di Nicola Saracino - Magistrato
La divisione tra giustizialisti e garantisti offre, da sempre, una visione squilibrata della giustizia perché
la spada non dovrebbe mai prevalere sulla bilancia, né viceversa.
Le cronache di questi giorni, oltre a riproporre l’atavico scontro tra due visioni, entrambe strabiche, suggeriscono l’idea di uno strappo ulteriore che col garantismo nulla ha a che vedere.
Questa “filosofia” aveva sempre operato, sul piano normativo, ampliando le garanzie di carattere processuale volte a limitare indebite anticipazioni di “pena” sotto le mentite spoglie di misure cautelari ovvero esigendo un maggiore grado di gravità degli indizi necessari all’affermazione di colpevolezza.
Ebbene, persino l’abrogazione dell’abuso d’ufficio è stata spacciata, senza troppa cautela, come misura di stampo “garantista”, trascurando totalmente che questa volta è stata eliminata una norma di carattere sostanziale, punitiva: la stessa norma incriminatrice.
E poiché l’abuso era il reato tipico dei pubblici ufficiali, per effetto della sua eliminazione si può affermare che abusare del potere non è reato.
Con questo intervento - definitivamente caducatorio di una norma penale già resa moribonda per via di precedenti mutilazioni operate da chi oggi simula un pianto da coccodrillo – il potere si è, senz’altro, “garantito”.
Ma ciò non ha nulla a che vedere con le garanzie che assistono i comuni cittadini che incappino nel processo penale, anzi non c’è più difesa dagli abusi di potere, ormai non più punibili. Probabilmente neanche da quelli dei magistrati.
L’attualità, poi, costringe a sillabare i fondamentali dell’azione penale italiana, voluta “obbligatoria” dal Costituente.
L’obbligatorietà è tale solo se esiste un controllo sul corretto esercizio dell’azione penale che, sul piano processuale, è stato attuato assegnando ad un giudice (il Giudice per le indagini preliminari) il compito di contraddire il pubblico ministero che non voglia muovere un’accusa nonostante le contrarie indicazioni delle indagini; in tal caso glielo impone, con un vero e proprio “ordine”.
Questo è un atto di ragione e non di volontà, non conta nulla che il pubblico ministero non “voglia” esercitare l’accusa in una determinata vicenda.
Lo dovrà fare perché così impone la legge, per il tramite dell’ordine del giudice.
E non conta nulla che quello stesso pubblico ministero probabilmente chiederà l’assoluzione o il non luogo a procedere nel prosieguo del processo.
Quello che conta, invece, è che il processo si farà ed il suo esito non è legato alle richieste del pubblico ministero, potendo sfociare in condanna anche contro il suo parere.
Questo è il quadro.
Le contrarie aspirazioni di chi vorrebbe un pubblico ministero totalmente libero di agire o non agire, secondo volontà e non secondo ragione, implicherebbero l’abrogazione anche di un altro reato tipico dei pubblici ufficiali, quello di rifiuto od omissione di atti d’ufficio.
Perché l’arbitrio, l’idea che il potere può tutto, totalmente estranea al pensiero liberale, esige garanzie.
D'impunità.
3 commenti:
Oramai dei garantiti si è perso il conto... di buono: qualche catogoria comincia ad agitarsi fingendo rivendicazioni a favore dei rastrellati per mafia.: Quando doveva essere contrastato il dottor "la mafia finirà con la fine dell'uomo " veniva invero osannato come il re dei gossippari nei salotti romani, adesso che tocca il nervo scoperto delle migliaia di magiapane a tradimento dei componenti della classe fiorente sulla pelle di un esercito di paralitici-disadattati-cialtroni iniziano gli scioperi. Ben vengano: e al ministro, buona primavera.
La sinfonia sulla riforma della giustizia ha raggiunto toni e limiti insopportabili. Qualsiasi riforma ha sempre peggiorato le cose nel senso dell’arbitrio più sfrenato finalizzato a garantire unicamente che “ il potere può tutto”. Ma quanto ottenuto non basta mai.
Con la riforma del principio costituzionale fondamentale su cui poggia la giustizia vera: la motivazione, peraltro statuito con norma ordinaria, riducendola ad un mero spettro che appare e/o scompare a secondo delle esigenze(amici o nemici), si pensava che nulla di peggio fosse più possibile. Sbagliavamo e di grosso ! ! !
Con la riforma Cartabia L.134/21, “improcedibilità del processo penale ” 344bis c.p.p., si dimostra la genialità con cui si può scendere all’infinito in un baratro senza fondo. Bisogna fare i salti mortali per portare a termine un processo. Così basta un NORMALE COMPORTAMENTO per ottenere ottimi risultati. A quanto pare ciò non è sufficiente, non soddisfa le bramosie del potere. Tutti gridano che bisogna fare la riforma della giustizia.
In sostanza deve essere chiarito bene il principio portante, se possibile scritto a chiare lettere. Art. 1, la giustizia è stata, è, e deve essere lo strumento che garantisce il totale libero arbitrio del potere. Art. 2, per rendere chiare le cose bisogna eliminare tutto ciò che potrebbe essere di ostacolo, norme e comportamenti. Art. 3 i milioni di procedimenti che interessano i cittadini devono essere meri giocattoli, passa tempo per operatori di giustizia che non avendo cosa fare si annoiano. Possono divertirsi facendo il gioco che il gatto fa con il topo. Art. 4 bisogna rendere più rigidi gli strumenti che danno adito a chi non vuol capire come stanno le cose. Bisogna raddrizzare loro la schiena come si deve e bisogna farlo bene.
Il problema è che i nordici alla Violante (prima giustizialista, quindi garantista), Caselli Vigna e altri, anziché arginare le mafie al sud sono stati divorati. Alla utilità di essa. E ancora, i vivi, continuano a slittare nel fango. Anziché fare autocritica, contribuiscono a sommergere l'Italia in quella melma che schizza in aria. Come faccio a dimenticare: durante una fase del processo kafkiano nel quinquennio di Vigna Super pna si ascoltava il pentito Pasquale Nucera che riferiva dei rapporti del capo ndrina con i presidenti Garbaciov, Reagan, Andreotti e tante altre follie. Subito, definendo importantissimo quel cialtrone, il Super, ha mobilitato l'areoflotta antimafia per andarlo a sentire. POVERA ITALIA!, nn di allora, di più adessso.
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