza, magari bastasse quella) per accorgerci di tutte le porcherie che ci vomitano addosso da giornali e tg.
Quante volte abbiamo sentito tutti noi la frase "beh insomma, Berlusconi sarà anche egocentrico ma fa del bene al paese" o "beh insomma, Berlusconi si farà anche i fatti suoi ma non commette veri e propri reati"? Come pensa che la gente si formi queste idee? Sulla base dei fatti o dei racconti (storpiati) dei fatti?
Come pensa che la gente faccia a considerare l'inefficienza della giustizia causata da toghe rosse e magistrati troppo buoni con gli extracomunitari?
Perché guardano ai fatti o perché ascoltano parole manipolate?
Ha un senso dire "toghe rosse"? Indipendentemente dalle convinzioni politiche dei magistrati non dovrebbero essere condannati tutti quelli che manipolano il corso della giustizia per fini personali (e ammesso che ci siano, non sono forse di tanti colori politici e non mirano ad interessi più materiali e vicini a sè che al capovolgimento del fronte politico nazionale?)? Eppure è entrato nell'uso quotidiano, quanta gente c'è che parla di toghe rosse?
Quanta gente ha parlato del "finalmente istituito" reato di clandestinità senza che questo fosse mai stato nemmeno discusso in parlamento? La gente, con l'uso di queste parole, ora è convinta che i clandestini andranno in galera o a casa, non sa che non è cambiato assolutamente nulla! Questo in base all'uso delle parole.
Domani tutti questi (il popolo di internet è purtroppo una ristretta elite di un-po'-più-informati) voteranno di nuovo Berlusconi perché ha trovato il modo di mettere in galera i clandestini e si sentiranno più sicuri con lui. Poco importa che sia una gran balla.
Oggi si governa soprattutto con le parole.
E se per lo meno l'informazione insegnasse al popolo ad utilizzare quelle corrette (ma dove sono finiti i tempi in cui la rai insegnava a leggere e a scrivere?) i telespettatori tutti continuerebbero a sentire le manipolazioni fatte dai politici, ma sarebbero immunizzati e le riconoscerebbero per ciò che sono: puttanate!
Invece ieri a pranzo, tg1 delle 13.30, un giornalista ha detto: "fuggivano in controsenso inseguiti dalla polizia in una delle arterie più trafficate della città SOLO perché avevano l'assicurazione della moto scaduta e temevano che gliela potessero sequestrare, sono morti così due diciassettenni [...], tutto inizia alle due di notte quando alla polizia arriva una segnalazione di furto [...]. Sul posto c'è un ciclomotore con due giovani a bordo che alla vista della volante fuggono imboccando la corsia centrale in controsenso e ad alta velocità [...]"
Aggiungo anche il link così oltre alle parole che tralascio (inutili per la questione qui trattata) potete sentire anche il tono con cui vengono detti quel "solo" e il resto della notizia.
http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/#contentLTXTTop
E poi vorrei sentire ancora qualcuno che mi dice che nei problemi odierni dell'Italia la comunicazione (e l'uso delle parole, del linguaggio) non ci entrano per niente.
Silvia.
Vi vorrei segnalare, a proposito del razzismo made in italy e del termine "negro" un articolo pubblicato su un Blog in italiano, gestito da una donna immigrata con una storia tipicamente non conforme alle bufale che fanno presa sulla gentucola italica secondo l'idea che ne hanno nella stampa nazional(popolare).
andatevi tutti a leggere che dice Reine Ake sul suo blog http://www.afrocitta.blogspot.com/ e a come usa il termine "niger", che poi, in latino significa nero, tant'e' che possiamo sostituirlo con nero oltreche' con l'arcaico "negro", cosi' a essere decisamente obsoleti e fuori moda sono i razzisti no?
Diciamo che possiamo tirare una linea intorno al 1970 e dire che il termine usato prima del 70 non aveva necessariamente connotazioni razziste e oggi si, con buona pace di tutti.
E impariamo a chiamare un uomo un uomo, un pugno un pugno, uno schiaffo uno schiaffo...
