domenica 30 settembre 2007

Una proposta alternativa all'astensione per le prossime elezioni del C.D.C. dell'A.N.M.

Come abbiamo già scritto, questo blog è un luogo di confronto. Ha una “linea editoriale” coerente, ma, non essendo il “bollettino di propaganda” di un gruppo, vive della ricchezza di opinioni anche diverse fra loro. Quindi, ecco la proposta che Stefano Sernia lancia al Movimento per la Giustizia, nonostante che alla maggior parte di noi non paia, per molte ragioni, propriamente “alternativa” all’astensione di novembre per la quale stiamo lavorando. Ci sembra, cioè, che le due proposte possano e forse debbano viaggiare insieme, perchè l'una non esclude l'altra e, per di più, l'astensione guarda alla situazione complessiva dell'A.N.M. e la proposta di Stefano a una esigenza di coerenza interna di una delle correnti dell'A.N.M.. Certo, se le incompatibilità proposte da Stefano (e della urgente necessità delle quali sembra non potersi dubitare) fossero già in vigore, la magistratura associata avrebbe evitato il grave discredito e la perdita di credibilità che le derivano da denunce come quella fatta pochi giorni fa dai Radicali (per leggere la denuncia, clicca qui). Alla vicenda di Bari, alla quale fa riferimento Stefano, dedicheremo uno scritto apposito nei prossimi giorni.

di Stefano SERNIA
(Giudice del Tribunale di Lecce)


I colleghi Racheli, Lima, Tinti e altri hanno efficacemente descritto il sistema di degenerazione correntizia che ha piegato tanta parte dell’attività del C.S.M. (in particolare: nomine dei dirigenti degli uffici giudiziari; nomine dei magistrati a vario titolo collaboratori del C.S.M.; decisioni disciplinari) a logiche spartitorie e clientelari, che si riflettono anche sull’operato dei Consigli giudiziari (come altri colleghi hanno testimoniato), che dei candidati premiano l’appartenenza e non le capacità ed il merito, con ovvie e gravi ricadute in termini di efficienza del servizio giustizia.

Una delle immediate conseguenze è la ricorrente inadeguatezza dei dirigenti degli uffici, la loro incapacità di organizzare gli uffici e persino di vigilare sulla laboriosità e diligenza dei colleghi: con l’immaginabile conseguenza del crearsi di sacche di inefficienza e indecorosi e mortificanti episodi di impunita neghittosità; altra grave conseguenza, l’assegnazione di ogni altro (e cioè, anche non direttivo) incarico (compresi quelli dei magistrati segretari presso il C.S.M., o addetto all’ufficio studi, o al Massimario, ecc.) in base a criteri lottizzatori dominati dal principio dell’appartenenza.

Ritenuto inguaribile il sistema, o regime, con i mezzi ordinari (e cioè, mediante una battaglia portata avanti dal “di dentro” del sistema mediante gli usuali strumenti partecipativi alla vita associativa e consiliare) hanno proposto di denunziare detto sistema e delegittimare chi lo sostiene mediante un massiccio ricorso all’astensione alle prossime elezioni per gli organi associativi: un “tirarsi fuori” che privi i responsabili del sistema clientelare della legittimazione loro offerta dalla partecipazione degli “onesti”, sia pure come opposizione istituzionalizzata, a una gestione associativa e consiliare che è viziata e ritenuta senza speranza di mutamenti mediante la mera partecipazione dialettica: di qui la necessità di una “rivoluzione”, di una rottura estrema, che consenta alla minoranza di divenire maggioranza, chiamando allo scoperto le responsabilità e coalizzando “gli onesti”.

Molti hanno obbiettato che così facendo da un lato ci si limita ad un gesto di protesta distruttivo e non propositivo, dall’altro si finirebbe per consegnare l’A.N.M. ai gestori del potere correntizio (per mera semplificazione terminologica, e in opposizione agli “onesti”, possiamo chiamarli gli “scorretti”: mi scuserete le semplificazioni).

