sabato 22 settembre 2007

Tenere aperto l'oblò della speranza


Questo blog è luogo di incontro soprattutto tra persone che invocano, fra le altre tante cose, anche un cambiamento forte dell’A.N.M..
Pubblichiamo volentieri dunque l’opinione dei colleghi di Controcorrente.
Con riferimento a tutti gli interventi che ospiteremo, è importante che chi ci legge tenga presente che, proprio perché questo non è il “bollettino di propaganda elettorale” di un gruppo, ma un luogo di confronto, le opinioni manifestate da ciascuno non necessariamente rappresentano il modo di pensare di tutti coloro che partecipano all’attività del blog né dei suoi promotori e redattori.
Crediamo, fra l’altro, che ciò che ha via via impoverito il dibattito nell’A.N.M. sia stata proprio la rinuncia a un confronto franco sui fatti e le idee, sacrificato sull’altare delle convenienze “politiche” e delle logiche dei “gruppi”, per le quali ognuno è disposto a dire e ospitare solo le cose che sono direttamente funzionali a un “progetto elettorale”.


di Giuseppe Corasaniti
(Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma)

“Essere giovani vuol dire tenere aperto l'oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro” (Bob Dylan).
C'è un solo motivo per cui i giovani magistrati non si lasceranno sedurre dalle sirene del giovanilismo ostentato (appena in tempo per le prossime scadenze elettorali), non si lasceranno ingannare dai ripetuti riferimenti a "superare la logica dell'anzianità" come se i problemi fossero solo di una magistratura governata da "vecchi".
E' vero, bisogna superare la logica della gerarchia-gerontocrazia che è tipica solo della magistratura italiana e che si traduce in una evidente crisi di efficienza.
Ma sono i metodi a essere vecchi e superati, e il consociativismo è il metodo peggiore.
Non bisogna confondere il merito con la negazione dell'esperienza, non bisogna sostituire a criteri oggettivi, selezioni basate solo sulle "attitudini" valutate in modo discrezionale a seconda del contesto e del momento e ovviamente partizioni e spartizioni "concordate".
Se non si è "in quota" non si fa carriera. Se si è "in quota" non si è isolati e lasciati soli. Essere "in quota" serve sempre ,perchè manifesta un impegno "DOC" percepibile e funzionale al momento giusto.
Questo è il messaggio che da oltre un ventennio viene sempre dato ai "giudici ragazzini". E molti di quei giovani magistrati nel frattempo sono cresciuti, i ventenni e i trentenni di allora sono i quarantenni e i cinquantenni di oggi.
E perciò i giovani magistrati si sentono soli e disillusi. Perciò è molto chiaro ai giovani magistrati che bisogna cambiare.
E che alle belle parole debbono seguire i fatti.
Essi sanno sempre distinguere e capire e non intendono – proprio perchè giovani – seguire le vecchie riconoscibilissime logiche del consociativismo e di spartizione politica, tanto più ingannevoli se ammantate da giovanilismo di maniera, funzionale ad attrarre il loro consenso.
I giovani non perdonano chi li tradisce ,e fanno bene.
Solo un rinnovamento autentico e non di facciata, solo una partecipazione vera e non ostentata, con il superamento dei costanti riti assembleari e di congresso fatti di formalità che ormai tendono a essere superate persino nella vita politica nazionale e locale a vantaggio dei movimenti e della società civile, che chiede a gran voce di tornare a "metodi" davvero democratici, oggi espressi dalla "rete" – che ci collega e ci fa dialogare – potrà riportare aria e luce indispensabili per far rifiorire le nostre speranze, che sono le speranze di tutti.
La scelta dell'astensione è una scelta spontanea che quasi tutti i nuovi movimenti all'interno dell'A.N.M. stanno maturando.
E' una scelta "plurale" maturata in contesti diversi e sentita come protesta spontanea dalla base.
Ovvio che si tratta di una scelta molto sofferta, ma è altrettanto ovvio che non abbiamo altro mezzo per promuovere una vera autoriforma dell'associazione.
Si tratta di comprenderne le ragioni, di capire che la base dei magistrati non accetta più scelte unilaterali, nelle quali è coinvolta solo in sede di ratifica successiva.