@ Fredd: Perché il 1970 ?
La linea, come dicevo poc'anzi, andrebbe tirata almeno dal 1990, se non più tardi !
La vera "immigrazione" di popoli di colore nel nostro Paese è inziata soltanto dal 1990.
Non vi sembrerà vero, ma sono arrivsto a nove anni di vita senza aver mai visto, dal vivo, una peronsa di colore.
E non abito in un paesino in cima ai monti ...
@ Silvia: E' senz'altro vero che la crisi della giustizia NON è mai dipesa dalle "toghe rosse", ma non puoi negare che le "toghe rosse", a cominciare dai "Pretori d'assalto" degli anni '70, sono esistite, eccome ! Il fatto che non c'entrino con le disfunzioni del sistema giudiziario non implica di dover cancellare la verità. Gramsci, allora, era molto seguito, oltre a ... Mao. Ricordo benissimo !
Partendo dal concetto che nessuno si offende se viene descritto come un italiano oppure un europeo, io cerco di usare il termine che descrive la nazionalità : un nigeriano, un senegalese, ecc. Se mom so la nazionalità della persona, uso il termine che referisce al continente d'origine un'africano. E così difficile?
@ Anonimo delle 01.07:
Non è difficile: tuttavia se "un africano" (senza apostrofo!) è bianco, come in Sudafrica, potrebbe generare degli equivoci.
Perché qui non si parlava di "nazionalità", ma di "etnie".
Uso quest'ultimo termine per il solito motivo, ché il termine "razze" oggi è visto male, anche se fino a pochi anni fa era comunemente usato nei libri di scuola, nelle enciclopedie e nei trattati scientifici, senza alcuna, ripeto, alcuna valenza razzistica. Ma tant'è, bisogna cambiare pure linguaggio dopo quanrant'anni, se no qualcuno si offende !
Oggi, ne prendo atto, il termine "razza" vale ancora solo per gli animali, particolarmente cani e gatti. Ed è anche qui usato, riguardo agli animali, senza alcuna connotazione "razzistica" !
Ma, domando, l'uomo cos'è ... un vegetale ? :)
L'altro anonimo ha detto:
"Non è difficile: tuttavia se "un africano" (senza apostrofo!)"
io dico:
Scusate gli errori di italiano - e anche quelli di battitura!. Sono italiana di origine celtica - vengo dall'irlanda!
L'altro anonimo ha detto:
"è bianco, come in Sudafrica, potrebbe generare degli equivoci".
io chiedo:
Quali equivoci - se non si è razzisti?
L'altro anonimo ha detto:
"Perché qui non si parlava di "nazionalità", ma di "etnie".
io dico:
Io non parlo di etnie. Parlo di esseri umani che non valgono più di me e che non valgono di meno. Hanno gli stessi diritti umani promulgati 60 anni fa che ho io e che ha Lei, l'altro anonimo, e che ha ogni altro essere umano.
L'altro anonimo ha detto:
"Oggi, ne prendo atto, il termine "razza" vale ancora solo per gli animali, particolarmente cani e gatti. Ed è anche qui usato, riguardo agli animali, senza alcuna connotazione "razzistica" !
Ma, domando, l'uomo cos'è ... un vegetale ? :)"
io rispondo:
Tutti gli uomini e le donne che nascono su questa pianeta appartengono alla razza umana. E così difficile comprendere/accettare questo concetto?
Per anonimo delle 20.47:
Si!!!
b
La "razza umana" non esiste. Esiste un'unica SPECIE: "homo sapiens sapiens", che comprende africani, caucasici, asiatici, ecc. ecc.
Anche la "razza canina" non esiste. Esiste un'unica SPECIE: "canis lupus familiaris", che comprende l' alano e il chihuahua, il pastore tedesco e il barboncino, ecc. ecc.
Caro anonimo delle 23.22
Se ha gusto ad essere linciato lo vada a raccontarre ad un qualsiasi proprietario di cane ciò che Lei afferma dal punto di vista scientifico. E se non lo capiscono con i cani... figuriamoci! (c'è chi s'attacca agli apostrofi...!)