Racheli e Lima rispondono che se il sistema è inguaribilmente malato, è inutile tenerlo in vita, e comunque è cattiva medicina quella che perpetui le condizioni della malattia.

A me sembra che l’analisi di Racheli, Lima ecc. sia in gran parte condivisibile; il punto debole è quello propositivo, il “che fare” dopo essere usciti dal gioco, fermo restando che è vero che da qualche parte bisogna pur cominciare a cambiare le cose, e che la normale dialettica associativa, che non ha ancora consentito agli “onesti” (ancora scuse per l’eccessiva semplificazione) di divenire maggioranza, non appare essere più uno strumento sufficiente.

Tuttavia, prima di arrivare alla rottura estrema, segnata dall’astensione (che per molti colleghi è prospettiva traumatica, equivalente ad un non invitante salto nel buio) mi sembra possibile compiere un passo da un lato compatibile col desiderio di molti di non disertare la lotta elettorale, dall’altro di compiere comunque un gesto di rottura estremamente utile e proficuo, nel senso dell’idoneità ad eliminare parte dei vizi rilevati.

Poiché il sistema sembra funzionare grazie alla convergenza di interessi tra la massa dei “clientes” (e cioè dei magistrati interessati a ricercare e ottenere appoggi nella loro carriera: e ciò tanto più ed a maggior ragione oggi che, con la riforma dell’ordinamento giudiziario e la progressione in carriera ancorata a valutazioni di merito rimesse a consigli giudiziari e C.S.M., la mera anzianità senza demerito non è più un criterio sufficiente) e quella degli “optimates” (e cioè coloro che, di fatto o per posizioni statutarie all’interno delle correnti o dell’A.N.M., detengono posizioni di potere correntizio o associativo e distribuiscono favori per raccogliere consenso e potere, che poi impiegheranno per sviluppare ambiziose carriere parallele al C.S.M.; al Ministero; in organi giurisdizionali sopranazionali; in carriere politiche o altro), il problema fondamentale mi sembra essere come rompere questa coincidenza di interessi, per far sì che gli “optimates” non abbiano più convenienza a sviluppare e coltivare clientele, che poi sfrutteranno per dar luogo a carriere parallele di prestigio (presso il C.S.M. o altre istituzioni).

La soluzione appare essere proprio quella di spezzare tale convergenza di interessi.

Come ho scritto a Carlo Citterio, con lettera pubblicata sulla mailing list del Movimento (e quindi non privata, e di cui di seguito riporto i concetti), il programma da lui abbozzato in lista contiene già una prima risposta, cui però occorre offrire maggiore concretezza e garantirne la serietà.

La risposta è : INCOMPATIBILITA’ !

Un’INCOMPATIBILITÀ severa e seria, di una durata congrua (ipotizzo tra i tre e i cinque anni, per evitare che eventuali crediti clientelari vengano messi all’incasso alla prima elezione utile per il C.S.M.) per chi ricopra qualsiasi carica associativa, anche solo a livello correntizio e anche solo a livello locale (almeno in quei distretti più estesi che generalmente riescono ad esprimere la nomina di un consigliere al C.S.M.) a rivestire QUALSIASI incarico direttivo o semidirettivo, o al C.S.M., al Ministero, o presso altre magistrature nazionali o internazionali.

E’ poi necessario che le incompatibilità siano bidirezionali, e quindi che per un congruo periodo (sempre un minimo di tre-cinque anni), non possa accedere a cariche associative di alcun genere chi abbia goduto di qualsiasi tipo di incarichi direttivi, semidirettivi, di consiliatura ecc., per evitare che posizioni di potere di fatto (che cioè sussistono e condizionano l'operato delle correnti anche senza assunzione di incarichi statutari interni, ma che prima o poi ambiscono a tradursi in posizioni di potere di diritto, per ragioni di vanità, visibilità o altro) ricevano il loro "prezzo" anticipatamente.

