mercoledì 23 marzo 2022

Il segreto di Pulcinella

di Nicola Saracino - Magistrato 

Si conoscono, finalmente, le motivazioni poste a base dell’assoluzione del pubblico ministero che aveva rivelato al dott. Davigo, all’epoca nel Consiglio Superiore della Magistratura, atti di indagine (copia di atti di indagine) che dovevano rimanere segreti. 

Come d’uso tentiamo di seguire le vicende  di interesse generale dall’inizio alla fine.

Nelle  puntate precedenti s’era detto che mal si attagliava al dott. Davigo il ruolo del “confessore” e che una circolare non cambia la legge, essendo a quest’ultima sott’ordinata. 

E’ il principio della gerarchia delle fonti del diritto che tradotta in termini comprensibili ai profani significa che il pesce piccolo non può mangiarsi  quello più grande: la balena è la Costituzione, la legge è il delfino, regolamenti e circolari sono sardine. 


Nel nostro caso una sardina s’è mangiata il delfino e con esso pure la balena. 

Torniamo al processo penale, sfociato nell’assoluzione  con la formula “il fatto non costituisce reato”, adottata quando il reato c’è ma chi lo ha commesso era in uno stato psicologico diverso da quello che la legge richiede perché possa esser punito. 

Ciò che si verifica quando manca il cd elemento psicologico del reato (dolo o colpa) anche per via di un errore che può cadere sul fatto (credevo di sparare ad un cinghiale ed invece era un cacciatore). 

Di solito l’errore di diritto non è ammesso come scusante.

Ebbene nel caso di specie l’imputato è stato assolto proprio per un errore “sul fatto”. 

Aveva creduto, a ciò indotto,  che Davigo sarebbe stato il mero tramite per far pervenire le informazioni segrete al Comitato di Presidenza del CSM secondo procedure formali ed invece le cose andarono diversamente.

E di questo non è colpevole. 

E’ il succo di 45 pagine di una sentenza tuttavia troppo “corta”. 

Perché non ha preso in alcuna considerazione proprio il principio della gerarchia delle fonti e così, vedendo delfini laddove c’erano solo sardine, ha dato per scontato che se le cose fossero andate come l’imputato si aspettava che andassero,  e cioè che Davigo si comportasse da mero tramite per veicolare il segreto a chi poteva conoscerlo,  non ci sarebbe stato nessun reato.

Invece di dire che non si può invocare a propria scusa una circolare contra legem.  

In tal modo prendendo per errore di fatto (che perdona) quello di diritto, imperdonabile soprattutto quando gli attori protagonisti della scena siano dei magistrati, cioè dei giuristi che le leggi devono conoscerle e sanno che una circolare non può derogarvi.  

Se, dunque, l’imputato era  incorso in un errore di fatto,  la sentenza che lo ha assolto appare l’evidente frutto di un errore di diritto, senza peraltro escludere che potessero esserci ulteriori ragioni per pervenire allo stesso risultato assolutorio. 

A seguire quanto dice il giudice bresciano, infatti, qualsiasi atto normativo di rango subordinato alla legge potrebbe vanificare il segreto investigativo  e quindi sarebbero ben viste circolari ministeriali  - o di qualsiasi altra amministrazione pubblica  - che esonerassero i loro funzionari dall’obbligo del segreto quando ciò sia funzionale al controllo e vigilanza disciplinare sui dipendenti (cancellieri, guardie penitenziarie, finanzieri, carabinieri, poliziotti e via dicendo...).  

Col risultato di avvalorare la tesi di chi oggi indica quello investigativo come il segreto di Pulcinella. 
 

3 commenti:

bartolo ha detto...

Beh… proprio l’altro ieri leggevo la recensione di un super-giornalista su un lavoro di un super-intellettuale.
Tra le altre cose viene riportata la circostanza che due importanti magistrati degli anni settanta (entrambi uccisi dall’infamità mafiosa che li circondava) per evitare di essere traditi dai propri collaboratori (invano) si incontravano in ascensore salendo su e giù per i piani e scambiandosi così le informazioni investigative sulla mafia. Forse Storari non meritava l’assoluzione e il suo Giudice ha commesso il suo stesso errore (gravissimo per due magistrati) ma ancora più grave è che il presidente di una commissione parlamentare composta da 50 tra senatori e deputati con poteri magistraturali, il vicepresidente del tempio della magistratura ed un altro autorevole componente, si nascondono non in un misero tribunale di periferia degli anni settanta, bensì nel Tempio della magistratura degli anni 2020.
Il fatto è, che gli occhi, quando si tratta di corporativismi, non li chiudono solo i magistrati, ancor di pù, i super giornalisti e super intellettuali.

francesco Grasso ha detto...

ORO COLATO !!! Eccellente ed esaustiva la rappresentazione che ne consente ai non addetti ai lavori, un'agevole comprensione. L'imputato è un magistrato, e per lui l'art. 5 c.p. assume una rilevanza elevata. Il CSM è costituito da un Comitato di presidenza formato dal vice pres CSM., dal 1° pres. cass. e dal P.G. cass. Soprattutto da una segreteria generale costituita da magistrati: un presidente, un vice presidente e da altri magistrati. Il Comitato di presidenza è organo esclusivo di impulso dell'attività del consiglio. La sua composizione, perfetta, non può consentire equivoci di sorta.

La Redazione ha detto...

Per Giovanni, altro che operatori del diritto!
La giurisprudenza di legittimità è severissima anche verso gli analfabeti.
Così la Corte di Cassazione penale 26417 del 2019 : "Lo status di analfabeta non è sic et simpliciter sufficiente ed idoneo ad escludere la possibile comprensione di un precetto penale".

Se poi uno ha dei dubbi non pretestuosi, secondo Cass.pen. 25664 del 2021, deve stare ancora più attento: "L'incertezza nell'applicazione di una norma impone all'agente maggiore cautela senza invocabilità della ignoranza scusabile
In costanza di contrastanti orientamenti giurisprudenziali sulla interpretazione e applicazione di una norma, al soggetto agente è richiesta di adottare un comportamento maggiormente attento dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d'inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell'illiceità.".