di Guido Ruotolo
(Giornalista)
da La Stampa del 5 dicembre 2008
Poseidone. Dio del mare, anzi della guerra, visto quello che è successo dopo.
Nasce così, da un serie di esposti alla Procura di Catanzaro di cittadini indignati e forse anche di più per quel mare, perla del Mediterraneo, ridotto a una cloaca a cielo aperto, l’inchiesta madre che ha portato al violentissimo scontro istituzionale di queste ore.
Mare sporco, inquinato, perché i depuratori non funzionano, non esistono, non ci sono.
E’ il novembre del 2004, e il pm Luigi De Magistris inizia a indagare.
Passo dopo passo scopre il grande imbroglio dell’Alto commissariato per l’emergenza ambientale.
Governatore della Calabria è l’ex procuratore generale di Catanzaro, Giuseppe Chiaravalloti, che guida una giunta di centrodestra.
800 milioni di euro della Comunità Europea che dovevano risolvere la questione ambientale, in realtà, secondo De Magistris, finiscono altrove.
In una strana connection di politica, affari e logge massoniche.
Per esempio, a casa dell’ingegnere Giovanbattista Papello – suo referente politico è l’attuale capogruppo del Popolo delle libertà al Senato, Maurizio Gasparri – vengono trovate persino intercettazioni telefoniche illegittime, un grembiulino massonico, diamanti e alcuni conti correnti riferibili ad Alleanza nazionale.
Gli indagati sono eccellenti, si va dal governatore Chiaravalloti ad ex assessori e politici di rango, come l’avvocato Giancarlo Pittelli, parlamentare di Forza Italia.
Luigi De Magistris, ma lo denuncerà dopo, lavora in solitudine anche se avrebbe voluto che altri colleghi del suo ufficio l’aiutassero.
Poi, a un certo punto, tutto precipita.
C’è una data dello strappo. E’ il 10 maggio del 2005.
Il pm napoletano informa il capo dell’ufficio, il procuratore Mariano Lombardo, che per il 18 maggio erano fissate decine di perquisizioni.
Ma all’improvviso succede qualcosa. Il pm avverte che la partita è truccata. Gli indagati sono stati informati della perquisizione imminente.
Solo uno, che si trovava negli Stati Uniti, non ha il tempo per portare via possibili segreti inconfessabili. E’ Papello.
E’ da allora che si incrina il rapporto tra De Magistris e il suo capo.
E gli approfondimenti successivi del consulente Gioacchino Genchi vanno in una direzione sconvolgente: la talpa, le talpe, sono nascoste proprio al palazzo di Giustizia di Catanzaro.
Il procuratore Lombardo, il sostituto procuratore generale D’Amico, altri giudici e il parlamentare Pittelli sono i responsabili della fuga di notizie.
A un certo punto, siamo nel marzo del 2007, il procuratore Lombardo (a quel tempo le ipotesi Genchi sulle talpe non si sono ancora materializzate) decide di avocare l’inchiesta Poseidone affidandola al pm Curcio, finito anche lui nella cordata di magistrati inquisiti da Salerno.
Il punto di questa grande matassa catanzarese, che oggi appare come una maionese avvelenata e impazzita, è che non c’è solo un filo per venirne a capo.
Intercettando, indagando, sentendo testimoni, l’inchiesta Poseidone tracima e si disperde in mille rivoli. Dall’emergenza ambientale si arriva all’inchiesta Why Not?, perché no?, dal nome di una società di informatizzazione e servizi.
Anche qui la posta in gioco sono i finanziamenti europei.
E’ l’inchiesta il cui perno è rappresentato da Antonio Saladino, il vicerè della Compagnia delle Opere in terra calabrese. Il braccio imprenditoriale di Comunione e liberazione. Vicinissimo a tutti gli ambienti politici calabresi.
E qui, sempre a un certo punto dell’inchiesta, scoppiano i fuochi d’artificio.
Finiscono indagati dal presidente del Consiglio Romano Prodi al ministro Guardasigilli Clemente Mastella.
E mezza giunta regionale calabrese passata all’opposizione, ovvero al centrosinistra.
E come per Poseidone c’è una falla gigantesca: la fuga di notizie.
Un enorme frullatore dentro il quale finiscono magistrati della Procura nazionale antimafia, giornalisti fino a lambire la credibilità del vicepresidente Csm e del Capo dello Stato.
L’inchiesta riguarda soprattutto il mercato dei posti di lavoro, delle agenzie interinali. Di mezzo c’è sempre la massoneria, secondo De Magistris, la cosiddetta «loggia di San Marino».
Sempre il consulente Gioacchino Genchi ricostruisce migliaia di tabulati telefonici che, come dimostrerà la stessa iniziativa della procura di Salerno, riguardano anche Nicola Mancino.
Il reggente procuratore generale di Catanzaro, Dolcino Favi, il 26 maggio 2007 taglia la testa al toro: avoca l’inchiesta Why Not?.
Poi, la vicenda diventa il dramma istituzionale di questi giorni. La Disciplinare del Csm punisce De Magistris, che adesso lavora al Tribunale di Napoli. La procura di Salerno indaga e il 2 dicembre piomba a Catanzaro con i carabinieri.
3 commenti:
Buon Dio, tutto questo marciume deve restare impunito ?
Ma che pese è diventato questo, da Enrico De Nicola a Giorgio Napolitano ?
credete che negli altri tribunali d'italia, specie al sud la situazione sia migliore? A Catania, il tema dei reati ambientali, è materia sconosciuta ai più. Senza dire che se un processo viene aperto e qualche pollo beccato il denunciante viene messo alla porta e non si può costituire parte civile. Pare si tratti di una falla della legge. Ma se la legge è questa c'è solo da chiudere le procure.
Chiudere le procure perché il denunciante dei reati ambientali non può costituirsi parte civile? Mi sembra una conclusione un tantino precipitosa... La parte civile, lo dice l'espressione stessa, è portatrice di interessi civili, cioè mira a un risarcimento. Evidentemente un singolo che denunci un reato ambientale non ha titolo a un risarcimento. Semmai a un ringraziamento da parte della comunità, ma a un risarcimento in denaro, NO. Se dall'inquinamento sono derivate delle malattie, si fa un processo per lesioni, nel quale il danneggiato certamente può costituirsi parte civile.
Ernesto Anastasio
Posta un commento