Mi si obbietterà che, con questo sistema, nessuno vorrà poi accedere a incarichi associativi, perchè ne verrebbe troppo penalizzata la carriera; io invece credo che vi accederanno i migliori tra noi, quelli che voterei con amore, gratitudine e slancio, quelli per i quali la difesa dei valori culturali della Magistratura è un fine disinteressato e nobilmente sentito; vi accederanno i giovani ed i saggi, coloro che non hanno immediate ambizioni di carriera (perchè inattuali, o perchè già soddisfatte), ma un ricco patrimonio di energie e/o di conoscenze; e ne rimarranno fuori tutti coloro che hanno ambizioni di carriera, ed io ne sarò contento, perchè sarà eliminato il rischio di conflitti di interessi, di intrecci perversi, di pastette opache, di giochi non trasparenti.

Poiché non abbiamo il potere di modificare le norme di diritto pubblico (che regolano gli accessi agli incarichi suddetti), si tratterebbe di introdurre una incompatibilità di diritto privato (e cioè, da prevedere mediante apposita clausola dello statuto dell’A.N.M. vincolante ogni iscritto); la efficacia di detta incompatibilità potrebbe essere assistita da una clausola penale (la violazione della clausola di incompatibilità dando luogo ad inadempimento grave del contratto associativo) che, per essere seria, dovrebbe andare a colpire il portafoglio dell’associato e della corrente che ne abbia avallato le ambizioni di carriera (ad es.: 100-200,00 euro di multa per ogni voto riportato alle elezioni al C.S.M. da parte di chi non poteva candidarvisi per incompatibilità; una multa proporzionale calcolata su ogni iscritto alla corrente – o sui voti da questa riportati alle ultime elezioni del C.S.M. – per gli incarichi direttivi o semidirettivi, e i pareri favorevoli alla messa fuori ruolo per altre carriere, espresse in favore di chi si trovava in posizione di incompatibilità).

Non sono un civilista ma credo che la cosa sia fattibile.

Ci sarà la volontà politica di farlo?

Da parte delle altre correnti, immagino di no.

Da parte del Movimento? La risposta, guardando allo statuto del Movimento, dovrebbe essere positiva; ma vorrei una rassicurazione, una garanzia che il mio voto, che il Movimento sollecita presentando i propri candidati, sia ben speso, e si traduca, da parte degli eletti, in comportamenti fattivi, e non in meri proclami.

Il dubbio mi sorge perché, senza offesa per nessuno, ho letto nella mailing lista del Movimento interventi che mi pare diano il segno di una non adeguata sensibilità ai problemi della giustizia ed alle cause dello stesso: non si può biasimare, ad es., l’avv. Bàrbera che lamenta determinate situazioni NONOSTANTE siano state già adottate sanzioni disciplinari nei confronti del magistrato fannullone, perché come correttamente rilevava Stefania Barbagallo (e, nei toni, ma solo nei toni, molto meno correttamente sottolineava Felice Lima), all’utente della giustizia è di ben scarso sollievo che il magistrato reo sia punito, se intanto comunque ha dovuto attendere anni per il deposito di una motivazione: certe cose semplicemente non devono accadere (l’ha detto benissimo Tarfusser), ed è compito dei dirigenti, di sezione e del tribunale, segnalarli per tempo ed intervenire per reprimerli ed ovviare; e questi dirigenti hanno subito qualche censura?

L’Associazione (e il Movimento) hanno mai preso posizione contro di loro?

Se poi, il collega di Bari in questione è, come mi sembra di capire, lo stesso che io e altri due colleghi avevamo già denunziato nel 1997-1998 (non ricordo bene l’anno) per falso ideologico, per aver depositato, come presidente della sezione feriale, a nostro nome un provvedimento collegiale che nessuno di noi mai aveva discusso, la cosa diventa gravissima, perché vuol dire che nonostante una denunzia (da parte di tre magistrati!) e un processo pendente (sono anche andato, da Verona, ove frattanto ero in servizio, a Potenza a testimoniare), questo collega ha reputato (e i fatti gli hanno dato sostanzialmente ragione) di poter continuare a fare i suoi porci comodi, perché evidentemente nessun controllo veniva esercitato.

