di Nicola Saracino - Magistrato
Alcuni colleghi hanno elaborato un appello, rivolto al Consiglio Superiore della Magistratura, affinché esprimesse un parere contrario al testo normativo che introduce la “verifica della idoneità psicoattitudinale allo svolgimento delle funzioni giudiziarie” dei magistrati.
Quel testo è già comparso sulla Gazzetta Ufficiale, si tratta del decreto legislativo 28 marzo 2024, n. 44.
L’articolo 5 compie il misfatto.
In sede di concorso è previsto un colloquio psico-attitudinale diretto a verificare l’assenza di condizioni di inidoneità alla funzione giudiziaria, come individuate dal Consiglio superiore della magistratura con propria delibera.
Il colloquio - del candidato che ha già dato prova di saperne di diritto - si svolgerà, davanti alla commissione esaminatrice, dopo la selezione scritta e dopo un preliminare test psico-attitudinale non meglio individuato se non per il suo “conformatore”, vale a dire lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura.
Tutti sanno che la selezione del concorso in magistratura avviene con le prove scritte, che i candidati superano di solito in numero più o meno corrispondente ai posti da coprire.
La bocciatura all’orale non è esclusa, ma resta un traumatico accidente statisticamente residuale.
Questo solo dato deve far riflettere sulla rilevantissima dose di arbitrio inserita in una procedura concorsuale imposta dalla Costituzione.
La somministrazione di test e poi la sottoposizione al colloquio attitudinale del candidato (già vincitore in pectore del concorso) realizza una indefinita selezione degli aspiranti del tutto disancorata da parametri certi.
Non è difficile prevedere che le “scuole” di preparazione al concorso in magistratura si attrezzeranno anch’esse di psicologi per esercitare i candidati ad “ingannare”, ove ve ne fosse bisogno, i test attitudinali, una volta che saranno predisposti dal CSM.
Non sorprende che il Legislatore - per quanto se ne sa mai sottopostosi ad un test di intelligenza - non si sia interrogato sull’“attitudine” del soggetto al quale ha conferito una delega in bianco sul contenuto delle prove psicanalitiche.
Il CSM è quello che è.
Un misto di delegati dalla politica e di politica da sottobosco burocratico, diviso in fazioni e volto alla lottizzazione di ogni cosa.
E’ molto dubitabile che sia il soggetto più affidabile cui assegnare l’elaborazione dei criteri capaci di sbarrare l’accesso alla professione.
Se quei test daranno buona prova - c’è da scommetterci - i futuri magistrati tenderanno all’adesione al sistema correntizio (non importa a quale corrente, conta il “sistema”), al conformismo, alla subordinazione al potere (non alla legge).
Ed allora il CSM, non pago del buon risultato raggiunto, con propria regolamentazione (le fantozziane “circolari”) estenderà le prove attitudinali a qualsiasi procedura concorsuale per ogni incarico il magistrato dovesse richiedere nel corso della “carriera”.
Un’arma tanto ignobile quanto efficace contro le residue possibilità di controllo di legalità del giudice amministrativo sull’operato del CSM.
Ed allora l’appello al CSM dei volenterosi colleghi trascura il tacito accordo di fondo che ha consentito a quel testo, sciatto ed indeterminato, di fare la sua comparsa in Gazzetta Ufficiale: il CSM, già molto prepotente, ne acquisisce ulteriore forza, sottratta ad ogni ipotizzabile prospettiva di controllo esterno.
Se quell’effetto è voluto vuol dire che la politica conta sul CSM ed allora è meglio non appellarsi a quell'organo.
Se, invece, l'effetto non è stato considerato ciò dimostra la sicura utilità dei test di intelligenza.
2 commenti:
Un perfido strumento in più per peggiorare il correntismo ! Bravi, proprio bravi !!!
Gentile Redazione
Rattrista che la Vostra voce non si levi alta nel panorama "degradato" del Paese tra riforme e controriforme sulla giustizia.
L'ipotesi in campo di separare le carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti è pura follia. E lo dice un uomo che ha ricevuto sia dagli uni che dagli altri l'ingiustizia più grande che possa capitare ad un uomo nel corso della sua vita: essere condannato definitivamente per un reato del quale si prova ribrezzo. Nell'Italia delle mafie, la separazione delle carriere non fa altro che distruggere la democrazia a favore del ritorno al famigerato ventennio del secolo scorso.
Tanti sinceri e stimati saluti.
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