Si tratta di capire, al di là delle scomposte reazioni, che bisogna riformare lo statuto dell'A.N.M., valorizzandone la componente sindacale e promuovendo una vita associativa nella quale tutti i magistrati si riconoscano spontaneamente, senza divisioni, con la sola logica dell'essere impegnati in un comune servizio, che valorizzi le differenze culturali, che riconosca il pluralismo delle idee (non quello delle stantie ideologie ), che premi la professionalità e valorizzi l'esperienza, anzi le esperienze delle quali si compone il nostro "essere" magistrati oggi.
Essere impegnati nel quotidiano, negli uffici, essere presenti, essere pronti ad accettare il confronto con la società civile, essere capaci di spiegare i problemi della giustizia (che non sono nostri e non possono essere solo addebitati alla nostra categoria), essere in grado di affrontare le sfide che ogni giorno ci pone il nostro mestiere.
Essere. Essere e non "avere". Ecco la logica, parafrasando Erich Fromm, che vorremmo seguire.
Non ci interessa avere un ruolo individuale di potere, avere individualmente incarichi di prestigio e soprattutto di "ruolo", nel risiko infinito che è diventata la "carriera" dei magistrati italiani oggi.
Non ci interessa avere consenso, avere sempre e comunque riconosciuta una capacità di indirizzare pacchetti di voti e di promuovere questa o quella carriera "parallela" sotto diverse sigle.
Non ci interessa un dialogo apparente, fatto di assemblee dove si parla secondo il consueto schematismo, e il tempo a disposizione è ripartito. La rete serve proprio a questo, ogni mailing list deve esprimere idee e non solo "emozioni" da condividere, magari spesso solo denigrando qualcuno o pavoneggiando il proprio impegno e il proprio blasone.
Non ci interessa essere "casta", perché non lo siamo e non vorremmo vedere caste piccole e grandi al nostro interno né situazioni di emarginazione inspiegabili per chi non ha manifestato fedeltà e appartenenza: siamo donne e uomini che vivono il quotidiano malessere degli uffici giudiziari, che esprimono un disagio proprio e che sentono il dovere di sacrificarsi umilmente, di sacrificare i propri spazi e tempi personali per dare un servizio migliore, o solo per non peggiorare la qualità e la quantità del lavoro giudiziario.
Non sappiamo ancora contarci e non vogliamo contarci, ma vogliamo "contare", vogliamo essere capaci di costruire un nuovo e diverso impegno associativo, che separi quello che è e deve essere l'istituzione (Consigli giudiziari e C.S.M.) dall'impegno sindacale nell'A.N.M.),che lo ripetiamo è doveroso in ogni categoria e che non può ridursi a un ruolo tra il politico e il mediatico che esprime posizioni verticistiche, neppure confrontate se non nelle stanze nelle camere dei bottoni.
La cooptazione non ci interessa, non ci interessa la "gestione" delle carriere altrui né la programmazione delle nostre, perché vogliamo rivendicare con forza una dignità che riteniamo spetti ad ogni magistrato, un rispetto profondo per la sua funzione che si esprime solo nell'indipendenza delle decisioni, piccole e grandi.
Nessun magistrato dovrebbe sentirsi solo.
Vogliamo essere, ed essere controcorrente, cioè contro la logica limitata e limitativa delle appartenenze, fatta di ruoli ostentati e posizioni interscambiabili che vorrebbero essere pluralismo, ma che si manifestano solo come reale e puro consociativismo.
Vogliamo soprattutto essere noi stessi, e non ci toccano le accuse gratuite di chi immagina la nostra iniziativa come disimpegno e non si accorge neppure delle nostre motivazioni, perchè non vuole – e forse non può neppure – dare risposte credibili alle nostre domande.
Vorremmo un dialogo autentico e "trasversale" che sia la base per tutti i percorsi di riforma e per ogni modello organizzativo che si propone.
Ed è sul dialogo che l'A.N.M. potrà ripartire.
Vorremmo coerenza, soprattutto coerenza tra impegni e comportamenti e trasparenza in ogni situazione associativa e istituzionale. Lo impongono il principio di legalità al quale ci richiamiamo fortemente, il principio di eguaglianza al quale ci riferiamo convintamente e il nostro stesso senso della giustizia che ci accompagna.
Lo richiede il nostro essere "magistrati" e non "magistratura".
Persone autentiche, impegnate e vive e attente a non limitarsi solo ai concetti e a evitare preconcetti.

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