Non è mia intenzione aprire nuove polemiche o rinfocolarne di vecchie; ma devo fare osservare che siamo in ritardo di almeno venti anni: e cioè da quando, sia pure strumentalmente a disegni di riduzione degli spazi di autonomia della Magistratura, la coppia Cossiga-Craxi sollevò tutta una serie di problemi attinenti all’inefficienza della magistratura, alla sua incompetenza o impreparazione (ricorderete la polemica sui giudici ragazzini), la sua mancanza di legittimazione politica e per converso la sua pretesa politicizzazione associata ad una sostanziale irresponsabilità; lo stato della discussione in corso e ciò che appartiene all’esperienza di tutti credo dimostri che l’inefficienza, l’impreparazione, l’inettitudine, la neghittosità e, quel che è peggio, l’irresponsabilità, siano mali diffusi, che noi non abbiamo mai decisamente combattuto, avendo preferito arroccarci in una dimensione castale di negazione del vero e di proclamazione di supremi principi, che se rendeva più facile la difesa del sacro valore dell’indipendenza del giudice, rendeva imperseguibile la sua eventuale neghittosità; sicchè si è preferito demonizzare chi indicava il male, piuttosto che prendere in considerazione ciò che di vero le sue parole eventualmente indicassero.

Ed allora, cosa fare, cosa chiedo io perché si riacquisti credibilità? Cosa chiedo in cambio del mio (e, penso, di tanti altri) voto?

Un atto di coraggio e di concretezza; un atto di serietà; una prova di convinzione e di decisione: sia il Movimento, per primo, a modificare il proprio statuto prevedendo le incompatibilità che dicevo; sfidi quindi le altre correnti a seguirlo su questa strada; lo faccia subito, DA ORA, guadagnando in credibilità, segnando una svolta seria che attirerà consensi e produrrà un effetto terremotate di cambiamento, ponendo all’ordine del giorno associativo una tematica che altrimenti verrà facilmente elusa e annacquata nei soliti manifesti di buone intenzioni.

In mancanza di ciò dovrò ritenere che il Movimento non è oggi in grado di affrontare la battaglia che pure culturalmente ed elettivamente le appartiene; e che l’astensione rimane l’unica strada percorribile per denunziare e delegittimare irreparabilmente il sistema spartitorio : chiamarsi fuori è meglio che avallare con la propria presenza una finzione di democrazia e legalità associativa e consiliare.

La situazione è infatti drammatica, come sa bene chi, tra noi, vive tra la gente come uno qualunque, senza orpelli e senza boria, ed è quindi in grado di cogliere umori e sensazioni non filtrate da alcun metus reverenziale; e pertanto ATTENZIONE: le riforme che non faremo da soli, ce le faranno (e le hanno in parte già fatte, ve ne sarete accorti, immagino) gli altri, peggio di come le avremmo fatte noi, e in maniera punitiva e inossequiosa delle garanzie e prerogative costituzionali della magistratura.

E' QUINDI TEMPO DI MISURE DRASTICHE E SINCERE; altrimenti saremo noi magistrati i responsabili della morte della giustizia eguale per tutti; ed io non ci sto, mi chiamo fuori e chiamo fuori tutti i colleghi seri, onesti, dediti al lavoro per passione e rispetto dei diritti del cittadino.

PRETENDIAMO dunque questa riforma delle incompatibilità: è la MISURA MINIMA tra quelle necessarie; o altrimenti ASTENIAMOCI da questo finto gioco di democrazia associativa, in cui ci fanno credere di partecipare al governo associativo e culturale della magistratura, mentre invece di fatto ci chiamano a legittimare il sistema spartitorio secondo logiche di appartenenza, che altri prima di me hanno ben descritto.

Spero di non aver offeso nessuno: come diceva Lima, tengo famiglia e non desidero querele, ma sono anche un magistrato, e un uomo, e ho non solo il diritto, ma il dovere morale di esprimere ciò che credo, e denunziare ciò che vedo; e se un’idea non formulata è un’idea morta e sterile, ricordo ai destinatari della mia proposta che una proposta non seguita dai fatti è una falce senza filo, che non taglierà la mala erba.


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