Qui il problema non è l'accettazione di un assunto scientifico, ma gli esseri umani stessi.
Sa che penso io, che se esiste davvero, come credono alcuni, un dio che c'ha creato e non ha capito fino ad ora che il primo sbaglio l'ha fatto lui lasciandoci il libero arbitrio del pensiero, tantomeno riesco a capire io, ad oggi, il motivo per cui l'ha fatto!!!
Chi ha fede lo vuole chiamare mistero?!
Mah, io credo che il mondo sarebbe stato in perfetto equilibrio senza la specie umana, nei secoli dei secoli, in buona pace e amen o forse così era troppo bello?!!
Troppo pessimista.
Ma è naturale che il pessimismo sia diffuso. Esso è figlio di molte malefiche illusioni degli ultimi secoli:
1) L'Umanesimo;
2) La Riforma;
3) L'Illuminismo;
4) Il Comunismo.
Questi "idola" hanno ingenerato in molti la vana speranza di trovare, senza fatica, la Giustizia assoluta in questo mondo.
Dimenticando che la Giustizia non è di questo mondo. E che qui, dove siamo ora, possiamo averne solo un'immagine imperfetta.
Facendo, inoltre, nascere la "disperazione della salvezza". Disperazione che può affliggere soltanto chi a questa salvezza miracolosa, in questo mondo, credeva veramente.
Creando quindi la categoria dei "disillusi", con tutte le conseguenze del caso, quali la delusione, la rabbia, lo scetticismo e il nichilismo in alcuni. In altri, la repentina "conversione" all'unico dio rimasto, il dio-denaro !
Cosa che non sarebbe accaduta se si fosse avuto maggior pietà dell'imperfetto essere umano, senza condizionarne il destino ad assurde dottrine filosofiche e politiche, delegando in ultima analisi alla forza di pretese verità assolute l'intrinseca, vera e personalissima fatica di esser uomini.
Due cose:
1- tecnicamente l'anonimo qui sopra ha ragione: esiste un'unica specie, cioè il cane. Suddivisa in tante razze (pastore tedesco, bassotto, ecc.)
Come per gli esseri umani esiste un'unica specie, cioè l'uomo (homo sapiens sapiens), suddiviso in tante razze (caucasico, africano, indiano, ecc.).
Non è nascondendoci queste semplici verità che risolviamo il problema (sempre nel solco del discorso sull'uso corretto delle parole), non è dicendo che siamo tutti della stessa "razza" che siamo nel giusto e proponiamo una soluzione costruttiva. Ma riconoscendo che tutte le varie "razze" (che corrispondono a connotazioni fisiche, peraltro oggi spessissimo incrociate tra loro al punto da risultare a volte anche indistinte, proprio come succede per i cani) hanno pari dignità, diritti, doveri, ecc. Non dice forse la Costituzione "...senza distinzione di sesso, razza, religione, ..."? Cos'è, siamo anche tutti dello stesso sesso adesso?
Sempre per il discorso sull'uso consapevole e corretto delle parole fino a che la gente non capirà che il problema non è riconoscerci tutti UGUALI (che non lo siamo e per fortuna!) ma tutti UGUALMENTE DEGNI, IDONEI E CON UGUALE DIRITTO di stare al mondo ci sarà sempre posto per il razzismo.
2- D'accordo con l'ultimo post qui sopra, che giustamente rivendica la naturale "imperfezione" dell'essere umano, a patto che non si scivoli nel segno opposto: siccome non è possibile essere perfetti accettiamoci per quello che siamo.
Il giusto sta sempre nel mezzo e gli estremismi di qualunque segno si assomigliano tutti. Giusto sarebbe (e in qualche caso nel passato la saggezza popolare lo rivendicava) tentare sempre di essere migliori, sapendo che ci si può avvicinare tantissimo, ma con la consapevolezza che gli errori li si commetterà sempre ed occorre anche saperlo accettare (pietà, perdono, comprensione, ciò che si vuole).
Silvia.
so che può capitare che i commenti dei blog spesso "escano fuori strada", ma in questo caso credo che ci sia qualcosa di più importante delle parole: mi sembra assurdo che si focalizzi l'attenzione sulla parola "negro" piuttosto che sul pestaggio ad opera di "persone" che paghiamo di tasca nostra. spero che i colpevoli paghino un prezzo e che non sfumi tutto nel nulla come spesso accade quando di mezzo ci sono "bestie in divisa"
Mi permetto di contraddirLa, scusi ma il fatto che i colpevoli (o persone che paghiamo di tasca nostra) non paghino e sfumi tutto nel nulla come spesso accade quando di mezzo ci sono "bestie in divisa" è strettamente legato con il fatto che non si capisce più il significato vero delle parole, con il fatto che vengano manipolate giorno dopo giorno. Altrimenti le "bestie in divisa" non la passerebbero così liscia, se non gli venisse universalmente riconosciuta tutta questa giustificazione popolare o mediatica ad opera del sapiente uso delle parole sbagliate.
Se così non fosse potrei dire che i commenti qui sono "usciti di strada", ma purtroppo non è così.
Cordialmente, Silvia.
No, no, le parole hanno la loro importanza, in certe occasioni più per il valore con cui le accentiamo che per il loro significato reale o intrinseco.
Se qualcuno picchiasse Lei (oppure l'anonimo del primo commento del 01/10 alle 15.23) urlandoLe addosso "sporco bianco di merda" è indubbio che le percosse Le farebbero molto male, ma anche gli epiteti non credo che li dimenticherebbe facilmente, non crede?!
Essere malmenati provoca un dolore fisico destinato a passare, essere umiliati e offesi crea una lesione che difficilmente si rimargina dentro di noi, una ferita che lascia il segno.
Fermo resta che chiunque usa violenza gratuita, soprattutto se in divisa (tutore della legge, rappresentante dello Stato...), debba (evviva l’utopia?!) pagare duramente e questo sia che lo faccia muto, sia che lo faccia urlando frasi razziste.
Perché questo sono, inequivocabilmente.
Inutile ricamarci intorno andando alla ricerca dell'etimologia culturale delle parole. Se gli avessero detto "sporco nero di merda" o anche se solo gli avessero scritto "nero" sulla busta accanto al suo nome, non sarebbe certo stato un atto di maggiore civiltà.
"Sporco bianco" non ha in sé una piccola contraddizione ?
Trovatela, e riferitela ai Vostri docenti di "political correctness" ... :)
Saluti da un operatore telematico scrivente normalmente abile.
Su, non esageriamo, le offese non sono sempre espresse in linguaggio corretto, anzi. E comunque basta un po' di fantasia per fare entrambe le cose:
1- trovare una frase "razzista" contro i bianchi (credete nessuno ne abbia mai dette?);
2- capire perché è così difficile ricordarsene una!!!!
XD
Cordialmente, Silvia.
ps: prima di essere fraintesa, specifico che ho scritto quanto sopra in forma di battuta "simpatica" (come testimoniato dalla mia faccina) ma un po' cattivella, nel senso che c'è una base di realtà nelle due proposte fatte...
Dipende dai punti di vista.
Un bianco si sporca di nero, un nero si sporca di bianco.
La zebra può essere nera a strisce bianche o bianca a strisce nere, dipende da chi la guarda.
C'è chi evoca l'uomo nero per far paura ai bambini, ma immagino che gli africani, con certo maggior ragione, evocheranno l'uomo bianco come simbolo del loro orrore.
E chi potrebbe dargli torto!
Mi da profondamente fastidio sentire e in questo caso scrivere frasi come sporco negro/bianco/giallo o marrone.
Non si può smettere di referire alla colore della pelle di un individuo? A chi importa? E perchè?
Fermo restando il principio di uguali diritti umani per tutti, non ci sono altri parametri per valutare una persona e le sue azioni? E per dire la verità, non si giudica le azioni, ma non l'individuo? - L'anonimo di origine celtica
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